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Autore: Alfred il sanguinario    03/06/2014    0 recensioni
Un ricordo approfondito delle mie vacanze a Cortiglione (AT), insieme alle mie cugine e ai miei nonni, che abitano tuttora lì.
Dal testo: '. La nonna, che forse eravamo troppo piccoli e cinici per capire a fondo. Che forse eravamo troppo piccoli, spensierati e egoisti per dar peso a come le si illuminavano gli occhi, quando arriviamo.'
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi ricordo di quel meraviglioso paese che è Cortiglione, in mezzo al Monferrato, splendide campagne amabili sotto tutti i punti di vista, un giardino bello e accogliente, una casa calda d’inverno e fresca d’estate, e un bosco incontaminato tutto da esplorare intorno.
Che dire, il paradiso terrestre.
I miei primi ricordi di Cortiglione sono di quando ero molto piccolo. Mia mamma mi ci portava spesso, e ricordo molti episodi di quando ero piccolo. Innanzitutto la costruzione della nuova casa. Mi ricordo che avrò avuto sì e no quattro anni e sono entrato in una stanza non arredata e senza ancora il pavimento, insieme a mia cugina, Federica (che più tardi io soprannominerò “Fides”). Ricordo che la nonna ci disse: “Bambini questa è la stanza dove dormirete voi!”.
Con tutto lo sforzo, ancora oggi riconosco di quella che è diventata la nostra stanza solo la finestra.
Dopodiché io caddi e mi sbucciai un ginocchio. Mi misero un cerotto, e nulla di che.
Poi Cortiglione cominciò a prender forma, nella mia testa. Un’allegra e spensierata casetta: pavimento in parquet, divani comodi, cibo da cinque stelle, cameretta in cui chiacchierare fino a tardi e ridacchiare con le cugine, e soprattutto: il giardino.
Ricordo tutti quegli intrugli che da piccoli facevamo con il fango, che poi versavamo nelle tazzine di plastica e servivamo ai genitori e ai nonni dicendo: “E’ gelato al cioccolato!”.
Naturalmente giocavamo ad essere bambini poveri, ma molto rinomati per i loro gelati.
Poi ricordo un episodio molto divertente. Eravamo anche lì piccolissimi, sì e no cinque anni, quando il nonno si lamentò di alcuni insetti che rovinavano il suo raccolto. Tutti presero la cosa alla leggera, ma io e le mie cugine, Federica e Martina, prendemmo la cosa molto seriamente.
Così nel pomeriggio cominciammo a scavare, capitanati da Fede, alla ricerca di un insetto enorme e disgustoso, da cacciare via dal giardino. Ero piccolino, perciò non ricordo per quanto scavammo. A me parvero ore.
Sicché, nel bel mezzo del lavoro, mi addormentai seduto, proprio accanto al fosso che stavamo scavando. Fui svegliato da un urlo di Fede: “Lory!” strillò “quello è l’insetto del nonno!”
Martina era ancora piccola, e probabilmente Fede stava cercando un modo per svegliarmi, visto che indicò un innocua formica.
“Sembra una formica” decretò “ma in realtà mangia tutto il raccolto, senza ingrassare!”
Così cacciammo via la formica, e dicemmo al nonno di aver sistemato il problema. Né lui, né la nonna, né nessun altro se la sentì di dirci che avevamo semplicemente scacciato una formica, e che non sarebbe servito a nulla.
Altro evento storico fu l’arrivo dell’altalena. Occupò un gran spazio in macchina, e arrivata il nonno la fissò.
Io e Fede avevamo sette anni, Martina ne aveva cinque. Quell’altalena l’avremo usata fino a quando ne avremo avuti tredici, di anni,  e Martina undici, e sfondammo l’altalena.
Il dramma di quell’invitante gioco era che aveva due posti. E noi eravamo tre.
Drammi, liti, pianti, lancio di oggetti… insomma chi arrivava ultimo spesso si offendeva, e, per non fingersi interessato, accarezzava il cane, parlandogli come fosse un caro amico.
Il cane! Toby! Lo ritrovò il nonno, quando noi non c’eravamo. Un cucciolo, di colori marrone e bianco, un bastardino, o, come lo chiamavano per non creare malintesi, un “fantasia”. Si presentò mugugnante nel Marzo 2006 presso il cancello di casa di Via Vinchio 37.
I nonni decisero di tenerlo, e, quindi, i “Tre Cugini” divennero i “Quattro Cugini”, in pratica, con il suo arrivo. Ci seguiva ovunque, e, anche se era molto affezionato a noi e ai nonni, non ne voleva sapere di restare solo in giardino. Scorrazzava liberamente per tutta la Val Tiglione.
Mi ricordo quando scomparve, gran brutta storia.
Io lo seppi per ultimo, probabilmente perché ero il più affezionato a Toby.
Un pomeriggio, mi trovavo a casa di Fede e Marty, avrò avuto otto o nove anni; non riesco a ricordare con precisione la data.
Le mamme” come le chiamiamo noi, chiacchieravano amabilmente in salotto, quando Marty mi disse: “Lory, ma lo sai di Toby?”
E io: “Cosa?”. Pensai che avesse avuto qualche problema e fosse andato dal veterinario.
“Che non si trova più” aggiunse lei.
Mi si paralizzò il volto per un istante.
“Martina!” la zittì Fede. Quando si arrabbia, ci chiama con i nomi per intero.
Chiesi spiegazioni e mi dissero che si erano ripromessi di aspettare fino a Pasqua, e, se non ritornava, me l’avrebbero detto.
Non mi sentii per niente a mio agio, allora. Non sapevo più se continuare a desiderare Cortiglione tutto l’anno. Contemporaneamente mi sentivo trattato come un neonato, perché mi avevano detto tutto all’ultimo.
Dopo un po’ realizzai che, in fondo, l’avevano fatto perché mi ritenevano il più affezionato a lui, e, se poi fosse ritornato, mi avrebbero fatto vivere inutile ansia.
Ma non fu mai così.
Purtroppo non si può vedere solo il bello delle cose, il brutto esiste anche. E Cortiglione deve avermi fatto passare anche esperienze brutte, altrimenti non potrei davvero dire di amare quel posto, senza conoscerlo a fondo.
Comunque i nonni, vedendoci perennemente alla ricerca di Toby, fecero un gesto buonissimo, e gliene sarò sempre debitore.
Sì, perché non spesero soldi per viziarci con un nuovo cane di allevamento, ma semplicemente su internet scovarono il sito di un canile a Nizza Monferrato. Una cagnolina, Emma, cercava disperatamente casa.
Così decisero di adottarla. E la ribattezzammo Lilli.
Inizialmente la convivenza non fu facile. Amava molto di più il gioco di Toby, e ricordo che delle volte prendeva i nostri giocattoli e li nascondeva da qualche parte. Poi ci abituammo a lei.
E lei a noi. Era più minuta di Toby, ma l’entusiasmo era quello. Io la chiamavo “Nasino rosa”, perché quella sua caratteristica mi affascinava tantissimo. Ma più tardi nacquero altri soprannomi, come “Lilla”, “Lillibus” e, il più complesso, “Liliana Gravotto”.
Finora non ci eravamo mai spinti oltre le mura del giardino, quasi fossero le “Colonne d’Ercole”, fatta eccezione per il bosco. Un luogo incantato e quasi fiabesco: mi sentivo come i coloni in America. Perché era un luogo tutto da esplorare, tutto da scoprire, da fondare.
Il “Burrone” era un punto in cui la terra si faceva scoscesa, e, da piccoli, gli adulti ci invitavano a stare lontani da lì, per paura che cadessimo. Poi c’era la “Casa di Carola”. No, non è una casa. Ma lo sembra. Sotto dei rami che sembrano formare una capanna, incastrandosi l’uno nell’altro. Il tappeto di edera fresca, sempre bagnato, d’estate trasmette una sensazione di piacere, e fa venire fame. Ecco perché spesso lì facciamo i picnic. Per ultima c’è la “Casa di Tobia” o “Casa del Salice”, casa abbandonata nel quale entravamo in un periodo non esattamente d’oro per lei (s’intenda, che entravamo solo nella villa, la casa era chiusa a chiave).
Poi abbiamo cominciato i giri per la città. D’inverno, la nebbia lo fa sembrare un posto disabitato, ma comunque affascinante. S’estate si possono vedere più cose. Come il Castello Abbandonato, probabilmente medievale, circolano alcune leggende su quello.
Con gran raccomandazione della nonna, dovevamo portare i cellulari.
Ma, lo posso dire. Potrebbe anche essere un posto schifoso, senza niente, che lo amerei lo stesso. Per la compagnia, per la bella casetta.
Per il cibo ottimo.
Il nonno. Con la sua allegria, la sua bonarietà, la sua attività agricola, il suo modo di far sorridere anche un cielo buio. Sempre allegro, contornato dalle sue galline, che tratta come se fossero le sue altre figlie, che sta rinunciando al suo studio per farci avere una camera tutta nostra. La nonna, che forse eravamo troppo piccoli e cinici per capire a fondo. Che forse eravamo troppo piccoli, spensierati e egoisti per dar peso a come le si illuminavano gli occhi, quando arriviamo. La chiamavamo “la nonna poeta” perché a scrivere poesie è un portento, e a recitarle ancor di più. A parer mio, è la copia dai capelli più scuri di Martina. Cucina roba da far invidia alla Parodi… anzi, da stracciarla alla grande, ed è dolce come un pezzo di pan candito, ci aiuta spesso a fare i compiti, mentre nel frattempo ci racconta anche dei suoi episodi di infanzia.
Certo, comunicare con i nonni non è sempre facile. Loro erano della generazione che quando suonava l’allarme, la notte, s’infilavano in una valigia e scappavano in un bunker per sfuggire alle bombe, noi di quella che ci nascondiamo in un bunker se non ci comprano un nuovo cellulare. Loro a quella che hanno assistito alla guerra civile in Italia, noi a quella che mandiamo un pezzo di pane a quelli che la guerra civile la vivono in Palestina. Loro a quella in cui rischiavano di non rivedere più i loro padri se venivano chiamati, noi a quella che rischiano di non vederli perché sommersi dal troppo lavoro.
Poi ci sono le cugine, e di loro ho già parlato. Sento di poter dire qualsiasi cosa con loro, che mi vorrebbero bene comunque, e che non smetterebbero mai di scherzare, senza esagerare. Sento di poter confidare loro tutte le mie più profonde paure, che loro farebbero lo stesso con me.
Il periodo della prima media è stato un periodo terribile per me. Soprattutto la seconda parte. Persi tutti i miei amici e le mie amiche delle elementari: si trovarono nuovi amici, o vennero mandati in altre classi e ci allontanammo sempre più, sino a disconoscerci o ad insultarci.
Il periodo di Cortiglione era un modo per raccogliere tutti i pezzi della mia autostima, rotti come una pentola di terracotta, e aggiustarli con un po’ di colla, rimettere insieme ciò che riuscivo.
E, magari, usarla anche quella pentola di terracotta, se riuscivo ad aggiustarla del tutto.
Oggi io ho molti amici anche a scuola, anche se non si può dire che vada d’accordo con tutti; ma in fondo chi può dirlo?
I miei migliori amici sono Irene, Rossella, Paolo, Salim, Sara, Fabiola, Gregorio e Mara. Purtroppo non ho mai l’opportunità di vederli fuori dalla scuola, ma i bei tempi trascorsi anche al mattino sul pianerottolo a copiare i compiti e studiare disperatamente mi bastano.
Ma, devo dirlo, se non fosse per Cortiglione e per Fede e Marty, oggi non avrei quegli amici, perché è grazie all’autostima recuperata a Cortiglione, sentendomi apprezzato da qualcuno per quello che sono realmente, che ho costruito la mia personalità, e mi sono rafforzato.
E, a quanto pare, la mia personalità piace a qualcuno che non lo debba dire per forza, ma che volendo potrebbe non dirlo.
Ho anche un gruppo di teatro, che mi ha tenuto a galla nei periodi bui, ogni Sabato recitare e commentare i risultati mi ha aiutato. In particolare: Raffaele, Marco, Marianna, Eleonora e Clara. E tutti gli altri. Che mi aiutano a riempire i sabati, e mi mancherà quello svago. 
 
  
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