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Autore: ElenCelebrindal    04/06/2014    2 recensioni
Questa è la storia della vita di Legolas. Da quando era un bambino fino alla sua partenza per le Terre Immortali. Bambino, ragazzo e adulto, tutto quello che ha passato assieme a suo padre Thranduil, le sue amicizie e i suoi scontri, tutto riunito in questa fan fiction.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Legolas, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LE PRIME BATTAGLIE

Il pensiero del padre attraversò solo per un attimo la mente dl principe, solo per pochi istanti Legolas rifletté sulle ripercussioni che disobbedire nuovamente agli ordini di Thranduil gli avrebbe portato, prima di avviarsi lungo il ponte a passi lunghi, dapprima lenti, poi sempre più veloci.
Sentì la voce di Elros alle sue spalle: “Cund Legolas! Mani naa le umien? Manke naa le autien?” (Principe Legolas! Cosa stai facendo? Dove stai andando?).
Inizialmente pensò di ignorare l’elfo che gridava alle sue spalle, ma infine si fermò, solo per dire: “Holo in ennyn”, prima di riavviarsi e sparire tra gli alberi, seguendo le tracce di Tauriel come gli era stato insegnato molto tempo prima, quando ancora era un giovane elfo.
Scoprì che l’elfa aveva cominciato a camminare tra gli alberi, ma poi aveva deviato una volta a distanza di sicurezza dalla città nella foresta e si era diretta al fiume, seguendone il corso.
Legolas cercò di tenersi il più possibile nascosto, nel caso suo padre avesse scoperto subito la sua fuga, ma riuscì a mantenere un’andatura rapida, che gli permise di raggiungere il punto in cui il fiume diveniva molto più largo in poco tempo, meno di quanto ne impiegava di solito.
In quella zona si trovava un’ampia zona priva di alberi e con poca vegetazione, che dava un punto di osservazione sopraelevato.
Legolas, scorgendo un improvviso movimento, impugnò l’arco, incoccò una freccia e tese la corda, solo per vedere Tauriel che faceva lo stesso contro di lui.
L’elfa abbassò lentamente l’arco: “Ingannen le Orch” (Pensavo fossi un Orco), disse, rimettendo la freccia che aveva estratto nella faretra al fianco.
Anche Legolas depose le armi: “Ci Orchi m, dangen le” (Se fossi stato un Orco, saresti morta), ribatté, avvicinandosi.
“Non puoi dare la caccia a trenta Orchi da sola”, disse a Tauriel, che si era voltata.
L’elfa tornò a guardare lui e accennò un mezzo sorriso: “Ma io non sono da sola”, replicò.
Anche Legolas sorrise: “Sapevi che sarei venuto”.
Ma poi il principe tornò serio e si avvicinò di più a Tauriel, che aveva ripreso a scrutare in lontananza il lago: “Il re è arrabbiato, Tauriel. Per seicento anni mio padre ti ha protetta. Favorita. Hai disobbedito ai suoi ordini, hai tradito la sua fiducia”, disse, pur sapendo che lui aveva fatto lo stesso e che parlava solo immaginando la reazione che suo padre avrebbe avuto nello scoprire che entrambi si trovavano fuori.
Tuttavia, quando Tauriel si voltò, continuò a guardarla negli occhi e disse: “Dandolo na nîn. Le goenatha” (Torna indietro con me. Egli ti perdonerà), sperando che la sua risposta sarebbe stata affermativa.
Ma non fu così: “Ú-‘oenathon. Cí dadwenithon, ú-‘oenathon im” (Io non perdonerò. Se ritornerò indietro, non mi perdonerò).
Distolse lo sguardo dal principe e fece pochi passi avanti, tornando a osservare il lago che si stendeva placido in lontananza: “Il re non ha mai lasciato vagare gli Orchi per le nostre terre, ma questo branco può varcare i nostri confini e uccidere i prigionieri”.
Legolas scosse la testa: “Non è la nostra battaglia”, affermò, deciso.
Tauriel lo guardò di nuovo: “È la nostra battaglia. E non finirà qui. Con ogni vittoria questo male si rafforzerà. Se tuo padre farà a modo suo noi non faremo niente. Ci nasconderemo tra le nostre mura. Vivremo una vita lontana dalla luce, e lasceremo che l’oscurità cali. Non siamo parte di questo mondo?”.
Il principe non sapeva più cosa pensare: Tauriel aveva detto delle cose veritiere, aveva ragione.
Ma non parlò, e così Tauriel gli fece l’ultima domanda: “Dimmi, mellon, quando abbiamo lasciato che il male fosse più forte di noi? Quando abbiamo lasciato che il male ci sopraffacesse?”.
Allora Legolas volse lo sguardo al di là della foresta, riflettendo.
E disse: “Non abbiamo mai lasciato al male la possibilità di vincere. Mai, nemmeno quando la speranza stava per morire. Non accadrà ora, non lascerò che la luce del nostro mondo scompaia solo perché sono stato un codardo, qualcuno che invece di affrontare i veri problemi fugge. Forse mio padre non me lo perdonerà mai, forse non mi vorrà più dopo avergli fatto un torto simile, ma hai ragione. Hai ragione, e io sono con te, Tauriel”.
Sorrise, ma una piccola parte di lui avrebbe voluto rintanarsi sola in qualche luogo buio e solitario, perché Tauriel l’aveva chiamato mellon, amico.
A quel punto, Legolas capì che davvero lei non ricambiava ciò che provava, e che lo vedeva solamente come un amico, probabilmente il migliore, ma sempre un amico.
Anche quando Thranduil gli aveva rivelato la verità, che non era amato da lei, aveva continuato a sperare.
Ma il principe, rammentando un’ultima volta le parole del padre, non poté far altro che mettersi il cuore in pace, mentre cominciava a seguire Tauriel lungo la pista lasciata dagli Orchi.
Quando arrivarono in riva al lago, Legolas mise il piede su qualcosa, e si chinò a controllare cosa fosse: era una pipa, in legno e ferro, intagliata con decori geometrici e spigolosi.
La prese in mano, intuendo subito che si trattava di una pipa appartenente ad uno dei Nani: “Tauriel! Tolo hi”(Vieni qui), esclamò.
L’elfa fu in pochi secondi al suo fianco, e il principe disse: “Sono passati di qua. Ma come abbiano fatto a traversare il lago, non lo so. Hai qualche idea?”, domandò.
Tauriel inizialmente scosse la testa, ma poi la sollevò e fece spaziare lo sguardo sulla superficie del lago: “Forse. Attraversando il lago si arriva a Esgaroth, e qui sono arrivati anche i nostri barili. Se non sono qui, vuol dire che sono stati trasportati alla Città del Lago. Credo che i Nani siano riusciti a convincere il chiattaiolo a portarli fino a Pontelagolungo, non può esserci altra spiegazione. È impossibile attraversare il lago a nuoto, e dubito che abbiano deciso di fare il giro”.
Anche Legolas osservò la distesa di acqua, poi si allontanò da Tauriel: “Qui vicino dovrebbero esserci alcune delle nostre imbarcazioni. Aspettami qui, ne recupero una e ritorno”.
La risposta affermativa di Tauriel gli arrivò alle orecchie solo quando si era già allontanato tra gli alberi, costeggiando il fiume per ritrovare la piccola ansa dove erano state poste tre piccole barche, nel caso qualcuno avesse avuto bisogno di recarsi a Esgaroth o comunque di attraversare il lago in fretta.
La trovò in pochi minuti e salì su di una imbarcazione, sciogliendo la sottile corda che le impediva di andare alla deriva e dirigendosi nuovamente al lago.
Tauriel saltò su, facendo ondeggiare paurosamente la barca, ma quella non diede il minimo segno di volersi ribaltare.
Ognuno dei due elfi afferrò un remo e cominciò a pagaiare, e l’imbarcazione cominciò a scivolare su quella calma distesa di acqua, che si faceva mano a mano più gelida, fin quando sulla sua superficie non cominciarono ad affiorare, come piccole isole, enormi blocchi di ghiaccio, tra i quali Legolas e Tauriel dovettero stare molto attenti, per non rischiare di andare a sbattere: “Siamo quasi arrivati, solo vicino a Pontelagolungo l’aria è così fredda”, disse il principe, a beneficio dell’elfa che non aveva mai visto quei luoghi.
La piccola città lacustre fu presto in vista, e i due elfi furono fermati ai cancelli.
“Fermi, voi! fatevi riconoscere”, esclamò l’uomo che evidentemente era di guardia, avvicinandosi per vederli meglio.
Tauriel lanciò uno sguardo a Legolas, che prese la parola: “Proveniamo dal Reame Boscoso. Lei è Tauriel, Capitano della Guardia elfica del regno, e io sono Legolas”.
L’uomo sgranò gli occhi: “Il principe Legolas? Il figlio di re Thranduil?”, domandò.
“Si, sono io. A gradirei che non pronunciasti il mio nome a voce così alta. Preferirei non farmi riconoscere, se riesco”, replicò il principe.
“Oh, mi scusi”, disse l’uomo, inchinandosi leggermente, prima di dire: “Passate pure. Non sia mai che lasci fuori il principe del regno che commercia con noi”.
Quando la barca oltrepassò il cancello, Legolas disse, a bassa voce: “Avrei preferito non udire l’ultima frase”.
Ormeggiarono l’imbarcazione in un posto pressoché deserto: “Sta calando la sera. Dobbiamo sbrigarci”, disse Tauriel, rimettendo piede a terra e dando un’occhiata in giro.
Legolas la imitò, poi fece scattare lo sguardo sopra uno dei tetti: “Tauriel, vieni”, disse, prima di salire i pioli di una scala e ritrovarsi agilmente sul tetto di una casa, aguzzando la vista per osservare più lontano.
“Cosa hai visto?”.
Tauriel lo aveva affiancato e ora puntava lo sguardo nella stessa direzione del principe, che rispose: “Ci sono orchi, qui. Devono aver seguito i Nani fino in città”.
Passando di tetto in tetto, seguirono le rapide ombre che si dirigevano verso una casa non molto lontana dal punto in cui avevano ormeggiato la barca.
Si fermarono quando li persero di vista, ma un urlo li raggiunse poco dopo: “Quella casa laggiù!”, esclamò Tauriel, prima di correre in quella direzione, lasciando al principe la sola scelta di seguirla, armi alla mano.
La casa che gli Orchi stavano attaccando non era migliore delle altre, e l’ingresso si trovava sopra una rampa di scale, percorsa in quel momento da tre di quelle creature.
Tauriel impugnò l’arco e scoccò una freccia, uccidendo il più vicino alla porta, poi afferrò i due coltelli che portava alla cintura e scese dal tetto, uccidendo con un solo fendente un altro orco, che tentava di uscire.
Il principe non la fermò e, quando il tetto venne sfondato dall’interno e vide cosa stava succedendo dentro casa, incoccò una freccia e saltò giù, atterrando su un tavolo e uccidendo un orco che minacciava una bambina.
Sguainò i lunghi coltelli e abbatté tutti quelli rimasti, sorprendendosi poco quando si accorse della presenza di Nani in quella casa.
Quando i nemici furono tutti morti, Legolas andò alla porta e, notando che molti altri stavano scappando, si voltò verso l’interno: “Tauriel, andiamo”, disse.
Ma lei faceva saettare lo sguardo da lui al giovane Nano con cui l’aveva vista parlare nelle segrete, quello che era stato avvelenato.
Non disse altro, si limitò a lanciarle un’occhiata densa di significato, prima di uscire.
Gli orchi comparivano all'’improvviso, ma il principe non si fece cogliere impreparato e li uccise tutti, uno ad uno finché, in una delle vie secondarie, non ne vide uno molto più grosso e potenzialmente più pericoloso.
La sua mano corse immediatamente alla cintura, dove stava appesa Orcrist, la spada che Thorin portava con sé.
Era una spada elfica, dopotutto, e così Legolas l’aveva presa.
[flashback]
Appena poche ore dopo che il nano Thorin venne rinchiuso nelle segrete, Legolas tornò dal padre, intenzionato a chiedergli una cosa, che riguardava l’antica spada elfica che il mancato Re sotto la Montagna portava con sé.
“Adar? Aníron peded” (Desidero parlarti).
Thranduil si alzò dal trono e scese i pochi scalini, mettendo poi una mano sulla spalla del figlio: “Naa rashwe?” (C’è qualche problema?).
Legolas scosse la testa: “Law, adar”.
Il re aggrottò le sopracciglia: “Mani uma le merna, iôn nîn?” (Cosa vuoi, figlio mio?), domandò.
“Im aníron ista pân am tan crist” (Desidero sapere qualcosa su quella spada).
“Mankoi le irma sint?” (Cosa desideri sapere?), chiese di nuovo Thranduil, leggermente confuso.
Legolas ripeté: “Im aníron ista pân am tan crist”.
Poi, accorgendosi dell’errore fatto, aggiunse: “Orcrist. I crist tîn. Thorin crist” (La sua spada. La spada di Thorin).
“Henion. Havo dad, Legolas” (Ho capito. Siediti, Legolas).
Re e principe, che quasi senza accorgersene si erano messi a camminare ed erano giunti ad una delle piccole stanze dove a volte ci si riuniva per chiacchierare in compagnia, si sedettero entrambi, e Legolas portò subito la sua attenzione sul padre.
Quello sospirò e chiese: “Perché vorresti sapere questo? Come mai questo improvviso interesse? Conosci già da dove proviene e chi l’ha forgiata, mi chiedo il motivo per cui vorresti saperne di più”.
“Sapere solamente da dove proviene e conoscere la stirpe dei fabbri che l’ha forgiata non mi sembra abbastanza. Comprendi molto bene come amo i racconti dei tempi antichi, e così, forse, potrei riavvicinarmi a quegli avvenimenti. Non conosco nemmeno chi fosse il possessore di quella lama, né se si trattasse di un elfo davvero valoroso e famoso”.
Thranduil sorrise: “Il nome del suo precedente possessore non credo suonerà nuovo alle tue orecchie, ché colui che impugnava la Fendi-Orchi in battaglia era nientemeno che Ecthelion della Fonte, colui che comandava il Casato della Fonte della potente Gondolin. Orcrist fu forgiata per lui molto tempo addietro la Caduta di Gondolin,e sempre la portava al fianco, anche se nessuna minaccia era incombente. La spada andò persa dopo la Caduta e se ne persero completamente le tracce, almeno fino ad ora. Ora, che è giunta fino a noi nelle mani di un Nano, un essere indegno di stringere nel pugno un simbolo di quella magnificenza ormai perduta, un artefatto così antico e appartenuto ad un così nobile guerriero. Come molte delle lame forgiate nei tempi antichi, questa si illumina di azzurro all'’approssimarsi di orchi. Ho soddisfatto il tuo desiderio, adesso?”.
Legolas sorrise: “Si, adar”, ma poi aggiunse: “Anzi, forse no. Vorrei chiederti un’ultima cosa”.
Un cenno della mano del re lo spinse a continuare, quando di fermò: “Potresti dirmi dove è conservata, ora? Vorrei dare un’occhiata più da vicino a Orcrist, non mi è stato concesso prima, a causa della fretta”.
Thranduil strinse lievemente gli occhi, ma rispose con calma: “Si trova nella stanza adiacente a quella dove conserviamo alcuni dei nostri tesori più preziosi. Parla con le guardie che controllano quel corridoio, gli unici che non fanno avvicinare sono i non autorizzati dal re o dal principe”.
“Hannon le, adar!”, esclamò allora Legolas, abbracciando di slancio suo padre.
Quando si rese conto dell’impulsivo gesto, fece per allontanarsi per la presenza di altri elfi, ma Thranduil allungò le braccia e lo strinse a sé: “Figurati, galad nîn”, sussurrò.
Il principe non perse tempo a bighellonare per i corridoi del palazzo, ma si diresse immediatamente dove il padre gli aveva detto che avrebbe trovato Orcrist.
La rimirò per molto tempo, osservandone la splendida fattura e la maestria con cui era stata forgiata dagli abili fabbri Noldor, ma non gli venne mai in mente di provare a rubarla.
Fino a quel giorno.
Percependo una sensazione strana, come se sentisse di doverlo fare, Legolas sgattaiolò di nuovo in quella stanza prima di eseguire gli ordini di suo padre di far chiudere tutte le porte, e si richiuse la porta alle spalle.
La spada era ancora lì, posata su di un morbido cuscino scuro, il fodero e la lunga cinta di cuoio azzurro di fianco a essa.
Nella sua mente balenò l’immagine di Ecthelion come l’aveva vista nelle illustrazioni dei libri, con Orcrist al fianco e il portamento fiero, e non indugiò nemmeno un istante prima di posare le mani su quella splendida lama e percorrerla con lo sguardo.
 Si disse che non avrebbe dovuto farlo, che si sarebbe messo nei guai, ma relegò quella voce contraria in un angolo buio e remoto della mente e, legatosi il fodero alla cintola con la lunga cinta blu, inguainò la spada e attese il cambio delle guardie, che sarebbe avvenuto di lì a poco.
Quando fu certo che il corridoio fosse deserto, riaprì la porta e, senza farsi notare, percorse in fretta il lungo corridoio, dimenticando però di richiudere la stanza a chiave.
[fine flashback]
 
La sguainò con un rapido movimento e si mise in posizione d’attacco, avvicinandosi lentamente al nemico.
Quello lo guardava senza batter ciglio, ma l’elfo aveva udito i passi di altre di quelle creature, perciò fu pronto, quando lo attaccarono ai lati, e li uccise senza sforzo.
Poi si avventò sull’orco più grosso, che si rivelò, come previsto, un avversario ben più difficile da battere di semplici orchi.
Ad un certo punto il principe si ritrovò disarmato, e la creatura lo strinse tra le braccia, cercando di mozzargli il respiro, ma Legolas riuscì ad afferrare un suo coltello dalle guaine dietro la schiena e si liberò, ribaltando le posizioni e facendo sbattere la testa dell’orco contro uno dei pali di sostegno, con l’intento di stordirlo.
Quando cercò di attaccarlo di nuovo, però, altri due orchi lo assalirono alle spalle e dovette difendersi.
Quando furono solo due cadaveri a terra, l’orco era già andato via, e Legolas lo vide cavalcare alla volta della Montagna in groppa ad un mannaro.
Appoggiò la schiena ad un muro per riprendere fiato, sentendo qualcosa scorrergli sul viso.
Aggrottò le sopracciglia e portò una mano al volto, tastandosi il naso. Quando ritrasse le dita, quelle erano coperte dal suo sangue.
Nessuno, prima di allora, si era permesso di ferirlo, e questo lo fece quasi infuriare, ma non quanto lo scoprire che Tauriel non solo non l’aveva seguito, ma probabilmente aveva preferito un misero Nano senza dimora a lui, un principe figlio dell’ultimo re elfico della Terra di Mezzo.
Decise di lasciarla indietro, se era quello che voleva; raccolse Orcrist da terra e, notando un cavallo che se ne stava legato ad un palo, si diresse verso l’animale.
Pensò che non doveva farlo, dopotutto il cavallo non era suo, ma lo slegò comunque e, dopo aver dato un’occhiata alla casa, decise che i proprietari non dovevano passarsela troppo male.
Montò in groppa e spronò l’animale a galoppare, mettendosi sulla via dell’orco e dirigendosi alla Montagna.
 

“Perché non lo hai fermato?”.
Thranduil era furioso, camminava avanti e indietro davanti al suo trono, le mani strette convulsamente sullo scettro di quercia cercando di controllare la rabbia.
Elros, di fronte a lui, sembrava trattenersi dal tremare di paura.
Quando rispose, la sua voce era bassa, timorosa: “Io… ti giuro, re Thranduil, ho tentato, ma non ha voluto ascoltarmi. Ho provato a convincerlo a non andarsene”.
“Perché-non-lo-hai-fermato?!”.
L’elfo abbassò la testa all'’improvviso scatto di rabbia del re, e la sua mente corse a non molto prima, quando Legolas era andato via.
 
[flashback]
“Principe, che cosa hai intenzione di fare?”.
Legolas sembrava riflettere sul modo migliore per seguire Tauriel, e rispose: “Credo che tu conosca la risposta. Vado da Tauriel”.
“Cund nîn, metterai a repentaglio la tua vita. Non farlo per un tale motivo. È il Capitano, sa combattere. Non vorrai far adirare tuo padre?”.
Il principe sembrò ignorarlo, perché fece alcuni passi avanti, ritrovandosi sul ponte.
“Vado da lei perché sta seguendo degli Orchi e cerca di rintracciare i prigionieri. Mio padre… capirà. Deve comprendere”.
“Non farlo, dammi ascolto. Legolas!”.
Ma il figlio del re si era già avviato, e ad Elros non rimase altro da fare che chiudere i portali e andare a riferire l’accaduto al re.
[fine flashback]
 
“Non voglio scuse!”, disse Thranduil, perdendo definitivamente la pazienza e alzando la voce.
“Non voglio scuse da te, guardia. Se ora mio figlio si trova in pericolo, la colpa è solamente tua!”.
Elros indietreggiò, intimorito dalla collera del re, ma non osò proferire parola né fare altri movimenti, nemmeno quando Thranduil gettò via il suo scettro e si portò ad un soffio da lui: “Se entro il calar della sera di domani Legolas non sarà qui, osa immaginare le conseguenze che la tua incompetenza e la tua incapacità di eseguire i miei ordini porteranno su di te. Và a cercarlo! E non farti seguire. Nessuno a parte te lascia il mio regno!”.
Lo spinse via con una mano e lo vide allontanarsi di corsa, osservandolo con sguardo duro e inflessibile.
Le guardie cominciarono a mormorare: “Dína!” (silenzio!), ordinò secco il re.
Quando il silenzio fu di nuovo assoluto, Thranduil tornò a sedersi sul suo trono, torcendosi preoccupato le mani e pensando a quanto fosse stato avventato suo figlio, specialmente per seguire un Capitano che osava contravvenire agli ordini diretti del proprio re.
Legolas non era mai stato troppo impulsivo, e Thranduil temeva per la sia vita: un grande guerriero poteva sempre restare ucciso, lo sapeva molto bene.
Decise che, se la sera successiva Legolas non sarebbe ricomparso, sarebbe andato di persona a cercarlo.
A cercarlo e, dopo averlo abbracciato, a punirlo per la sua avventatezza: inoltre, avrebbe fatto capire a Tauriel cosa accadeva se si infrangevano le severe regole del suo regno.
Un improvviso pensiero si fece strada nella sua mente: e se…
Thranduil scattò in piedi e, lasciando basiti gli elfi che costituivano la sua guardia personale, corse via, giù per le scale, percorrendo i pochi corridoi che l’avrebbero condotto alle sale inferiori, le sale dove venivano custoditi i suoi tesori.
Le guardie incaricate di sorvegliare il luogo erano ancora lì, ma il re non badò a loro: sapeva quanto fosse abile Legolas nello scivolare via indisturbato, quando voleva, e ricordava molto bene il suo periodo come Capitano, periodo in cui aveva imparato tutti i cambi dei turni di guardia e ogni orario e momento propizio.
“Aran Thranduil…”, lo salutò chinando la testa una di loro, ma il re quasi ignorò il saluto e infilò il corridoio, dirigendosi alle ultime porte.
Quando si ritrovò davanti alla penultima, allungò una mano e la posò sulla maniglia, sperando che si abbassasse ma che la porta non si aprisse.
Vana speranza: la porta si aprì all'’istante, quasi senza che il re avesse bisogno di spingerla.
Thranduil entrò, immaginando già quale sarebbe stata l’unica cosa mancante all'’interno, e la sua congettura non si rivelò un errore: Orcrist era sparita, e il re sapeva che era stato Legolas a prenderla.
Fece alcuni respiri profondi per tentare di calmare la rabbia che ancora una volta sentiva invaderlo come un fiume in piena, impossibile da arginare se non con delle barriere che sembravano sempre troppo deboli e sempre più facili da distruggere, ma ottenne solamente di irritarsi maggiormente.
Uscì, sbattendosi la porta alle spalle, e cercò di non prendersela con le guardie: dopotutto, non era colpa loro se suo figlio era riuscito a svignarsela con Orcrist al fianco.
Tornò alla sala del trono, impiegando la metà del tempo dell’andata, e si risedette sul suo seggio, ritrovandosi a sperare che Elros ritornasse solo.
Così sarebbe stato lui a cercare quello sconsiderato di suo figlio, che tanto amava infrangere le regole che gli venivano imposte, e sarebbe stato lui a dirgli di non tornare mai più in quel regno, se il suo intento era di continuare a comportarsi in quel modo.
Non l’avrebbe riportato con la forza a casa sua, no.
L’avrebbe lasciato fuori, dove tanto desiderava restare.

Angolo dell'autrice

Vi chiedo scusa in ginocchio per l'enorme, schifosissimo ritardo (eh si, anche gli elfi perdono il controllo a volte), ma la mia cara, bellissima, insopportabile scuola non mi ha lasciato tregua grazie a interrogazioni, compiti e tutto ciò che ne consegue (e ne conseguirà). Però fra poco sarò totalmente, incodizionatamente, elficamente libera!! Yeeeee!!! E non ci sarà di nuovo questo enorme lasso di tempo a separare un nuovo capitolo da questo. Non posso dire altro, a parte invitarvi a recensire (sarei felice di ricevere qualche commento, anche due paroline come "ritardataria cronica" vanno benissimo per me). Bene, ora vi lascio, ma non prima di aver ringraziato con tutto il cuore i carissimi (o le carissime?) che hanno recensito il precedente capitolo. Un bacio enorme!

Meneg suilad, mellon nîn. Al prossimo incontro dalla vostra elfa ritardataria


Hannon le

ElenCelebrindal
 
   
 
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