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Autore: Hi Fis    02/06/2014    1 recensioni
Epilogo delle avventure del Comandante Hayat Shepard, dieci anni dopo gli avvenimenti di Mass Effect 3, e protagonista dei miei precedenti racconti relativi a Mass Effect. Non è necessario aver letto le mie fiction precedenti, perché il prologo conterrà una breve descrizione della protagonista.
Multipli comprimari, un nuovo personaggio, varie scene. A tratti AU.
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Liara T'Soni, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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Perdonate il ritardo della pubblicazione ma l'idea per questo capitolo mi è venuto all'improvviso. Considerandola buona a sufficenza, ho voluto svilupparla per inserirla in questo racconto, invece di pubblicarla a parte: spero che vi piaccia e nel caso, spero vi piaccia abbastanza da lasciare una recensione.
Questo capitolo è il successore di una mia precedente one shot "Richiesta Negata". Non credo sia necessario andare a leggerla, dato che comunque questo capitolo esiste separatamente da quella one shot: in ciò che vi apprestate a leggere, ho cercato di trattare una sorta di riconciliazione tra il comandante Shepard e il sopravvissuto di Virmire, qualcosa che non era presente abbastanza  in ME3, almeno secondo il mio parere, cercando di raccontare le conseguenze della Guerra contro i Razziatori da un altro punto di vista. Di per se, tutto questo capitolo è un flashback, rispetto alla trama principale di "Dieci Anni Dopo" e ho inserito delle date per aiutare l'orientamento temporale.
E con questo, vi auguro buona lettura.



"Oggi ho ascoltato molti discorsi sul comandante Shepard. Troppo pochi su mia figlia... Mentre guardo questa bara vuota, non riesco a smettere di ricordare la mia bambina che gattonava a zero g.
Scusatemi... non posso continuare."
Tenente Comandante Hannah bint Haaron Shepard- Cittadella, anno 2185. Veglia funebre per il Comandante Hayat bint Hannah Shepard.
 
 
Ospedale da campo permanente Lima 538- 150 km a sud ovest dal cratere di Londra. Dicembre dell'anno 2189.
 
Rame.
Rame e ferro sulla lingua, e nella gola, e il sapore di qualcosa d'altro: plastica, o forse sapone.
L'odore di disinfettante permea tutto, ma è solo la cosa troppo morbida sotto la schiena che le fa capire dove si trova davvero.
È così ovvio in fondo: non l'avevano già avvertita ampiamente delle conseguenze e dei rischi che correva a continuare in quel modo? Non le avevano parlato a sufficienza dei sintomi? O di come ciò che lei si ostinava a chiamare solo asma era in realtà l'inizio di qualcosa di più grave? Qualcosa che anche lei conosceva fin troppo bene?
Per quale stupido orgoglio aveva continuato a nascondere i fazzoletti sporchi di sangue? Sapeva che stava solo rimandando l'inevitabile.
Aveva un nome quella progenie di un enfisema e di un edema polmonare, un nome molto lungo e tecnico, e se ne conoscevano le cause: composti ossidanti dell'elemento zero, accoppiati a cloro e ad altri metalli pesanti, che non aspettavano altro che qualcuno o qualcosa li sollevasse in aria. Bastava una minima brezza, o un sospiro: o qualcuno che rovistasse nelle macerie, come faceva lei con le squadre dell'Alleanza da più di un anno. Non c'era ancora una cura per quella contaminazione: solo prevenzione o rimozione di ciò che era stato irrimediabilmente danneggiato. Perché quelle polveri verdi e bluastre, impossibilmente leggere, ti entravano dentro fin troppo facilmente, e ti scavano i polmoni come topi col formaggio. Se eri fortunato si fermavano lì: a volte però passavano nel sangue, arrivando al cervello e rendendoti pazzo, fino al punto che erano costretti a metterti un pannolone per impedirti di fartela nei pantaloni.
Lei non era ancora a quello stadio, ma ora i suoi superiori le avrebbero sicuramente impedito di tornare al cratere di Londra: probabilmente l'avrebbero messa dietro ad una scrivania e sotto una campana di vetro, perché l'Alleanza non avrebbe mai permesso ad uno dei suoi pochi eroi ancora in vita di morire per contaminazione da elemento zero.
"Maledizione." la cannula dell'ossigeno nel naso era fastidiosa, ma non aveva nemmeno la forza di rimuoverla.
E comunque, anche se l'Alleanza avesse coperto il costo del suo doppio trapianto, la convalescenza sarebbe stata lunga: i polmoni clonati non hanno mai le stesse capacità di ossigenazione di quelli originali; è necessario condizionarli di nuovo dal principio, ricominciare l'addestramento. Altro tempo che avrebbe passato lontano da dove avrebbe davvero voluto essere.
"...Maledizione." Sospirò di nuovo, nascondendo la faccia nell'incavo del braccio senza flebo.
Due anni: erano già passati due anni, di nuovo, e ancora nessuna traccia. Quasi un milione di corpi mutilati rinvenuti tra i rottami della Cittadella e ancora nessun riscontro: nessuno dei soccorritori lo avrebbe mai ammesso per primo, ma la speranza che prima o poi avrebbero trovato qualcosa stava iniziando a morire. Senza il vincolo della gravità, l'inerzia avrebbe potuto scaraventarne il corpo nel Sole per quanto ne sapevano: non c'erano certezze che fosse rientrata davvero nell'atmosfera planetaria. Questo, perfino a lei era chiaro, ma la consapevolezza che forse quel corpo in particolare giaceva dimenticato sotto le macerie non la lasciava in pace. E così, quando la battaglia per la Terra si era conclusa, si era giurata che questa volta l'avrebbe seppellita davvero e una volta per tutte: forse allora, la sua Guerra sarebbe finalmente finita.
Con la pressione di un tasto, altra morfina si sciolse nel suo sangue: meglio dormire. Dormire e dimenticare per un poco.
 
I giorni si confondono quando rimani a lungo in ospedale confinato in una piccola stanza, consumando il tempo con domande ottuse.
Non la fanno uscire nemmeno per sottoporsi agli esami: grazie ai progressi tecnologici dell'ultimo secolo, tutte le macchine diagnostiche sono integrate nel suo letto. Una discreta innovazione, che non fa altro che aumentare la sua monotonia, mentre opache facce di dottori si susseguono una dopo l'altra. È come essere in una prigione e quel pensiero l'accompagna per un po': anche lei si era sentita così, prima dell'invasione dei Razziatori sulla Terra? In balia di qualcun'altro? Probabilmente no: conoscendola, avrebbe potuto lasciare la sua prigione in qualunque momento.
Se era rimasta, era solamente perché era la cosa giusta da fare: aspettare raccogliendo le forze, per un momento che entrambe sapevano destinato ad arrivare; e ora, dopo quasi tre anni dalla prima invasione dei Razziatori sulla Terra, le conseguenze erano ancora visibili sotto gli occhi di tutti e forse lo sarebbero state per sempre. I Razziatori non erano mai stati un mito per lei.
Solo una misera trentina di persone traumatizzate era stata trovata ancora viva fra le macerie: trenta miracolati su una popolazione che nel suo massimo era stata di cinque milioni per la Cittadella e di dieci milioni per Londra. Dopo tre settimane dall'impatto e dalla fine della Guerra, era stato chiaro ai soccorsi che non ne avrebbero trovate altre, ed era quindi giunto il momento di concentrarsi sulla rimozione delle rovine e sul recupero dei corpi.
La prima opera ad essere stata edificata dai soccorritori dall'Alleanza per il cratere di Londra era stata la diga di Twickenham: quando la Cittadella si era schiantata, il Tamigi si era ripreso una grossa porzione della città, affogandola sotto le acque fangose di un lago circolare, in cui spuntavano isole che non erano formazioni naturali, ma relitti della gigantesca stazione spaziale che era stata la Cittadella. Quando la diga di Twickenham era stata completata, e il corso del Tamigi spostato a sud di una decina di chilometri, permettendo finalmente all'acqua di defluire dal cratere, la vera gravità della situazione era stata palese agli occhi di tutti: Samuel Johnson, poeta britannico del 1700, ha scritto "Quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita, perché a Londra c'è tutto ciò che la vita può offrire!".
Ma nel 2189 Londra non esiste più.
Del Tower Bridge avevano trovato solo mezza torre, e forse perfino la salma di Sir Isaac Newton aveva avuto da rammaricarsi di aver intuito la gravità, quando l'Abbazia di Westminster era stata spianata. Peter Pan non avrebbe mai più preso il volo dai giardini di Kensington e meno si parlava agli inglesi del destino di Buckingham Palace, meglio era: nemmeno la proverbiale flemma britannica era riuscita a rimanere intatta.
Anche senza la Torre di Londra, i corvi erano tornati: i soccorritori avevano persino imparato a seguirli quando si radunavano assieme, perché indicavano la presenza di resti umani e alieni sotto le macerie.
Di fronte a quella devastazione, qualcuno aveva paragonato il cratere di Londra al Limbo: un luogo senza speranza di eterna malinconia. Una metafora adatta: ogni giorno, uomini e donne, e perfino alcuni alieni, si alzavano dai loro campi provvisori all'alba, per tornare coperti di fango e scorie ben dopo il tramonto, fiaccati nello spirito, motivati ad andare avanti solo dalla comune solidarietà e dal lutto, che trascende quasi tutte le differenze.
La foto di un Batarian inginocchiato fra macerie del Big Ben, che si stringe al petto il corpicino esanime di una bambina umana, tutti e quattro gli occhi rivolti al cielo in attesa di una risposta che non verrà mai, fa il giro della Galassia: è solo una fra le tante storie del cratere di Londra.
Di tutte le città della Terra, solo Vancouver è messa peggio: la vecchia sede del quartier generale dell'Alleanza, la città della Terra che è stata colpita per prima dai Razziatori. In quel luogo non era permesso ai soccorritori di lavorare per più di due mesi di fila, prima di venire riassegnati ad altre zone: il danno psicologico era troppo da sopportare per periodi più lunghi di tempo. Vancouver era l'Inferno, plasmato dai Razziatori durante la loro conquista: campi di prigionia e mattatoi a cielo aperto che si susseguivano con logiche abominevoli.
Tra Vancouver e Londra, ci sarebbero voluti anni prima di riportare la situazione alla normalità, ma se c'era una specie in grado di sopravvivere ad una simile tragedia, quelli erano gli Umani.
 
***
 
Quando aprì gli occhi era buio fuori: doveva essere scesa la notte. Ne ebbe la conferma quando un lampo illuminò il cielo: i suoni esterni non arrivavano nella sua stanza, perché i muri erano troppo spessi. Era ancora strano riabituarsi al ciclo di albe e tramonti, dopo tutti i mesi in cui la polvere e i detriti successivi allo schianto della Cittadella avevano oscurato il Sole.
"Sei qui per uccidermi?" chiese alla figura ai piedi del suo letto: indossava un cappotto di nylon scuro, con il cappuccio tirato fino agli occhi e il bavero rialzato. Senza dubbio umana, ma un paio di occhiali da sole riflettevano il suo sguardo. Noncurante, il suo visitatore notturno stava sgocciolando sul pavimento della stanza.
La figura scosse la testa.
"...Allora che vuoi? L'orario delle visite è da mezzogiorno fino alle due del pomeriggio." come se le fosse permesso di ricevere visite da qualcuno.
Da oltre l'orlo del letto, il suo visitatore posò qualcosa sopra le sue coperte: era una sfera di metallo grande quanto una pallina da tennis e anche lei sapeva di cosa si trattasse. Era un disturbatore di frequenze miniaturizzato: ogni cimice con cui l'Alleanza aveva imbottito la sua stanza d'ospedale era ora distratta da dati fasulli: probabilmente, per i suoi angeli custodi lei stava ancora dormendo.
"Adesso possiamo parlare..." disse la figura in un sussurro: la sua voce era smorzata dal bavero che aveva davanti alla bocca, ma Williams fu certa che si trattasse di una donna.
"... ma consiglierei di non alzare troppo la voce. Hanno messo delle guardie a piantonare il corridoio. E c'è almeno un agente in incognito fra il personale dell'ospedale. L'Alleanza sembra prendere molto sul serio la sicurezza del comandante Williams."
"Li hai...?"
"Certo che no. Sono ancora tutti al loro posto, incolumi ed ignari."
"E allora come diavolo hai fatto ad entrare?"
"...Dalla finestra naturalmente."
Ashley voltò la testa per un attimo per confermare l'assurdità di quella affermazione:
"È una lastra antiproiettile in un unico pezzo, rinforzata da un doppio campo di forza: cederebbero prima le pareti. Ed è ancora intatta."
"Non ho mai detto di averla forzata: ci sono... passata attraverso." c'era senza dubbio una nota divertita nella voce del suo visitatore.
"... Hai intenzione di dirmi chi sei, o devo chiamarti miss Houdini?" lentamente, la sua mano si stava spostando verso l'unica pistola che le avevano lasciato tenere in camera. Sentiva già il freddo metallo contro la punta dell'indice.
"Mi ferisci Ashley: ci conosciamo bene..." con gesti lenti, la figura sbottonò il bavero che aveva davanti alla bocca e tirò completamente indietro il cappuccio. Gli occhiali invece rimasero al loro posto, ma Ashley intravide alcuni bottoni di metallo che dalla tempia sinistra si allungavano fino all'orecchio.
"... la penultima volta che ci siamo incontrate, mi hai puntato contro una pistola. E l'ultima volta che ci siamo parlate, io ti ho mentito."
La pistola di Williams rimase sotto il cuscino.
Fu una fortuna che tre mani andarono a tapparle la bocca: due erano sue.
"Potresti evitare di dare di matto, Williams?" le chiese il suo visitatore a bassa voce e con l'indice di fronte alle labbra: "Non vorrei davvero che qualcuno entrasse da quella porta all'improvviso. Sarei costretta a impedirgli di raccontarlo..."
Solo quando Ashley annuì, la sua visitatrice le tolse la mano dalla bocca: il Comandante Shepard era viva e vegeta, di nuovo.
"...E come credi che non possa dare di matto? Devi smetterla di fare così!" nonostante il tono furente e ferito, Williams riuscì a contenere il volume della sua voce.
"Così come?"
"Sparire un altra volta per due anni facendoti credere morta! Hai idea di quello che fai passare alle persone?"
"Tecnicamente sono ancora MIA. E ho letto la tua cartella medica: tubercolosi da eezo.... Suppongo avrai passato metà degli ultimi due anni a non indossare il respiratore per meglio sbraitare ordini. A proposito, il blu cianosi e le borse sotto gli occhi non ti donano affatto."
"Va all'inferno... signora."
"Già stata. Tre volte, se contiamo la missione oltre Omega 4 e la battaglia finale a Londra. È... sopravvalutato."
"Bel modo di mettere a loro agio le persone...ma se c'è qualcuno in grado di farlo, di tornare dall'altro lato, quella certamente sei tu."
"...Credevo che la tua cotta per me ti fosse passata dopo Horizon."
Williams non poté impedirsi di arrossire e distogliere lo sguardo... c'era così tanto da dire fra loro, che non sapeva davvero da dove cominciare. Meglio puntare prima alle cose più futili:
"Già, anch'io... dannazione, Hackett mi sentirà non appena esco di qui: come ha osato tenermi all'oscuro?"
"Non lo sa."
L'espressione di Williams esprimeva solo sorpresa e dubbio. L'ammiraglio Hackett, il più alto ufficiale dell'Alleanza, non sapeva che il famigerato comandante Shepard era ancora in vita?
"Quindi adesso lavori per il Patto?" le chiese Ashley: sarebbe stato tipico del comandante in fondo, concentrarsi sul bene di tutte le specie piuttosto che la sua.
"...Guardiani? È così che li chiamano adesso, no?"
"L'iniziativa dei Guardiani non è ancora ufficiale..." rispose Shepard con un mezzo sorriso: "Ma non sto lavorando nemmeno per loro. E neanche loro sanno di me."
"Ok, adesso sono confusa. Se non sei con l'Alleanza e nemmeno col Patto... con chi stai ora?"
"Con nessuno."
"Impossibile. Come avresti potuto tenerlo nascosto? Non so se lo sai, ma di questi tempi la tua faccia è su ogni superficie su cui si possa attaccare una segnaletica."
"Non è stato difficile. A parte Wrex e i membri della squadra da sbarco, gli unici a saperlo sono Joker e Chakwas."
"E vuoi dirmi che Joker e Chakwas hanno mentito all'ammiragliato dell'Alleanza?"
"... Un favore personale."
"Dannazione." sussurrò Ashley, mettendo al loro posto gli ultimi pezzi del puzzle: "... quindi, se non fossi stata contaminata dall'eezo, tu non saresti venuta... Mi avreste lasciato all'oscuro."
"... Non sei una persona facile da avvicinare in incognito." cominciò fiaccamente il comandante "Ogni tuo movimento è sorvegliato..."
"Risparmi queste stronzate, signora: non mi sembra tu abbia avuto molti problemi ad entrare in questa stanza..." rispose rabbiosamente la marine: "Credevo di essermi meritata la tua fiducia."
Shepard sospirò, ma non rispose a parole: si limitò rimboccarsi la manica del cappotto. Quando Williams vide la protesi, non poté impedirsi di raccogliersi le ginocchia al petto:
"Gesù... tutto il braccio?"
"E un occhio. E una parte del mio sistema nervoso. Cosa pensavi: che la battaglia di Londra mi avesse lasciato incolume? Non sono così forte."
"Perché non un trapianto? La clonazione..."
"Non sarebbe stata sufficiente. Questo braccio mi ha tenuto in vita, Ashley. E mi ha rimesso in piedi: è parte di me al punto che rimuoverlo non è più un'opzione."
"Quei maledetti figli di puttana di Cerberus..." sputò la marine ringhiando.
"Cerberus non esiste più. Ho passato parte degli ultimi due anni ad assicurarmene...." Il tono con cui Shepard lo disse era inequivocabile: mentre la Galassia tentava di riprendersi dalla Guerra, qualcuno là fuori si era assicurato che nessuno provasse ad interferire con la diplomazia interstellare. Williams non invidiò affatto i poveri bastardi che si erano trovati di fronte il suo ex comandante.
"...Ma questo non è opera loro. E non ho intenzione di dirti da dove viene in ogni caso." concluse Shepard.
"Nascondere fatti ad un ufficiale dell'Alleanza è un reato, signora."
"Solo se questo è un tuo superiore."
"Venire promossa a maggiore è stato solo a causa della tua scomparsa."
"Già... se fossi rimasta, come minimo mi avrebbero fatto ammiraglio."
Sia Williams che Shepard non poterono fare a meno di sorridere a quel punto:
"...Mi è mancato litigare con te, signora."
"A me no invece. Sei sempre stata una spina nel fianco Williams, insubordinata e testarda.... ma come persona in fondo non sei così male: è un peccato che tu lo nasconda."
"È un complimento signora?"
"Una constatazione... e risparmiati il signora, Ashley. Anche se mi hanno promossa, per quello che mi riguarda il comandante Shepard è morta a Londra."
"Io ero con Hackett durante la battaglia, a coordinare le truppe. Ho solo visto la città bruciare sotto di noi. Avrei dovuto essere là a coprirti le spalle."
Shepard scosse la testa.
"Non ci saresti riuscita, Ashley. Saresti morta molto prima di quella battaglia."
"Non puoi esserne sicura..."
"Eri quasi morta già su Marte, ti ricordi? Il primo giorno dell'assalto dei Razziatori, quando quel robot di Cerberus ti ha quasi ucciso. Quello che forse non sai, è che ho dovuto farti una craniotomia mentre la Normandy scappava dal sistema solare, perché non avevamo ancora un medico a bordo. Ho dovuto farti un buco nel cranio Ashley, perché altrimenti mi saresti morta tra le braccia."
"...E come ringraziamento io ti ho puntato una pistola contro." disse sommessamente Ashley.
"È stato Udina che ti ha manipolato a farlo." rispose automaticamente Shepard. Williams però non credette che il comandante fosse del tutto sincera:
"Avrei dovuto fidarmi di te."
"Lo hai fatto: è per questo che Udina è morto quel giorno."
"No intendo... avrei dovuto fidarmi di te dal principio. Avevi provato a mettermi in guardia."
"L'ho fatto, ma... non voglio le tue scuse. Sono stata sleale anch'io quel giorno."
"Come sarebbe?"
"Quando dopo l'assalto di Cerberus alla Cittadella mi hai chiesto di salire a bordo della Normandy, io... io ti ho mentito. Ti ho detto che con la tua esperienza saresti stata più utile ad Hackett. La verità è che non ti volevo a bordo."
L'espressione ferita di Williams costrinse il comandante a continuare:
"Avrei dovuto dirtelo, invece di mentirti. Ho usato gli stessi mezzi di Udina. Ma l'idea di assistere anche alla tua morte... per le mie scelte, come era già successo a Kaidan... non sarei riuscita a sopportarlo."
"E se fossi morta comunque sotto Hackett?"
"Allora immagino che avrei potuto incolpare lui della tua scomparsa. Avrei potuto illudermi di avere le mani pulite. Ed andare avanti ancora un po' a combattere. Mi dispiace davvero. E sono dannatamente contenta che tu sia ancora viva."
"E a me dispiace di averti puntato contro una pistola quella volta. E di non essermi fidata..."
Erano passati due anni, ma sembrava fosse successo solo ieri: la sua nomina a Spettro, l'attacco di Cerberus alla Cittadella, la fuga assieme al Consiglio, con niente più che una pistola in mano e nessun piano.
Erano passati due anni, ma finalmente ora, Williams non sentiva più la colpa.
"...Dannazione, sembriamo due vecchie."
"Ma noi siamo due vecchie, Ashley. Magari non all'esterno, ma dentro... guardami, 34 anni, e sono già pronta ad andare in pensione." disse Shepard allargando le braccia.
"Non erano 36?"
"La rianimazione di Cerberus ha preso due anni che non ho vissuto affatto, mentre mi ricostruivano... biologicamente sono 34."
"Cerca di non ridurre ulteriormente la distanza fra noi, Shepard: abbiamo solo 3 anni di differenza adesso..."
"Paura di invecchiare?"
"... Un po'."
"È l'unico modo per non morire giovani."
Era incredibile per Ashley constatare da quanto non sorrideva più di cuore.
"... Gesù, perché non l'abbiamo fatto prima?" chiese la marine con un sorriso e una punta di amarezza.
"Che cosa?"
"Tutto questo... perché non ci siamo mai sedute ad un tavolo ed abbiamo parlato? Mentre ti credevo morta, è stato il mio più grosso rimpianto."
"Non c'è stato il tempo, durante la Guerra. O non era mai il momento giusto. Tu eri in coma mentre noi ci trascinavamo da un campo di battaglia all'altro..."
"E poi c'è stato quel bastardo di Udina." finì per lei Ashley.
"...Già." concluse quietamente Shepard: "Buffo però. Ho immaginato questa scena molte volte... avevo persino pensato ad un incontro alla luce del sole, prima di scoprire in quanti ti stessero già spiando, ma non avrei mai pensato che sarebbe stato così facile."
"È difficile restare in collera con te, Shepard... e cosa intendi con spiare? Chi mi spia?"
"Ti sorprenderesti.... oltre all'Alleanza, anche l'STG è interessata al tuo stato di salute: non mi stupirebbe se mandassero uno dei loro dottori a prendersi cura di te."
"Essere degli eroi viventi ha i suoi vantaggi... mi mancheranno un po', quando i riflettori saranno di nuovo su di te."
"... Non ho intenzione di tornare."
Williams dovette osservarla a lungo per assicurasi che non stesse scherzando:
"Che cosa?"
"Non ho intenzione di tornare, Ashley." ripeté il comandante: "La mia visita qui è solo per te, ma nessun altro dovrà sapere che sono sopravvissuta a Londra."
"Perché non dovrebbero?"
"Mi farebbero un sacco di domande a cui non voglio rispondere Ashley. Mi darebbero in pasto ai giornalisti e sarei costretta a raccontare segreti che è meglio non disturbare. Dovrei restare dietro una scrivania a firmare autografi e ad ingrassare. No grazie, preferisco continuare a nascondermi."
"Sai che non è l'unica cosa che faresti. Sei stata l'ispirazione per la Galassia e così tante persone... potresti continuare ad esserlo: continuare a guidarci."
"Non sono il pastore di nessuno Ashley, e voi non siete le mie pecorelle smarrite. La mia ombra è già abbastanza lunga: è arrivato il momento di farsi da parte e lasciare nuove luci ad indicare il cammino."
"....Non c'è nessuno come te, Shepard."
"Io non sono così speciale Ashley: ogni eroe è solamente il frutto dei bisogni della sua epoca."
"...Mi stai davvero chiedendo di lasciar morire la tua storia?"
"Non succederà per molto tempo... ma sì, credo che sia meglio così, piuttosto di vedere una chiesa fondata nel mio nome, con i marine come sacerdoti. Non voglio essere mitizzata, mi basta essere ricordata. O meglio ancora, dimenticata."
"Non succederà mai."
"Ma posso augurarmelo. E posso provare a chiedertelo: potresti non dire a nessuno di me?"
"...E se rifiutassi? Se fosse convinta che dire a tutti che sei ancora viva è invece la cosa migliore da fare? Hai idea della speranza che porterebbe una notizia simile?"
"...Allora sarei costretta ad usare le maniere forti."
Dalla protesi di Shepard, si materializzò un'immagine che il comandante mostrò a Williams.
"Adesso so perché T'Soni non ha più voluto incontrarmi dalla fine della Guerra. E io che mi preoccupavo per lei..."
L'immagine raffigurava una Liara dal volto esausto che teneva in braccio una bambina Asari addormentata.
"Getteresti davvero una neonata in pasto ai giornalisti? Sei davvero così senza cuore Williams?"
Williams era dura come l'acciaio fuori, ma dentro... dentro nascondeva una ragazza sensibile e romantica, con una segreta passione per la poesia.
"2 chili e otto alla nascita Ashley, piena di salute. E hai visto? Ha i miei occhi..." insistette ancora Shepard, mentre un groviglio di emozioni materne si agitava dentro Ashley.
"... Dannazione. Ti odio." disse Williams lasciandosi cadere sul cuscino e fissando il soffitto.
"È un sì?" chiese Shepard sporgendosi verso di lei e invadendo il suo spazio personale.
"... Ad una condizione." disse Ashley, tornando a guardare il maggiore.
"Sentiamo."
"Sai che non sono granché con gli alieni... e mi sembra di ricordare un mio vecchio ufficiale comandante che mi invitava a fare delle esperienze in questo senso... e quindi insomma... vorrei sapere se...?"
"Potrai conoscerla." confermò Shepard, salvandola dall'imbarazzo: "Non sarà facile, ma cercherò di fare in modo che possiate incontrarvi."
"... Quindi tutto bene fra te e Liara?"
"Splendidamente. Abbiamo avuto qualche problema durante la guerra... ma è tutto passato. Pensa che vuole visitare la tomba dei miei genitori sulla Luna..."
"Ci andrai?"
Non era una domanda facile da fare a Shepard: la sua famiglia, quello che ne restava, aveva lasciato la Terra quattro generazioni prima, con la risoluta promessa di non tornare mai più e fino a quando Shepard non era stata incarcerata a Vancouver dall'Alleanza, aveva mantenuto il giuramento della sua famiglia fatto dal suo bisnonno. Poi erano arrivati i Razziatori.
Shepard assentì con la testa:
"Manco da molto. Anche se non reciterò poesie sulla loro lapide come fai tu, è passato davvero troppo tempo dalla mia ultima visita."
"...Te ne sei ricordata."
Era stato sulla Normandy Sr1 che Ashley le aveva fatto quella confidenza... quanto tempo era passato da allora? Eppure il maggiore se ne ricordava ancora.
Shepard sorrise e alzò le spalle semplicemente:
"E tu invece? Starai bene?"
"Adesso che non temo più di ritrovarti sotto le macerie? Divinamente. Magari permetterò perfino all'Alleanza di mettermi dietro una scrivania e mi lascerò ingrassare."
"Davvero rimarrai all'Alleanza?"
"Dovresti saperlo Shepard: è la mia vita. E la vita della mia famiglia da tre generazioni. Non vedo perché non dovrebbe essere anche il mio futuro."
"...Almeno saprò dove trovarti: cerca almeno di non lasciarti sopraffare."
"E io invece? Come farò a trovarti Shepard?"
Il maggiore rimase pensierosa per un attimo, prime di rispondere:
"...C'è una casa sicura costruita su Nevos, proprio sulla spiaggia: ti invierò le coordinate precise. Dalla veranda puoi spaziare lo sguardo per miglia indisturbata: le onde sono perfette e il mare sempre calmo. Dentro quella casa troverai un comunicatore quantico ben nascosto, codificato col DNA di tutti i membri della vecchia squadra. Puoi contattarmi da lì."
"Non è molto pratico non credi? Nevos è vicino ai sistemi dei Quarian e dei Geth..."
"Ed è anche una rinomata meta turistica. Forse è tempo che tu ti prenda una vacanza, Williams."
"Sissignora." rispose Ashley con un saluto militare.
"Sai Ashley... credo che tu non mi abbia mai chiamato per nome. Nemmeno una volta."
"... Non so se potrei farlo."
"Cosa potrebbe succedere di male in fondo?"
A quella domanda Williams non seppe cosa rispondere.
"Guardami Ashley: non sono un eroe. Sono solo una persona come tante." disse offrendole la mano.
Sorprendendo persino se stessa, Ashley la strinse, mormorando un nome di cinque lettere per la prima volta ad alta voce:
"Hayat."
"Ashley. Ci vediamo. Spero presto."
Detto questo, Shepard si mise di fronte alla vetrata della stanza e ci passò attraverso, lasciando un lieve odore di ozono e qualche goccia d'acqua sul pavimento che sarebbe evaporata prima del sorgere del sole.
 
***
 
Il mattino seguente.
"Comandante Williams, il mio nome è Padok Wiks. Sarò il suo dottore da oggi in poi: è un onore fare la sua conoscenza. E in luogo della data, mi permetta di augurarle sentitamente Buon Natale."
Dal suo letto, Ashley scrutò il Salarian color terra, che le sorrideva nervoso con la sua cartella medica accesa davanti agli occhi. Non era Rudolph dal naso rosso, ma data la visita che aveva ricevuto durante la notte, Williams poteva dire di aver già ricevuto il suo regalo.
Alle spalle del Salarian, gravitavano due agenti dell'Alleanza in assetto da battaglia con le mani sulle fondine. Semplice protocollo standard di sicurezza: nemmeno i dottori precedenti l'avevano gradito molto.
"...Piacere di conoscerla, dottor Wiks. Confesso che sono stupita: cosa ci fa un Salarian sulla Terra?"
"Una piacevole concatenazione di eventi: mi trovavo sul pianeta per seguire una serie di conferenze sugli effetti dell'Eezo sugli esseri umani. Conoscendo la mia esperienza, l'Alleanza ha... chiesto il mio consulto, un po' più insistentemente di quanto sono abituato in verità. Ma quando mi è stato detto chi fosse il paziente, non ho potuto rifiutare."
Williams lo osservò una seconda volta, dalla testa ai piedi:
"Lei è dell'STG, non è vero? E non era sulla Terra per seguire delle conferenze: se dovessi scommettere, direi che lei è qui di proposito."
Quando Padok non reagì in modo particolare dopo che i marine gli appoggiarono le pistole alla nuca, Williams non ebbe bisogno di altre risposte.
Stranamente, Padok Wiks sembrava più a suo agio ora:
"...Mi congratulo per la sua capacità di vedere attraverso le mie mezze verità, comandante Williams. Il maggiore Kirrahe mi aveva parlato della sua grande prodezza in combattimento, ma non del suo intuito."
"Conosce Kirrahe?"
"Sono un suo diretto subordinato. È stato lui ad ordinare questa infiltrazione per fornire la mia esperienza e darle le migliori cure possibili. Mesi di preparazione sfumati: temo non sarà affatto contento del mio operato. Se fosse possibile, preferirei mi metteste agli arresti, piuttosto che rimandarmi ignominiosamente su Sur'Kesh."
"E perché dovremmo arrestarla? Se può rimettermi in sesto più in fretta, non vedo perché impedirlo."
"Comandante?" chiese uno dei marine alle spalle di Padok.
"Lasciatelo andare. Ma riferite ad Hackett che ho un agente STG come dottore. Mi prendo io ogni responsabilità"
"Sissignora." risposero i marine, battendo i tacchi e lasciando andare il Salarian: essere degli eroi viventi aveva qualche vantaggio, dopotutto. Solo uno dei due marine lasciò la stanza per fare rapporto ad Hackett, mentre l'altro si appoggiò contro la porta, rimanendo ad osservare tutto quello che succedeva.
"...Voi Salarian siete irragionevolmente tortuosi: avreste potuto semplicemente offrire il vostro aiuto all'Alleanza." disse Williams, mentre Padok si aggiustava il camice sorridendo.
"Certo che no, comandante: avreste potuto rifiutarci. Credo che una vostra frase adatta alle circostanze sia: è più facile chiedere il perdono che il permesso."
"...E come sta il maggiore Kirrahe?"
"Un po' una cloaca, ma racconta ancora con fervore la sua operazione su Virmire."
"Con fervore?"
Padok annuì, mentre procedeva ad assimilare tutta la cartella medica a mano a mano che la leggeva:
"Parla di lei in particolare, comandante, con gli stessi toni lirici che potrebbe usare per riferirsi ad una Signora della Guerra Krogan ai tempi delle Ribellioni. Ed è anche a causa di questi racconti che ho chiesto questa missione."
"Non la seguo."
"Il mio precedente campo di esperienza riguardava proprio i Krogan, comandante. Anche se non sono al livello di Mordin Solus, posso dire senza falsa modestia di aver contribuito all'elaborazione della cura per la Genofagia. Ora... quanti cuori hanno gli Umani?"
L'espressione perplessa di Williams si traduceva piuttosto bene anche tra specie diverse:
"Una pessima battuta, Padok."
"Mi perdoni cercavo solo di... come dite voi umani? Rompere la neve?"
"Ghiaccio. Rompere il ghiaccio." ringhiò il marine nella stanza.
"Il ghiaccio! Ma certo. Affascinante, assolutamente affascinante: gli Umani sono la specie che usa il più alto numero di espressioni idiomatiche fra tutte le specie della Galassia conosciuta."
"È anche un linguista, oltre che un dottore?"
"La semiologia è solo un hobby, ma le sarei oltremodo grato se condividesse la sua esperienza con me: per esempio, qual è il significato dell'espressione prendere per il culo? Davvero continua a sfuggirmi."
Per tutta la durata della sua convalescenza, che Padok Wiks gestì dall'inizio alla fine, Williams non riuscì mai a capire se il Salarian, con i suoi grandi occhi da anfibio, la stesse prendendo in giro o fosse solamente qualcuno dagli strani entusiasmi.
Ma almeno, riuscì a nascondere la consapevolezza della sopravvivenza di Shepard sotto quella confusione.


E con questo il capitolo si conclude: nel prossimo ci sarà il nuovo finale di ME3 così come io l'ho immaginato, ma ho preferito tenerlo ben separato. ;)
Prima di lasciarci, permettemi di aggiungere qualche informazione su Padok Wiks, il dottore Salarian. Nel caso che Mordin non sia sopravvissuto a ME2, è Padok a prenderne il posto in ME3: dal punto di vista caratteriale è una versione giovanile di Mordin per certi versi, un Salarian  spigliato, ma senza le doti canore del buon vecchio Solus. Inoltre, ha una... particolare fascinazione per le tecniche riproduttive Krogan (molto goffe, a sentire Urdnot Bakara). Insomma, un personaggio con ben strani entusiasmi, che non ha alcun imbarazzo a condividere.
Alla prossima!
  
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