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Autore: TsubasaShibahime    03/06/2014    4 recensioni
" Non voleva lasciarlo andare. Per più di un anno Junhong era stato la sua libertà, il suo modo di uscire dalla triste monotonia della realtà. Era stata la ragione di ogni sua scelta. E adesso non ci sarebbe stato più niente del genere fino a chissà quando. Sentì la voce di sua madre e sua sorella chiamare il suo nome in lontananza, non poteva lasciare che scoprissero il suo piccolo principe. Lo accompagnò allora ai cespuglietti, lasciandogli la sua giacca e avvolgendolo in essa come un fagottino.
- Lo hyung tornerà e giocheremo ancora insieme. Cresci e diventa forte e tanto, tanto felice Junhongie. -
- Hyung, non... -
Non voleva che lo supplicasse di non andare, non voleva sentire quelle parole perchè avrebbero squarciato maggiormente il suo cuore. Portò un dito davanti alla bocca minuta del bimbo, zittendolo, poi sorrise e gli diede le spalle, correndo via, verso un futuro degradante, senza di lui.
Junhong lasciò cadere il Tigro per terra, in una pozzanghera e allungò le manine bianche verso quella che era ormai la sua ombra immersa nella pioggia fitta. Proprio come la prima volta tendeva le braccine verso la sua sagoma che si allontanava.
- Non lasciarmi solo hyung.. - "
Genere: Angst, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Yongguk, Zelo
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Oh, sta iniziando a piovere, ci conviene rientrare alla svelta. - osservò Daehyun quando le prime gocce di quell'imprevisto acquazzone estivo caddero sulle pagine bianche del suo quaderno di esercizi. 
Yongguk tornò in sè in un attimo. Una goccia aveva appena colpito anche lui e dalla fronte sarebbe frettolosamente scivolata verso il mento se non che all'altezza del naso l'altro avesse deciso di toglierla di mezzo con il dorso della mano. Il cielo era cambiato davvero in fretta, quasi in contemporanea con il fulmineo passaggio di Yongguk dall'essere immerso nel profondo mondo dei ricordi, al riemergere forzato alla realtà che lo circondava.
- Rientriamo. - 
Parlò più con se stesso piuttosto che con il più giovane che, raccolte le sue cose, si era già lanciato in una corsa frenetica alla volta di casa. Yongguk sembrava non avere l'impellente bisogno di rientrare nonostante la pioggia, ci sarebbero state diverse cose che avrebbe voluto controllare in quel frangente, approfittando del fatto che l'altro si fosse allontanato tanto in fretta, ma non voleva correre il rischio che un brutto raffreddore lo costringesse a qualche giorno di inutile agonia. Doveva essere attivo, pronto a qualunque evenienza. Così, trascinando i piedi sull'erba di malavoglia, si avviò anche lui verso la porta d'entrata di quella enorme villa alla quale probabilmente non si sarebbe mai abituato. 

Tornato in camera continuava ad essere tormentato da ciò della quale aveva appena preso coscienza. Non c'erano dubbi sul fatto che si trovasse nel medesimo posto che per anni l'aveva gentilmente ospitato perchè giocasse con il piccolo Junhong. Da ragazzino non aveva mai avuto la possibilità di andare oltre quell'albero, ma ricordava ugualmente quella che appariva come una mastodontica struttura, vedetta di uno sterminato terreno verde curato in ogni suo minimo particolare. E quel giardino di rose. Poteva attendere oltre? Poteva aspettare che il sole sorgesse per venire a capo di quella questione intricata? Mentre ancora nella sua mente se lo domandava,  aveva già raggiunto la veranda.  
L'orologio sul polso segnava le due del mattino. Un po' come quando era giunto nella casa per la prima volta, la villa era spenta, vuota e silenziosa. Solo qualche pallido lampione illuminava il sentiero che portava al cancelletto laterale, poco visibile dalla zona sud del terreno, in cui era collocata la casa con la sua veranda più vasta. Lo sguardo vagò e notò con grande stupore che non fu poi tanto difficoltoso individuare l'albero che stava cercando. Di certo non perchè fosse l'unico albero del giardino, anzi, ce n'erano tanti e sembravano davvero tutti uguali e, come se non bastasse, tutti costeggiavano il recinto di siepi medio-alte che con gli anni avevano intrecciato i rami tra di loro dando vita ad una muraglia impenetrabile. La cosa ambigua che gli permise di individuare all'istante quell'albero, fu il fatto che fosse illuminato da due piccoli lampioni da giardino, che producevano una luce flebile, ma pur visibile. Basandosi poi sulle coordinate valutate dal fatto che si trovava nella veranda in cui i padroni di casa avevano fatto colazione quella stessa mattina, ebbe la certezza che l'albero era effettivamente quello. 
Non si era curato di portare con sè alcun ombrello, da un lato perchè non aveva pensato di doverne comprare uno nella stagione estiva e dall'altro perchè cercarne uno e prenderlo in prestito gli avrebbe tolto troppo tempo. Non credeva che, qualora si fosse svegliato nel cuore della notte per qualche oscura ragione, se il maggiordomo lo avesse trovato in giro per la villa e sotto quella pioggia, sarebbe stato poi così facile non farlo sospettare di sè. Sapeva che sotto quei baffetti grigi avvertiva già il sapore del sospetto. 
Dunque non gli restò che correre a perdifiato fino a raggiungere quei piccoli lampioni, che piantati lì, solitari, sembravano quasi attendere che li superasse come se si trattasse di un traguardo. L'unico traguardo che raggiunse Yongguk invece,  dato che la chioma di quell'albero era abbastanza fitta da assicurargli un riparo, fu quello di non dover più lottare contro le gocce d'acqua che assiduamente battevano sul terreno e che avevano già provveduto a bagnare il suo corpo, ad infradiciare i vestiti.
C'era effettivamente qualcosa, in quel posto, che non aveva visto, che doveva trovare come prova ultima che si trattasse davvero del luogo culla di un'infanzia ormai svanita come un sogno lontano. Aggirò il tronco, stringendo le palpebre come se servisse a vedere meglio nel buio fitto e procedette a tentoni verso la siepe. 
- Dovrebbe essere qui... - sussurrò, come a voler rassicurare se stesso. Andò a tastare allora la siepe, sfiorò foglie umide, rametti scarni e spine dolorose, ma quando si aspettò di trovare un buco poco più alto di cinquanta centimetri, non trovò nulla, o per meglio dire, trovò altre foglie, rametti e spine. Aggrottò la fronte. Era così strano. Si inginocchiò, tastò ancora. Niente. Perchè non riusciva a trovarlo? Eppure ricordava fosse in quel punto esatto. Per più di un anno, ogni santo giorno, aveva accesso a quella proprietà privata sfruttare quel buco tra le foglie ed ogni volta vedeva di fronte a sè il faccino emozionato di Junhong ad accoglierlo, com'era dunque possibile che adesso non riuscisse a trovarlo? 
- Merda. - sbottò, poggiando la schiena contro il tronco rugoso dell'albero. Guardò di fronte a sè il buio tetro e informe che, come se volesse ulteriormente prenderlo in giro, iniziò a ricreare ai suoi occhi il corpicino minuto di un bambino che sorridente allungava una macchinina verso di lui, implorandolo di fare lui, almeno per una volta, la parte del cattivo. 
Si trovava in quel medesimo posto, ma senza Junhong. Che senso aveva? Perchè il fato l'aveva riportato in quel luogo? Più tentava di seppellire le sue memorie, più tornavano a galla. 
E se magari non era colpa del destino, stava semplicemente diventando pazzo. Perchè altrimenti per quale ragione i suoi occhi avrebbero riconosciuto quelli di Junhong tra la folla? Il suo cuore, la sua mente si stavano autoconvincendo che ci fosse speranza di ritrovare quel piccoletto vivo, si stava chiaramente illudendo, evidentemente vittima di una qualche forma di masochismo, che la notizia sulla morte di Junhong fosse uno scherzo, un'invenzione. Purtroppo miliardi di volte la sua mente aveva già generato quei pensieri e tante false speranze che nel giro di breve tempo erano sfumate. 
Si mise in piedi, rassegnato e voglioso solo di tornarsene a letto così che tutti quei dubbi svanissero alla svelta, ma prima di riprendere il sentiero per la veranda, qualcosa dentro di sè lo spinse a provare un'ultima volta. Sbuffando contro quel se stesso così maledettamente cocciuto si voltò, dando le spalle alla casa e si inginocchiò di fronte alla siepe, forse qualche centimetro più in là rispetto a prima. Fece scorrere le dita sulle fronde e ad un certo punto toccò qualcosa di solido. Non trovò alcun buco, ma toccò qualcosa. Aggrottando la fronte ancor più di quando non aveva trovato altro che altre foglie, toccò con curiosità e decisamente poca cautela ciò che col tatto poteva dire fosse decisamente compatto, spigoloso e quadrato. 
- Una scatola? - tentò di estrarla una, due volte, ma solo alla terza riuscì finalmente a tirarla fuori dal terreno, dato che a quanto pare era sotterrata per metà. Facendolo, vide uno spiraglio lieve di luce oltrepassare il buco che era stato tappato proprio da quest'ultima. L'aveva trovato. Un sorriso incredulo ridisegnò la curva delle sue labbra mentre quasi poggiava il petto sull'erba per guadare oltre quel buco. Dava esattamente al sentiero ancora più malandato di quanto ricordasse, ma che senza ombra di dubbio faceva parte dei suoi ricordi. 
Con il cuore più leggero per le certezze ottenute tutto d'un tratto, si rese conto che l'unico dubbio che restava era effettivamente cosa fosse quella scatola, chi l'avesse messa lì e cosa contenesse. Di certo estrarla in quel modo non era stato prudente, ma si disse che ne era comunque valsa la pena. Allora cercò di esaminarla. Perchè il buio non fosse un problema si avvicinò ai lampioni ai piedi dell'albero e la espose alla luce. Potè constatare che si trattava senz'altro di una scatola, una scatola nera, di latta, che si trovava lì da chissà quanto. Sugli angoli la ruggine era evidente, sui lati il colore laccato si era crepato in alcuni punti, in altri aveva ormai abbandonato la superficie liscia della scatola. Yongguk la scosse appena, sentendo che all'interno qualcosa si era appena spostato. Doveva essere un oggetto leggero e non troppo grande. Al culmine dell'irresponsabilità allora si decise a sollevare il coperchio che per via della ruggine venne via con qualche difficoltà e non senza produrre qualche suono fastidioso. 
Dunque la aprì.
La aprì e il suo cuore si strinse, lo stomaco si contorse e gli occhi sgranati per più di qualche attimo non riuscirono a distogliere lo sguardo dall'oggetto contenuto in quella scatola. Di un corpo pietrificato solo le mani tremavano come foglie in autunno. La scatola gli cadde di mano quando ormai le dita erano tanto rigide da essere divenute simili ai rametti delle siepi. Il contenitore cadde su un lato e sembrò che l'oggetto che vi era contenuto fosse dotato di vita propria, quando rotolò fuori da essa, mostrando il messaggio rivolto senza ombra di dubbio a Yongguk. 
Sulla palla fucsia, un po' sgonfia, sporca di terra e mangiucchiata dal tempo, riusciva ancora a leggere la scritta fatta da una mano tremolante, che sicuramente non aveva ancora troppa dimestichezza con lo scrivere e che sicuramente si era trovata in ulteriore difficoltà su una superficie di plastica come quella. 

" Hyung, verrò a prenderti. "

Nel riconoscere la palla che gli aveva donato e il tratto tremolante di Junhong gli si spezzò il cuore. Aveva distintamente avvertito quell'organo vitale implodere dal dolore e, come fosse a bordo di uno dei celerissimi ascensori dei grattacieli newyorkesi, salire fino all'encefalo in un millesimo di secondo, frantumando anche l'ultimo strato della muta di razionalità e freddezza che indossava. 
Fu un secondo lutto alla quale la notte stessa sembrò partecipare con le sue gocce che disperate si schiantavano al suolo, in contrasto con la dolcezza con la quale le lacrime di Yongguk disegnavano la curva della sua guancia, vittima ormai della rassegnazione.
Solo allora la sua mente iniziò ad elaborare come probabilmente le cose erano andate quel giorno. 
Come il piccolo Junhong, tornato solo e sentendosi abbandonato dal mondo, si fosse deciso ad andare oltre quello stretto sentiero sabbioso, oltre quel loro primissimo punto d'incontro, per scovare il luogo in cui il suo hyung era dovuto fuggire, per tirare debolmente la manica della sua felpa e supplicarlo con i suoi irresistibili occhioni dolci di tornare a casa con lui, di non lasciarlo mai più e di inventare nuovi giochi insieme. Junhong aveva incontrato la sua fine sulle rive del fiume Han, poichè era impossibile che un bambino così piccolo potesse superare il fiume, ma prima di lasciare il giardino che l'aveva protetto come una torre farebbe con una principessa infelice, aveva creduto fosse meglio lasciare un messaggio nel caso in cui Yongguk fosse tornato a prenderlo prima che Junhong fosse riuscito a tornare. La sua pallina e quei caratteri poco leggibili. 
Yongguk seppe solo di aver triplicato la propria sofferenza, di aver riaperto una ferita che tanti anni prima sembrava essere stata malamente ricucita.
E nonostante questo aveva ancora risposto ad una sola domanda tra le mille che aveva in testa. Sapeva solo per quale ragione il piccolo principe avesse lasciato la sua fortezza. 
Oltre quello, c'era il buio. 

-

Il giorno seguente, quando aprì gli occhi li sentì bruciare, sentì il naso chiuso e un orribile mal di testa. 
- Buongiorno influenza... - furono le sue prime parole, con la voce più roca che mai. Voleva evitare un semplice raffredore e gli era toccata l'influenza. Beh, non che gli importasse. Il suo umore non era affatto buono. La sera prima era rimasto sotto quella chioma d'albero per ancora diverse ore, fino a quando il cielo non era diventato man a mano più chiaro, solo allora si era deciso a rimettere tutto a posto, come se non avesse mai scoperto quel piccolo dettaglio che l'aveva sconvolto. Yongguk era consapevole di essere un uomo forte ormai, di aver fatto il callo per quanto riguardava la sofferenza e di avere un'ottima capacità di ripresa. Anche detto così comunque, restava una cosa estremamente triste. Essersi abituato al dolore... si, era davvero penoso. 
Ancora immobile, con la testa pesante tra i cuscini tentò di ripensare a cosa aveva in programma per la giornata. La lezione con Daehyun doveva essere alle quattro del pomeriggio. Sollevò lentamente il braccio per dare un'occhiata all'orologio da polso e rischiò di soffocare con la sua stessa saliva. Erano le tre e mezza. Le tre e mezza di pomeriggio. Come aveva potuto dormire fino a quell'ora? Saltò giù dal letto come un canguro e si spogliò alla svelta, rischiando di inciampare nei suoi stessi piedi una serie infinita di volte. Alle quattro meno dieci era pronto e stava scendendo rumorosamente le scale verso la sala da pranzo. Quando la raggiunse gli occhi di Daehyun lo incontrarono all'istante. Era appena arrivato in sala, con lo zaino poggiato su una spalla sola, pronto a metterlo per terra. 
- Stai bene hyung? I tuoi capelli... danno l'idea che tu sia appena uscito da una lavatrice. - e ridacchiò con il solito fare allegro e spensierato. Probabilmente aveva ragione, non aveva avuto il tempo di farsi i capelli, nè di preoccuparsi che i calzini fossero entrambi blu. Sperava che i calzini bicolore andassero di moda in Corea, magari. 
Si mise a sedere accanto all'altro che ancora aveva il fiatone. 
- Ti sei alzato tardi, vero? Avresti potuto dormire un altro po', così io avrei potuto giocare alla playstation anzichè fare inglese. - 
- Ma sta zitto. - sbuffò, dandogli un colpetto in testa e cercando di ricomporsi per riuscire ad iniziare la lezione. 
Dato che aveva imparato ad essere estremamente professionale non fu un gran problema trascorrere quelle due ore insegnandogli effettivamente qualcosa, tuttavia i momenti in cui gli assegnava qualche lungo esercizio diventavano letteralmente micidiali per lui, dato che si rese conto che non riusciva a pensare ad altro se non a quella maledetta scatola nera. Probabilmente anche quella notte sarebbe sgattaiolato fino a quell'albero semplicemente per osservarla, come se un briciolo dell'anima di Junhong fosse ancora racchiuso tra quelle sottili pareti di latta. 
- Sta ancora piovendo, è da ieri ormai. Non sembra neanche estate, vero? - 
- Beh, nonostante la pioggia sembra faccia comunque caldo. - 
- Ma che senso ha un'estate senza sole? - 
- E che senso ha parlare di un'estate soleggiata se non ti farò comunque uscire da questa stanza se non finisci l'esercizio? - 
Daehyun gonfiò le guance e sbuffò, tornando a fare l'esercizio con un po' più di serietà, ma senza prendersela. Dava proprio l'idea di qualcuno che non se la prendeva mai. 
- ...Potrei andare a prendere una merendi-... -
- Daehyun. - 
- Ma hyung! - 
- L'esercizio. -
- Ma ci metto solo un attimo! - 
- Aaaish. Certo che sei proprio un ribelle dalla testa dura. E io che non volevo crederci l'altra notte! - 
- ...L'altra notte? - gli occhi curiosi di Daehyun sembrarono brillare in cerca di una risposta. Yongguk piuttosto si stranì, dato che avrebbe creduto che l'altro intuisse immediatamente a cosa si riferiva. 
- La sera che sono arrivato ero andato in cucina per prendere un bicchiere d'acqua e ho senito una domestica sgridarti perchè sei uscito senza permesso, che scemo. - 
Daehyun battè le palpebre più di una volta, mettendosi a braccia conserte e sollevando lo sguardo verso il soffitto. 
- Credo che tu l'abbia sognato. - 
- Come no. Sono certo di aver sentito la domestica sgridarti. - 
- Ma non può essere, hyung. Che motivo avrei di uscire dalla mia camera la sera? Ho sempre una bottiglia d'acqua accanto al letto e il bagno in camera. Anche che volessi scappare... con che mezzo? Mio padre mi troverebbe in qualunque angolo di Seoul. E poi perchè dovrei scappare? E pergiunta di notte, figuriamoci, credi che sia stupido? - 
Yongguk era sbigottito.
- Allora chi avrei senti-... - 
Il suo sguardo incontrò quello di Daehyun e nei suoi occhi vide qualcosa ardere. Non era il solito sguardo brillante e vivace.
- E' stato solo un sogno, Yongguk. - il suo tono fu per la prima volta quello di un padrone che dava un ordine ad un suo sottomesso. Le parole scandite, il tono di voce mediamente alto. Sembrava che Daehyun stesse crescendo per diventare un leader capace di sottomettere gli altri. Yongguk era rimasto senza parole, così semplicemente annuì, accettando inconscemente che si fosse trattato solo di un sogno. Daehyun soddisfatto sorrise, si mise in piedi e sollevò le braccia verso il soffitto, stiracchiandosi. Poi decise da sè che sarebbe andato a prendere una merendina al cioccolato e Yongguk rimase seduto lì, solo con i suoi pensieri. Forse semplicemente non voleva che sapesse che era scappato di notte, d'altronde si conoscevano da poco, non poteva fidarsi di lui, se Yongguk avesse voluto dirlo per qualche ragione al padre, sicuramente Daehyun sarebbe stato nei guai.
Doveva essere quella la ragione. 

Dato che si era svegliato così tardi quella giornata sembrò non durare niente. 
Le lancette dell'orologio avevano corso e, dopo aver consumato un'abbondante cena assieme agli altri domestici e dipendenti in cucina, si era ritirato in fretta nella sua camera; forse avrebbe dovuto chiamare Lui, ma non c'erano ancora stati sviluppi di alcun tipo e sicuramente non gli sarebbe importato del fatto che era arrivato sano e salvo in Corea. Decise allora che lo avrebbe fatto più tardi. 
Se non fosse stato per una visita spiacevole allora si sarebbe potuto godere la serata in tranquillità. E invece no. 
Poco prima che l'orologio segnasse le dieci sentì bussare alla porta. Quando aprì ecco l'attempato maggiordomo davanti ai suoi occhi.  Si chiede se davvero quel tizio non provasse vergogna nel mostrarsi agli altri con indosso un pigiama a righe verticali tanto ridicolo? Neanche le sue calze bicolore erano di così poco buongusto. Non potè che scrutarlo dalla testa ai piedi, ma il baffetto lì presente sembrò non farci caso. Fece un passo avanti e si chiuse la porta alle spalle. 
- Si? - Yongguk cercò di capire la ragione per la quale si fosse introdotto così furtivamente in camera sua e soprattutto la ragione per la quale non la smettesse di fissarlo come un avvoltoio a pochi centimetri da una preda in decomposizione. 
- Signor Bang Yongguk...- 
- Presente. -
- Faccia poco lo spiritoso, mi sembrava di essere stato chiaro la prima volta che l'ho scortata in questa camera. - 
E allora Yongguk iniziò a preoccuparsi. Non credeva di aver infranto le regole della casa in qualche modo particolare, nessuno d'altronde gli aveva vietato di uscire in piena notte, sotto la pioggia, giusto per prendersi un malanno. 
- Daehyun mi ha riferito che l'altra mattina è sceso in anticipo per la colazione. - 
Yongguk sospirò, aveva sul serio il coraggio di prendersela con lui per una cosa del genere? 
- Sono sceso in cucina mezz'ora prima e ho preso un croissant con 15 minuti di anticipo. Tra l'altro non credo che tutti quei croissant fossero di Daehyun, o sbaglio? -
- In questa casa pretendiamo che gli orari vengano rispettati. Se le viene detto che la colazione viene servita alle 9:30, può lasciare la camera alle 9:29 o alle 9:31, intesi? - 
- Mi sembra davvero ridicolo che per un-... -
- Bang Yongguk, le cose stanno così. Se vuole essere rispedito in America basta dirlo, ci sono davvero tanti coreani sparsi per America e Inghilterra che verrebbero qui a sostituirla molto volentieri. Sia grato al signor Jung e si limiti a fare il suo lavoro con discrezione e non ci saranno problemi di alcun tipo. Detto questo, buonanotte. - ed uscì dalla  camera sbattendo la porta. Viva la cordialità. Quel tipo doveva avere qualche rotella fuori posto. 
Neanche quella giornata si era rivelata esattamente felice, così sentì il bisogno di uscire ancora una volta da quella camera una volta assciuratosi che tutti stessero dormendo, raggiunse quell'albero per stringere semplicemente la scatola tra le braccia e con la fronte premuta debolmente sul coperchio, passare il tempo a chiedersi perchè la sua vita fosse stata sempre così complessa. 


Nei giorni seguenti Yongguk fu costantemente vittima della monotonia.
All'interno di quella casa non aveva grandi compiti se non quello di fare lezione a Daehyun tutti i pomeriggi e mantenere una certa distanza dal resto del nucleo familiare per non far arrabbiare quel maledetto maggiordomo. Non andava affatto bene, essere così distante da quella famiglia era qualcosa di tendenzialmente problematico per i suoi obiettivi. Non era tornato a Seoul nè per guadagnare qualche soldo facendo il tutor, nè per tornare a porsi delle domande sulla misteriosa morte di Junhong. 
Le motivazioni che l'avevano spinto a lasciare il continente americano erano ben altre. Doveva raggiungere traguardi che aimè, anche dopo più di due settimane di permanenza in quella casa sembravano troppo distanti. 
Inevitabilmente, iniziò a perdere la calma. 

Sempre più spesso allora si recava in piena notte all'albero suo e di Junhong, tornava ad osservare quella palla fucsia, come se potesse essergli d'aiuto in qualche modo, come se si aspettasse che da un momento all'altro iniziasse a parlare, raccontandogli per filo e per segno come stavano le cose. Ma non lo faceva mai. Restava uno stupido oggetto in plastica attenagliato ad una lunga serie di ricordi. Più lo guardava, più si faceva del male. E lo sapeva bene. Sapeva bene che sarebbe dovuto tornare a sotterrare quella maledetta scatola non solo sotto le siepi, ma anche nelle profondità del proprio subconscio, il fatto che l'avesse ritrovata doveva svanire, altrimenti sarebbe sempre stato troppo distratto, troppo inquieto per permettersi di fare passi falsi che nella loro slealtà potevano permettergli di raggiungere quell'unico risultato finale. La vendetta. 
Dato che tuttavia, nonostante le numerose volte in cui ormai giornalmente si dava dell'idiota, sentiva il bisogno di raggiungere quell'angolo del giardino ed aprire la scatola, alla fine della terza settimana di Luglio si rese conto che si trattava di un gesto quotidiano che stava lentamente trasformandosi in dipendenza. Così, un pomeriggio, ne sentì inaspettatamente il bisogno quando il sole era ancora alto nel cielo. 
Ogni domenica aveva il giorno libero, più che per lui, per il povero Daehyun che non ne poteva più di studiare inglese ogni giorno, ma quella domenica era particolare. Aveva valutato come tutte le domeniche passate la possibilità di recarsi finalmente al cimitero, ma si era inventato qualche contrattempo pur di non farlo, pur di giustificare il coraggio che gli serviva e ancora non aveva. Sapeva che in quella tetra atmosfera e tra quelle lapidi avrebbe trovato non solo suo padre e suo fratello, ma anche la tomba di qualcun altro. E non si sentiva pronto. 
Ad ogni modo, la particolarità di quella domenica stava nel fatto che quella vuota e silenziosa villa fosse per una volta davvero vuota e silenziosa. I padroni di casa, con tanto di maggiordomo al seguito, si erano decisi a portare Daehyun a fare una gita rilassante sui colli che circondavano Seoul, dunque in casa erano rimasti solo la governante e Yongguk. Dato che si trattava di una ragazza un po' snob, molto sulle sue, era difficile che si interessasse a cosa combinava Yongguk, così, per quel pomeriggio, ebbe come la sensazione di essere libero in quella casa che poteva rivelarsi un parco giochi se solo le telecamere di sorveglianza poste in ogni angolo non stessero lì ad osservarlo attentamente. Non restava che uscire e curiosare all'esterno. 
Munitosi di pantaloncino in maglina blu e maglietta a maniche corte grigia, volutamente combinato come l'anticristo dell'eleganza, uscì di casa e si ritrovò nell'ampia veranda. Le sedie dei padroni erano ancora lì, erano state spostate giusto per la colazione di quella mattina presto. Yongguk levò le braccia al cielo e si stiracchiò. Il clima di Luglio era torrido, ma se non ci si esponeva troppo al sole sapeva essere estremamente piacevole. Le giornate piovose di qualche settimana prima sembravano un lontano ricordo e ormai anche solo guardare il modo in cui i raggi del sole battevano sull'erba facendola risplendere di un verde vivido gli conferiva un senso di rilassatezza e calore. 
Il primo luogo da esplorare era senz'altro l'attrattiva per turisti di quella casa: il giardino di rose. 
Si spostò verso est superata la veranda ampia ed eccolo lì. Quella fontana era eccessiva ed estremamente ben visibile, accesa giorno e notte, illuminata perennemente, che con i suoi giochi d'acqua avrebbe attratto chiunque. Le rose invece non rappresentavano nessuna attrattiva per lui. Lo trovava un fiore banale, usato e strausato in qualunque occasione. Cosa aveva di tanto bello? Non riusciva a capirlo. Ricordava che neanche Junhong li apprezzasse molto, soprattutto perchè dato che era un piccolo sprovveduto gli era capitato più di una volta di pungersi con le spine sul gambo, poi correva da Yongguk disperato, neanche quel taglietto sul polpastrello piccino piccino fosse una ferita mortale.
Nel vagare per il giardino di rose però, notò qualcos'altro, qualcosa che non aveva mai visto prima. 
Si avvicinò stranito a quella costruzione a vetrate le cui pareti sottili, pur essendo in vetro, non consentivano di dare un'occhiata all'interno. Era evidentemente una serra. Una serra gremita di piante di ogni tipo e di edere così alte da celare ciò che conteneva. 
Yongguk si guardò attorno. Sicuramente si trattava di un luogo alla quale non gli era permesso accedere così, senza pensieri, ma occhio che non vede, cuore che non duole. Sempre più incuriosito allora trovò la porta dalla maniglia d'acciaio pitturata sommariamente di bianco e la abbassò una, due volte, senza riuscire a spalancare l'uscio come avrebbe voluto.
Sbuffò, passando una mano tra i capelli. Era enorme. Conteneva sicuramente diverse specie di piante, non solo quelle stupide rose messe in bella mostra. Improvvisamente quella serra sembrava chiamarlo, voleva scoprire quali fiori fossero sbocciati al suo interno. Si, era senz'altro troppo curioso ed in realtà ne era anche consapevole, ma quando il suo istinto dettava qualcosa, non poteva che seguirlo. Tuttavia seppe riconoscere anche da se che non era il momento di rompere una vetrata e infilarsi all'interno con nonchalance, se non voleva perdere il lavoro e finire dritto in galera con una denuncia grande quanto una casa che gli pesava sulle spalle e che sicuramente non gli avrebbe permesso di rifugiarsi a New York. Eh no, in quel caso la curiosità era proprio da tenere a bada. 

Un po' scocciato tornò al piano originale e dopo aver vagato per il giardino come un vagabondo raggiunse finalmente l'albero che come sempre, da anni, produceva la stessa ombra ampia capace di rinfrescarlo dall'arsura estiva. Gattonò fino alla scatola e la tirò fuori ancora una volta, ma appena lo fece si ritrovò ad aggrottare la fronte. 
Era nettamente più pesante. 
Stranito allora si affrettò a sollevare il coperchio, mettendolo da parte, e quando guardò all'interno il cuore si fermò. 
Accanto alla pallina fucsia, un pupazzo non troppo grande sembrava fissarlo come se avesse appena interrotto il suo sonno nella scatola. Un Tigro. Lo stesso pupazzo che, il giorno in cui l'aveva abbandonato, aveva portato a Junhong e che aveva lasciato tra le sue braccia. Era sporco e malandato, una zampina era scucita all'altezza della spalla e l'ovatta che lo riempiva ne fuoriusciva appena, ma nonostante l'aspetto invecchiato emanava un odore dolciastro, un odore... di rose.
Ancora meno cose quadravano. 
Seppur volesse ignorare ciò che riguardava la scomparsa di Junhong sembrava che i quesiti insistessero senza sosta per attirare la sua attenzione. 
Chi aveva messo il peluche dentro quella scatola? Fino a poche ore prima era certo che non ci fosse. I padroni erano usciti quella mattina presto. Che fosse arrivato qualcuno dall'esterno? E anche se fosse stato, come poteva quel qualcuno avere il peluche che Yongguk aveva lasciato al piccolo Junhong proprio il giorno in cui l'aveva lasciato andare per l'ultima volta?  E perchè riporlo in quella misteriosa scatola nera?
Sembrava tutto uno scherzo di cattivo gusto e beh, se lo fosse stato, la tachicardia di Yongguk testimoniava che c'era senz'altro cascato come un idiota. 

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E il terzo capitolo è andato! Tenete duro lettori, dal quarto capitolo inizierete a vedere la luce (?) 
Spero che questo capitolo vi piaccia, buona lettura :3
   
 
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