Special Needs
Piove.
E le goccioline che si rincorrono sul vetro della finestra della mia camera, mi strappano un sorriso.
Piove.
Come è strana la pioggia.
Piove.
Quante volte ho permesso alla pioggia di mischiarsi al mio dolore?
Piove.
Ricordo quando arrivai qui.
Maybell...
Non ho mai amato il mio nome.
New York è la città dove sono cresciuta in effetti.
A scuola non ho mai avuto amici.
Crescendo ho capito.
Mia madre era morta.
Piove.
Quando ho incrociato per la prima volta i suoi occhi, ho pensato di aver trovato qualcuno in grado di capirmi.
Piove.
Il suono attutito di una vibrazione mi scuote per un attimo.
Piove.
L'acquazzone ha già inzuppato i miei vestiti quando mi siedo sulla nostra solita panchina.
Piove.
Mi abbraccia e assaporiamo in silenzio la quiete del parco sotto la tempesta.
Piove.
Sembra quasi di poter cogliere il rumore della pioggia sul lago poco distante da noi.
Plin plin
Sulla panchina a fianco.
" Maybell... " è solo un sussurro ma il suo viso è troppo vicino.
Ma Billy non è un amante.
Le sue dita sembrano più grandi mentre allontana i capelli bagnati dal mio viso.
Ma Billy non è un amante.
Tremo anche quando quelle stesse labbra avvicinano le mie con cautela dapprima.
Eppure c'è qualcosa che non va.
Billy non ha paura della pioggia.
Io ho paura della pioggia ma in un modo diverso.
Billy non è un amante.
E piove.
Avvicino un dito al vetro gelido e ne seguo il corso.
Così malinconica.
Quante volte mi sono semplicemente lasciata cadere sul piumone troppo colorato del mio letto ed ho osservato il soffitto da poco intonacato, lasciandomi risucchiare dai rumori della pioggia contro i vetri, da un tuono più forte degli altri che mi scuoteva appena con un brivido, da un lampo troppo accecante, ad occhi chiusi?
Troppe. Contarle costerebbe troppa fatica. Persino per me che non ho paura dei numeri.
Ricordo che mia madre mi disse: " Non sei contenta Maybell?! New York... ci pensi? Hai sempre adorato questa città! ".
Stavo per imbarcarmi ed ero troppo piccola per non agitarmi, per non lasciar correre lo sguardo ovunque, sulle persone che al bar sorseggiavano i loro caffè freddi, sulle hostess vestite eleganti, con la loro uniforme blu scuro, sui comandanti che concitati parlavano tra di loro, sui passeggeri appena atterrati, con le loro valigie troppo pesanti e i cellulari alle orecchie.
Non mi curavo molto di mia madre che continuava a parlare, a sistemarmi il cappellino di paglia sulla testa, le pieghe della mia gonnellina leggera.
" Sei bellissima, Maybell... " mi ripeteva ogni tanto, tra una frase che non avevo ascoltato e l'altra.
All'inizio lo odiavo. I miei compagni dell'asilo continuavano a prendermi in giro ed io lo odiavo. Ma ho sopportato tutto in silenzio. Non ho mai pianto. Nemmeno quando gli insulti e gli spintoni si facevano più forti, quando le risate dei miei compagni mi accompagnavano nei miei incubi.
Non ho più fatto ritorno a Londra.
Mia madre è morta quando sono atterrata qui.
Il suo cuore forse si è fermato quando sono salita su quell'aereo accompagnata da una hostess bellissima.
Mia zia mi ha stretto forte tra le braccia appena ha aperto la porta.
Piangeva e all'inizio non capivo il perché.
Le dicevo: " Perché piangi zia? Non devi piangere per me. " e lei piangeva più forte.
Non capivo.
Mi ignoravano credo.
Li guardavo ogni tanto mentre la maestra spiegava alla lavagna.
Li guardavo mentre scrivevano, mentre facevano merenda e giocavano con le macchinine e le bambole di pezza.
Li guardavo mentre si dondolavano sull'altalena.
Io non rientravo nei loro giochi, io ero la bambina strana che si era trasferita a New York e non sapeva il perché.
Ridevano quando me lo chiedevano.
Mio padre neanche lo conoscevo.
E l'unica famiglia che avevo erano i miei zii.
Studiavo guardando il mondo scorrere fuori dalla finestra del salone.
Non c'era nessuno a farmi compagnia.
Mi ha aiutato a raccogliere i libri sparsi per il corridoio e mi ha sorriso.
Portava gli occhiali allora.
Credo mi fosse simpatico.
Tornavamo insieme a casa da scuola.
Volto la testa ed incrocio lo strano schermo del mio cellulare illuminato.
Non ho bisogno di leggere chi è.
Lui adora la pioggia come me.
E io adoro l'odore di erba bagnata quando piove come lui.
Mi viene da sorridere.
Siamo così diversi.
Billy non ha paura di bagnarsi.
Lascia che le goccioline gli inzuppino i capelli, per poi colare dispettose sul viso, disegnandone i contorni.
Io ne ho paura ma in modo diverso.
Mi fa cenno di sedermi sulle sue gambe.
Non mi tiro indietro.
Il parco con i suoi grandi alberi, con i loro tronchi scolpiti dal tempo.
Il parco con il suo laghetto e le anatre.
Il parco con le sue foglie ingiallite dalla stagione autunnale che avanza.
Il parco con il suo inconfondibile profumo.
Sugli alberi.
E i suoi occhi sono dannatamente vicini.
La vista sembra annebbiarsi e mi sento annegare in quei pozzi blu, in quel piccolo spiraglio di luce che le sue iridi sanno donarmi.
Billy non è un amico.
Non riesco a distogliere lo sguardo dalle sue labbra.
Devono sapere di pioggia.
E tremo.
Non è un amico.
Ho gli occhi chiusi ma il senso di vertigine lo avverto comunque.
Sono una codarda perché adesso sto scappando?
Le gambe però non reggono e sono costretta a fermarmi.
Mi guardo indietro.
La frangetta bagnata gli copre gli occhi.
Sa di non potermi fermare ma ci prova comunque con quella sua mano tesa in avanti e quello sguardo di supplica.
Le lacrime si confondono con le gocce fredde che cadono dal cielo.
Mi sono fermata ma non torno indietro.
E mi chiedo se sto facendo la cosa giusta.
E il silenzio mi avvolge.
Ci avvolge.
Billy non è un amico.
Non solo almeno.
Vi va di dirmi cosa ne pensate? ^^