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Autore: Misaki Ayuzawa    02/06/2014    2 recensioni
Questa è la storia di William Herondale, da quando è arrivato all'Istituto fino a ... beh, fino alla fine. Tenterò di descrivere al meglio gli episodi di cui già siamo a conoscenza sia quelli che invece sono avvolti nel mistero, o meglio: nella mente del personaggio più complesso di TID. Spero passiate a dare un'occhiata! :)
I:"I libri mi fanno credere che c’è chi sta peggio di me, anche se ammetto che consolarmi con le disavventure di personaggi immaginari non è esattamente una cosa da persone normali, non che io mi creda sano di mente, anzi sto valutando, ultimamente, la possibilità di farmi visitare da uno strizzacervelli mondano …"
V:"La cerimonia è conclusa e i Cacciatori, fino ad un momento fa silenziosi, si alzano in piedi e applaudono. Io, in questo momento, ho soltanto un pensiero che mi occupa la mente: non sono più solo."
X:"Mi tocco il viso, contrariato, e fisso il mio sguardo in quello di Jem.
“Questo” e faccio un ampio movimento con il braccio “non deve saperlo nessuno.”
Le persone che stanno passeggiando nel parco hanno preso guardarmi, mentre a grandi falcate mi dirigo verso l’Istituto. Quelle anatre me la pagheranno …"
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charlotte Branwell, Henry Branwell, James Carstairs, Jessamine Lovelace, William Herondale
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L’Angelo

“Cacciatore, sei ancora tu?” Gracchia la vecchia Mol con il suo insopportabile accento strascicato.
“Sì, Mol.” Sbuffo. “Mi serve il solito.” Ci sono volute molte rassicurazioni da parte mia e giuramenti sull’Angelo, per convincerla che non sono una spia dell’Enclave. Ora, finalmente, riesco a farmi servire senza sottolineare ogni volta quanto il suo aspetto sia folgorante e traslucido.
Il fantasma della donna anziana si allontana un po’, non posso dire di qualche passo per il semplice fatto che fluttua, quasi trasportata dal vento, e recupera un sacco di tela con gli ingredienti che Magnus mi ha chiesto.
Magnus. Mentre faccio scivolare nelle mani del fantasma una collana di fedi nuziali penso all’atteggiamento da prima donna dello stregone.
Ogni volta che mi mostra un demone che ha appena evocato, fa un buco nell’acqua. Non riesce a trovare quello giusto e, giorno dopo giorno, diventa sempre più irritato; addirittura, ieri notte, nemmeno mi ha rivolto la parola, quando gli ho comunicato che quella sorta di verme blu munito di una ventina di zampe e fauci affilate non era il demone giusto. Mi ha semplicemente spedito a fare rifornimenti.
Mi avvio verso casa di Camille e lascio ad Archer gli ingredienti, affinchè li consegni a Magnus.
La notte è calda, ma non è strano per essere metà Luglio. Il silenzio che mi circonda, rotto dai borbottii e qualche urlo stridulo degli spiriti ai quali ormai mi sono abituato da un po’, mi porta, come sempre, a pensare. E dove potrebbero andare i miei pensieri, ora come ora, se non a Tessa? Tutto quello che sto facendo, lo sto facendo per lei. Ci incontriamo nei corridoi e lei fa finta di non vedermi; io, d’altra parte, non do segni di voler comunicare; durante i pasti, invece, ci rivolgiamo la parola nei limiti dettati dall’etichetta. Bisogna dire, però, che ultimamente Tessa non sta molto all’Istituto (Jem ogni giorno la porta a visitare  Londra, i palazzi e i monumenti) e, quando è tra le mura della Cattedrale, se ne sta chiusa in biblioteca, il naso immerso tra le pagine di un libro, e io ho modo di guardarla con calma, perché non sa di essere osservata né, tantomeno, sospetta la mia presenza.
Questo periodo rischia di annoiarmi terribilmente: Charlotte è impegnatissima con l’Enclave, deciso a toglierle la carica di direttrice dell’Istituto; Henry sta lavorando sugli automi di Mortmain, per capire come distruggerli; Jessamine accusa dei frequentissimi mal di testa che la portano a starsene chiusa in camera sua per la maggioranza del tempo. Insomma, l’unico svago è osservare Magnus che, come un gatto che non riesce ad acchiappare la farfalla, rispedisce nella dimensione infernale i demoni sbagliati.

“Credo che ti divertirai un mondo nelle prossime settimane, Will.” Jem, come sempre, ha un’espressione calma dipinta sul volto, nonostante la sua irritazione risalente a qualche momento fa. Siamo appena usciti dalla sala del Consiglio, dove il Console ha dato a Charlotte un ultimatum di tre settimane, al fine di trovare il Magister.
“Lo credo anche io.” Ribatto. “Sarò
radioso, nel prendere ripetutamente a pugni il volto di Gabriel.”
“Potrebbe non occorrere il tuo intervento.” Aggiunge Tessa, la quale sta guardando distrattamente fuori dal finestrino della carrozza che ci riporta all’Istituto. “Temo che finirà con un coltello conficcato in un piede in meno di dieci minuti, se questa storia dell’addestramento è vera.”
Non ha preso bene questa cosa dell’allenamento di base per lei e Sophie; io, dal canto mio, sono contrario a prescindere: non mi piace che Gideon e Gabriel Lightwood vengano a frugare nell’Istituto. Ho paura che qualcosa possa andare storto, a parte la brutta faccia di Gabriel, ovviamente.

Tessa se ne sta lì, ritta davanti alla libreria, a controllare Christabel di Coleridge. Accanto a lei, su un leggio, un Church dormiente, il pelo voluminoso e blu.
Vorrei potermene semplicemente andare, ma non riesco a stramene zitto, come al solito.
“Controlli che la mia citazione sia esatta?” Tessa lascia cadere la copia del libro. Un tonfo che rimbomba sulle pareti di pietra. “Ti assicuro che ho una memoria di ferro.”  Mi chino per raccogliere Coleridge e le porgo il volume. Nell’incontrare il suo sguardo scorgo un misto di disgusto e diffidenza.
“Hai intenzione di riprenderti Coleridge, o devo rimanere per sempre in questa situazione piuttosto stupida?”
Tessa si riprende il libro e mi scruta freddamente. Questo gelo nel suo comportamento mi fa rabbrividire, ma le sue parole sono ancora peggio.
“Se vuoi usare la biblioteca, puoi farlo senza problema. Ho trovato quello che cercavo, e siccome si sta facendo tardi …”
“Tessa …” La interrompo. Dopo qualche esitazione, ricomincio a parlare: “La prima volta che ti ho mostrato la biblioteca, tu mi hai detto che il tuo libro preferito era Il vasto, vasto mondo. Pensavo che magari ti avrebbe fatto piacere sapere che l’ho letto.”
Mi sento come un bambino che tenta disperatamente di ricevere un complimento, un elogio, dalla mamma. Il bambino rimane disperatamente deluso.
“E l’hai trovato di tuo gradimento?”
Se Tessa è veramente la ragazza che penso che sia, mi risponderà. Ribatterà. “Per niente. Penso che sia melenso e sentimentale.”
Ancora nessuna reazione da parte sua.
“Hai qualche altra segnalazione di autori americani?”
“A che scopo, se disprezzi i miei gusti? Penso che dovreste riconoscere che siamo piuttosto lontani in fatto di letture, e non solo, e cercare altrove delle segnalazioni, signor Herondale.” Ho la bocca asciutta. Che significa: signor Herondale? Passiamo da Will a “Signor Henrodale”?! Sono irragionevolmente arrabbiato con lei. Perché non può capire? Io pensavo …
Senza accorgermene ho parlato ad alta voce.
“Cosa pensavi?” Nessun sentimento nella sua voce. E’ così … vuota.
“Che potessimo almeno parlare di libri.” Dico, quasi giustificandomi. La mia vita sta andando a rotoli, inutile negarlo. Nessuna magia di Magnus regge, qui.

Domani io, Jem e Tessa andremo a York. Jem ha scoperto che le ragioni del comportamento di Mortmain, del suo odio nei confronti di noi Nephilim, possa esserci spiegato da Aloysius Starkweather, il direttore dell’Istituto locale.
Stamattina sono andato in una piccola libreria a Piccadilly Circus e ho comprato una copia di Vathek, di William Beckford. L’ho consigliato a Tessa l’altro giorno in biblioteca, durante quel nostro “diverbio letterario”. Ho scritto cinque terribili versi in rima sul frontespizio della prima pagina. Mi è sembrato un buon inizio per seppellire l’ascia di guerra. Forse non potrà mai amarmi perché l’ho ferita troppo, o forse sarò io a scansarmi, la maledizione che mi impedisce di fare tutto come vorrei, ma non voglio il suo odio, o peggio: la sua indifferenza.
Poggio il volume a terra, davanti alla sua porta; se sono fortunato non sta ancora dormendo. Mi preoccupo di fare quanto più rumore possibile, senza però bussare.
Mi allontano velocemente, silenzioso, nascondendomi nel buio pesto del lato opposto del corridoio.
Passi leggeri, la porta che si apre. Una mano, illuminata dalla candela dentro la stanza, che prende il libro. Un momento di esitazione. La porta che si chiude.
Ritorno sui miei passi e appoggio delicatamente l’orecchio alla porta. Una risata cristallina bruscamente interrotta. Sorrido nel buio.
Non sono nessuno per affermare o smentire l’esistenza di un dio, ma in questo momento sono sicuro di aver sentito il suono degli angeli.

  
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