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Autore: Fireworks    04/06/2014    1 recensioni
Filippo è un trentasettenne apparentemente normale. Ogni Sabato fuma solo sul balcone di casa sua, ma un giorno conoscerà una persona che riuscirà a rivoluzionarlo completamente e fargli cambiare idea su quella che per lui è la sua vita.
Passate in tanti, non ve ne pentirete! :)
Fireworks-
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ora della sigaretta
“Noi che mascheriamo tutto
dietro un pianto per un lutto,
dietro una cravatta,
un po’ di trucco.”
Bassi Maestro
 
 
Filippo amava la puntualità. Amava l’ordine e le torte di mele. Amava la domenica mattina e la sveglia alle sette ogni giorno. Amava lo sport, amava le belle donne e il fair play. Amava tante cose, compresi i libri e semafori verdi. Faceva l‘impiegato, sottopagato, sfruttato, deriso, adocchiato e anche indicato. Aveva trentasette anni, l’età in cui non si è più trentenni e ci si comincia ad affacciare sul dirupo dei quaranta, dove gli anni rotolano via come biglie nel malato gioco di un bambino annoiato.
Filippo, però, amava più di ogni altra cosa le sue sigarette. Amava i suoi due pacchetti di Camel Blu da venti settimanali. E se durante la settimana ogni cosa aveva il suo orario, le sigarette le poteva fumare a ogni ora. Tranne che in ufficio.
Una volta alla settimana, di Sabato, quando sua moglie Francesca andava a fare il corso di due ore danze caraibiche e lui non lavorava, andava sul terrazzo di casa sua con in mano uno dei due pacchetti settimanali e l’accendino con il logo di Superman e fumava. Ogni tanto si portava dietro le cuffie e un lettore per ascoltare la musica. Ascoltava Chopin sognando d’essere il protagonista di un film. Fumava una, due, tre sigarette, finchè il pacchetto finiva e lui neanche se n’era accorto. Guardava l’orizzonte con quella nostalgia con cui si guarda la foto di un vecchio cane morto, che non ci puoi fare niente. Immaginava che oltre i palazzi ci fosse il mare e se solo avesse potuto estirpare le costruzioni che lo impedivano l’avrebbe visto e allora avrebbe sorriso mentre Chopin suonava la “Nocturne Op.9 n.2”. Sarebbe rimasto estasiato, credeva, solo in quel modo. Mentre pensava a tutto quello che nella vita ci sarebbe stato e che lui non avrebbe visto, questo “tutto” cominciò. Una signora anziana attraversava la strada, quando un ventenne non la investì per poco. Lei allungò la mano come a fermare la macchina. Il paraurti anteriore le sfiorò i polpacci e lei inchiodò i propri occhi in quelli del ragazzo, mentre i freni stridevano ancora. Lui sprofondò nel sedile della macchina, anche se non fisicamente. Avrebbe voluto scusarsi ma gli frullava solo un pensiero per la testa: “Ho quasi investito una persona”. Aprì la bocca, la richiuse. L’aprì di nuovo e questa volta emise una specie di gorgheggio, nulla di comprensibile. Erano passati circa dieci secondi da quando il paraurti aveva sfiorato la gamba della signora e le macchine dietro quella del ragazzo cominciarono a dare di clacson. Gli occhi della donna erano ancora fissi in quelli del ragazzo quando sorrise e chinò appena il capo, appoggiando per un attimo la mano sul cofano, per poi attraversare. Il ragazzo emerse dal suo stato di trance e si sentì di colpo pieno di vergogna per non aver saputo chiedere scusa, ma anche sollevato, per il perdono della donna. Continuò il suo tragitto, come se non fosse successo nulla.
 
 
“Ehi, lo sai che muoiono circa duecentomila persone all’anno per incidenti stradali in Europa?”
 
 
Filippo aveva assistito impotente a tutta la scena, con gli occhi sbarrati e la sigaretta a mezza strada per arrivare alla bocca. Aveva nelle cuffie Chopin a tutto volume come fosse musica da discoteca, ma udì una voce che gli parlava, parlava a lui, ne era quasi sicuro. Si guardò alle spalle, forse Francesca era tornata in anticipo, ma non vide niente e nessuno, tranne la sua cucina. Guardò alla sua sinistra e vide una donna, forse sui trenta. Aveva i capelli scuri e raccolti in cima alla testa. Aveva tratti del Sud, ed era oggettivamente molto bella. Stava stendendo i panni con delle mollette colorate. Gli sorrideva mentre stendeva una brutta maglia a righe da uomo.
“M’hai sentito?” Rise appena, mentre le guance le si coloravano un po’.
Filippo, che era appoggiato alla ringhiera del balcone si raddrizzò e prese una boccata dalla cicca, chinando appena il capo e scuotendo la testa.
“Scusami, avevo la musica nelle orecchie”. Si tolse le cuffie in un unico gesto. “Cosa volevi dirmi?” Non conosceva per niente quella donna, la vedeva ogni tanto sul pianerottolo, abitavano accanto. Era sposata con un uomo basso e calvo, decisamente più avanti con l’età di lei.
“Duecentomila persone all’anno.” Lo guardò “Intendo i morti per incidenti stradali” Fece un cenno con la testa verso la strada “l’ho sentito ad un documentario alla tele ieri sera. Non è terribile? Tra un po’ quella donna ci rimaneva secca e finiva tra i duecentomila.”
Filippo la guardò per un poco e poi annuì. “Terribile.” Non seppe cos’altro dire, e si sentiva un po’ a disagio, con quella donna che si era appoggiata alla ringhiera come lui poco prima, ma verso di lui. Filippo si sforzò di sorridere e allungò il braccio oltre la ringhiera, a coprire metà del metro che li divideva. Un metro di vuoto totale. “Beh, io sono Filippo. Abito qua accanto sai” Indicò alle sue spalle la cucina in disordine. Lei allungò la mano e strinse quella di lui. “Io sono Carmela”. Sorrise annuendo piano.
Filippo ritrasse la mano, per appoggiarla poi sulla ringhiera. Lanciò oltre il balcone la sigaretta di cui era rimasto solo il filtro e prese il pacchetto. Chiese a Carmela se ne volesse una e lei annuì. Gliela porse e le diede l’accendino. Un pensiero gli attraversò la mente: avrebbe fumato diciannove sigarette e non venti. Prese una cicca per sé e l’accese, prendendo una grande boccata.
“Insomma, te un tu sei proprio di qui, eh. Toscana intendo.” Esordì Filippo, in imbarazzo, pensando a quanto tempo fosse che non iniziava un discorso con una donna. Era molto arrugginito e dovette ammetterlo con sé stesso.
“No, sono di giù. Di Napoli. Mio marito è dovuto venire qua per lavoro, sai è poliziotto, ed io..”
“Te l’hai seguito.” Finì Filippo per lei.
“Già.. mi manca Napoli. Oltre a tutta alla mia famiglia e i miei amici lì per me è ciò che si può definire “casa” quindi, sai, mi devo ancora abituare.” Fece una pausa come per riflettere, portando la sigaretta alla bocca. “Ormai è un anno, sì.”
Filippo si stiracchiò. “Tu avrai constatato anche da sola che qui siamo tutti ospitali e ‘nsomma.. un ci si fa problemi, no?” Ridacchiò, pensando a quanti problemi si stesse facendo lui stesso a parlare con una donna che non fosse sua moglie. Carmela annuì e spense sulla ringhiera la sigaretta a metà.
“Oh, no. Non vi fate problemi qui.” Sorrise e finì di stendere una camicia bianca, mentre Filippo la guardava, contemplandola, mentre fumava e la sigaretta si consumava lentamente. La buttò e allungò la mano verso il pacchetto.
“Ti fa male, sai?” Gli disse Carmela, senza neanche guardarlo, intenta a decidere in che verso stendere un paio di slip. Filippo estrasse lentamente la sigaretta continuando a guardarla, e annuendo lentamente.
“Già, lo so. Ma devi sapere che mia moglie Francesca odia il fumo e posso fumare solo quando lei non c’è.” Si fermò, accorgendosi di non avere per nulla risposto alla sua affermazione. “Voglio dire, lei sa di un pacchetto alla settimana, ma venti sigaretta, dico, venti sigarette! E’ impossibile distribuirle in una sola settimana. Io non ne fumo sempre venti tutte insieme.” Si guardò la mano “E’ che non posso fare altrimenti” Aggiunse a mo’ di scusa. Lei si interruppe e gli guardò veramente per la prima volta gli occhi azzurri. Avevano il contorno molto scuro, e risaltavano con i capelli rossicci e scarruffati. Carmela sorrise e scosse poco il capo.
“Dai, Filì, lo so che non vuoi smettere. Chiedevo e basta” Chinò il capo da una parte e le scivolò una ciocca scura di capelli dall’acconciatura e lei la rimise al suo posto. Filippo aveva la cicca tra le labbra e sorrise. “No, non voglio, mi piace fumare” Si mise a ridere, senza una vero motivo. Usò la risata come arma di difesa, ci si nascose, ci spinse dietro a calci la parte di lui che urlava quanto fosse un fallito, senza speranza di un qualsiasi miglioramento. Quella parte urlava e implorava aiuto, per favore, aiuto, ma nessuno l’avrebbe sentito. Di quanto fosse una persona malata dentro, fuori, nell’animo e in ogni cellula se ne accorse in quel momento, grazie a quella risata, tirata fuori a forza dalla gola, che usciva come un latrato. Era consapevole del suo fallimento totale nella vita, ma si convinceva della sua non-esistenza, si crogiolava nel pensiero di una casa, una moglie, un cane, un lavoro, la musica, le sigarette e riempiva la sua esistenza di cose futili e pensieri futili, cose sbagliate e pensieri sbagliati. Nascondeva a sua moglie il suo vizio più grande. Era così debole da non sapersi controllare? Da non saper controllare ciò che lo circondava. Si immaginò i cardini, il cemento o qualunque altra cosa legasse quel cazzo di balcone alla sua casa crollare, come lui, come la sua esistenza, come il suo morale, come tutte le sue certezze. Si sentì nudo davanti a tutto il modo. Sette miliardi di persone che lo guardavano, alcune che ridevano, alcune che scuotevano il capo. In quel momento il suo mondo era Carmela, e lei lo guardava. Una sola risata lo fece abbassare ogni difesa e senza preavviso crollò sulle gambe e si prese la testa tra le mani, mentre Carmela assisteva allibita al suo improvviso crollo. Passò in un attimo dal riso al pianto. Alzò la testa verso di lei e cominciò a parlare. Un fiume di parole che straripava all’improvviso, per una serie di fatti che avevano determinato una certa reazione.
“Carmela sono un fallito. Non ho uno scopo nella vita. Non ho sogni, non ho ambizioni. Faccio un lavoro che non mi piace. Ho perso tutti i contatti con i miei genitori da sette anni, dopo una lite. Sono sposato con una donna che non mi fa respirare. Devo fumare di nascosto quando lei non c’è. E la verità è che io odio le torte di mele, odio svegliarmi presto la mattina, odio lo sport. E la verità è che ti ho sognata tanto volte, sai, ti vedevo e mi dicevo quanto fossi bella, e quanto dovesse essere felice tuo marito, poi lo visto e Dio mio, mi sono detto che meritavi di più, e sai, lo sai? Ho pensato a me stesso al tuo fianco e poi ho pensato che no, non mi avresti mai voluto e che no, non ti avrei mai potuto dare tutte le possibilità che sicuramente ti da tua marito e allora ho pensato che, cazzo, sono davvero un fallito. E dopo lo ai che ho fatto? Non lo sai vero?” Filippo si interruppe scuotendo il capo freneticamente Si rialzò lentamente e deglutì. Si prese tempo. Alzò lo sguardo vero di lei e cominciò ad annuire lievemente. “Mi sono acceso una sigaretta, già. Mi accorgo per un secondo di essere un fallito a quarant’anni e cosa faccio? Trovo una soluzione, un cambiamento? Nossignora, una cicca e via.” Abbassò lo sguardo, e si accorse di tutto quello che aveva detto. “Scusami, forse lo sai, abbiamo bisogno di uno sfogo ogni tanto no?” Abbozzò un sorriso. Carmela si sporse dalla ringhiera verso di lui egli tese la mano. Lui gliela prese e si strinsero la mano. Lei scosse il capo “Non ti dovresti sentire così, sai, la vita è ancora lunga, puoi cambiare tutto in ogni momento, devi solo avere la forza e il coraggio di vedere tutta la tua vita rivoluzionata e cambiata. Forse è quello che non hai mai avuto il coraggio di fare. E sai ci si accorge di essere davvero dei falliti alla fine della vita e tu, noi.. è presto, c’è tempo, basta cominciare subito.” Gli sorrise. Si sporse ancora un po’ e così fece lui. Lei gli accarezzò una guancia. “Tranquillo, anche io pensavo che non ti avrei mai conosciuto davvero e mi sembravi un tipo interessante.”
“Posso davvero cambiare?” Chiese lui in un soffio e lei annuì.
“Puoi, puoi farlo.”
 
Passarono tanti Sabati così, a parlare, a conoscersi davvero e l’ora della sigaretta di tramutò per Filippo nell’ora della sigaretta con Carmela. Tutto procedeva normalmente per l’intera settimana, ma per due ore, una volta alla settimana entrava in un altro mondo, nel mondo che si stava costruendo con lei. Quando si vedevano sul pianerottolo c’erano sorrisi imbarazzati e saluti scostanti, ma di Sabato si mostravano per quello che provavano reciprocamente davvero.
 
Era un Martedì, erano le undici e quarantadue. Carmela aveva in mano il sacchetto della spesa. Era uscita di casa per comprare lo stretto necessario. Stava per attraversare la strada ma non arrivò mai fino al marciapiede opposto. Una macchina piccola e rossa, che per sguardi esterni sarebbe sembrata innocua, la centrò in pieno. Saltarono in aria il latte, un sacchetto di pasta, degli spinaci e Carmela. Un impatto così violento da farla sbalzare in avanti di quattro metri, avrebbe detto un uomo barbuto, appena sceso dall’ambulanza, anche se ti ambulanza Carmela ormai non aveva più bisogno.
 
 
 
Duecentomila e uno. Duecentomila e una persone morte quest’anno per incidente stradale, avrebbe invece pensato Filippo, anche se per lui Carmela contava come duecentomila.
   
 
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