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Autore: Ignis_eye    04/06/2014    1 recensioni
Dal racconto:
L’unico modo per poter riposare in pace per l’eternità sarebbe vendicarmi assassinandolo, ma ci ha già pensato il cupo mietitore a portarlo nell’oltretomba. Così io resto qua, sola e fin troppo consapevole del tempo che passo inutilmente a cercarlo.
Genere: Horror, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I miei passi risuonano sotto il portico deserto, rompendo il silenzio di questa notte così buia che pare inghiotta pure la luce dei lampioni.
Per non parlare del freddo: è così pungente che potrebbe insinuarsi sotto la pelle come una nube di aghi piccolissimi, arrivando fino alle ossa e tramutandole in ghiaccio. Quasi mi dispiace di non poterlo sentire,il freddo.
Procedo a passi lenti e cadenzati, incurante della mia destinazione. Tanto, l’unico posto in cui vorrei veramente andare mi è precluso.
Girando l’angolo e uscendo dal porticato, mi insinuo in una via secondaria molto stretta. Per fortuna sono un fantasma, altrimenti il mio bel vestito strascicherebbe sul lastricato umido.
La notte in cui venni uccisa era proprio identica a questa, stesso posto stessa ora. Da ben tre secoli vago nelle stanze del mio castello e tra le vie vicine, cercando invano chi mi ha tolto la vita.
È passato tanto di quel tempo… non troverò mai la pace, ormai ci ho rinunciato.
Per quanto io mi ostini a cercare quell’uomo in ogni stanza, per ogni corridoio, lungo ogni strada, l’unico effetto che ottengo è quello di spaventare a morte quei pochi coraggiosi che si avventurano nel mio castello dopo il calar del sole.
L’unico modo per poter riposare in pace per l’eternità sarebbe vendicarmi assassinandolo, ma ci ha già pensato il cupo mietitore a portarlo nell’oltretomba. Così io resto qua, sola e fin troppo consapevole del tempo che passo inutilmente a cercarlo.
Il mio corpo evanescente segue le mura di questi palazzi antichi e mi porta nella piazza della fontana. La luna decide di far capolino dalle nubi che prima oscuravano la sua luce perlacea.
Lascio che il suo fascio argenteo si stenda su di me, attraversando il mio corpo immateriale che non è altro che l’illusione di un corpo vero; è come se la mia anima attirasse a sé una nuvola o una nube di fumo, rendendosi visibile anche a chi è ancora vivo.
Stendo la mano per toccare l’acqua della fontana, muovo un dito sulla sua superficie creando cerchi concentrici che vanno ad allargasi man mano che si allontanano dal centro.
Contemplo la mia immagine riflessa.
Ero davvero bella e nobile. Forse è per questo che la mia vita ha avuto una così breve durata, ero troppo preziosa per qualcuno.
 E che indegna fine…
Mi immergo completamente nei ricordi della mia vita da viva: le feste, i balli, le cene, gli svaghi, le urla… le urla?
Riapro i miei occhi incorporei. Ho davvero sentito un grido d’aiuto?
Sì, eccone un altro. Proviene dal vicoletto da cui sono appena uscita.
Mi smaterializzo, abbandono le mie spoglie vaporose e sono subito in quella stradina sporca e insignificante.
Ci sono una ragazza molto giovane e un uomo.
Lui la strattona per un braccio, lei piange e chiede aiuto ma lui le tappa la bocca.
                                                                                                                                                               
«Venite con me, fate la brava…» mi dice uno sconosciuto, tentando di tenermi buona.
«No, lasciami!». Mi dimeno ma lui è più forte di me.
 
Ancora questi ricordi… quanto fanno male…
La povera ragazza viene presa a schiaffi e soffoca gli urli per non riceverne altri.
 
«Dovete seguirmi!».
«No, lasciami! Se continuerai oltre, mio padre ti farà impiccare!» urlo sperando che le minacce lo spaventino.
 
«Lasciami andare!» urla la giovane «Lasciami!».
 
Uno, due, tre schiaffi raggiungono il mio viso fino a farmi sanguinare il labbro inferiore.
Bruciano tremendamente,  più per l’umiliazione che per il reale dolore. Gli tiro un calcio negli stinchi e prendo altre botte.
 
«Stai zitta! Adesso vieni con me…».
La afferra per l’avambraccio e la riempie di sberle mentre la tira malamente.
Lei piange, urla, scalpita, ma è inutile.
 
«Piccola puttanella! Smettila di muoverti!» ringhia mentre mi picchia.
La pallida luna di questa notte illumina il la sua faccia irsuta, i suoi occhi spalancati e il suo ghigno malvagio.
«Ricatterò tuo padre e se non mi darà i soldi, ti ammazzerò!»mi urla a una spanna dal viso, alitandomi in faccia il suo puzzo d’alcool.
Piango, ho paura.
«Un bifolco come te non avrà mai nulla da mio padre! I suoi uomini ti troveranno e ti impiccheranno in piazza!».
So quanto mio padre mi voglia bene, sono la sua unica figlia: non lascerebbe mai impunito il mio rapitore.
Mi afferra per i lunghi capelli biondi e mi tira un pugno in testa, ma è un pugno di troppo.
 
Mi materializzo alle spalle dell’uomo, mi rendo invisibile e mi metto davanti a lui: barba, occhi da pazzo, espressione malvagia, troppo alcool in corpo.
Le grida trattenute della ragazza sono strazianti più delle urla di dolore di mille donne.
È terrorizzata, non può chiedere aiuto sennò verrebbe picchiata ancora. Calde lacrime le rigano il viso accaldato per il pianto, le labbra tremano e un rivolo di sangue esce dal naso.
Viene continuamente strattonata e minacciata da quell’uomo che ad un certo punto tira fuori un coltello e glielo punta alla gola.
«Smettila di frignare, stronza!».
Appoggia la punta dell’arma al collo della donna ma questa non riesce a smettere di singhiozzare.
Lui esce completamente di testa e alza il braccio per accoltellarla, ma io lo blocco materializzando un’eterea mano biancastra.
Quanto lo odio… crede di poterla trattare come un oggetto…
La pelle che tocco si ustiona, lui cade in ginocchio urlando di dolore, la giovane indietreggia e si raggomitola accanto a un muro, guardando quello sconosciuto patire le pene dell’inferno.
Sento la carne che brucia, vedo il fumo dissolversi nell’aria gelida di gennaio.
Dentro di me sento un’agitazione straordinaria, una rabbia intensa come non ne ho mai provate prima; con i miei poteri da spirito potrei dilaniarlo, spezzargli le ossa una ad una, cavargli gli occhi con lieve tocco, soffocarlo con un soffio avvelenato…
No, con queste torture orrende e meritate, rovinerei anche questa povera spettatrice che ne ha già passate abbastanza stanotte. Non merita di passare nel terrore il resto dei suoi giorni.
Infilo l’altra mano sotto la pelle del collo dell’uomo senza danneggiarla minimamente, finché tocco la sua colonna vertebrale.
Ho fallito nella ricerca del mio assassino, non posso permettere che un’altra anima finisca come me.
Afferro la spina dorsale con la mano.
Non voglio che accada di nuovo.
La stringo.
No, adesso non fallirò.
Crack.
 
  
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