Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: Akami92    06/08/2008    4 recensioni
«Sai cosa ti dico, Sasuke? Forse sarebbe stato meglio che fossi morto tu, al posto di Itachi!» sbottò improvvisamente con il tono di voce spezzato.
Sasuke, a poco più di un metro dalla porta, si bloccò. La mano allungata verso la maniglia rimase immobile a mezz’aria, mentre il mondo che si era costruito in quei pochi minuti gli crollava addosso.

[Angst][SasuSaku][Sasuke centric]
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Wecome To PageBreeze

Ready to Fly [away]

 

 

 

Era un angolo buio e polveroso quello in cui si trovava. Avanzi di cibo e cartacce erano i suoi compagni di serate da ormai due settimane. Quelle formiche, che camminavano l’una dietro l’altra come un esercito compatto, avevano tutte un nome ormai, disegnato dalla pazzia della sua mente.

Lanciava sguardi furtivi al letto a pochi metri dal suo corpo rannicchiato. Era sfatto, chissà da quanto tempo. L’altro letto, invece, quello accanto alla finestra, era perfetto. Inviolato. La sveglia lampeggiava ancora su quel comodino: l’una e mezza passata.

Rispetto alle sue abitudini era decisamente presto.

Si mosse di qualche metro, giusto per allontanare il naso dagli avanzi putridi della cena del giorno prima, il cui odore nauseabondo lo stava intontendo. I suoi muscoli intorpiditi gridavano di lasciarli in pace, e Sasuke non voleva farselo ripetere due volte.

Quindici giorni senza la luce del sole; quindici giorni senza il contatto con qualcuno, se non formiche; quindici giorni senza cambiarsi i vestiti; quindici giorni senza lavarsi.

Cos’era la vita, allora, se condotta così?

A scuola non aveva la minima intenzione di andare, dopotutto non avrebbe fatto altro che sentire i suoi compagni ripetere tutti le solite frasi di circostanza: «Mi dispiace.» o «Le mie più sincere condoglianze.» o ancora «Che peccato… era proprio una brava persona.»

Cos’erano quelle parole se non inutili sfacciataggini accompagnate da una maschera triste che veniva levata appena svoltato il corridoio? Come potevano permettersi quegli idioti dei suoi compagni di scuola a sputare sentenze senza aver conosciuto il soggetto di tali gentilezze da quattro soldi?

Era morto. Era un cadavere senza più sangue, né calore, né spirito. Era solo un ceruleo corpo freddo, tanto importante quanto la vita di una formica. La vita di una formica non valeva nulla per coloro che le stavano intorno senza conoscerla, ma per il formicaio era una grande perdita.

Itachi se n’era andato per sempre. Suo fratello aveva lasciato quel mondo, e tutto per colpa sua.

Sasuke era sempre stato un ragazzo serio, posato, rigoroso ed attento. Poche volte aveva commesso pazzie e in quei casi i risvolti erano sempre stati tragici. Ma nessuno era mai morto. Nessuno fino a pochi giorni prima.

Sasuke non aveva mai tenuto conto dell’utilità delle strisce pedonali: attraversava dove capitava. Era bastato dimenticarsi di guardare a sinistra per non notare l’automobile che stava sfrecciando ad una velocità non consentita, guidata da un uomo in evidente stato di ebbrezza. Ed era bastata la spintarella di Itachi a salvare la vita al fratellino e ad uccidere se stesso. Non si era udito nulla se non un forte crack, e poi il sangue aveva invaso l’asfalto.

Aveva vomitato, quella volta.

All’arrivo dell’ambulanza era già troppo tardi: il cranio di Itachi era ridotto ad una poltiglia rossastra e ad un ammasso di lunghi e fluenti capelli neri.

E Sasuke dov’era? Sasuke era in bagno, a casa sua, a rimettere l’anima, la tristezza e i ricordi intrisi di affetto di suo fratello.

Perché tanto lui non c’era più, ed era inutile ricordare persone che non esisteranno mai più.

Rabbrividì, stringendosi nelle sue ginocchia, al ricordo dell’incidente, mentre una lacrima scivolava lungo la guancia scarna e smunta, una volta diafana e bellissima.

I piedi scalzi sfioravano le tende bianche, godendo di quel tocco leggero e quasi impalpabile, distraendo la sua attenzione.

Cadde nuovamente vittima del silenzio che lo circondava, saturo di immagini che voleva dimenticare.

L’improvviso bussare alla sua porta lo destò dal torpore: si era addormentato?

Non rispose. Non voleva che qualcuno si ricordasse ancora della sua esistenza. Ciò che desiderava ardentemente era che tutti coloro che lo conoscevano si dimenticassero di lui.

Perché avrebbero dovuto prestare ancora attenzione ad un ragazzo che aveva ucciso il fratello? Se solo fosse stato più attento, l’uomo che guidava la macchina avrebbe sbandato e si sarebbe schiantato contro un muro. Sarebbe morto lui. Sarebbe stata la giusta punizione. Sarebbe stata una morte più che meritata.

Ma tutti quei se erano inutili e superflui, perché tanto Itachi non era lì per ascoltarlo. Il suo fratellone, l’unica persona per la quale aveva un senso restare in quella famiglia, era morto. Non deceduto, né passato a miglior vita, né tanto meno venuto a mancare. Morto.

Perché avrebbe dovuto utilizzare stupidi sinonimi per descrivere la cruda realtà della vita di tutti i giorni?

I battiti sulla porta si fecero più violenti ed irrequieti, ma Sasuke non dava segno di voler aprire. Ai colpi si susseguirono calci, ai calci rumorosi scossoni alla maniglia. Infine, il colpevole di tale scompiglio si fece riconoscere.

«Apri questa dannata porta!» urlò una voce acuta, attutita dallo spessore del muro. Sasuke spalancò gli occhi: quella voce l’aveva già sentita da qualche parte. Probabilmente era sua madre, pensò, ormai aveva dimenticato la voce di quella donna. E anche la sua stessa.

Optò per prolungare il silenzio, sperando che lo scocciatore se ne andasse presto, ma dopo quasi venti minuti non accennava a muoversi da davanti la sua stanza.

«Che vuoi?» rispose allora, sperando che sentendo quella voce roca e inanimata e il tono scocciato col quale aveva pronunciato quelle parole, la donna non tornasse più.

«Sasuke! Allora sei vivo!» esclamò nuovamente quella persona, fermando i colpi. «Sono Sakura!» aggiunse dopo pochi secondi di indecisione, se presentarsi o meno.

Sasuke si guardò intorno, nell’oscurità di quella camera buia e claustrofobia. Udire quel nome era stato come una pugnalata. Vedeva i muri intorno a sé avvicinarsi, sembrava che fossero sul punto di comprimerlo tra loro.

Conosceva una Sakura, andavano a scuola insieme. Era un ragazza normale, che si distingueva per intelligenza e per l’assurdo colore di capelli. Forse era anche capoclasse, ma non voleva esagerare coi ricordi.

«Vattene.» la minacciò il ragazzo, neutro. Non si poteva captare nessuna emozione da quella parola. Sembrava che fosse un controsenso: nessun segno di rabbia, nessun segno di impazienza. Non esprimeva nulla.

«Ti ho portato i compiti. Il professore voleva assicurarsi che tu fossi vivo. Ah, dimenticavo! La classe ti porta le sue condoglianze. Se può farti sentire meglio abbiamo fatto un dibattito sulla guida in stato di ebbrezza e tutti hanno convenuto che la colpa è stata del guidatore.» elencò Sakura, in ordine. Sasuke non poteva vederla, ma teneva una mano appoggiata alla porta in legno, quasi a volerla trapassare per poter incontrare il compagno.

Fantastico, pensò Sasuke, non solo gli erano state porte le condoglianze, ma avevano persino parlato di Itachi in un dibattito. Cos’erano quelle parole in confronto al reale peso dei fatti? Non gl’importava nulla del dispiacere altrui, né di ciò che pensavano gli altri. Lui l’aveva ucciso. Lui e basta.

«Posso entrare?» domandò la ragazza, con voce più dolce e calma, quasi titubante alla richiesta. Il silenzio dall’altra parte le fece intendere una risposta negativa.

«Posso raccontarti qualche novità, allora?» tentò ancora, sperando con tutta sé stessa in un .

«Mh.» replicò Sasuke. Un grugnito non premeditato, un difficilmente interpretabile assenso.

La presenza di Sakura a pochi metri da lui lo stava calmando. Stava facendo rinascere in lui l’interesse. La presenza di Sakura gli aveva fatto notare quanto la stanza fosse buia.

«Bene!» strepitò la rosa, cercando di frenare l’entusiasmo. «Kurenai-sensei è, finalmente, andata in maternità! Nell’ultima settimana le è cresciuto un pancione davvero enorme! Avresti dovuto vedere che salti faceva Ino!» ridacchiò sommessamente. «A proposito… Shikamaru ha regalato ad Ino un anello di fidanzamento! Dopo due anni insieme è stato davvero carino! Però gliel’ha regalato con un mese e mezzo di ritardo dal loro secondo anniversario, e per questo Ino si è arrabbiata! Ma sotto sotto era contenta! Non poteva aspettarsi di meglio da Shikamaru.» fece una pausa, sperando in un qualche cenno di vita dall’altra parte della porta, ma le sue attese non furono che inutili utopie.

Sasuke stava ascoltando passivamente il discorso, non più rannicchiato su se stesso, ma finalmente capace di muovere le gambe indolenzite. Si era tirato indietro i capelli dal volto, scoprendo il pallido riflesso del ragazzo che era stato poche settimane prima.

Sakura, nonostante il silenzio, continuò «È arrivato anche un nuovo studente il giorno dopo che te ne sei andato! Si chiama Sai. È un tipo a posto, a parte il comportamento apatico, il sorrisetto falso e la sua mania per il pene di Naruto.» fece una pausa ponderata. «No, aspetta! Non pensare male a quello che ho detto! Non è gay. Sostiene semplicemente – ed esplicitamente – che Naruto non abbia gli attributi!» si corresse in una fastidiosa parlantina nervosa.

Naruto. Sasuke ricordava anche quel nome. Si alzò dal cantuccio del quale aveva fatto la sua tana, scrollandosi di dosso, con maniacale lentezza, le briciole dei suoi pasti a base di pane. Rimase in ascolto.

«E… ehm…» Sakura stava terminando gli argomenti, ma non voleva smettere di parlare. Voleva vedere l’amico in viso, prima di andarsene. «Tenten ha regalato a Neji una delle sue armi fatte in casa! Un pugnale! Neji, quando ha aperto il pacchetto, è rimasto sbalordito. Mi sembra che domani escano assieme! Era ora, non trovi?» provò con la formula della domanda, sperando di ascoltare ancora la voce di Sasuke.

Silenzio.

Il ragazzo mosse un passo, pestando la fila di formiche che marciava davanti a lui. Queste, in un moto frenetico, cominciarono a scappare da tutte le parti.

«Naruto ha beccato Kiba a scrivere il nome di Hinata sul suo diario e ha iniziato a prenderlo in giro! Quasi scoppiava una rissa durante l’ora seguente di ginnastica! E avresti dovuto vedere Hinata! Era rossa come un pomodoro! Continuava a gridare “Smettetela! Smettetela!”» al ricordo di quell’avvenimento, Sakura non poté trattenere un risata. Ora Sasuke avrebbe sicuramente dovuto risponderle: quando si trattava di risse tra Naruto e Kiba era sempre in prima fila per demoralizzare i due.

Ma dall’altra parte rimase solo il solito, impalpabile e fastidioso silenzio.

Sakura strinse i pugni e strizzò gli occhi, nel tentativo di non piangere. Non sopportava quell’abbandono, quella demoralizzazione, quella rottura interiore. Non era morto solo Itachi, quel giorno.

 «Sai cosa ti dico, Sasuke? Forse sarebbe stato meglio che fossi morto tu, al posto di Itachi!» sbottò improvvisamente con il tono di voce spezzato.

Sasuke, a poco più di un metro dalla porta, si bloccò. La mano allungata verso la maniglia rimase immobile a mezz’aria, mentre il mondo che si era costruito in quei pochi minuti gli crollava addosso.

Aveva pensato spesso a quell’opzione: se fosse morto lui, a quest’ora Itachi sarebbe vivo, e nessuno dei suoi compagni di classe avrebbe davvero sentito la sua mancanza. Ci sarebbero state le condoglianze, la tristezza, il dispiacere, ma tutto si sarebbe risolto in un paio di settimane. Itachi sarebbe tornato all’università, spronato da un fastidio in meno nel suo studio.

Ritrasse la mano, abbandonandola lungo i fianchi, ed abbassò il volto, nuovamente coperto da ciocche di capelli lunghe e scomposte. Un lamento appena accennato fuoriuscì dalle sue labbra serrate, molto più simile ad un singulto. Dall’oscurità di quella stanza si ergeva una figura altrettanto offuscata, incapace di muoversi. Incapace di reggersi sulle sue stesse gambe.

«Hai ragione.» mormorò, non curante del fatto che Sakura potesse o non potesse sentirlo.

La ragazza non udì nulla. «Se fossi morto tu, a quest’ora il sopravvissuto sarebbe veramente vivo.» sibilò, adirata, tirando un pugno contro la porta ed osservando le sue nocche graffiarsi ed irritarsi.

Sasuke si morse il labbro inferiore.

«Guardati, Sasuke. Tu sei più morto di Itachi.» continuò la rosa, singhiozzando. «Guardati intorno e chiediti chi è davvero morto quel giorno.»

Il ragazzo alzò il viso. Ora gli era tutto più chiaro: sapeva esattamente cosa fare per riscattarsi, per lenire il dolore, per guadagnare il perdono del fratello.

Avanzò di un ultimo passo, poggiò la mano sulla maniglia e la abbassò, aprendo la porta.

Due occhi verdi ne incontrarono due neri. Uno sguardo arrossato dalle lacrime ne incontrò uno velato dalla morte.

La mano d’avorio di Sasuke sfiorò quella leggermente abbronzata di Sakura, sfilandole il plico di fogli che dovevano essere i compiti arretrati.

«Arigatou, Sakura.» soffiò, e sorrise, per poi richiudersi la porta alle spalle, lasciando la ragazza allibita a fissare il vuoto con le gote imporporate.

Non ripensò al volto di Sasuke, non ripensò al balzo che il suo cuore aveva effettuato nel momento in cui le loro mani si era toccate e non ripensò a quegli opachi pozzi di ossidiana.

Scese i due piani di scale, si fermò davanti al salotto, dove i genitori di Sasuke stavano guardando la televisione, si inchinò ringraziando ed uscì velocemente da quella casa vuota.

Il sorriso che le aveva rivolto il ragazzo l’aveva scombussolata. Il giorno dopo sarebbe tornata, e avrebbe convinto Sasuke a tornare. Ne era sicura.

Intanto, due piani più in alto, un ragazzo appoggiò i fogli sul proprio letto sfatto, con un sorriso macabro che gli solcava il viso.

Sapeva cosa fare. Voleva liberarsi del peso che l’opprimeva. Senza Sakura lì, accanto a lui, non riusciva ad impedire ai ricordi e ai pensieri di prima di riaffiorare. Non voleva soffrire così ancora.

Dopotutto, nessuno avrebbe sentito la sua mancanza.

Attese la venuta della sera. Era rilassante e fresca, non opprimente come il mattino.

Quando il cielo fu di una tinta scura, aprì la finestra della sua stanza e guardò fuori: le macchine sfrecciavano sull’asfalto e il vialetto di casa sua era stranamente silenzioso. Non c’erano ancora molte stelle, ma quell’atmosfera lo rendeva più vivo. Lo rendeva quasi leggero, capace di volare.

Si sedette sul davanzale e saltò giù. E volò libero dove le sofferenze non lo avrebbero più raggiunto.

 

I vicini urlarono. I clacson delle automobili suonarono, come impazziti.

Il vento si alzò, entrò in quella camera fredda e pesta e fece volar via alcuni dei fogli poggiati sul letto. Uno volò proprio accanto alla fila di formiche, tornata perfettamente in ordine. Era più spesso e piccolo, disegnato e rifinito.

Sul biglietto vi era una scritta blu in stampatello maiuscolo: Torna presto. Sul fondo spiccavano un gran numero di firme di vari colori.

 

 

 

A/N

Ho scritto una SasuSaku. Io. A me non piacciono (piacevano) le SasuSaku. °° Io ero una fiera Pantera Rosa (NaruSaku). °°

Cosa sono ora? Una Pantera Viola?

 

A parte questo, ho trattato un argomento particolarmente delicato, e spero di non aver offeso nessuno. °°

Volevo cimentarmi in un po’ di angst, ed è uscito questo.

 

Naturalmente non ho potuto fare a meno di ficcarci dentro un po’ di ShikaIno (che non fai mai male), NejiTen e sì, anche KibaHina.

Che posso dire? C’est l’amour.

 

La dedico, tanto per cambiare, alla Ele-sensei (e ad una sua fic), che mi ha aperto gli occhi, facendomi vedere la SasuSaku sotto una nuova luce.

 

Penso che tutti conosciate il significato di arigatou (grazie).

 

Commentate, perché è cosa buona e giusta ù_ù.

Ja ne.

 

Akami/AtegeV

 

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Akami92