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Autore: Frytty    06/08/2008    2 recensioni
Tu ci pensi mai alla morte, Sam?
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Black Abyss

< Tu ci pensi mai alla morte, Sam? >
Ricordo che eravamo distesi sull'erba, su quella collina troppo alta da dove si aveva accesso a tutta la città.
Gli davo le spalle e torturavo con le dita una margherita.
Ignorai la domanda.
Si godeva il sole con le braccia dietro la testa, gli occhi chiusi e una margheritina che gli spuntava dalle labbra.
Torturava lo stelo verde con i denti. Ci giocava.
< Qualche volta. Perché me lo chiedi? >
Mi ero girata a pancia in su a fronteggiare il sole e gli avevo rivolto un'occhiata spiccia e di sottecchi.
< Io ci penso sempre. Voglio dire, non che ne sia ossessionato, ma ci penso spesso. > Sorridevo, come se in realtà non mi rendessi conto di quello che stava dicendo.
< Ti spaventa? > Gli chiesi girandomi verso di lui.
Lui voltò solo la testa nella mia direzione.
< Sai, quando ero piccolo avevo un cane, Cody. In realtà non era proprio mio. Era un randagio ma gli portavo da mangiare quando riuscivo ad eludere la sorveglianza dell'istitutrice. Credo gli piacesse giocare con me. Zoppicava ed era cieco da un occhio ma i primi tempi credo di aver creduto avessi trovato un amico.
Io gli davo da mangiare e lui guaiva soddisfatto.
Poi un giorno scomparve. Non lo vidi più. All'inizio pensai l'avessero portato in un canile poi la convinzione che fosse morto cominciò a prevalere in me. Credo che iniziai così a pensare alla morte. >
< Ti spaventa? > Gli richiesi paziente.
< Non lo so. Non voglio morire da solo. >
Gli sorrisi e gli accarezzai i capelli disordinati.
Per essere un ragazzo cresciuto senza affetto ne sapeva donare molto, anche con un semplice sguardo, con un semplice sorriso.

Eravamo amici, ed io gli volevo bene.

Se ci ripenso, gli occhi mi diventano lucidi e la gola brucia perché trattengo le lacrime.
Ma non sono abbastanza brava a nascondere le mie emozioni.

< Che cazzo sono queste Billy? >

La sua camera non era mai stata così familiare per me.
Un rifugio.
Un luogo dove nascondersi.
Pensare di poter chiudere la porta e isolarsi dal resto del mondo che ci circondava.
Respirare un'insolita aria di libertà.

< Pillole, cosa vuoi che siano? >
< Lo vedo anch'io che sono pillole Billy. Cosa cazzo credi di risolvere con queste? >

Avevo urlato.
Era il mio migliore amico.
Non avrei mai lasciato che morisse così.

< Non hai il diritto di venire qui e dirmi cosa fare! Non sei mia madre! >

Si era alzato e mi aveva strappato il contenitore arancione dalle mani.

< Ma ti voglio bene, Billy! >

Stavo per piangere.
Ingoiare le lacrime non era più così facile.

< Oh, certo, mi vuoi bene! E allora perché non capisci che sto meglio con queste? Perché volete tutti farmi credere che il dolore prima o poi passi, quando è solo una grande stronzata? Credete di sapere tutto, voi. La verità è che non sapete un cazzo, tu non sai un cazzo di me! >

Mi aveva spinta con lo sguardo contro la finestra.
Ed io ero indietreggiata.
Non riconoscevo i suoi occhi.
Tutto di lui mi sembrava stranamente estraneo.

Aveva lanciato il contenitore delle pillole lontano e queste si erano sparse per la stanza, sul suo letto, sul parquet liscio, sulla scrivania ordinata.
Era uscito sbattendo la porta, lasciandomi sola e spaventata.
Le gambe mi tremavano.
Avevo freddo e i brividi mi percorrevano la schiena.
Le lacrime tracciavano solchi salati lungo le mie guance.

Ero scivolata in silenzio lungo il muro, raccogliendo le braccia al petto e dondolandomi avanti e indietro.
I singhiozzi mi scuotevano le spalle.
Ma non me ne curavo.
La convinzione di averlo perso per sempre si faceva largo in me, anestetizzando i sensi, amplificando il rumore dei battiti del mio cuore nelle orecchie, lo scorrere veloce del sangue nelle vene.

Aveva ragione. Non sapevo niente di lui.
Avevo creduto di conoscerlo.
Avevo cercato di imparare.
Avevo cercato di capire.
Forse non ci ero riuscita.

Cosa potevo saperne in fondo di un'infanzia distrutta da due genitori alcolisti?
Cosa potevo saperne di un' infanzia solitaria tra le mura di un centro per orfani?
Cosa potevo saperne delle lacrime che bagnavano il cuscino mentre gli altri dormivano?
Cosa potevo saperne delle prese in giro, degli scherzi cattivi, degli sguardi compassionevoli di persone che non ti conoscevano abbastanza?
Cosa potevo saperne io, cresciuta in città, coccolata e viziata dai miei genitori?

Aveva ragione.
Non capivo e mai ci sarei riuscita.
Gli occhi mi caddero su quella vecchia foto che teneva sulla scrivania.
La cornice dal sapore vagamente estivo, con la sabbia e le conchiglie.
Mi asciugai le lacrime con la manica della felpa e sorrisi.
Un sorriso amaro nel rivedere i nostri sorrisi, i nostri volti felici, le nostre mani intrecciate.

Fa male ricordare.

Avevo abbandonato quella stanza, trascinandomi dietro la mia tristezza e il mio senso di colpa e quella foto ancora tra le mani.
Billy non era tornato a casa quella sera.
Ed io non ero riuscita a dormire.
Piangevo con la foto stretta al mio fianco quasi potesse scappare via.
La casa era diventata mano a mano sempre più silenziosa finché tutte le luci furono spente.
Guardai la sveglia sul comodino quando il telefono suonò. Strinsi gli occhi e li riaprii solo per scoprire che i contorni degli oggetti mi apparivano sfocati dal velo di acqua e sale che non volevo riconoscere.
Singhiozzai prima di iniziare a contare gli squilli del telefono.

Uno... due... tre... quattro...

Nessuno aveva ancora risposto.
Poi con un fruscio della vestaglia avevo sentito mia madre sbadigliare prima di raggiungere il telefono in corridoio.
< Pronto? > C'era stata una pausa. < Oh, capisco. Glie lo dirò, grazie. >
Cosa c'era da dire ancora?
Avrei tanto voluto urlare, pestare i piedi e rompere tutto quello che di fragile si trovava intorno a me.

Avrei voluto rompere me stessa.

Avevo chiuso gli occhi cercando di nascondere le lacrime quando mia madre era entrata nella stanza facendo cigolare appena la porta.
Si era seduta sul mio letto, accanto a me e mi aveva accarezzato la frangetta sulla fronte.
Sapevo che stava sorridendo.
Quel suo sorriso triste e comprensivo.
Avrei davvero voluto far finta di dormire, o di essere invisibile.
Ma non ce l'ho fatta. Il mio pianto assomigliava più ad un urlo di dolore quando mi gettai tra le sue braccia.
Mia madre mi cullava e piangeva.
Piangeva perché gli aveva voluto bene anche lei.
Urlai che era colpa mia, solo colpa mia se adesso era morto.
E a poco servirono le sue parole di conforto.

Ho ancora davanti agli occhi il viso di Billy ormai freddo, in quella camera asettica dell'ospedale.
Sono morta quella sera con lui, sono morta quella sera quando l'ho visto disteso su quel tavolo di metallo coperto solo da un lenzuolo bianco.
I suoi occhi erano spenti, chiusi e non c'era la sua voce a dirmi che sarebbe andato tutto bene, non c'era e non ci sarebbe mai più stata.
Mi sono accasciata contro la parete.
Le lacrime mi offuscavano la vista.
Ho passato tutta la notte lì, a piangere rintanata nel guscio che mi ero creata con il mio corpo, raggomitolata su me stessa, con la forza necessaria forse solo perché qualcuno entrasse e mi dicesse che era finita anche per me.
Invece la stanza era silenziosa e fredda e fuori pioveva.
Le gocce facevano rumore quando sbattevano sulla finestra aperta e poi sul davanzale di marmo lavorato.
Fissavo il viso di Billy impassibile.
La mia mano tremava così tanto che mi chiedo come feci ad accarezzarlo.
Era così freddo... e il sangue ormai si era rappreso sul lenzuolo immacolato.

Fa freddo qui. Fuori dalla chiesa.
Le campane rintoccano le sei di un pomeriggio nuvoloso e umido.
Novembre.
Le prime gocce di pioggia bagnano il legno scuro della bara.
I miei occhi non hanno più lacrime di cui disfarsi, ma bruciano, fanno male.
Sembra tutto a metà.
Separato, diviso, staccato.
Anche io sono a metà.
Anche il mio cuore lo è.
Le cicatrici che lo solcano sono troppo profonde, le ferite troppo recenti sanguinano ancora e non credo che smetteranno mai.
Prendo posto sulla panca insieme a mia madre.
Stringo tra le mani una rosa.
Conserva ancora le spine.
Pizzicano.
Feriscono.
Fanno male.
Erano i suoi fiori preferiti.
La guardo.
E' bellissima.
Rossa.

< È proprio quando si crede che sia tutto finito, che tutto comincia. >

Il prete inizia così la sua Messa d'addio.

Ma lui non lo conosceva.

...Where did I go wrong, I lost a friend Somewhere along in the bitterness...

Note finali: Grazie ai The Fray per avermi ispirato questa storia e per le parole bellissime di "How to save a life" di cui sono riportate alla fine di questa breve One-shot.

Che ne dite, mi fate sapere cosa ne pensate?? ^^

   
 
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