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Autore: startariot    04/06/2014    3 recensioni
“Promettimi che tornerai”, sussurrò Louis ancora stretto nel mio abbraccio. “Ci proverò, Lou”, dissi. “Te lo prometto”, aggiunsi.
“Ti aspetto soldato, ti aspetto sempre”, soffiò Louis al mio orecchio sciogliendo l’abbraccio.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! 

Eccomi con una nuova OS, nata sabato sera mentre guardavo il film Dear John e scritta in circa due giorni. Sono rimasta colpita da una frase, o meglio un’espressione che viene usata nel film per riferirsi all’amore, ed è proprio da lì che nasce il titolo di questa One Shot. Spero possa piacervi, nonostante ci sia un po' più di angst rispetto alle altre cose che ho scritto. (sono onesta e vi avviso, voglio che siate consapevoli di ciò che state per leggere). 

 

Detto questo ringrazio, come al solito, Anna, Federica e Laura che sono le mie ‘cavie’ (passatemi il termine) e leggono sempre per prime le mie follie. Vi adoro. 

 

Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, perciò se vi va lasciatemi pure una recensione, anche di due parole. Ci terrei davvero tanto a sapere cosa ne pensate :)

Alla prossima, 

C.  













“Ho anch'io una teoria, la mia riguarda i momenti. I momenti d'impatto. La mia teoria è che quei momenti d'impatto, quei lampi di elevata intensità che capovolgono letteralmente la nostra vita, finiscono per caratterizzarci come individui. Il fatto è che noi esseri umani siamo la somma di tutti i momenti che abbiamo vissuto, con tutte le persone che abbiamo conosciuto e sono questi momenti a costruire la nostra storia, come una nostra personale hit parade dei ricordi più belli che suoniamo e risuoniamo nella nostra mente ancora e ancora. Un momento d'impatto. Un momento d'impatto il cui potenziale di trasformazione può avviare reazioni a catena molto più estese di quanto potessimo prevedere spingendo alcune particelle ad avvicinarsi creando un legame più forte di prima mentre altre, sembrano allontanarsi ruotando velocemente in spazi lontani arrivando dove non avresti mai creduto di trovarle. Vedete? Questa è la cosa importante, in momenti come questi non potete, per quanto proviate, controllare il modo in cui vi condizioneranno. Dovete solo lasciare che le particelle che si sono allontanate arrivino dove vogliono e aspettare fino alla prossima collisione.”*





La mia vita, in fondo, è data dalla somma di innumerevoli momenti di impatto. 

 

 

 

 

 

Charleston, Estate 2006

Carolina del Sud

 

 

 

 

 

….This is where I grew up….

 

 

Era ironico. Tornare a casa e ascoltare quella canzone era ironico. In realtà, ascoltare una canzone era piuttosto ironico. Io, che la musica l’amavo, avevo dovuto rinunciarvi.

 

Per la patria, mi dicevano sempre. 

 

E per la patria vi rinunciai. Perché un ragazzo di buona famiglia deve diventare un soldato e difendere la propria nazione, Harry”, diceva sempre mio nonno. E tutta la mia famiglia. E finii per crederci, a forza di sentirmelo ripetere. Mi convinsero. E rinunciai alla mia vera passione, la musica. E insieme ad essa, rinunciai ad una parte di me. 

 

 

…look at this photograph, every time I do it makes me laugh…

 

 

Essere un soldato a ventiquattro anni, non è semplice. Hai l’incoscienza e l’adrenalina che ti spingono ad andare avanti, perché sei giovane e il pericolo non ti fa paura. Hai, però, anche la ragione che ti fa raggelare il sangue ogni volta che un ferito, delirante, ti passa accanto su una barella, o quando un tuo compagno perde la vita su quei campi di battaglia. Un soldato a ventiquattro anni possiede due facce della stessa medaglia. Una medaglia che, in questo caso, non avevo scelto. Mi era stata imposta. 

 

Per questo, tornare a casa l’estate di quell’anno fu un sollievo. Fu una boccata d’aria fresca, lontano dagli spari e dalla cenere. Era il mese di Giugno e tornavo a Charleston, dove ero cresciuto e dove viveva mia sorella Gemma, con sua figlia, Anne. Come il nome di nostra madre. 

Mi venne a prendere il mio migliore amico, Niall, all’aeroporto. Mi portò a casa e non appena mi videro, Gemma e Anne, mi saltarono in braccio. 

 

“Harry!”, disse una, “Zio, Haz”, esclamò l’altra mentre io sorridente le stringevo tra le mie braccia. Era passato un anno e mezzo da quando ero stato in congedo l’ultima volta e, non lo avrei mai ammesso ad alta voce, ma mi erano mancate. Erano le due donne della mia vita, e le amavo. Le avrei protette sempre. 

 

“Come stanno le mie donne?”, esclamai sciogliendo l’abbraccio dopo svariati minuti. 

 

“Bene, Haz! Tu piuttosto come stai? Mi sei mancato tanto..”, mi chiese Gemma facendomi entrare poi in casa. 

 

“Solita noiosa vita Gem. Piuttosto, qui a Charleston ci sono novità?”, chiesi incuriosito. 

 

“Uhm..non direi no”, disse, poi le si illuminò il volto come se si fosse improvvisamente ricordata di qualcosa. “Ah! C’è una gara di Surf questo mese”, aggiunse poi entusiasta. Aveva sempre amato il surf, Gemma. Era una sua piccola passione, ma a casa nostra le passione non erano mai state viste di buon occhio. Anche lei, come me, dovette rinunciare alla sua passione. “Non è un’attività da ragazze, Gem”, le ripetevano sempre. 

 

“Dovremmo andarci, sai. Io, tu e la piccola Anne, potrebbe essere divertente”, disse poi lei accennando un sorriso. 

 

“Divertente per tutti…..o per te, Gem?”, dissi con tono scherzoso. 

 

“Oh, non essere pesante, fratellino. Allora…ci andiamo?”, chiese poi entusiasta. Sembrava una bambina davanti ad una barretta di cioccolata. E chi ero io per togliere della cioccolata ad una bambina?

 

“Quando inizia questa gara?”, chiesi, sbuffando. In realtà, non ero affatto annoiato. Amavo trascorrere il mio tempo con mia sorella e la mia nipotina. 

 

“Domani”

 

“Allora domani ci andremo”, risposi facendo crescere il sorriso sul suo volto. 

 

 

 

La cosa più bella che può succedere ad un uomo? Trovare l’amore. Trovare qualcuno che ti faccia battere il cuore, che ti faccia capire che la cosa più importante non sei tu, ma la persona che ami. Trovare il sorriso nei suoi occhi, e nei tuoi occhi il suo sorriso. 

Ma io ero un soldato e trovare l’amore, per noi, non era bello. 

Non è bello lasciare la persona che ami a casa, mentre tu vai in guerra e non sai se ritornerai mai. Non è bello lasciare una persona con la promessa che tornerai, ma con la consapevolezza che quella promessa potresti non mantenerla. 

 

Successe, però, quell’anno. Trovai l’amore in due occhi color oceano e in un sorriso puro e candido, come la neve d’inverno. 

 

Incontrai Louis il giorno dopo, all’inaugurazione della gara di Surf. Era una giornata soleggiata a Charleston, e tutti i suoi abitanti si erano ritrovati in spiaggia, per l’evento. C’erano gazebo allestiti lungo tutto il litorale, c’erano surfisti ovunque, c’erano famiglie e bambini che passeggiavano lungo la riva e ammiravano, incantati, i professionisti che si destreggiavano tra le onde. C’era allegria, quella mattina. Quasi mi sentii un estraneo, io, che all’allegria non ero affatto abituato. Io ero abituato alla polvere, al rumore assordante delle sveglie alle sei di mattina, allo scoppio di colpi di proiettili e bombe e alle urla di chi veniva ferito, o peggio moriva sul campo di battaglia. 

 

“Harry, tutto bene?”, chiese Gemma, accanto a me. 

 

“Uhm..si, Gem.. tranquilla.”, dissi io.

 

“Sembravi esserti estraniato, per un attimo.”, disse poggiandomi una mano sulla spalla.

 

“Si uhm..pensavo. E’ solo che..devo abituarmi a tutto questo, sai..”, sussurrai.

 

“Lo so, Harry.”, disse lei semplicemente. 

 

Continuammo a camminare, le manine di Anne stringevano le mani mie e di Gem. Camminammo fino alla riva, fin quando alla mia destra non vidi un ragazzo, bassino

ma ben proporzionato nelle forme. Aveva una tavola da surf con sé, e si dirigeva verso la riva, fin quando non inciampò in qualcosa e cadde sulla sabbia. Lo vidi mettersi a sedere velocemente e tenersi saldamente la caviglia, con espressione dolorante. Dedussi che si fosse fatto male, per questo decisi di avvicinarmi a lui. 

 

“Harry, dove vai?”, chiese Gemma mentre mi allontanavo, dirigendomi verso quel ragazzo. 


“Restate qui, torno subito”, esclamai. 

 

Mi avvicinai lentamente, per non spaventarlo. 

 

“Ehi, stai bene?”, sussurrai quando fui abbastanza vicino. Alzò lo sguardo su di me, e mi fissò per qualche secondo. Poi, una fitta probabilmente, lo fece sobbalzare dal dolore. 

 

“No, decisamente non stai bene.”, dissi piegandomi sulle ginocchia e avvicinando le mie mani alla sua caviglia. 

 

“Ah”, esclamò quando scostai parte della muta per controllare la caviglia e iniziai a massaggiargliela lentamente. 

 

“Ti fa male?”, chiesi titubante continuando a muovere lentamente la caviglia. 

 

“mh mh”, annuì sofferente. “Sei un dottore?”, chiese poi cercando di distrarsi mentre continuavo a massaggiare la parte infortunata. 

 

“No. Tutt’altro.”, dissi. “Sono un soldato”

 

“Come fai a sapere cosa fare allora?”, chiese

 

“Il campo di battaglia ti permette di sapere questo tipo di cose.”, dissi sarcastico. 

 

“Suppongo di si”, disse. Mi soffermai a guardarlo meglio. Era bello, davvero bello. Era bassino, ma il suo corpo era perfettamente proporzionato, aveva i capelli color caramello, lunghi, ma non troppo, fermati da una piccola fascia. Due occhi azzurri, color dell’oceano, delle piccole rughette ai lati degli occhi e, nonostante non lo avessi ancora visto, ero sicuro che avesse un bellissimo sorriso. 

 

“Devi gareggiare?”, chiesi educatamente. 

 

“Uhm..no. Non sono ancora a quei livelli, ma spero di arrivarci, un giorno.” ammise, accennando un sorriso. Ed ebbi la mia conferma, era bellissimo. 

 

“E’ bello avere dei sogni. Inseguire la propria passione”, dissi. 

 

“Beh, si…è quello che ci permette di sperare in qualcosa…suppongo.”, continuò lui. 

 

“Già”, ammisi. 

 

“Perchè lo dici con quel tono? Sembra tu sia…..rassegnato?”, tentò di dire quel ragazzo. 

 

“Lascia stare, è una storia lunga e noiosa.”, dissi. 

 

“Beh…io ho tanto tempo, e ho voglia di annoiarmi”, disse e io scoppiai a ridere. 

 

“Magari un’altra volta, surfista. E poi…non so nemmeno il tuo nome. Non parlo agli sconosciuti, sai.”, dissi, sorridendo. 

 

“E’ il tuo modo per dirmi che vuoi rivedermi? Comunque piacere, sono Louis. Il tuo nome, soldato?”, disse sorridendo, anche lui. 

 

“Può darsi. Sono Harry, comunque”, dissi, tirandomi su e passando le mani sui miei pantaloni per togliere la sabbia che era rimasta. 

 

“Va molto meglio, grazie Harry”, disse Louis alzandosi in piedi a fatica e appoggiandosi alla sua tavola. Sorrisi. “Ci rivedremo?”, aggiunse poi. 

 

“Charleston è molto piccola. Immagino di si..”, dissi. Poi lo vidi prendere la tavola e avviarsi verso il mare. 

 

“Fa attenzione, campione”, dissi sorridendo. 

 

“Ci provo, soldato”, rispose lui ricambiando il sorriso. 

 

 

 

 

I giorni trascorrevano velocemente a Charleston, e ben presto ci ritrovammo alla metà di Giugno. Quasi tutte le mattine Io, Gemma e Anne andavamo in spiaggia a guardare la gara di Surf, che tra un paio di settimane sarebbe finita, decretandone il vincitore. Scoprii che, esisteva un concorso che permetteva a due ragazzi di Charleston di vincere un premio: un corso di surf insieme ai migliori surfisti del mondo, della durata di un mese. Pensai a Louis, chiedendomi se si fosse iscritto anche lui a quel concorso. Pensai che si, probabilmente lo avrebbe fatto. Era determinato, e amava quel che faceva. Non avrebbe mollato. Quel ragazzo mi ricordava me stesso, quando ancora lottavo per inseguire la mia passione. Lo incontrai di nuovo, una sera, ad un falò sulla spiaggia. Ero lì insieme a Niall e Liam, i miei migliori amici, e un gruppo di altre persone. Stavamo passeggiando, raggiungendo il gruppo, quando mi sentii chiamare. 

 

“Soldato!”, sentii esclamare e mi voltai, trovandomi Louis davanti. “Ti ricordi di me?”, aggiunse poi. 

 

“Certo, campione”, dissi sorridendo. 

 

“Pensi che potremmo fare…due chiacchiere?”, chiese titubante.

 

“Uhm…si..sicuro. Liam, Niall…voi andate dagli altri, io vi raggiungo dopo”, dissi rivolgendomi ai miei amici, i quali, dubbiosi, annuirono. 

 

“Uhm..allora, dove andiamo?”

 

“Oh…avevo pensato che potevamo fare due passi qui sulla spiaggia”, disse accennando un sorriso. 

 

“Oh si certo”, replicai immediatamente. 

 

“Allora, soldato..perchè non mi parli di te?”,disse Louis fissando per qualche secondo i suoi occhi nei miei. 

 

“Inutile dirti il mio nome, già lo sai…anche se a quanto pare…non ti piace usarlo”, dissi sarcastico. “Comunque ho ventiquattro anni, e faccio il soldato da quando ne ho diciannove. Ho una sorella Gemma, e una nipotina Anne di quattro anni. E quelli che hai visto prima sono i miei migliori amici, si chiamano Liam e Niall, e hanno la mia stessa età.”, conclusi

 

“E il resto della tua famiglia?”, chiese curioso.

 

“Uhm, beh..non c’è molto da dire…mia madre è morta poco dopo che io partissi per la guerra, è morta quando avevo vent’anni. E con mio padre…beh..non ho un buon rapporto. Non lo sento da qualche anno ormai..”, conclusi. 

 

“oh, mi…mi dispiace..io..”, iniziò a dire Louis. 

 

“Non ti preoccupare, campione. Non potevi saperlo”, dissi con una smorfia in viso. “Parlami di te, invece”, dissi e lui sorrise. 

 

“Beh, ho ventisei anni, sono originario di Charleston, anche se ho trascorso la mia infanzia a Dallas. Mi sono trasferito qui, di nuovo, con mia madre e le mie sorelle quando avevo diciotto anni, e beh ho sviluppato la mia passione. Se prima mi limitavo a vedere le gare di surf in televisione, da quando mi sono trasferito qui ho deciso di inseguire il mio sogno.”

 

“Fai bene, Louis.”, dissi. “Quanti sorelle hai?”

 

“Parecchie, forse troppe.”, disse ridendo, “Ne ho quattro. Felicite è la più grande, ha quasi diciotto anni, Lottie ne ha sedici, e poi ci sono le gemelle, Phoebe e Daisy, di dodici anni. Spesso sono una spina nel fianco, ma le adoro”, ammise sorridendo. Mentre parlavamo, camminavamo lungo la riva, con le piccole onde che si infrangevano contro i nostri piedi. 

 

“Ne sono sicuro”, replicai. 

 

“Tua sorella quanti anni ha?”, chiese Louis. “ventinove”, risposi io. Mentre parlavamo mi accorsi di minuscole goccioline d’acqua che si poggiavano sulle mie spalle, fu così che mi accorsi che stava piovendo. 

 

“Credo che..” non feci in tempo a finire di parlare che le piccole gocce d’acqua si trasformarono in gocce sempre più copiose e pesanti, e iniziò a diluviare. 

 

“Ma che diavol….dobbiamo ripararci..”, esclamò Louis. Immediatamente pensai al posto adatto, non molto lontano da dove eravamo. 

 

“Vieni con me”, dissi sicuro di me. Presi il suo polso e iniziai a correre trascinandolo con me. Dopo una decina di minuti arrivammo, fradici, a destinazione. 

 

“Dove siamo?”, disse Louis, una volta entrati. 

 

“Uhm…io lo chiamo..il mio capanno fuori dal mondo”, risposi, accennando un sorriso. Era un piccolo garage che mio padre aveva comprato quando io e Gemma eravamo piccoli, e man mano che gli anni passavano lo avevo personalizzato, rendendolo sempre più mio. Era una delle poche cose che reputavo mie, mie per davvero. In quel capanno, c’era la mia vita. Lo avevo riempito di collezioni di cd musicali, di strumenti musicali, di accordi e melodie che molto spesso, io stesso avevo composto. Louis entrò titubante e rimase per qualche minuto in silenzio, a fissare l’ambiente intorno a sé. “Wow”, poi esclamò. 

 

“Già”, risposi io. “E’ tutta roba tua?”mi chiese incuriosito continuando a fissare gli oggetti. 

 

“Uhm..si”, ammisi, quasi arrossendo. 

 

“E’ una vera e propria passione la tua.”

 

“Come la tua per il surf…suppongo.”, dissi, abbassando lo sguardo. “Era questo a cui ti riferivi la prima volta che ci siamo incontrati vero?”, disse alzando lo sguardo verso di me. Mi sentii quasi nudo, davanti a lui. Mi aveva capito, come nessun altro aveva mai fatto prima. 

 

“Devo…uhm…cercare dei vestiti asciutti…non possiamo stare con questi, sono fradici.”, dissi, cambiando consapevolmente discorso. Mi diressi verso il piccolo armadio, al lato del capanno e cercai dei vestiti asciutti, adatti ad entrambi. Li trovai e gli porsi una felpa e un pantalone, che accettò di buon grado. Si cambiò nel piccolo bagno, dopo che gli indicai la strada. Poi tornò nella saletta principale e mi trovo seduto alla piccola panca posta davanti al pianoforte. 

 

“Sai suonarlo?”, disse indicando lo strumento accanto a me, io annuii. “Mi fai sentire qualcosa?”, chiese. “Forse un’altra volta campione”, risposi sorridendo. Lui si sedette a cavalcioni sulla piccola panca, accanto a me. “Non mi hai ancora risposto”, concluse, dopo qualche minuto di silenzio. “A cosa ti riferisci?”, “Era a tutto questo…”, disse indicando la stanza “…che ti riferivi la prima volta che ci siamo incontrati?”, aggiunse poi cercando il mio sguardo. 

 

Mi limitai ad annuire. “Perchè?” 

 

“Perchè nella mia famiglia, un ragazzo come me deve pensare alla patria”, dissi abbassando lo sguardo sui tasti del pianoforte. 

 

“E rinunciare a se stesso?”, chiese Louis, retorico. Scrollai le spalle e presi a sfiorare i tasti bianchi e neri del piano. 

 

“Come mai ti sei trasferito qui, da Dallas?”

 

“Diciamo che non sono mai stato un ragazzo tranquillo.”, disse mettendo su un piccolo ghigno. “Ero finito nei guai, e mia mamma ha pensato bene di tornare qui, in un piccolo paesino, dove sicuramente non posso combinare guai”, concluse poi. 

 

“Sei un ragazzo cattivo, quindi.”, conclusi io, accennando una smorfia.  

 

“Mettiamola così”, disse lui, ridendo. “Se io volessi….baciarti, cosa diresti?”, disse all’improvviso prendendomi alla sprovvista. 

 

“Uhm…direi che rispecchia alla perfezione la tua immagine di cattivo ragazzo.”, replicai io voltando lo sguardo verso di lui e trovandomi il suo viso più vicino del previsto. 

 

“e…..?”

 

“e ti direi che puoi farlo.”, aggiunsi. 

 

“Tu dovresti riportarmi sulla buona strada non farmi procedere verso quella che porta all’inferno.”, disse ghignando. 

 

“Mi spiace, sono un soldato non un poliziotto”, dissi. 

 

“Touché”, disse ridendo. “quindi….”, continuò. “Quindi..baciami”, dissi io. 

 

E non aspettò un secondo di più. Avvicinò il suo viso al mio, lentamente, e fece scontrare le nostre labbra. Erano sottili, ma soffici, le labbra di Louis. Sentivo i suoi capelli, ancora bagnati, che mi solleticavano la fronte. Sentivo le sue mani che esitanti, si poggiavano una su un fianco e l’altra sulla mia nuca, per avvicinarmi di più a lui. Sentivo le sue labbra che premevano sulle mie e io che non riuscivo a far altro che ricambiare. Fu come se tutto cioè che c’era intorno a noi, fosse sparito. Non sentivo più nulla, non sentivo il rumore della pioggia contro le vetrate, il cigolio della porta di legno a causa del vento. Sentivo solo Louis e il suo calore. Louis e le sue labbra sulle mie. Louis. Gli unici rumori a guidarmi i suoi sospiri e i battiti accellerati dei mio cuore. 

 

 

 

 

Passò un mese, da quel bacio. Non fu l’unico bacio tra noi. Ce ne furono altri, parecchi. Io e Louis continuammo a vederci e decidemmo di iniziare a frequentarci. Avevamo deciso di prendere le cose con calma, di vedere come sarebbe andata. Lui continuava ad allenarsi con la sua tavola da surf, io continuavo a sperare che la scadenza del congedo arrivasse più lentamente possibile. Louis non sapeva quando sarei dovuto partire di nuovo, non ne avevamo parlato. Mi sentivo in colpa per questo, perché sapevo che avrebbe dovuto saperlo. Ma evitavo accuratamente l’argomento. Aveva conosciuto Gemma e Anne, e la piccola si era innamorata di lui. Letteralmente. Avevo conosciuto Zayn, il suo migliore amico, e le cose non erano andate come previsto. Non ci eravamo simpatici a vicenda, io ero geloso del rapporto che avevano, ero geloso del fatto che lui fosse l’unica persona che lo conoscesse davvero, lui era geloso del rapporto che si stava creando tra me e Louis. Perché lo avevo capito. Avevo capito che Zayn provava qualcosa di più per Louis, ma lui non lo vedeva. O forse non voleva vederlo. Non ci spingemmo mai oltre, nonostante la voglia che avevamo l’uno dell’altro era palpabile. 

 

Iniziò il mese di Agosto, e quel sabato sera Louis era a cenare a casa nostra. Gemma aveva preparato la cena, mentre io e Louis giocavamo con la piccola Anne. Ed eravamo a tavola, quando successe l’inevitabile. 

 

“Sai, mi mancherà tutto questo quando partirai..”, sospirò Gemma, e io mi irrigidii, consapevole che questo non era l’argomento da trattare in quel momento. 

 

“Quando…parti?”, sbottò Louis. 

 

“Oh…io…um..pensavo che ne aveste parlato…”, sussurrò Gemma. “No, non l’abbiamo fatto”, dissi io, intervenendo nella conversazione. 

 

“Allora…quando parti?”, disse Louis. Era spazientito, si vedeva. 

 

“il 2 Settembre.”, dissi semplicemente. 

 

“Il due settembre.”, ripeté Louis. “Quando avevi intenzione di dirmelo?”, sputò velenoso. 

 

“Non abbiamo mai…affrontato l’argomento, Lou”, dissi io. 

 

“E’ quasi il dieci agosto, Harry. Tu mi dici che…non hai trovato il modo di dirmi che tra venti giorni circa parti?”, sbottò Louis guardandomi negli occhi. 

 

“Louis, non è il caso…di parlare qui….”, dissi alzandomi “vieni di là e ne parliamo con ca-“, dissi cercando di portarlo con me ma “no, non voglio parlarne. non adesso.”, sbottò freddo. Annuii e mi diressi verso la mia stanza, sbattendo la porta. 

 

Passò un’ora, in cui rimasi nella mia stanza a fissare il soffitto. Rimasi a pensare a quanto stupido fosse stato non dirgli subito che sarei partito a fine Agosto. E quando mi convinsi che Louis fosse andato via da casa, senza nemmeno salutarmi, qualcuno bussò alla mia porta e il suo viso spuntò. 

“Posso..?”, disse cauto. Annuii. “Uhm..”, iniziò a dire. 

 

“Scusami.” iniziai io titubante. “Avrei dovuto dirti che partivo, avrei dovuto dirti che tra venti fottuti giorni devo andare via, probabilmente adesso mi odierai, e forse non avresti mai voluto iniziare a conoscermi e probabilmente hai ragione. Perché andiamo…chi inizia una relazione con un soldato? E’ da folli, non avrebbe sen-mmhp”,il mio flusso di parole fu interrotto da due labbra soffici che si posarono sulle mie, con forza. E mi lasciai ricadere all’indietro, sul letto, trascinandolo con me, travolto dal suo calore. Passò le sue mani ai lati del mio viso, intrappolando alcune ciocche dei miei capelli tra le sue dita. io poggiai una mano sul suo fianco, tenendolo stretto a me e una mano sulla sua nuca, facendo una leggere pressione e approfondendo il bacio, e le nostre lingue si scontrarono. C’era calore, e rabbia in quel bacio. Era il modo di dirgli che non volevo lasciarlo qui, ma che sarei stato costretto a farlo. 

 

“Dovresti imparare a tenere a freno la lingua, soldato”, soffiò Louis contro il mio viso. Fui investito dal suo profumo, sapeva di menta, sapeva di fresco. 

 

“Sicuro che vuoi che lo faccia?”, ribattei io. Scoppiammo a ridere entrambi. 

 

“In effetti no.”, ammise. “Sono arrabbiato con te perché non me lo hai detto prima, è vero. Ma non pensare che io ti odi, o che non vorrei mai averti conosciuto…perchè sei fuori strada. Totalmente. Dio…tu…mi piaci così tanto, Harry.”, soffiò, ancora completamente steso su di me. 

 

“Anche tu mi piaci, Lou. E non te l’ho detto….perchè…avrebbe reso tutto più vero. reale.”, ammisi. Louis annuì, dandomi ragione. 

 

“Harry”, sussurrò Louis, “voglio stare con te stanotte”, aggiunse poi. “Lou”, soffiai “non devi, se non…” fui bloccato, di nuovo, dalle sue labbra. “voglio fare l’amore con te, Haz.” sussurrò e io cedetti. 

Forse era sbagliato legarci ancora più di quanto già non lo fossimo, perché separarci sarebbe stato ancora peggio. Sbagliato perché non avrei fatto altro che pensare a lui, una volta partito. Sbagliato perché avrebbe sofferto anche lui, ed era l’ultima cosa che volevo. Ma quel momento, fu così…giusto. Sentivo di essere nel posto in cui volevo essere, tra le sue braccia. Era giusto sentire le sue mani che mi spogliavano lentamente, che sfioravano ogni centimetro della mia pelle lasciando scie infuocate; era giusto sentire il calore delle sue labbra che percorrevano, baciando e mordendo, ogni parte del mio corpo lasciando segni indelebili su di me, e dentro di me. Era giusto sentire il suo cuore che accelerava i suoi battiti ogni volta che lo sfioravo, ogni volta che lo sentivo soffiare il mio nome, ogni volta che entravo in lui. “Ti amo”, mi aveva soffiato all’orecchio, esausto, dopo aver raggiunto l’orgasmo. E “ti amo”, gli avevo sussurrato io, crollando su di lui. Era giusto, ma sbagliato. 

 

 

..And the hardest part was letting go, not taking part.. 

 

 

 

I giorni passarono in un battito di ciglia, e presto arrivò il giorno della mia partenza. Nei giorni antecedenti, io e Louis passano insieme tutto il tempo possibile. Passavo le mattine intere a vederlo destreggiarsi tra le onde, durante i suoi allenamenti. Lo vedevo scivolare, leggero sulle onde, e rideva, quando a causa di un’onda troppo forte, cadeva. Si rialzava, con il sorriso sulle labbra e ricominciava da capo, ancora più concentrato di prima. Louis non aveva paura di essere se stesso, ed era questa la cosa che amavo di più. Lui  passava pomeriggi interi al capanno a sentirmi parlare di musica o a sentirmi suonare. Mi ripeteva, sempre, ‘mi piace vederti suonare…sei felice. Felice davvero. Sei al tuo posto’. E io sorridevo, felice, perché aveva imparato a conoscermi, in battito di ciglia, Louis. Il giorno della partenza non fu facile. Non fu facile salutare Gemma e Anne, per l’ennesima volta. Non fu facile salutare Louis. Lo strinsi a me, incapace di lasciarlo andare e inspirai il suo profumo, cercando di imprimermelo addosso, e portarlo con me. “Promettimi che tornerai”, sussurrò Louis ancora stretto nel mio abbraccio. “Ci proverò, Lou”, dissi. “Te lo prometto”, aggiunsi.

 

“Ti aspetto soldato, ti aspetto sempre”, soffiò Louis al mio orecchio sciogliendo l’abbraccio. 

 

“Ti amo, campione”, risposi abbozzando un sorriso, e raggiunsi il gate per imbarcarmi sull’aereo. 

 

 

 

 

 

 

 

Londra, Settembre 2007

 

 

 

 

Se avessi dovuto decidere quale città odiavo di più, questa era decisamente Londra. A Settembre. Il clima era perennemente instabile, le piogge cadevano copiose ogni due giorni e il freddo e l’umidità erano una costante. Per un ragazzo abituato al caldo di Charleston, soggiornare a Londra, non era semplice. Per fortuna, quello per me era un soggiorno di soli due giorni. Avevano cancellato il volo di ritorno per Charleston a causa del tempo, per questo dovetti prendere una camera in albergo. Avvisai Gemma che sarei tornato con due giorni di ritardo, così rimasi nella mia stanza d’albergo, nonostante i miei compagni approfittarono dell’inaspettato soggiorno per visitare Londra. Rimasi nella mia stanza a fissare le piccole gocce d’acqua che si posavano leggere sul vetro della finestra e ripensai all’anno appena trascorso. Era stato un anno piuttosto..difficile. Non sentivo Louis da sette mesi ormai. Ricordavo ancora, parola dopo parola, la prima lettera che mi mandò, una settimana dopo la mia partenza. 

 

 

 

"Caro Harry, 

Pensavo che questo potesse essere un modo carino per tenerci in contatto, sai tenerci informati su quello che succede nelle nostre vite, nonostante non ci sia molto da dire su Charleston. Qui la vita è piuttosto noiosa, specialmente da quando sei andato via. 

Vorrei una distrazione; il surf ormai è quasi il mio lavoro, per cui non riesce a distrarmi più del dovuto. Vorrei che tu fossi qui con me. Vorrei che fossi tu la mia distrazione. Vorrei trovare un modo per non impazzire qui, senza te. Vorrei non avere la costante paura che ti possa succedere qualcosa, e che io non sia con te, per aiutarti. 

 

Voglio troppe cose vero? Beh, basterebbe che tu fossi qui, per far svanire le mi voglie, mi basti tu. 

 

Mi manchi, Haz. 

    E ti amo, soldato. 

tuo sempre, Louis."

 

 

 

 

 

Appena partito, avevamo iniziato a scambiarci delle lettere e la cosa era andata avanti per circa cinque mesi, finché, di colpo, le sue lettere cessarono. Non ne seppi mai il motivo. Le avevo conservate tutte, le sue lettere. Mi mancava sentirlo, anche se solo attraverso una stupida lettera. Mi mancava sapere come trascorreva le sue giornate, mi mancava leggere i suoi ‘ti amo’, i suoi ‘mi manchi’, e i suoi piccoli scarabocchi quando sbagliava a scrivere qualcosa. Mi mancava Louis, il mio Louis. 

 

 

Tornai a Charleston il 7 Settembre 2007. Mi venne a prendere Gemma, in aeroporto. Mi disse che Niall era rimasto a casa con Anne. E fui informato del fatto che avevano iniziato a frequentarsi, lui e Gemma. Non rimasi sorpreso, in fondo, me lo aspettavo; a Niall era sempre piaciuta la mia Gem. Non chiesi a Gemma di Louis, così come lei non lo chiese a me. Forse scorse qualcosa di diverso nei miei occhi, o forse sapeva qualcosa che io non sapevo, ma non appena arrivai a casa…andare da lui fu il mio primo pensiero. Non ci fu bisogno che andassi io da lui, però, perché la sera dopo il mio ritorno, lo incontrai e rimasi paralizzato alla visione. Louis camminava tranquillo, mano nella mano, con Zayn. Si sorridevano, felici. 

Quel sorriso, però, scomparve non appena Louis si accorse della mia presenza e mollò la presa dalla mano del moro. 

 

“Harry…”,sospirò Louis, immobile accanto a Zayn.

 

“No. Fate pure…non volevo…interrompervi”, dissi sarcastico. 

 

“Harry, non…”

 

“Non parlare. Non ti voglio ascoltare.”, dissi glaciale. Ed era vero, ero disgustato da ciò che avevo davanti. 

 

“Harry..non è colpa..”

 

“Tu? Hai avuto quel che volevi vero?”, dissi alzando la voce, rivolgendomi a Zayn. “Harry..”, cercò di richiamarmi Gemma, la mano sul mio braccio, come se volesse trattenermi.

 

“Harry..ma che diavolo…”

 

“Andiamo…non ti sei mai accorto che ti moriva dietro? Di quanto fosse geloso del rapporto che avevamo? Hai vinto..sei contento adesso?”,dissi, alzando la voce, guardandoli entrambi negli occhi. 

 

“Haz…ti prego..”

 

“Non chiamarmi così. Non ti permettere”, sibilai, alzando le braccia al cielo.

 

“Harry…possiamo parlare? ti prego, tu non..”

 

“No. Hai trovato la tua distrazione. Sii Felice.”, dissi, dandogli le spalle e andando via. Non mi curai di Louis che cercava di chiamarmi, di Gemma che cercava di fermarmi, non mi curai di nessuno. Corsi, a perdi fiato, finché non arrivai al mio capanno. L’unico posto in cui volevo essere in quel momento, l’unico posto in cui potevo essere me stesso. 

 

Mi rinchiusi lì per giorni interi. E pensai.

Louis era la ragione per cui ero tornato dal campo, e se la ragione per cui ero tornato non c’era più, che senso aveva restare? Che senso aveva restare lì e vederlo felice con qualcun altro? Che senso aveva continuare a guardare mentre mi distruggeva? Decisi che sarei ripartito subito per il campo. Così ad una settimana dal mio arrivo a Charleston, decisi di ripartire. 

 

La sera prima della mia partenza, il 15 settembre, ero nel mio capanno, sistemavo le ultime cose nel borsone prima della mia partenza, quando qualcuno bussò alla porta. Andai ad aprire titubante e trovai Louis davanti a me. 

 

“Posso….entrare?”,chiese titubante. “Perchè mai? Perché sei qui? Sono le undici di sera.. Non hai un fidanzato da cui andare?”, sbottai velenoso e pieno di rabbia. 


“Non sono qui per questo, devo parlarti.”, disse serio. 

Mi scostai, permettendogli di entrare. “Allora?”

 

“Ho parlato con tua sorella”, si limitò a dire e io capii. “Dice che non è il momento adatto per te per tornare sul campo di battaglia.” 

 

“Quindi? Ti ha mandato qui per convincermi a non partire? Dovrebbe sapere che tu sei quello che meno di tutti potrebbe convincermi.”, sussurrò. 

 

“Lo so. Ma mi illudo di poterlo fare e ci provo lo stesso.”, disse guardandomi negli occhi. 

 

“Non funzionerà”, dissi sfidandolo con lo sguardo. “Resta”, ribatté lui, facendo un passo verso di me.

 

“No..non ho motivi per farlo.”, sbottai. “Non è vero. Hai Gemma, Anne, Niall, Liam….e me.”disse. “Resta” la sua voce uscì in un sussurro, che a mala pena riuscii ad udire. 

 

“No, ti sbagli. Tu non ci sei più. Avresti potuto ma hai deciso di non esserci.”,sibilai velenoso. 

 

 

..These nights never seem to go to plan..

 

 

“Tu non…Harry…”, abbassò lo sguardo, colpevole. 

 

“Perchè?” dissi, “Perchè cosa?”, rispose lui. 

 

“Perchè non mi hai più risposto alle lettere?”, dissi, freddo. “Uhm…non…io non ce la facevo Harry”, rispose balbettando. 

 

“Stavi già con….lui?”, mi limitai a dire. Non riuscivo nemmeno più a pronunciare il suo nome. “Sei mai stato sincero con me, Louis?”, aggiunsi poi. 

 

“Cosa?!”, annaspò colto di sorpresa. “Certo che si, dio Harry…come puoi pensare che…”

 

“Non sono io quello che si è messo con un altro senza nemmeno degnarsi di dirmelo.”

 

“Come avrei dovuto dirtelo, Harry? Come? Con una stupida lettera?”, disse coprendosi poi la bocca realizzando quello che aveva appena detto. 

 

“Io ho aspettato una tua stupida”, dissi calcando su quell’aggettivo. “..lettera..per sette mesi Louis. Sette mesi.”, sussurrai. 

 

“Harry..io..non..”, iniziò a dire ma non riuscii a fermare il flusso delle mie parole così continuai a parlare. 

 

“Aspettavo ogni giorno che arrivasse qualcuno con una tua maledetta risposta. Aspettavo di aprire la tua lettera e sapere che eri lì, che mi amavi e che ti mancavo tanto quanto tu mancavi a me. Io ho aspettato Te, Louis. Per sette mesi. Ogni maledetto giorno, in quell’inferno.”, conclusi alzando lo sguardo su di lui. Era rimasto fermo, per tutto il tempo del mio discorso. L’unica variazione che notai era il luccichio che era comparso nei suoi occhi. Poi iniziò a parlare. 

 

“Hai idea di cosa sia passare ogni giorno con la consapevolezza che non ci sei. Che tutto quello che potevo fare era aspettare. L’unica cosa a cui potevo aggrapparmi era un foglio di carta. Era tutto quello che di te mi rimaneva. In questo paese, in cui ogni angolo mi ricordava qualcosa di te, qualcosa di noi. Puoi solo immaginare come mi sia sentito? Ero solo Harry, ero solo….avevo paura di commettere una cazzata e Zayn era lì. Era lì al momento giusto. No, forse al momento sbagliato. Ma c’era. E Dio…non potrei mai amarlo quanto ho amato, amo e amerò te. Lo so io, lo sai tu e lo sa anche lui.”, disse concludendo il suo discorso e facendo due passi verso di me. 

 

 

I don’t want you to leave will you hold my hand?

 

 

“Resta qui Harry”, disse Louis in un sussurro, avvicinandosi ancora di più a me. Riuscii a sentire il suo profumo, fresco, di nuovo. “Ti prego”, soffiò ancora, sempre più vicino. “Permettimi di amarti, ancora.”, aggiunse a pochi millimetri dalle mie labbra. Abbassai lo sguardo, permettendo ai nostri occhi di incrociarsi. “Resta con me”, soffiò ancora al mio orecchio. Forse fu quello il momento in cui crollai. La mia mente aveva fatto il possibile per ricordarmi cosa era giusto e cosa non lo fosse, ma il mio cuore aveva avuto la meglio. Così avvolsi le mie braccia intorno a lui, tirandomelo addosso e feci scontrare le nostre labbra. Con rabbia, con disperazione, con desiderio e con amore. Tutto quello che in quell’ anno mi aveva riempito il cuore, lo stavo riversando in quel bacio. Louis si aggrappò ai miei capelli e facendo forza sulle sue gambe, mi spinse sul piccolo divano del capanno, finendo a cavalcioni su di me. Mi aggrappai con disperazione, quasi, alle sue spalle e feci pressione sulle sue labbra per approfondire il bacio, e Louis si lasciò trasportare come me da quel tunnel di emozioni. 

 

 

won’t you stay with me? ‘Cause you’re all I need

 

 

“Mi sei mancato così tanto, Haz”, piagnucolò sulla mia spalla, lasciando un piccolo bacio. “Anche tu, Lou”, risposi iniziando a spogliarlo freneticamente. “Ogni giorno, ogni minuto, ogni istante”, sussurrai. I nostri vestiti finirono sparsi sul pavimento nel giro di qualche secondo. Presi a accarezzare e baciare ogni centimetro della sua pelle, che mi era mancata così tanto. Mi lasciai guidare dalle mie emozioni, dal suo profumo che mi aveva avvolto completamente, stordendomi. Louis fece lo stesso, baciò, accarezzò e morse ogni millimetro di pelle che gli era disponibile. “E’ difficile amarti, soldato”, soffiò con il respiro mozzato quando entrai in lui. “Ma non smetterò mai di farlo”, aggiunse quando spinsi per la seconda volta. “Ti amo, Louis”, sussurrai in risposta. Ci fu una serie di sospiri, gemiti e ‘ti amo’ soffiati l’uno all’altro, fin quando non raggiungemmo l’apice, insieme. 

 

Why am I so emotional? No, it’s not a good look need some self control

and deep down, I know this never works but you can lay with me so it doesn’t hurt..

 

“Sei il mio cuore, soldato”, soffiò Louis sul mio collo prima di lasciare un piccolo bacio, e addormentarsi rannicchiato contro il mio corpo, avvolto dalla mie braccia. Sussultai a quelle parole. Mi innamorai di nuovo. Mi innamorai di nuovo di Louis, quella sera. Non gli promisi nulla, mi limitai ad annuire in certo quando mi chiese se sarei rimasto a Charleston, perché sapevo che la mattina dopo sarei partito, così come avevo deciso. Le promesse non erano fatte per i soldati. Un soldato non può mantenerle. Per questo, gli dissi una piccola bugia. Bianca e candida, come il suo sorriso. L’ultima. 

 

 

 

 

Partire quella mattina non fu semplice, ma ci riuscii e tornai sul campo di battaglia. Gli lasciai un piccolo biglietto sul cuscino: 

 

 

"Probabilmente non capirai la mia scelta, ma sappiamo entrambi che è la cosa giusta da fare. Almeno per ora. 

 

Ti perdono perché ho scelto di stare con te per tutto ciò che di buono hai fatto e mi hai dato, e non di abbandonarti per un errore. 

Ti amo, campione. 

Aspettami, perché io lo faccio.. 

Tuo,  per sempre , Haz. "

 

 

 

 

 

Passarono due settimane, e con esse arrivò la fine di Settembre. Era un periodo difficile, quello, per la nostra squadra. Gli scontri aumentarono a dismisura e la possibilità di un assalto cresceva ogni giorno di più. Quel giorno eravamo di guardia io e John, il sottotenente . Faceva freddo quella mattina, così ci eravamo rintanati nella tenda, proprio accanto al camion delle provviste. Eravamo ognuno assorto nei proprio pensieri quando ci fu uno scoppio. E poi un altro, e un altro ancora. Prendemmo le armi e ci avvicinammo con cautela all’ingresso della tenda. John fu il primo a fare un passo verso l’esterno, quando si assicurò che la via fosse libera da pericoli, uscii anche io. Fu allora che accadde. Uno scoppio, più forte degli altri, probabilmente perché più vicino, ci sbalzò per aria. Non seppi nemmeno dove atterrai a causa dell’esplosione. Ricordai solo che non riuscivo a muovermi per il dolore, iniziò a nevicare e piccoli fiocchi si posarono su di me. Ne vidi uno, più grande degli altri, poggiarsi sul mio naso. Era bianco, candido. Pensai a Louis, al suo sorriso. 

 

E poi il buio. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dallas, Gennaio 2008

 

 

 

 

Bip Bip Bip 

 

 

Sentivo un rumore assordante, nella mente ma non riuscii a capire di cosa si trattasse. Per questo cercai di aprire gli occhi e guardarmi intorno. Fui accecato dalla luce proveniente dalla finestra, che illuminava l’intera stanza, dalle pareti bianche. Spostai lo sguardo verso destra e notai mia sorella Gemma, addormentata su una piccola poltrona. Accanto a lei, un ragazzo, anche lui addormentato. Era minuto, ma bello. Aveva dei capelli color caramello, lunghi, ma non troppo e dei lineamenti che sembravano disegnati. Cercai di sistemarmi meglio sul letto su cui ero costretto, ma una fitta mi colpì e fui costretto ad emettere un lamento, che svegliò entrambi. 

 

“Harry!”, esclamarono contemporaneamente. “Sei sveglio!”

 

“Come ti senti?”, disse Gemma abbracciandomi delicatamente. 

 

“uhm…frastornato.”

 

“E’ normale…sei stato in coma per quattro mesi circa”, disse quel ragazzo. Lo guardai meglio, mi soffermai a guardare i suoi occhi. Erano azzurri, color oceano. Sembrava stanco e sofferente. 

 

“uhm…tu chi sei?”, in quel preciso istante l’azzurro dei suoi occhi diventò ghiaccio. Freddo, di quelli che ti lacera il cuore. Ma dalla reazione che ebbe, sembrò che il cuore glielo avessi appena lacerato io. Si scambiarono uno sguardo lui e Gemma, poi mia sorella iniziò a parlare. 

 

“Haz, tesoro…non ti ricordi di Louis?”, sussurrò delicatamente accarezzandomi i capelli. Scossi la testa. “Chi sei?”, gli chiesi cercando di rassicurarlo. “Uhm…nessuno. Siamo…amici, si…siamo amici.”, sussurrò Louis e Gemma lo guardò, sembrava sbalordita. 

 

“Louis, puoi venire un attimo con me?”, gli chiese poi. Lui annuì. “Torniamo subito fratellino.”, disse Gemma e così uscirono dalla stanza. Li sentii parlare fuori dalla stanza, ma non capii quello che si stavano dicendo. Poi udii delle frasi, più chiare delle altre. 

 

ma perché gli hai detto che siete amici, Lou? Siete tutto tranne che quello, cavolo!!! “, sbottò mia sorella e io inarcai un sopracciglio. 

 

Perchè si è appena svegliato Gem, cosa dovrei dirgli? Che stavamo insieme? Che poi ci siamo lasciati e che la notte prima che partisse prima dell’incidente siamo stati insieme di nuovo?”, esclamò Louis alzando la voce. 

 

Io e Louis stavamo insieme? Io ero innamorato di lui? Perché non ricordavo nulla? Andai nel panico, al pensiero che potevo aver dimenticato una parte della mia vita. Udii di nuovo il rumore fastidioso delle macchine a cui ero legato. Questa volta il rumore si fece più intenso e frequente. Entrò un’infermiera dopo pochi secondi, mi iniettò qualcosa di molto simile ad un calmante forse e mi addormentai di nuovo, sotto lo sguardo di quegli occhi azzurrini. 

 

Mi svegliai quattro ore dopo, e trovai Gemma e Louis ancora lì. 

 

“Hai sentito quello che ci siamo detti, vero?”, chiese Louis cauto. Io annuii. “Non volevo che lo scoprissi così. Non deve essere stato semplice”, aggiunse. 

 

“Non deve essere stato semplice nemmeno per te”, sussurrai. “La persona con cui stavi insieme, si è svegliata e non si ricorda più di te.”, aggiunsi. 

 

“Era un pò più complicato di così ma si, non è stato facile”, ammise accennando un sorriso. 

 

“Vorrei sentire la storia.”, dissi. “Quale storia?”, chiese lui. “La nostra storia”, risposi abbassando lo sguardo. 

 

“Oh.”, disse. “Io credo che dovremmo aspettare un po’, vediamo cosa dicono i dottori, va bene?”, disse passando una mano tra i miei capelli. Era un estraneo per me, ma quel gesto mi sembrò familiare.

 

“Harry Styles, giusto?”, disse quello che doveva essere un dottore, entrando nella stanza. Io annuii. “Allora, come ti senti?”, chiese avvicinandosi a me. “Uhm…bene. Un po’…stordito, ecco.”,risposi. “Beh, è tutto normale. E’ successo qualcosa di strano da quando ti sei svegliato?”, chiese poi. Immediatamente, lanciai uno sguardo a Louis, il quale iniziò a parlare. “Beh..una cosa si, in effetti.”, iniziò a dire. “non si ricorda più di me”, disse Louis. “Una perdita di memoria, nei casi come i suoi, è molto frequente. Solitamente si tratta di perdite temporanee di memoria. Per cui vi consiglio di passare del tempo assieme, portalo nei posti in cui avete passato momenti importanti o in cui siete stati particolarmente bene.”, disse il dottore. Louis annuì. Io mi limitai a rimanere in silenzio. “Quando potrò essere dimesso?”, chiesi poi. “Beh direi che dovresti fare solo dei piccoli accertamenti e tra un paio di giorni puoi uscire di qui”, disse accennando un sorriso. Questa volta sia io che Louis, annuimmo. 

 

 

 

E due giorni dopo, uscii dall’ospedale e tornammo a Charleston. Trovai Niall e Anne, ad aspettarci quando tornammo a casa. Mi sistemai nella mia stanza e Gemma mi obbligò a rimanere a letto. Fu Louis a portarmi la cena quella sera, bussò lentamente alla porta della mia stanza, poi entrò e lasciò il vassoio con la cena sulle mie gambe, e quando fece per uscire lo bloccai dal polso. 

 

“Louis.”, dissi. “Si?”, rispose lui. 

 

“Puoi restare qui? Mi sento un po’..solo, sai..”, ammisi. Lui annuì e si sedette ai piedi del mio letto. 

 

La cena fu piuttosto silenziosa, dividemmo il mio piatto vista la poca fame di cui ero dotato in quei giorni. Poi, una domanda colpì la mia mente, e diedi voce ai miei pensieri. 

“Louis…pensi che posso sentire quella storia adesso?”

 

“Penso…credo di si, si.”, ammise lui abbassando lo sguardo. 

 

“Allora, uhm…ci siamo conosciuti…un anno fa. Proprio qui, a Charleston. Tu eri appena rientrato perché eri in congedo estivo. Ci incontrammo una mattina, in spiaggia. Era in corso una gara di surf e io ero lì per esercitarmi, non che stessi partecipando eh. Ero lì con la mia tavola, sono inciampato e sono caduto, e tu devi avermi visto da lontano perché ti sei avvicinato e mi hai dato una mano con la caviglia infortunata.”,si fermò un attimo e accennò un sorriso. “Poi ci siamo rivisti a metà Giugno, ad un falò. Tu eri con Niall, Liam e i tuoi amici, io ti ho visto e ti ho chiesto di fare una passeggiata e così sei venuto con me. Poi….ha iniziato a piovere e mi hai portato al tuo capanno, il capanno fuori dal mondo, come dici sempre tu”, il suo sorriso si aprì leggermente. “e lì abbiamo parlato, parecchio, e poi..beh…ti ho baciato. E tu, hai ricambiato. E da allora abbiamo iniziato a conoscerci meglio e frequentarci. E intorno ai primi di Agosto, abbiamo litigato. Una vera e propria discussione. Perché tu non mi avevi detto che a fine estate saresti ripartito e io…beh non l’ho presa bene. “

 

“Oh..uhm…scusami”

 

“Non ti preoccupare, ti sei scusato abbastanza”, disse sorridendo. “E poi?” chiese Harry incuriosito. 

 

“Poi abbiamo finito per fare l’amore, per la prima volta. Proprio qui, in questa stanza” disse abbassando lo sguardo. “Oh”, mi limitai a direi io. 

 

“Già”, sussurrò. “E poi l’estate è volata, tra baci, giornate in spiaggia, pomeriggi al capanno e il tuo letto”, disse accennando una smorfia. “E poi sei partito.”, disse rabbuiandosi. 

 

“E cosa è successo?”, chiesi. “Uhm, all’inizio ci siamo scambiati molte lettere, i primi mesi…poi…io…ho smesso di scriverti…” ammise. “Perché?”, chiesi. 

 

“Un anno dopo la tua partenza, tu sei tornato qui, a Charleston….e beh…..mi hai trovato con…Zayn.”, dissi. “Chi è Zayn? Quindi mi hai tradito?”chiesi rabbuiandomi anche io. 

 

“Zayn è il mio migliore amico e si, ti ho tradito.”, ammise. “Perché lo hai fatto?”chiesi. 

 

“Perché ero solo Harry, e ti amavo, ti amo così tanto che stare senza di te mi ha fatto impazzire. Ero solo, debole e Zayn c’era.”

 

“Ti ho perdonato?”

 

“Si lo hai fatto. La sera prima che partissi di nuovo, prima dell’incidente. Ricordo esattamente quello che mi scrissi nel biglietto che mi lasciasti la mattina dopo. Mi hai detto che mi perdonavi perché  avevi scelto di stare con me per ciò che di buono avevo fatto e non di lasciarmi per un singolo errore. In quel momento….credo di aver capito davvero quanto tu mi amassi…e quanto io non meritassi il tuo amore.”, disse Louis asciugandosi una piccola lacrima che gli rigava il volto. 

 

“Non volevo farti piangere”, dissi “E’ stata colpa mia in principio, no?”, disse accennando un sorriso, gli occhi ancora rossi. Gli sorrisi, annuendo. 

 

 

 

 

 

Passarono due mesi da allora. Due mesi in cui, nonostante mi sforzassi con tutto me stesso, la memoria non accennava a tornare. Volevo ricordare Louis, volevo ricordare la nostra storia, il nostro amore. Per quanto mi sforzassi, non ci riuscivo. Louis cercava di aiutarmi, per quanto poteva, ed era paziente. Veniva ogni pomeriggio al capanno e parlavamo per ore e ore, io andavo a guardarlo surfare il sabato e la domenica mattina. Eravamo al capanno, quel pomeriggio quando Louis iniziò a parlare. 

 

“Perché non resti qui?”, disse improvvisamente. 

 

“Io sono qui, Lou”, dissi non capendo il senso del suo discorso. 

 

“Intendo, perché non resti qui…sempre. Hai il capanno, hai la musica…perchè non…dedicarti alla tua vera passione? Perché non iniziare ad essere te stesso?”, disse e allora capii il senso del discorso. 

 

“Non si può smettere di essere un soldato da un giorno all’altro, Louis.”

 

“Si che si può. Lo so io, e lo sai anche tu. Quel ‘Harry’ non sei tu. Inizia ad essere te stesso, inizia ad essere l’Harry di cui mi sono innamorato.”, disse. 

 

“Tu vuoi solo che io smetta di essere l’Harry che si è dimenticato di te.”

 

“Questo può essere un modo di vedere le cose.”, ammise. “Ma io voglio che tu sia felice, Harry. E con la musica, so che lo sei.”, disse avvicinandosi a me. Mi fece avvicinare al pianoforte, prese una mano tra le mie e la poggiò sui tasti bianchi e neri. “Non ti piacerebbe insegnare ai bambini di Charleston a suonare il pianoforte? Non ti piacerebbe trasmettere la tua passione per la musica a qualcuno?”, disse. Annuii. 

 

“Allora fallo, Harry. Sii te stesso. Inizia a vivere la vita che avresti sempre voluto vivere.”, disse facendo incontrare i nostri occhi. Rimasi incantato a fissarli, erano azzurri, limpidi, brillavano. Era bello, Louis. Una bellezza naturale, pura…quelle bellezze che ti tolgono il fiato. Forse avevo dimenticato il modo in cui lo amavo prima, ma avrei potuto imparare a farlo di nuovo. Sembrava così semplice, amare Louis. Così giusto. Avvicinai il suo viso al mio e lo baciai. Louis sospirò mettendo entrambe le mani sui miei fianchi e sorrisi in quel bacio, immaginando per quanto tempo, probabilmente, Louis aveva aspettato questo momento. 

 

“Harry”, sospirò “mi è mancato così tanto averti così vicino.”, sussurrò Louis. Gli sorrisi, dolcemente e unii di nuovo le nostre labbra, questa volta con più forza. Si aggrappò ai miei capelli, tirandoli leggermente per avvicinarmi a lui. E io lo feci, unii i nostri corpi ancora di più, facendolo sospirare di nuovo. 

 

 

 

 

 

Dopo quel bacio, passò un mese. Dopo un falò in spiaggia, in quel capanno, finimmo per fare l’amore. Presi di nuovo familiarità con il corpo di Louis, cercando di ricordare alla mia mente e al mio cuore cosa significasse amarlo. Era la prima volta, per il nuovo me, con Louis ma la familiarità e la dolcezza dei tocchi, delle carezze e dei suoi baci mi convinsero che non ci fosse cosa più giusta che stare con lui. “Ti amo…..campione”, sussurrai con il fiato corto. Vidi spuntare un sorriso sul suo volto, e i suoi occhi sorridevano con lui, luminosi. Come mai prima d’ora. “Sei la mia vita, Haz”, mi rispose nascondendo il viso nel mio petto e lasciando un bacio, umido e delicato, all’altezza del mio cuore. Mi addormentai con Louis, tra le mie braccia, e un sorriso sul volto.  

 

Alla fine, vinse lui. Non tornai sul campo di battaglia. Rimasi a Charleston. Con Gemma, Anne, Louis e i miei amici. Iniziai a vivere della mia passione, di musica. Iniziai a dare lezioni di Pianoforte, proprio lì, nel mio capanno. Poi divenni insegnante di musica nella scuola di Charleston. Louis mi aveva insegnato a non avere paura di essere me stesso, a inseguire le mie passioni, i miei sogni. 

Probabilmente non avrei mai recuperato completamente la memoria, ma mi innamorai di nuovo di Louis, dei suoi baci sul collo appena sveglia la mattina, del suo strano senso dell’umorismo, della sua estrema incapacità in cucina, del suo vizio di girare per casa semi nudo, del suo animo buono e gentile. Mi innamorai di nuovo di lui, dei suoi occhi, del suo sorriso e del suo amore.

 

Amare Louis era stato come inciampare in un falò. Ero caduto, innamorandomi di lui, mi ero avvicinato a quella fiamma. Ne avevo visto il colore, arancione vivo, caldo; la luce, in ogni sua sfaccettatura, rimanendo abbagliato da essa. Ne avevo sentito il suo calore, facendomi avvolgere da esso. 

 

Ed ero rimasto scottato. La ferita sarebbe rimasta lì, probabilmente si sarebbe rimarginata e  avrebbe lasciato il segno, ma io sarei riuscito andare avanti. 

 

Louis aveva fatto questo. Aveva lasciato il segno su di me, sulla mia pelle. E, nonostante le ferite, andare avanti senza di lui, sarebbe stato impossibile.







* -precisazione: il testo introduttivo iniziale è tratto dal film 'La memoria del cuore', che se non avete visto, vi consiglio. 

-Le piccole frasi di canzoni che trovate nel testo sono 
     -Photograph dei Nickelback
      - Stay with me di Sam Smith 

   
 
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