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Autore: Il Cavaliere Nero    03/06/2014    8 recensioni
Shinichi Kudo è famosissimo: il più giovane detective, un curriculm che vanta il maggior numero di casi- rapidamente!- risolti. Per la sua consapevole abilità, e talvolta saccente professionalità, parte della polizia lo applaude e lo stima; l’altra metà, per la stessa ragione, lo ostacola nascondendosi dietro una finta esaltazione di rigorismo, che è in realtà qualunquismo.

“Tu…sei, sei stato in centrale oggi?”
“Sì. Ma sai, non mi sono fermato lì con loro, non sono soliti parlare benissimo di me."
In quella dichiarazione di consapevolezza, in lui tornò a dominare il detective orgoglioso e sicuro di sé, distaccato e persino un po’ scontroso.
"Tu...sai che..."
"Mph, credi che io viva sulle nuvole? Dicono che io sia ancora più arrogante da quando sono amico suo. Un mese fa ero un eroe, ora improvvisamente uno sbruffone. Come si spiega quest'incoerenza? Io sono sempre io. Sono sempre stato un eroe, sarò sempre uno sbruffone. Purchè scelgano. Sono lo stesso di un mese fa, non c'è nulla di diverso in me."

Ran apprezza i suoi metodi, totalmente distanti da quelli di suo padre. Ma li apprezzerà anche quando ne verrà travolta?
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sperando che il secondo capitolo possa piacervi, ho approfittato del giorno di festa per cercare di accelerare un pò le mie dinamiche da pseudo-scrittrice. Buona lettura!





Capitolo Secondo – Karate

«Così pensava a lui senza volerlo, e quantopiù pensava a lui più le veniva rabbia,
e quanto più le veniva rabbia tanto più pensava a lui, finché non
fu qualcosa di così insopportabile che le travolse la ragione.»

Gabriel Garcia Marquez 


 

Arrivò di gran fretta a scuola, con mezz’ora di anticipo sperando che la sua compagna di studi e migliore amica fosse già lì per poterle raccontare nei più minuziosi dettagli l’accaduto del martedì precedente.
Fremeva, fremeva per dirlo a qualcuno!
Di certo il ruolo di confidente non avrebbe potuto ricoprirlo suo padre: in quanto geloso della figlia, geloso del mestiere, irascibile ogni qualvolta il nome di Kudo venisse pronunciato. Sua madre era una donna, nonché un genitore, molto più aperto e nel cui giudizio Ran riponeva grande fiducia: ma era pur sempre, per l’appunto…sua mamma. Una sorte di sacro imbarazzo le impediva di aprirsi completamente a lei, come se avesse riservo a chiederle un’opinione per paura che potesse dissentire da una sua scelta o un suo giudizio.
Di Sonoko si fidava ciecamente;  vero è che i suoi commenti erano spesso forse un tantino esagerati, ed ancora più spesso la ragazza tendeva ad indirizzare il discorso in battute spiritose, divertenti che però perdevano in contenuto e profondità. Ma aveva una certezza: la sua amica non le avrebbe mai mentito. Esattamente come il giorno precedente non aveva esitato neppure un attimo ad incalzarla: “Avresti dovuto parlarci, altro che nasconderti!” allo stesso modo le avrebbe detto se si era comportata in maniera corretta, se avesse avuto un atteggiamento fuori luogo, se la vicenda le quadrasse o meno.
Inoltre, parlare della cosa le sarebbe servito a metabolizzarla e digerirla: quell’incontro era stato allo stesso tempo una meravigliosa coincidenza ed una luttuosa tragedia. Erano passati tre giorni da quella sera, e ora dopo ora anziché scemare l’emozione aumentava: al pari di un eccitante, come una piccola barca a vela che, con le vele gonfiate dal vento taglia il mare ma, proprio quando l’aria si blocca  un gorgoglio di onde sgorga dal ventre delle acque e la sospinge sino alla riva, i sentimenti di Ran erano stimolati più dal ricordo filtrato dalle sensazione che l’accompagnavano che dall’evento reale in sé.
Rivedeva il volto di Shinichi, molto più bello di quanto non avesse mai immaginato. E nonostante tutto non ricordava nulla nitidamente: mentre il fatto si svolgeva era stata completamente assorbita dal presente, aveva vissuto con pienezza e coinvolgimento d’animo ogni singola parola pronunciata. Si trovava nella medesima condizione di un sonnambulo che si sveglia dal suo sonno e non ricorda quasi nulla del sogno, se non qualche fuggente immagine, uno o due suoni familiari e una parola biascicata al pari di un sibilo di serpente. Unica certezza, unica rimembranza chiara di tre giorni prima: gli occhi.
Quegli occhi vivi, brillanti, superbi e gentili nello stesso momento.
Lo Shinichi reale l’aveva conquistata ancor più dello Shinichi della tv o dei giornali.
E poi la sua faccia tosta…!
 
“Mi hai chiesto di venire con te per sottopormi ad un interrogatorio, per caso?” il tono di voce era scherzoso, come l’espressione del volto. Ma Shinichi, da ottimo investigatore quale era, comprese subito che la ragazza parlava seriamente.
Poggiando la tazzina sul piattino curvò le labbra con fare spavaldo e divertito allo stesso tempo, mentre deglutiva.
La guardò negli occhi: “Sì.” Disse, semplicemente.
 
Avrebbe potuto intavolare mille scuse; la parlantina non gli mancava di  certo e lei, fan sfegatata lo sapeva bene. Eppure dopo un sorriso enigmatico, che poteva voler dire mille cose – dal “Com’è scocciante questa mocciosa!” al “Però, niente male!”- le aveva detto solamente di sì, senza neanche motivare quella risposta.
L’aveva sorpresa, l’aveva meravigliata.
L’aveva ammaliata.
O comunque, qualunque altro effetto le avesse fatto, Ran non riusciva a levarselo dalla testa.
Tre giorni di ininterrotto sorridere tra sé e sé come una ragazzina innamorata di uno stupido metallaro da quattro soldi di una stupida boy band!
Parlarne con Sonoko, sperava, l’avrebbe aiutata a superare in qualche modo la cosa: e tornare a pensare a Shinichi moderatamente di meno. Non che prima il pensiero non volasse mai a lui, tutt’altro…! Ma non tutto il giorno, Kudo non era una fissazione.
Varcò la soglia dell’aula con passi ferini e, come capitava spesso, vide l’amica già in classe, seduta sulla cattedra con gli auricolari del suo fedele smartphone a darle ispirazione per delle improbabile mosse di danza pop. Suo padre l’accompagnava a scuola nei giorni di pioggia, ma questo richiedeva che la giovane ereditiera conformasse il suo orario e quello del signor Suzuki, con il risultato di arrivare in grande anticipo.
“Sonoko!” la chiamò a gran voce non appena la vide, quasi in un inconsapevole urlo liberatorio. Ma lei, ad occhi chiusi, era ancora intenta a gesticolare in tempo – o meglio, non in tempo- di musica e non la notò.
Di tutta fretta Ran si precipitò su di lei, volendo scrollarla per le spalle. Ma avendo percepito uno spostamento d’aria la ragazza aveva aperto gli occhi e si era alzata per andarle incontro, perciò il risultato fu una testata in piena fronte tra le due amiche, che caddero a terra rovinosamente.
“Cielo, Ran! Ma cosa…?” si lamentò la biondina, massaggiandosi il capo. La mora ignorò le sue lamentele e, ignorando il dolore, trillò: “Devo raccontarti una cosa!”
 
 
§§§
 
L’ispettore Megure era di nuovo a casa sua, lo capì dalla volante della polizia parcheggiata di fronte l’agenzia. Si guardò intorno nel tentativo di scorgere qualcosa che potesse comunicarle la presenza di Kudo, ma non fu così; nemmeno quell’automobile blu che in qualche modo l’aveva preannunciato era presente nei dintorni.
-No no no. Così non va bene!- si ammonì non appena comprese che di nuovo i pensieri si sbriciolavano davanti l’attacco del giovane investigatore.
‘Vuoi un consiglio, Ran?’ le aveva chiesto Sonoko dopo aver ascoltato la sua storia, commentata ampiamente da cenni degli occhi ed espressioni del volto.
‘A me questo tipo sembra un pallone gonfiato…ma non oso immaginare la tua reazione, ti è sempre piaciuto! E non interrompermi cercando di sostenere il contrario!’ l’aveva ammonita non appena lei aveva fatto per replicare.
‘Lo so, lo sappiamo tutti che hai un debole per lui! E’ come se io incontrassi Kimura Tatsuya*! Ma mi sorprende enormemente che non ricordi bene le cose, il suo aspetto ad esempio…’ aveva portato una mano sotto il mento, con fare interrogativo.
‘Non ricordi nemmeno se quando si è alzato gli hai guardato il sedere? Il sedere sodo nei ragazzi è qualcosa di…’ ma una sua risposta stizzita l’aveva interrotta.
‘Non fare la santarellina, Ran! Mi hai detto cinque secondi fa con gli occhi a cuoricini: E’ bellissimo, Sonoko!’ le aveva fatto il verso, cercando di imitarne la voce ‘E’ bellissimo e…oh, è bellissimo!’
‘Avevi detto se volevo un consiglio, non un profluvio di tue…’
‘Ah, già già. Beh, cerca di rivederlo!’ aveva scrollato le spalle, come fosse la cosa più normale del mondo.
‘Scusa? E come potrei fare?’
‘Dio, Ran, aiuta tuo padre nell’indagine! Cerca di informarti, origlia le telefonate, impicciati nel caso, poggia l’orecchio sulla porta! Hai sempre detto che Kudo non lascia mai questioni in sospeso, no? E oggi mi hai detto che ha passato a tuo padre un’informazione su non so cosa…e allora, aspetta che si intrometta ancora. E non appena si rifarà vivo…zac! Intercettalo e vai.’
E Ran come aveva recepito questo consiglio? Negandolo.
Non credeva fosse possibile vederlo ancora, non voleva illudersi e vivere in funzione di un obiettivo che mai avrebbe raggiunto. Perciò aveva deciso di non pensarci proprio più. Tagliare qualunque collegamento a Shinichi per un po’…finchè il suo debole, come l’aveva definito Sonoko, non fosse tornato nei binari anziché deragliare come un treno che al posto del carburante è mosso da materia incandescente. Una specie di terapia d’urto, insomma.
Questa era la decisione che aveva preso razionalmente. La scelta pensata.
Ma la scelta non pensata, quella che il suo inconscio aveva adottato già mentre Sonoko parlava, e di cui forse ragionevolmente non era ancora consapevole neppure lei era…sì, rivederlo. Rivederlo, rivederlo, e rivederlo ancora una volta.
Salì i gradini dell’edificio con il pensiero: -Non lo penserò più. Chissene importa se stanno parlando di lui, se lui è con loro, se ci stanno parlando al telefono…- ed elencava mille e mille possibilità mentre, allo stesso tempo, attenta a non fare alcun rumore avvicinava il capo alla porta chiusa. E sentiva discutere:
“Quindi ne siamo certi, ispettore. Voglio dire…non è un sospetto, o una diceria…”
“No, Kogoro. Purtroppo ne sono sicuro. Ho, naturalmente con procedura top secret e raccomandando loro la maggiore riservatezza possibile, incaricato personalmente i miei uomini più fidati, gli agenti Ruchichi e Mukumura, di cercare fondamento in questo senso. E ora lo sappiamo.”
Pensò alla rapina, pensò alla donna uccisa. Pensò a Shinichi.
E quando sentì la successiva affermazione di Megure, pensò doppiamente a Shinichi, comprendendo il motivo per cui l’aveva sottoposta a quell’interrogatorio improvvisato nel salotto di un bar di studenti.
“Il capoquestore Ikari è colluso con quell’organizzazione criminale.”
 
§§§
 
Spostò tutto il peso sul piede destro, per caricare il colpo oltre la spalla e allo stesso tempo prevedere un attacco dell’avversario e schivarlo. Ma il karateka di fronte a lei l’aveva vista spostare l’asse di equilibrio, perciò le tirò contro un pugno che non si aspettava e l’atterrò.
“Ops, scusa!” si chinò su di lei quando Ran piombò a terra. “Di solito questi colpi li eviti con facilità, non credevo di colpirti. Per questo ho usato tanta forza…” fece per offrirle la mano per aiutarla a tornare in piedi, ma il loro Sensei s’intromise:
“MOURI!” tuonò, avvicinandosi agli spalti con grandi falcate. “Sono tre giorni che poltrisci, che diamine ti prende?”
“Mi scusi, Koromi-sensei! Mi sciacquo la faccia e…”
“E te ne torni a casa, per oggi tu hai finito.”
“Come? No, sensei, le assicuro che…”
“Hai finito.”
Il tono perentorio con qui glielo disse, ed il modo in cui poi le voltò le spalle per concentrare la sua attenzione ad un’altra coppia di combattenti le fece capire che fosse inutile insistere. Col capo chino salutò soltanto con un cenno il suo compagno di corso e s’avviò nello spogliatoio.
Non riusciva più nemmeno a concentrarsi, accidenti!
Si cambiò in tutta fretta, ansiosa di tornare a casa. Per cosa, poi? Per pensare ancora a lui, e cercare di incontrarlo di nuovo? O per chiedere a suo padre delucidazioni su quanto aveva origliato?
 
“E che cosa si fa, ora? Intendo dire…lo denunciamo?” aveva proposto Kogoro, il tono della voce esitante.
“E a chi? Dovremmo scavalcarlo e rivolgerci direttamente al Capitano. Ma per poterlo fare dobbiamo avere le prove, le prove certissime e soprattutto al sicuro…non sappiamo chi sia dalla sua parte, perciò rischieremmo che non appena Ikari si vedesse recapitata l’ingiunzione di inchiesta riuscirebbe e farle sparire tutte. Non dobbiamo compiere mosse affrettate.”
“Cosa gli diremo, allora?”
“Per il momento, faremo finta di niente. Ti ripeto, non sappiamo ancora di chi fidarci o meno. Per questa ragione sto chiedendo la tua collaborazione, non è una questione facile…in più nella mia centrale siamo numericamente pochi, rispetto agli agenti della questura. Bisogna valutare tutte le possibilità. Siamo noi contro loro, Kogoro.”
“E’ stato Kudo a dirle che…” cercò di chiedergli l’investigatore, esternando un dubbio che aveva avuto da quanto aveva visto il giovane uomo varcare la soglia della palestra della figlia.
“Nessuno deve sapere che è stato lui a passarci l’informazione sull’inchiesta della rapina. Tutti conoscono i suoi metodi, Ikari potrebbe allarmarsi a saperlo in contatto con noi.”
“Cercherò di tenerlo lontano il più possibile per non essere costretto a mentire.” Sancì Kogoro, un piano di lavoro che non gli sarebbe risultato affatto sgradevole da attuare.
 
 
Ripensava alle parole dette seriamente e con tono preoccupato da suo padre qualche giorno prima:
 
“Tutto a posto, papà?”
L’uomo sollevò gli occhi dalla scrivania a quella che ancora soleva definire la sua bambina.
“Ti senti bene?”
“ Ikari Shima.”
“Chi è?” la ragazza iniziò a preoccuparsi. In realtà conosceva quel nome; ma sperava di sbagliarsi.
“Il capoquestore, Ran. Megure teme che potrebbe intromettersi nell’indagine, in qualche modo.”
“Perché dovrebbe?”

“Perché Kudo non piace ai piani alti.” Tagliò corto, con severità, come se rimproverasse lei dei metodi dell’investigatore più giovane.
“E il suo intervento potrebbe causarci dei guai.”
 
 
Che si riferisse a questo?
Shinichi era pericoloso perché era troppo onesto?
Quella notizia giunta così inaspettatamente era servita ad accrescere ancor di più la stima e l’ammirazione che Ran nutriva per lui, con il risultato che smettere di pensalo era assolutamente impossibile.
Cercare di incontrarlo una terza volta, forse, anche per chiedergli spiegazioni…
“Hai già finito gli allenamenti? Mi ricordavo che l’altro giorno fossi uscita dalla palestra un’ora più tardi.”
Una voce alle sue spalle interruppe le sue riflessioni: si voltò, rapita. Le sembrava appartenesse a…
“Shinichi!” si lasciò sfuggire, chiamandolo come lui le aveva suggerito ma anche come soleva fare nei suoi discorsi strettamente personali. Avvampò immediatamente quando, in tutta risposta a quel gridolino, le labbra del ragazzo si atteggiarono a sorriso spavaldo.
“Sì, sono io, tesoro!” sembrava dire con quell’espressione boriosa.
“Ran!” le fece il verso, schernendola.
Era appoggiato con le spalle al muro adiacente la porta, una gamba accavallata sopra l’altra e le braccia incrociate al petto. Cappotto blu di stoffa con i bottoni larghi, sciarpa nera a coprirgli parte del mento e…jeans scuri. Che gli fasciavano le gambe. E subito il pensiero di Ran volò a quella mattina in classe:
 
‘Non ricordi nemmeno se quando si è alzato gli hai guardato il sedere? Il sedere sodo nei ragazzi è qualcosa di…’
 
Cercò di scacciare quel pensiero dalla testa, deglutendo più volte quando il ragazzo si issò sulle ginocchia e, tornato in posizione eretta, si incamminò verso di lei. Era così presa dai suoi disegni cerebrali che l’aveva superato senza neanche notarlo.
“Come mai sei qui?” poiché capì aggiunse repentina: “Mio padre oggi non è venuto. Vuoi che ti accompagni da lui?” sperò.
Shinichi le sorrise, ma non di quel sorriso gentile con cui l’aveva convinta –come se non ci sarebbe riuscito anche con un ghigno sadico!- a seguirlo in quel bar, bensì di un’espressione colorata, quasi maliziosa.
“Cercavo te, in realtà.” Le rivelò senza giri di parole.
“M-me?”
“Esatto. Devi correre a riportare qualcosa a tua madre anche oggi?” la sfottè di nuovo, quell’espressione che sul viso non gli traballava mai.
“No.” Rispose, atteggiando anche lei il volto del medesimo sorriso.
-Vuoi la guerra, eh?- pensò Ran, ma non infastidita, anzi: si divertiva a giocarci, la sua presa in giro aveva sapore amichevole, non snobistico. Un po’ come Sonoko!
“Ottimo. Avrei qualche consiglio…anzi, qualche consulenza professionale da chiederti, se possibile.” Sottolineò con il tono della voce oltre che con un guizzo dello sguardo quelle due parole.
“Posso offrirti un altro cappuccino? O stavolta ti deciderai a prendere un caffè come noi adulti?”
“Non metterò piede in nessun bar o locale insieme a te.” Meravigliò se stessa della risposta pronta e soprattutto dello stupore che istantaneamente si dipinse sul volto del giovane: per la prima volta aveva scalfito quella faccia da sbruffone che aveva sempre.
“…non voglio subire altri interrogatori.” Aggiunse.
Kudo si rilassò, tornando di nuovo a respirare normalmente.
“Oh, no. Certo certo, capisco.” Si passò una mano sotto il mento, pensieroso. Cinque istanti dopo le ammiccò:
“Allora, facciamo una passeggiata?”
 
 
§§§
 
 
A male pena riusciva a trattenere la gioia; tanto che un sorriso assolutamente visibile le illuminava il volto, e sebbene cercasse di trattenerlo non ci riusciva affatto. Il risultato era che molto spesso doveva voltare il viso dalla parte opposta, oppure mordersi un labbro, o fingere di tossire; alla fine stanca di cercare metodi di evasione si era semplicemente abbandonata all’espressione raggiante. Ma il motivo di tanto entusiasmo non era solo il fatto che di nuovo, nel giro di pochi giorni, si trovava da sola con Shinichi, quanto piuttosto il luogo che lui aveva scelto per la loro passeggiata: il parco di Beika. Il posto che Ran frequentava più spesso, quando si sentiva sola, in crisi, quando i suoi litigavano, quando il mondo la confinava per l’ennesima volta all’angolo.*
“Dove andiamo?” gli aveva chiesto, e lui senza esitare: “Dove vado io quando ho bisogno di riflettere con calma.”
Non lo aveva mai incontrato, in tutti quegli anni. Com’era possibile?
Si voltò a guardarlo: camminavano fianco a fianco, e non aveva più pronunciato parola da allora. O meglio, Kudo aveva provato a incominciare una conversazione, ma Ran era parsa assente: rispondeva con monosillabi e sussurri appena accennati. Certo lui non poteva immaginare fosse per l’esaltazione di quella scoperta che, ai suoi occhi, li rendeva ancora più simili di quanto non avesse già fantasticato per tutto quel tempo; anzi, quando la vide, con la coda degli occhi, tornare per la millesima volta in quel giorno a scrutarlo, prese coraggio e le disse:
“Non vorrei esserti sembrato troppo audace a portarti qui.” Confuse l’ardore per imbarazzo.
“E’ che davvero ci vengo spesso e lo trovo un luogo molto tranquillo, dove poter stare in santa pace. Non mi capita spesso…sai, quando vado in giro in borghese la gente mi ferma per la strada.” C’era sincerità in quel discorso, eppure Ran ci colse anche buona parte di boria.
“No! No, figurati!!” si affrettò a tranquillizzarlo: “E’ che sono rimasta sorpresa…anche io ci vengo spesso. Mi piace costeggiare il sentiero a fianco del lago…mi chiedevo come mai non ci siamo mai incontrati prima.”
“Beh, anche se ci fossimo incontrati io non ti avrei riconosciuta.” Si lanciò in una spiegazione, ma non azzeccò:
“Ti avrei riconosciuto io.” Lo corresse, lasciandosi sfuggire una parola di troppo.
Lui non replicò, accelerando un po’ il passo.
“Ecco…” disse lei, cercando di deviare l’argomento. “Di solito mi fermo…” fece per indicare un pesco prossimo a un sasso spesso sfruttato come panchina vista la sua regolarità. Ma fu interrotta dal ragazzo che la prese bruscamente per mano, esortandola: “Vieni!”
Arrossita e basita allo stesso tempo lo seguì lungo il viale, ritrovandosi poi a scavalcare una piccola staccionata in legno.
“Ma…” fece per bloccarlo, ma lui:
“Ehi. Sono un detective, ricordi? So cosa è illegale!”
“Ma io sono la figlia di un detective e di un’avvocatessa. So bene anche io cos’è illegale, lo so doppiamente bene!” gli appuntò dall’altra parte del cancello che lui già aveva scavalcato.
Lui scoppiò a ridere prima di afferrarla per la maglia all’altezza della vita: “E sei anche una fifona! Muoviti, Ran!” la attrasse a sé costringendola ad intrufolarsi in quello spazio d’erba, confusa anche dal trasporto con cui l’aveva chiamata per nome; come fossero amici di vecchia data, come si conoscessero ad sempre.
E poi la condusse lungo una discesa.
Ai loro occhi comparve la distesa d’acqua sormontata da un cielo limpido e sereno. Erano a pochi passi dalla sponda del lago, ed alcuni piccoli scogli permettevano di sedersi a ridosso delle onde e avvicinarsi ai cigni sulla superficie dell’acqua.
“Ecco perché non ci siamo mai incontrati.” Le spiegò, prendendo posizione su uno di quei massi. Con un gesto della mano la invitò a fare altrettanto, ma Ran esitò; i due scogli erano vicini…era davvero in imbarazzo, allora, e Shinichi non fraintese. Ma il tempo dell’ostentata gentilezza per carpirle facilmente informazioni era finito, perciò si comportò come il verso se stesso:
“ Paura di rimanere sola con me, Ran?” la incalzò con un sorriso spavaldo.
In effetti, erano soli nel raggio di almeno un chilometro.
Il silenzio che le attanagliava la mente le fece sentire ancora più nitidamente il battito accelerato del suo cuore.
“Paura che provi a…” fece per alludere, lasciando di proposito la frase in sospesa. E lei, desiderosa di lasciargli ancora un’altra volta un ricordo positivo di sé, qualcosa che potesse assicurargli un posticino imperituro della sua memoria, avrebbe potuto essere sincera e dirgli: “No, ma mi piacerebbe poterlo essere!!”
Eppure si fece coraggio e replicò:
“Paura di cosa? Sono una campionessa di karate.”
Credeva di aver avuto la risposta pronta e averlo sorpreso, invece lui quasi pareva aspettarsi quella risposta. Senza un attimo di esitazione e quel sorrisetto ancora dipinto sul volto le rispose:
“Lo so. Ti ho cercata per questa ragione.”
“Prego?”
“Hai ragione a non sederti. Perché in effetti dovresti mostrarmi qualche mossa di karate, ho bisogno di vederle dal vivo per capirne la dinamica.”
“Dovrei…” ricalcò la sua frase, portando le mani ai fianchi.
Lui ridacchiò: “Oh oh, ok.” Fischiettò “Non dovresti. Diciamo che potresti farmi questo favore. A buon rendere eh, s’intende.” Aggiunse repentino dopo, e lei si convinse all’istante; ignorò volontariamente quel luccichio corso nelle sue iridi al pronunciare ‘buon rendere’¸ impacciata all’idea che il giovane investigatore facesse battute maliziose sul suo conto. Su di lei. Con lei.
 “Ok, quali mosse ti mostro?”
 
 
“Capito? Nella kake uke * il braccio sinistro deve stare esattamente, in proiezione, davanti al tuo naso.” Gli spiegò, lanciando nell’aria un pugno.
“Mentre la destra para con l’avambraccio interno il pugno dell’avversario, e poi…” mimò l’azione come se stesse affrontando un nemico invisibile “…gli afferri il polso con la sinistra e lo spingi indietro.”
Era passata una buona mezz’ora, forse anche un’ora, da quando Shinichi aveva iniziato a farle il nome di alcune mosse –per altro, molto approfondite e complesse. Non erano movimenti base, ma veri e propri procedimenti combattivi. Per l’ennesima volta l’aveva stupita, dimostrandosi molto esperto anche in quello; ad ogni sua spiegazione argomentava e adduceva repliche estremamente pertinenti, tutt’altro che superficiali. Probabilmente non combatteva personalmente –non si era mai alzato da quello scoglio- ma di sicuro ad occhio sapeva riconoscere un buon combattente. Le si era imporporato il volto tutte le volte che avevo pensato la considerasse tale, o almeno tanto brava da chiederle aiuto per quella strana indagine.
Gli aveva spiegato la kekomi, il teisho uchi e addirittura gli aveva chiesto yoko obi gere!*
“Però…” quasi come se ogni qualvolta pensasse di averlo più o meno inquadrato lui lo capisse e volesse dimostrarle il contrario, Shinichi si alzò appressandosi a lei.
“Se l’avversario risponde con i piedi?”
“Intendi, se da un calcio?”
“Esatto.” Si parò di fronte a lei, il volto tirato di chi si concentra anima e corpo su ciò che sta facendo. Qualunque indagine avesse a che fare con quel karate, doveva essere davvero urgente.
“Mettiamo che tu mi abbia bloccato, ok?” allargò le gambe per distribuire bene il peso e tenersi in equilibrio. Allungò le braccia perché il suo gomito fosse poggiato all’avambraccio di lei, che quasi prontamente gli afferrò il polso con la destra.
“Ok, sono bloccato, giusto? Ma se io…” e senza alcun preavviso sollevò in aria la gamba sinistra per un suki uke.
“Ehi!” pur colta alla sprovvista riuscì a pararlo, anzi gli impedì proprio di portare a termine quel calcio: mentre sollevava il piede ulteriormente lei ricambiò il colpo colpendogli con il ginocchio la coscia, rimandando così indietro il calcio che stava caricando contro di lei.
“Ah, perfetto! Mi fermi così.” Replicò come fosse appena successa la cosa più normale del mondo, conservando lo sguardo verso il basso. Quel mezzo combattimento li aveva avvicinati ancora di più e lui pareva non accorgersene…ma lei sì, eccome.
Deglutì a fatica e solo la sua eccelsa bravura nel karate le permise di parare un secondo attacco, stavolta una ginocchiata con la gamba libera.
“E così?” le stava chiedendo mentre lei per tutta risposta gli incastrava il ginocchio tra le gambe e, per evitare che provasse ancora a colpirla tentava proprio di allontanarlo da lei,  facendolo ruotare sul posto con l’aiuto delle mani a contatto con le braccia di lui.
Shinichi, che una mossa del genere non se l’aspettava, si spostò come una piuma ritrovandosi a saltellare su un solo piede per mantenere l’equilibrio e non cadere a terra. Riuscì a rimanere in piedi solamente voltandole le spalle e sporgendosi un po’ in avanti.
“Così!” replicò lei ridacchiando per la vittoria e l’espressione sorpresa dipinta sul volto di lui; ma l’istante dopo la sua attenzione fu attratta da qualcos’altro.
 
 ‘Non ricordi nemmeno se quando si è alzato gli hai guardato il sedere? Il sedere sodo nei ragazzi è qualcosa di…’
 
Le parole di Sonoko le tornarono subito in mente, quando Shinichi le offrì quella vista con estrema nonchalance. I jeans scuri rendevano quella parte del corpo ancora più evidente, e  Ran non riuscì a distrarsi come qualche ora prima; peccato che Kudo aveva riacquistato subito l’equilibrio e, tornando in posizione eretta, si era di nuovo voltato verso di lei, cogliendola in fragrante.
Da seccata per essere stato battuto la sua espressione si mutò in divertita, o piuttosto maliziosa.
“Non sarò un karateka che tira calci in aria ma sono a mio modo in forma. Sono contento che tu l’abbia notato.”
“C-che?” si finse ignara, ma gli occhi erano divenuti due puntini.
“Che dici, eh, Ran? L’occhio di un’esperta lottatrice come te…quanto sono muscoloso da uno a dieci? Intendo , eh…”
“Se-sei bravo per non essere un karateka…” deviò il discorso, estremamente a disagio. “Ma…ma a cosa ti servono tutte queste informazioni?” cercò di distrarlo.
Lui, con le labbra ancora ad esprimere auto compiacimento, stette un po’ zitto; poi decise di lasciargliela passare e tornò serio.
“Non ne sono ancora sicuro.” Scrollò le spalle “Ma saperne qualcosa in più forse potrebbe tornarmi utile.”
“Per un’indagine?”
“Certo.” E mentre lei finalmente prendeva posto a sedere sul secondo scoglio lui, sorridendo già nel prefigurarsi la sua reazione pudica, aggiunse: “Non devo imparare nessuna mossa del corpo, di altri ambiti. Quelle le so tutto, e molto bene.”
Come previsto, lei avvampò; e lui rise tra sé e sé, soddisfatto d’essersi vendicato del quasi volo che gli aveva fatto fare con quella difesa.
“Fai attenzione a…non farti male. Cioè, se devi combattere contro qualcuno che è bravo nel karate…”
“Cercherò di evitarlo.” Disse, solo. Il che, ovviamente, lasciava intendere: “Se sarà necessario, non mi tirerò indietro.” E lei sapeva, ovviamente, che lui avrebbe risposto così, e che l’avrebbe fatto. Anzi, se fosse stato necessario, sarebbe stato lui ad attaccare per primo.
Le piaceva anche per questo.
Si girò per scrutarlo bene in volto, visto che prima era stata interrotta: lui aveva lo sguardo rivolto oltre il lago. Era davvero molto bello. Non solo gli occhi, non solo il sorriso, non solo il tono di voce e l’atteggiamento; anche la forma del viso era affascinante, perché armonica.
E poi di lui era sempre evidente l’attività cerebrale: una persona che guardava e subito pensava, un uomo capace di ragionare con una velocità portentosa.
Intelligente. Intelligentissimo.
Era improvvisamente calato il silenzio tra loro, oltre che il sole: alle loro spalle il tramonto era quasi del tutto ultimato e, oltre il lago, già era visibile qualche zona della città illuminata artificialmente.
Sì sentì in soggezione e come in dovere di far proseguire il discorso; aveva il terroro d’annoiarlo.
“Laggiù c’è casa mia.” Disse, pensando che Shinichi stesse osservando quei punti di luce oltre l’acqua.
“E tu dove…” si pentì subito, mordendosi la lingua: “Nel senso, non so se casa tua si veda da qui…ma di certo non è illuminata, no?” Di nuovo parlò prima di pensare.
“Cioè, io…non so, intendo dire…”
“Sì, hai ragione, casa è vuota ora. Non sono fidanzato.” Confermò, quell’eterna faccia supponente che stava imparando a conoscere come sua, sempre.
“Comunque il quartiere è quello…” additò una zona molto illuminata verso ovest.
“Abito in Beika Choo.”
“Oh, ma allora…noi…”
“Sì, abitiamo vicini.” Le sorrise “La palestra dove ti alleni…qualche anno fa giocavo a calcio, lì.” Le rivelò.
“Hai smesso?”
“Il calcio serviva a mantenere i muscoli che mi servono per fare il detective.* Ma comunque mi piace molto, sono tifoso dei Tokyo Spirits.”
“Lo so” stava per dire, ma si trattenne:
“La nostra zona è la più illuminata.” Si azzardò a dire, riferendosi ancora alla metropoli. E lui, subito:
“Perciò è la più inquinante.”
“Eh?”
Si fissarono per alcuni istanti, prima che Ran scoppiasse a ridere: “Scusami. Mi pare di capire che tu non sia molto…ehm…romantico…” si ritrovò a dirgli.
“Beh, se ti aspetti qualcosa di banale come: ‘la luce della città non è niente in paragone a quella che sprigiona la tua bellezza’…no, non sono romantico. Queste banalità mi danno il voltastomaco.”
Ran rise di nuovo, divertita; anche se un po’ quella notizia le dispiaceva.
A lei piacevano i ragazzi romantici…certo, non melensi: una frase del genere non sarebbe piaciuta neanche a lei, anzi l’avrebbe fatta ridere. Ma “La nostra zona è la più illuminata.” , “Perciò è la più inquinante.” Le pareva il polo opposto, altrettanto esagerato.
-Beh, qualche difetto deve pur averlo…- pensò, e senza  che se ne rendesse conto quell’elemento negativo quasi andava a farglielo piacere ancor di più, perché lo rendeva una persona reale.
Ma presto Shinichi riprese la parola e, per l’ennesima volta, la stupì:
“L’inquinamento luminoso di Beika Choo minaccia molte conseguenze a livello ambientale. La più banale…guarda questo cielo. Credi che dal balcone di casa nostra sarebbe visibile?”
Ran allora sollevò gli occhi e, davanti a lei, si aprì uno spettacolo che raramente aveva visto, forse mai. Sembrava un film, o un montaggio del pc.
-Ok…Shinichi è anche romantico…- constatò, mentre le guance le si accaloravano.
Il trillo del cellulare intervenne ad  interrompere quel momento idillico.
“Scusami…” si affrettò a rispondere nel tentativo di placare quel suono violento rispetto alla realtà circostante, come se si trattasse di un’interferenza dell’uomo sulla natura che la violenta, e le fa male.
“DOVE DIAVOLO SEI? SONO VENUTO A PRENDERTI IN PALESTRA E NON C’ERI!!” le urla di suo padre turbarono davvero la natura, molto più della suoneria.
Perfino Kudo le sentì, e si alzò per raggiungere il ricevitore e prendere lui la parola:
“Mi scusi, Mouri. Sua figlia è con me, le ho chiesto aiuto su alcuni tecnicismi di arti marziali.” Voleva tranquillizzarlo, ma Ran lo battè sul tempo:
“Scusami, papà! E’ che il sensei mi ha rimproverato oggi, perciò ero un po’ giù di morale e sono andata a fare una passeggiata nel parco di Beika. Sto tornando indietro!”
“Sempre in quel benedetto parco…” borbottò, ma parve essersi calmato una volta capito che stava bene e nessuna l’aveva rapita. “Fai bene. Sbrigati! Ti vengo incontro!”
“No, non ce n’è bisogn…” ma aveva già riagganciato.
Sbuffò, seccata e ripose il telefono in tasca. Quando rialzò la faccia Shinichi la stava fissando divertito.
“Mio padre non…non vuole che io…” si ritrovò a balbettare, non sapendo bene cosa dire. Avrebbe fatto la figura della ragazzina di fronte a lui! Stava scegliendo le parole nel cotone.
-Accidenti a te, papà!!-
“…frequenti me?” concluse la frase per lei. “Gli sono antipatico?”
“No no!” si affrettò a dire, mentendo. “Lui…lui non vuole che io frequenti nessuno.” Arrossì di colpo “Nel senso, è…è molto geloso e…”
“Anche io sono geloso.” Le sorrise. “Di natura, sono una persona gelosa. Perciò lo capisco…non ti preoccupare.”
Ricambiò il sorriso, rincuorata –e incuriosita. Shinichi aveva mai fatto scenate di gelosia ad una sua ex? Da lì, i pensieri moltiplicarono: quante ex aveva avuto? Erano belle? Oh, che domande sciocca, certo che erano belle…stavano con lui! Ma quanto belle? E cosa….
“Dai, ti accompagno a casa.” Interruppe il flusso della sua mente, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi. Lì per lì accettò di buon grado, poi ricordò le parole del papà: la stava raggiungendo!
“NO!” tuonò, meravigliandolo.
“Cioè…papà mi sta venendo a prendere…”
–Maledizione, papà!!- gemette di nuovo, salutando l’idea di poter stare anche un po’ di tempo con Kudo.
“Beh, possiamo andargli incontro insieme…”
“…e preferirei non ti vedesse.” Fu costretta a dirgli, incrociando le braccia al petto. Era chiaro che lui stava insistendo per galanteria ed educazione, non certo motivato da interesse nei suoi confronti. Ma almeno avrebbe potuto parlarci un altro po’, e invece…
“E perché?”
“ Ti ho appena detto che…”
“Che a tuo padre non sono antipatico io nello specifico.”
“Ma sei un ragazzo!”
“Ma sono un investigatore!”
“E’ meglio se non ti vede.”
“Che necessità hai di mentire su di me?”
“Mentire, che parolone! Non sto mentendo. Semmai è un’omissione.”
“Per la legge è quasi uguale.”
“Non usare questi sofismi con me!”
“Hai detto di essere figlia di un’avvocatessa e non lo sai?”
Quel repentino scambio di battute divertì entrambi anziché infastidirli. Si scoprirono a ridere come matti, quando il cellulare suono ancora.
“Sono all’entrata del parco. Dove sei? Non ti vedo!” la incalzò Kogoro.
“Arrivo!” fu la sua risposta, simultanea ad uno sguardo di intesa con il giovane detective che, in segno di resa, allargò le braccia.
“Sta bene. Ma in cambio, mi devi il tuo numero!”
“Scusa?” quasi gli rise in faccia, pronta a farsi beffe di lui:
“Un grande detective come te non conosce modo migliore per avere il numero di una ragazza?”
Fu il turno di Shinichi a ridere:
“Non voglio il tuo numero per quello che pensi tu. Mi hai appena interdetto dal rendere note a tuo padre le tue consulenze, ed io potrei avere ancora bisogno del tuo aiuto. Sei la massima esperta nel campo che io conosca, ma mi hai praticamente proibito di venire a cercarti a casa o in palestra. Come ti ritrovo, di grazia?”
A quelle parole Ran sentì scoppiarle il cuore dalla felicità: ok, le serviva solo per lavoro  ma…lo avrebbe rivisto!
“Oh…d’accordo…” fu l’unica cosa che riuscì a dire, però, imbarazzato sebbene felice. Subito Shinichi si prese gioco di lui e della sua reazione pacifica:
“Ma se sei delusa…se preferisci che io ti telefoni anche per altri motivi, ben volentieri io…”
“Posso atterrarti di nuovo, se necessario.” Lo interruppe, ma non smorzò il suo sorriso malizioso.
“Non mi hai atterrato. Mi hai guardato il sedere.” Puntualizzò.
Colpita e affondata!
“Sei uno sbruffone!” gli fece la linguaccia prima di voltargli le spalle, adirata.
“Ehi, e il tuo numero?” la richiamò, ma lei non pose fine alla sua marcia:
“Scordatelo!” si finse arrabbiata.
Gliel’avrebbe dato. Le aveva detto di aver giocato a calcio nella sua palestra, e lei in quanto supplente del sensei in caso di emergenza aveva libero accesso ai registri di tutti gli sport, nominativi ed indirizzi compresi. L’avrebbe cercato, l’avrebbe trovato e gli avrebbe fatto una sorpresa. Per una volta sarebbe stato lui a rimanere a bocca aperta, gli avrebbe cancellato quel sorrisetto odioso –ma bellissimo!- dal volto.
Aveva trovato un filo che poteva legarla al suo investigatore per più di un giorno, e che aveva più sostanza del caso.
E per tutto il tragitto di ritorno insieme a Kogoro, Ran non potè smettere di sorridere. Pensava al suo piano geniale; e pensava a quello che le aveva detto Shinichi:
 
“Hai detto di essere figlia di un’avvocatessa e non lo sai?”
 
Un dettaglio così sciocco, pronunciato in un momento di fastidio, lui se l’era comunque ricordato.
Lei lo conosceva benissimo; e forse, pian piano, lui stava conosceva un po’ meglio lei.
 
 
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Precisazioni:
 
*Kimura Tatsuya: cantante di una famosa band, nell’universo di Conan, che poi viene eliminato. Episodio ‘La grande festa’. Volume 45, file 5.
* il parco di Beika: dove Ran si rifugia nel primo capitolo prima di tornare a casa e trovarci Shinichi.
*Kake uke: pugno e difesa di un pugno.
*Kekomi, teisho uchi e yoko obi gere: calcio all’indietro, pugno frontale e calcio in corsa.
*Suki uke: calcio frontale.
*Il calcio serviva a mantenere i muscoli che mi servono per fare il detective: lo dice veramente nel manga, volume 1, file 1.
 
   
 
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