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Autore: _Elwing    03/06/2014    1 recensioni
Dal testo: "... La sua vita le sembrava poca cosa in fondo: se il soldato l’avesse sparata e uccisa o se cadendo fosse morta sarebbe stato comunque meglio che vivere ancora rinchiusa. Rischiare ed essere libera, rischiare e morire, entrambe le alternative che le si prospettavano davanti sarebbero state comunque meglio di un altro solo giorno di prigionia, perché in ognuno dei due casi tutto sarebbe finito in quell’istante..."
Purtroppo, temo che il titolo della storia già sveli molto: la protagonista, Jade, è infatti una bambina di Ishval. Benché io ami i due protagonisti della serie, almeno per ora, credo che non compariranno, perché volevo con questa fan fiction parlare della guerra di Ishval, approfondirla cercando di immaginare come è stata vissuta dai suoi abitanti, cercando di trattare un tema difficile come quello della guerra esprimendo le mie riflessioni tramite i personaggi di Full Metal e Jade, che ho inventato io. Ma non parlerò solo degli abitanti di Ishval: la guerra si combatte sempre su due fronti e in questo caso dal lato opposto ci sono i soldati e gli Alchimisti di Stato.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dovunque voltasse lo sguardo aveva costantemente addosso la terribile sensazione di essere riconosciuta e seguita, come se tutti sapessero chi fosse e da dove venisse.
Le presenze che più la rendevano inquieta e che la facevano sussultare ogni volta che svoltava un angolo erano quelle dei soldati: a giudicare dal loro comportamento quasi indifferente non stavano cercando lei, ma questo pensiero non la rincuorava per niente. Anche se non sapevano di lei, era certa che avrebbero saputo riconoscerla dai suoi occhi rossi e dalla sua pelle scura ereditati dal popolo di Ishval.
Si ritrovò, così, a giocare senza volerlo a nascondino con quei soldati ignari, domandandosi nell’ansia cosa ne sarebbe stato di lei e se esistesse un posto in cui rifugiarsi.
Concentrata com’era in quel gioco pericoloso Jade non si accorse del passare delle ore e la notte sopraggiunse inaspettata. Con il calare delle tenebre la percezione che fino a quel momento aveva avuto della città cambiò: provò una sensazione piacevole nel sentirsi avvolgere nel buio che si infittiva, un abbraccio nel quale le pareva quasi di fondersi fino a scomparire. Sentiva che la notte sarebbe stata sua alleata, l’avrebbe aiutata a nascondersi meglio e a passare più inosservata di quanto non le avesse permesso di fare la luce irruenta del sole del giorno.
Certo, la città era illuminata dalla luce artificiale dei lampioni, disposti in fila come tante sentinelle sul ciglio delle strade, ma la loro luce era poca cosa e non la spaventava. Bastava evitarli e nascondersi tra le ombre proiettate dalle tenebre.
La folla del giorno si stava disperdendo e cominciavano ad accendersi le luci delle abitazioni, nelle quali la gente tornava per concedersi riposo dopo il lavoro del giorno.
Anche Jade avrebbe tanto voluto avere una casa in cui una famiglia l’aspettava, dove avrebbe trovato un pasto caldo, riposo e affetto. Ma la sua famiglia le era stata portata via, strappata con crudeltà e non le restavano più che pochi ricordi sbiaditi che non bastavano più a consolarla.
Con la notte, sopraggiunsero anche stanchezza e fame. Fino a quel momento non li aveva sentiti, non aveva potuto farci caso, ma adesso che la tensione si era un po’ allenata i crampi della fame le davano il tormento.
Rimpianse di non aver mangiato prima di mettersi a dormire: se avesse saputo cosa sarebbe successo avrebbe pensato prima a riempirsi lo stomaco, ma come avrebbe potuto prevederlo? Ormai si faceva sempre più debole e non riusciva più a camminare, ma solo a trascinare debolmente le gambe.
Inciampò nei suoi stessi piedi e cadde a terra: era così stanca che non sentì quasi dolore cadendo. Rimase così, senza muoversi, sdraiata davanti a un enorme cancello dalle sbarre di ferro che non aveva nemmeno notato; presto perse i sensi, sprofondando nell’oblio dell’incoscienza.
Probabilmente, quella doveva essere una strada molto poco trafficata, perché per più di mezz’ora la bambina rimase distesa a terra come morta senza ricevere soccorso, senza che nessuno la notasse. Come se la situazione non fosse già abbastanza drammatica, si mise perfino a piovere. Inizialmente erano poche gocce, poi si trasformò in un vero e proprio acquazzone con il risultato che Jade si inzuppò completamente. L’unica fortuna era che lei non se ne accorse nemmeno.
Da una strada che si incrociava perpendicolarmente a quella dove si trovava Jade comparve una macchina nera, con i fari anteriori accesi. Tra la pioggia e il buio, il conducente non vide subito che c’era qualcuno disteso davanti al cancello, al quale per altro era diretto, ma se ne accorse comunque giusto in tempo per non investirla. Frenò di colpo e allungò il collo verso il parabrezza dell’auto, cercando di aguzzare il più possibile la vista.
« Perché l’auto si è fermata? – domandò un uomo che sedeva su uno dei sedili posteriori.
« C’è qualcuno davanti al cancello della villa, signore. – rispose il conducente – Sembra morto. »
« Morto? – esclamò il passeggero. Prese un ombrello appoggiato sul sedile accanto a lui e sceso dall’auto lo aprì avvicinandosi a quella sagoma indistinta. Si abbassò per osservarla meglio e, appena si accorse che si trattava di un bambino, ebbe un sussulto e come prima cosa si assicurò che respirasse. Gli ascoltò il petto, posandovi sopra un orecchio e sentì il cuore che batteva al suo interno. Questo lo sollevò.
Chiuse l’ombrello e prese in braccio la bambina, caricandola sulla macchina, sulla quale risalì anche lui.
« Sapete chi è signore? »
« No, ma non posso lasciarlo lì fuori sotto la pioggia, è un bambino. Inoltre scotta molto, credo che abbia la febbre. »
Il cancello si aprì e l’auto lo oltrepassò. Attraversò una strada ghiaiosa che correva tra l’erba di un immenso giardino e si fermò davanti a un porticato che circondava una villa dalle dimensioni di una reggia.
L’uomo che aveva soccorso Jade scese dall’auto con la bambina tra le braccia e passando sotto il portico entrò nella villa. All’ingresso andò ad accoglierlo un’anziana domestica, a cui però l’uomo non prestò attenzione.
« Chiamate mia sorella. – le ordinò, dirigendosi a passo svelto verso un salotto adiacente all’ingresso. Lì, distese Jade su un divano, senza preoccuparsi che si potesse bagnare; si tolse la lunga giacca nera che lo avvolgeva, andando lui stesso a riporla sull’attaccapanni che stava all’ingresso.
Quando tornò da Jade tornò anche la domestica, seguita da una ragazza dai capelli lunghi e biondi e gli occhi spiccatamente verdi, che avvicinandosi all’uomo disse:
« Perché mi hai fatto chiamare con così tanta urgenza Alex? »
Vedendo la creaturina che giaceva immobile sul divano si portò le mani alla bocca e, inginocchiandosi davanti al divano, disse:
« Cosa gli è successo? »
« Non lo so, l’ho trovato fuori dal cancello della villa. Credo che abbia la febbre. Te ne potresti occupare tu, Catherine? Io non saprei proprio da dove cominciare. »
« Certo. Prima però portiamolo in una delle stanze per gli ospiti. »
Alex prese di nuovo Jade in braccio e si diresse verso le scale che portavano al piano di sopra.
« Portatemi degli asciugamani, una bacinella e dell’acqua. – disse Catherine alla domestica prima di seguire il fratello per le scale.
Catherine volle restare da sola con la domestica nella stanza in cui portarono Jade. Solo quando l’ebbe spogliata per asciugarla si accorse che era una femmina: l’avevano tratta in inganno i capelli cortissimi e gli abiti maschili che indossava.
Le fece indossare una delle sue vecchie camicie da notte e la distesero sul letto, coprendola affinché potesse scaldarsi; durante tutta la notte si prese cura di lei, assistendola mentre delirava a causa della febbre.
  
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