13.
“Some say I am to blame.” –
“Brother, brother, some days I feel the same.”
«Lui – è – mio.» scandì
Býleistr citando le parole che il fratellastro aveva appena pronunciato,
un ghigno sottile e non ancora del tutto convinto sulle labbra e la fronte
scintillante di minuscole stille di sudore ghiacciato; discese i gradini,
avvicinandosi ai due sposi, e il suo sorriso s’allargò: «La tua brama di
vendetta è tangibile, principe, e non potrei desiderare di meglio. Dimmi, mi
stai sfidando?»
Ignorandolo,
Loki si rivolse di nuovo a Erin: «Dammi la tua spada, moglie.» mormorò deciso,
e nel restituirle il flauto le sfiorò la pelle fredda della mano destra
guardandola intensamente negli occhi. Entrambi avrebbero voluto raccontarsi
ogni cosa, stringersi l’uno all’altra e lasciarsi alle spalle quella follia,
poiché ritrovarsi vivi era ciò che importava loro, ma non era così che sarebbe
finita la vicenda ed entrambi ne erano consapevoli.
Così
l’irlandese accettò di buon grado di allontanarsi, raggiungendo Thor, Sif e i
guerrieri, e a camminarsi intorno in cerchio alla base della gradinata rimasero
il principe e il ceruleo re, le lame in pugno. E il Dio degli Inganni rispose
al suo nemico:
«Sì,
Býleistr, ti sto sfidando. Affrontami in singolar tenzone, adesso, e chi
tra noi vincerà decreterà la vittoria dei suoi una volta per tutte. Accetti?»
Lo jotun
rise sprezzante: «Un duello contro di te? Mi prendi forse per uno sciocco? Tu
hai la magia dalla tua. Non sarebbe uno scontro alla pari.» sottolineò.
«Ed è un
genere di scontro che tu non conosci affatto.» lo canzonò l’asgardiano; il
corpo gli doleva, le ferite pulsavano e il respiro gli usciva a fatica
graffiandogli i polmoni, e nonostante questo non aveva alcuna intenzione di
fermarsi e di abbandonare la propria idea: «Io non userò i miei poteri, Gigante.
Combatterò contro di te armato solo di questa spada.»
Il Dio
del Tuono, ai margini dello spiazzo che si era creato intorno ai contendenti,
fu scosso da un fremito di timore e strinse le dita sulle spalle di Erin, sia
per trattenerla dall’intervenire sia per riceverne conforto. Se suo fratello
era onesto circa le modalità della contesa, Thor aveva dei seri dubbi sul fatto
che ne sarebbe uscito imbattuto e indenne, considerate poi le precarie
condizioni in cui versava, e tuttavia le regole d’onore avrebbero impedito a
lui, alla fanciulla di Galway e a chiunque altro di aiutare Loki a sconfiggere
il figlio di Laufey.
«Quale
coraggio, principe! E dovrei fidarmi di tale garanzia?» continuò a ridacchiare
Býleistr.
«Non sei
nella posizione per dubitare di alcunché.» lo interruppe bruscamente il dio.
Alzò la propria lama, tendendo il braccio innanzi a sé, e aveva il volto
pallido e impassibile come il ghiaccio che li circondava: «Un duello,
Býleistr. Tu rappresenterai Jotunheim, io rappresenterò Asgard. Se ti
batterò i tuoi si arrenderanno e noi torneremo indietro vittoriosi. Se sarai tu
a battere me, farete dei miei quello che volete.» proclamò.
Un
brivido attraversò gli astanti, Æsir e Jötnar, e il giovane sovrano si fece
serio:
«Dunque
finirà com’è giusto che finisca. Non credi anche tu che fosse scritto,
principe? Il figlio di Laufey contro il figlio di Odino nell’ultima, fatale battaglia!
Non era forse destino?» esclamò, e nell’udire ciò Thor sobbalzò e scambiò una
lunga occhiata incredula e confusa con l’irlandese e i compagni – perché
lo jotun si stava riferendo a Loki, non a lui, e non era possibile che il
ceruleo re non sapesse che l’Ingannatore era sangue e carne del suo stesso padre.
Cosa sfuggiva loro? V’era un ulteriore segreto che attendeva di essere svelato?
Eppure Loki sembrava esserne già a conoscenza, e fissava l’avversario con una
fiamma d’odio nelle iridi verdi che mai il biondo aveva visto, nemmeno diretta
a lui.
«Accetto,
principe.» disse infine Býleistr, e tese a sua volta la daga in avanti.
Lenti
fiocchi di neve avevano preso a cadere dal cielo sempre più nero. Nel silenzio
spazzato dal vento gelido che soffiava dalle lande desolate che cingevano la
Cittadella, i fratellastri si studiarono a lungo, calcolando la distanza e lo
spazio e ponderando sulla strategia da adottare, fino a che il Gigante non
attaccò: piombò dall’alto sul Dio degli Inganni e questi parò subito il colpo e
uno ne restituì, e le spade presero a cozzare violentemente tra loro in una
serratissima danza ferale. I duellanti piroettavano su sé stessi, schivavano
fendenti, si alzavano e chinavano, e i loro passi sollevavano nuvole di
ghiaccio tutt’intorno.
Loki
resistette più a lungo che poté senza mai abbassare la guardia, ma la sua
resistenza fisica era troppo compromessa per consentirgli di contrattaccare
efficacemente e d’un tratto una gamba gli cedette, facendogli perdere
l’equilibrio e deviare un affondo che altrimenti sarebbe stato magistrale.
Allora Býleistr sogghignò e approfittando del momento trafisse il congiunto
esattamente al di sotto della spalla sinistra, e forse sarebbe finanche
arrivato a tagliargli via il braccio se l’asgardiano non avesse avuto la
prontezza di arretrare con un grido di dolore; Erin gli fece eco con
un’imprecazione angosciata e il Dio del Tuono dovette fare ricorso a tutta la
propria volontà per non lanciare Mjölnir contro la creatura dalla pelle
azzurra.
Il dio
dai capelli corvini barcollò, l’arto sinistro appoggiato contro lo sterno e il
sangue che copioso gli bagnava la manica, e rifiutando di cedere bilanciò la
spada con il polso destro prima di lanciarsi di nuovo contro lo jotun e ferirlo
con successo al viso. D’altronde anche Býleistr doveva fare i conti con
lo squarcio che i proiettili di Boomstick gli avevano lasciato sulla schiena, e
nemmeno lui riusciva a muoversi con sufficiente agilità.
«Quanta
rabbia hai in corpo, principe? È per ciò che è accaduto alla tua dolce sposa? È
per ciò che ho fatto a te?» egli lo provocò col fiato corto: «O magari è per la
triste sorte di nostra madre?»
Loki
evitò accuratamente di replicare, pur contraendo la mascella, e sferzò il cuoio
della corazza del nemico aprendovi un taglio che raggiunse la carne e costrinse
lo jotun a piegarsi in due. Per qualche istante entrambi rimasero fermi sul
posto, affannati, quindi il re soggiunse con sdegno: «Il tuo problema,
principe, è che la mia ira è pari alla tua.»
Urlò, e per
tre volte abbatté l’elsa della daga sul fratellastro – una in volto che
gli spaccò un labbro, una in pieno stomaco che lo fece cadere in ginocchio e
una sul dorso della mano con cui ormai debolmente teneva l’arma, la quale
rovinò a terra con un secco schiocco metallico. L’asgardiano tentò di
riafferrarla ma l’altro fu più rapido e la calciò via, mandandola a perdersi
tra i cadaveri di Æsir, Jötnar e cavalli che giacevano nel vasto cortile.
L’irlandese
serrò convulsamente la presa sul flauto fin quasi a farsi sanguinare le dita e
puntò i piedi nella neve, i nervi tesi e pronti a scattare sebbene sapesse che
non glielo avrebbero permesso. Si sentiva impotente, furibonda e disperata:
essere giunta fin lì e aver scoperto che il marito era innocente e in vita per
poi vederselo uccidere davanti in uno scontro uomo a uomo non corrispondeva a
quello che si era immaginata.
Il principe,
però, non sembrava per fortuna né spacciato né intenzionato ad arrendersi. Evitando
per un soffio la quarta frustata della lama di Býleistr si buttò di
lato, rotolò lontano dal rivale macchiando di rosso il suolo e si rialzò in
fretta, gli occhi che febbrili guizzavano in cerca di qualcosa che sostituisse
la spada perduta. Quello che trovò nelle immediate vicinanze fu una lunga e
robusta picca appartenuta a uno dei cavalieri di Hödr, e poiché brandire
Gungnir e lo scettro di Thanos lo aveva reso più che avvezzo a maneggiare lance
del genere non esitò ad agguantarla e farla roteare per saggiarne il peso e il
bilanciamento; adoperarla con un braccio soltanto non sarebbe stato semplice, e
tuttavia non aveva scelta. Strinse i denti, e anticipando il re ceruleo ripartì
all’attacco.
La
notevole lunghezza dell’alabarda gli permise di arrivare a toccare il Gigante
senza avvicinarsi troppo e di graffiargli lateralmente il collo:
Býleistr parve quasi deliziato da quella dimostrazione di caparbio
ardore, e non badando alla nuova ferita, per sanguinante che fosse, rispose
all’affronto colpo su colpo. Non prese una lancia per sé, dato che la sua
stazza lo manteneva comunque in vantaggio, e giacché entrambi sembravano aver
recuperato le forze il duello riprese in guisa di ballo, crudele e al contempo
splendido a vedersi con le figure dell’asgardiano e dello jotun che muovendosi
veloci davano l’impressione di disegnare scie scure, verdi, bluastre, scarlatte
e argentee sullo sfondo bianco e immoto della neve e contro la mole nera del
palazzo. Tutti, nel cortile del fortilizio, trattenevano il fiato.
Erin non
avrebbe saputo dire quanto andarono avanti in quel modo, se per pochi minuti o
per un’ora intera, ma il tempo parve dilatarsi dolorosamente quando la
situazione mutò di nuovo e il figlio di Laufey afferrò la picca dell’avversario
con la mano sinistra; Loki tentò di strapparla alla sua presa, invano, e con la
daga l’altro tranciò di netto la punta acuminata della lunga arma. Ritrovandosi
solo con un misero moncone di legno l’asgardiano azzardò un’ultima mossa
estrema e disgraziata, usandolo come un semplice bastone, e com’era prevedibile
a nulla servì – e Býleistr gli sferzò la coscia destra con la
propria lama e gli sferrò un pugno in pieno viso. Il principe volò all’indietro
con un grido strozzato, cadde nella neve per la seconda volta con un tonfo
sordo e il Gigante, affatto pago, gli assestò un forte calcio nello stomaco
spingendolo ancora più in là. Loki non riuscì a rialzarsi: era coperto di
sangue e pallido come la morte, boccheggiava in cerca d’ossigeno nell’aria
gelida e con le dita tastava affannosamente il terreno. L’irlandese lo chiamò
ripetutamente, stridula.
Lo jotun
si avvicinò a colui che ormai considerava la sua preda, un sorriso terribile
sul volto, e non si affrettò per godersi quel momento fino in fondo. Si
concesse di osservare uno a uno i guerrieri Æsir che fissavano la scena con
inerme terrore e si soffermò su Erin e Thor, sulle loro espressioni livide e
sui loro sguardi lucidi e sbarrati, e rise. Poi guardò il congiunto,
pregustando la vendetta che avrebbe coronato e la vita che gli avrebbe preso, e
impugnò la daga come un pugnale portando il braccio sopra la testa per vibrare
il colpo finale.
Ma mentre
la donna d’Irlanda si chinava d’istinto in avanti per correre in soccorso del
marito prima che fosse troppo tardi e il nemico calava impietoso la mano, l’Ingannatore
reagì cogliendo tutti di sorpresa: si sollevò fulmineo facendo perno sul gomito
sinistro nonostante la brutta ferita e dipinse un arco scintillante tra sé e il
giovane sovrano, e non fu immediato per gli astanti capire con esattezza cosa
fosse appena accaduto. Fu solo nel vedere Býleistr barcollare e lasciar
cadere l’arma che divenne chiaro che Loki aveva recuperato la spada per puro
miracolo e che con la lama aveva trafitto il fratellastro all’altezza del
cuore.
La scena
si cristallizzò nel perfetto silenzio che seguì. Come l’asgardiano allentò la
presa sull’elsa, lo jotun si portò incredulo le mani al petto tingendosele col
proprio sangue violaceo e quasi elegantemente rovinò al suolo. Con difficoltà
il principe si rimise in piedi e si appressò allo sconfitto sino a torreggiare
su di lui con una bizzarra smorfia di sollievo, dolore e collera non ancora
sfumata e il respiro che poco a poco si placava. Il re ceruleo gli artigliò un
lembo del pastrano con polso tremante, tirandolo a sé, e in un rantolo supplichevole
disse:
«Non mi
lascerai davvero morire, Loki. Sono tuo fratello.»
Il Dio
degli Inganni si abbassò appena e lo mirò nelle iridi rossastre che si facevano
vitree:
«Io ho
già un fratello.» rispose con voce chiara e forte.
Spinse la
spada più in profondità inchiodando il Gigante a terra e fu così, con un
singolo spasmo che gli attraversò il corpo per intero, che Býleistr
figlio di Laufey esalò il suo ultimo respiro. Allora Hugrun depose le armi,
s’inginocchiò e subito Glaumar, Blàin e i soldati Jötnar rimasti in vita lo
imitarono, chi riluttante e chi spaventato; i cavalieri e guerrieri del Reame
Eterno trattennero il proprio giubilo attendendo un segnale da parte del principe
vittorioso, e Thor ed Erin sorrisero senza fiato, praticamente aggrappati l’uno
all’altra.
L’Ingannatore
raddrizzò le spalle, ergendosi glorioso tra la neve e sotto la notte
incombente, e l’esercito di Asgard esplose finalmente in alte grida felici per
salutarlo e onorare la sua vittoria e nondimeno la scampata ecatombe.
Nel
momento esatto in cui gli Æsir iniziarono a inneggiare, la donna d’Irlanda volò
incontro al suo sposo. Il dio si mosse per fare altrettanto, e tuttavia la
spossatezza che lo vessava era tale che gli impedì di avanzare per più di due
passi: finì a terra su entrambe le ginocchia, ormai stremato, ed Erin non esitò
a lanciarsi carponi nella neve soffice per raggiungerlo più in fretta che
poteva. Con gli abiti inumiditi e freddi e le membra indolenzite lo sostenne
per evitare che cadesse ancora, cingendogli il torace con le braccia, e il
sangue le macchiò la giacca di cuoio e i capelli scarmigliati; benché
moltissime parole le premessero contro le labbra, parole anche aspre su ciò che
avevano dovuto passare a causa di verità taciute e cose date per scontate, il
calore del corpo di lui e la splendida sensazione di poterlo nuovamente
stringere a sé le scacciarono una per una. Loki le sfiorò il viso, le mani tremanti,
come se fosse un sacro e miracoloso tesoro, e il suo verde sguardo traboccò di
qualcosa che lei vi aveva scorto soltanto nel riflettervi il proprio – e
nel riconoscere quel qualcosa come l’amore che mai il marito le aveva a voce
dichiarato il respiro le si fece rovente e rapido e le provocò un singulto che
si sciolse in un sospiro quando un velo di lacrime salì a colmare le iridi di
lui. Il principe le poggiò la fronte sulla fronte e con le forze che gli
rimanevano la abbracciò. La tenne saldamente contro il proprio petto, inebriato
dal suo odore e dal vivo palpitare del suo battito, e l’irlandese gli si
aggrappò alle spalle arrendendosi al conforto dilagante di quel contatto.
Restarono
così avvinti, i fiocchi bianchi che impalpabili si posavano su di loro, e a
nulla più badarono di quanto accadeva tutt’intorno, e in silenzio mescolarono
pianto e riso e baci senza fine.
Fu Thor a
conferire con Hugrun mentre gli asgardiani rimontavano a cavallo per far
ritorno a casa e i Giganti raccoglievano il corpo del defunto re e sciamavano
fuori dalla Cittadella, diretti alla capitale. Lo jotun aveva seriamente e a
ragion veduta temuto che gli dèi non se ne sarebbero andati senza sterminare
quanti più di loro potevano, poiché ai vincitori spettava il diritto di decidere
della vita dei vinti. Il generale era pronto ad accettare quel destino, ma non
era ciò che il primogenito di Odino aveva in mente: troppo sangue era stato
sparso in entrambi i regni, quel giorno e per molti anni sino ad allora, ed era
tempo che le cose cambiassero.
L’anziano
comandante sgranò gli occhi scarlatti nell’udire le parole del principe: «Perché
dovreste risparmiarci, Tonante? Abbiamo seguito con lealtà la follia di un
sovrano accecato dalla vendetta e vi abbiamo arrecato danni e morti che non
meritavate. La guerra tra Asgard e Jotunheim era giunta a una tregua e noi
l’abbiamo di nuovo scatenata.» disse con gravità e voce contrita, ben
consapevole della posizione in cui si trovava.
«Avevate
forse altra scelta se non quella di seguire il vostro signore, generale?» gli
fece notare Thor; «E se sua è stata la colpa di abbandonarsi al desiderio di
rivalsa contro mio fratello, mia è stata quella di attaccarvi scioccamente in
gioventù e di Loki quella di aver ucciso Laufey scatenandovi poi contro la
distruzione in nome dello stesso sentimento che ottenebrava Býleistr. A
noi prìncipi va il biasimo, e ciascuno di noi è già stato a suo modo punito per
le turpi azioni commesse.»
Hugrun
chinò la testa e si portò un pugno al petto: «Ti prometto che la tua
magnanimità riceverà in cambio tutto il nostro rispetto, altezza. Dimmi, però,
cos’altro vuoi che io faccia per garantire la pace tra i nostri popoli.»
«Sei
saggio e intelligente, generale. Confido che riuscirai a placare e guidare la
tua gente e che troverai un uomo degno di salire al trono.» rispose il Dio del
Tuono, e incredulo di fronte a una simile dimostrazione di fiducia il vecchio
Gigante si prostrò garantendo che non avrebbe ottemperato ad altri compiti per
i dì che gli restavano da vivere. Il biondo guerriero lo ringraziò con un
solenne gesto d’assenso e prese congedo: gli Æsir erano ormai tutti in sella e
attendevano lui per riprendere la via che conduceva al varco tra i monti.
Loki ed
Erin si erano già portati in testa al corteo dei cavalieri in groppa a un solo animale,
lei davanti e lui dietro che, appoggiato contro la schiena della moglie, teneva
le redini; Fandral e Hogun li affiancavano sorreggendo una torcia ciascuno per
illuminare il cammino. Thor li raggiunse col proprio destriero e si soffermò
per pochi istanti a guardare il congiunto, il sorriso e le iridi offuscati da
un pianto che presto egli non sarebbe più riuscito a trattenere o dissimulare:
aveva così tante cose da chiedere a suo fratello, e così tante ne aveva da
dirgli! Il moro ricambiò l’occhiata con espressione stanca e indecifrabile,
annuendo appena, e l’altro si rivolse quindi all’irlandese sillabando un
vibrante “grazie” che trasudava felicità, riconoscenza e commozione in tal
misura che Erin liquidò d’istinto il cognato sorridendogli frettolosamente e stringendo
le gambe sui fianchi del cavallo per spronarlo ad avanzare: un’emozione in più
e sarebbe crollata, dopo ciò che aveva vissuto quel terribile giorno – un
giorno lungo una vita, dacché aveva perso la propria e una nuova ne aveva
ricevuta in dono.
Il Dio
del Tuono, Fandral, Hogun e il resto dei soldati subito li seguirono,
disegnando una lunga linea serpeggiante che si dipanò al di sotto degli alti
archi di ghiaccio pallido che baluginavano, traslucidi, alla fiamma delle fiaccole.
E nell’andare al trotto verso il sentiero oscuro gli asgardiani intonarono un canto
sommesso, una nenia lenta, ritmata e maestosa che riecheggiò tra le rocce e la
neve, salì fino alla volta nera del cielo e penetrò dritto nel cuore già
provato della musicista gonfiandoglielo di meraviglia: di rado aveva sentito
cantare gli abitanti del Reame Eterno, e sebbene non comprendesse la lingua
antica e strana di quell’aria la sua melodia era così bella che poco importava
ciò che diceva. Loki non si unì al coro, ma premette appena le labbra sulla
tempia di lei e respirò quieto solleticandole la pelle e le palpebre, e mai si
spostò durante l’intero tragitto.
E dopo
aver percorso la via di buio e di stelle, i geli imperituri di Jotunheim ormai
alle spalle, il corteo uscì dal passaggio ancora cantando, e Odino e Týr
udirono le loro voci profonde riempire la limpida notte di Asgard prima di
vederli comparire dalla stretta gola tra i monti di fronte alla quale
attendevano. Il Padre degli Dei quasi sobbalzò sulla propria sella: aveva ormai
perso le speranze e temeva il peggio, pensandosi costretto ad abbandonare i
figli e la nuora al loro destino; Frigga lo aveva raggiunto, incapace di aspettare
oltre nelle dorate sale impenetrabili del palazzo, e anche lei si lasciò
sfuggire un lieve grido di sorpresa al fianco del consorte nell’appurare che
entrambi i figli, la giovane nuora e i più valorosi combattenti del regno erano
vivi e che il secondogenito aveva l’aria d’esser tutto – stremato,
ferito, smunto e sconvolto – tranne che colpevole o prigioniero.
Quando la
cavalleria si fu riversata per intero ai piedi delle montagne, il principe
cadetto annuì in direzione del re e annunciò, rauco, che il varco tra i mondi
era chiuso. Non vi furono rinnovati scoppi di gaudio, tra i soldati, e una pace
sconfinata parve invece invadere ogni cosa e gli animi dei presenti, come un
unico grande sospiro di sollievo che soffiava assieme al vento notturno
sull’erba verde delle piane di Idavoll.
Ulteriori
parole non vennero scambiate e tutti girarono tacchi e cavalli verso la
capitale e le sue fiaccole che gettavano aloni e bagliori nell’oscurità. Il
terreno della battaglia era stato liberato dai tristi cadaveri dei caduti, pur
recando evidenti tracce di sangue e relitti d’armi e armature, e alle porte
della città le Valchirie e gli Einherjar vegliavano sugli Æsir morti disposti
in lunghe file ordinate. Nel passarle accanto, Erin dedicò un grato cenno a
Brunhilde e questa le rispose nello stesso modo: l’Ingannatore colse lo scambio
e con mente confusa si chiese, per la prima volta coscientemente, cos’era
davvero accaduto a sua moglie e com’era mai possibile che fosse sopravvissuta,
ammesso che Býleistr non avesse mentito. Per ansioso che fosse di
scoprirlo, ogni domanda avrebbe trovato risposta a tempo debito, e non valeva
la pena intaccare la quiete che lo colmava per soddisfare quella curiosità. L’avere
la donna d’Irlanda palpitante e tiepida accanto a sé non era forse sufficiente,
al momento?
Nessuno
si era coricato, entro le mura, e le vie e piazze pullulavano di asgardiani che
in silenzio e con trepidazione guardarono sfilare la famiglia reale, i
cavalieri, la fanteria e gli stendardi scarlatti e oro mossi dalla brezza. La
folla arrivava sino al ponte d’accesso principale ai bastioni della reggia,
quello che li collegava direttamente con la città e su cui il corteo passò
senza fretta, le figure che si riflettevano sulle acque già punteggiate di
stelle; i portoni bronzei si richiusero placidi dietro di loro e finalmente
quel giorno infinito potè dirsi concluso.
Accolti
con stupito calore dai cortigiani, i sovrani, i prìncipi e la Dama del Flauto
si separarono dai guerrieri ed entrarono a palazzo, nei suoi bianchi cortili
che parvero loro immensamente tiepidi dopo la notte, i ghiacci e il freddo
metallo di spade e picche. Soltanto Sif li seguì, mentre Hogun, Fandral e
Volstagg salutarono Erin e i due fratelli con inchini e discrete strette di
mano. Thor assistette Loki quando questi scese dal destriero dell’irlandese e
lo sorresse per aiutarlo a camminare; Odino dispose che i guaritori si
recassero nelle stanze del Dio degli Inganni e la regina abbracciò la giovane
nuora, ben sapendo ciò che aveva patito e affrontato e ciò che era diventata.
Ognuno di loro aveva centinaia di frasi pronte nella gola e sulla punta della
lingua, centinaia di quesiti da porre a ciascuno degli altri, e tuttavia
rimandarono ancora, tanto era il desiderio che avevano di cedere alla
stanchezza, di lasciarsi finalmente andare.
Una volta
che il Padre e la Madre degli Dei si furono congedati, i quattro raggiunsero i
corridoi sui quali si affacciavano gli alloggi dei due sposi. Avanti di qualche
passo rispetto alla guerriera e alla musicista, il Dio del Tuono non riuscì a
trattenersi e in un soffio confessò al fratello: «Býleistr mi ha detto
che hai preteso la garanzia ch’io venissi ucciso, nel patteggiare con lui. Non
gli ho creduto e continuo a non credergli. Ne saresti stato capace, Loki?»
L’Ingannatore
si fermò, scostandosi appena, e inghiottì un profondo sospiro:
«È possibile.
Ma se lo avessi fatto sarebbe stato unicamente per ingannarlo e convincerlo della
mia lealtà verso Jotunheim.» replicò, e non era una completa menzogna. Il
livore che fino ad allora si era convinto di covare contro il biondo gli era
scivolato via di dosso come terra lavata dall’acqua – probabilmente nello
scoprirsi sangue del sangue di Odino al pari di Thor – lasciandogli una
bizzarra bolla di leggerezza al centro del petto.
«E voi?
Cosa vi ha convinti a venire in mio soccorso? Avevate ogni buona ragione per credermi
nuovamente un traditore.» aggiunse in tono più aspro.
L’altro
sorrise: «Se sottovaluti più noi o te stesso, per me rimarrà un mistero,
fratello. Ti abbiamo sempre dato molta più fiducia di quanto credessi, e
innocente o meno che tu fossi non potevamo lasciarti nelle mani degli jotun. Ed
Erin,» esclamò voltandosi verso di lei, «Erin mi ha salvato la vita, e io mille
e mille volte salverei la sua e la tua.»
L’irlandese
si avvicinò, un po’ malferma sulle gambe, e subito si strinse al marito osservando
Thor di sottecchi: «Sì, sì, cognato, non ne dubito. Non ne dubito.» borbottò
imbarazzata, e lui le rispose con una splendida risata sommessa.
Al capo
opposto del corridoio comparve il drappello dei cerusici e delle guaritrici,
preceduti da un buon odore di unguenti e stoffe pulite, e con un ultimo cenno
del capo Loki ed Erin si allontanarono, varcando la soglia della loro stanza; i
medici li seguirono e chiusero la porta, non prima di aver assicurato al
principe ereditario che a nessun soldato sarebbero mancate le cure necessarie.
Egli li ringraziò e raccomandò loro la salute dei due sposi.
Sif lo
aveva raggiunto ed era ora alle sue spalle, tranquilla, quasi senza respirare.
Thor si girò e la dama lo sorprese: gli tastò il volto, le braccia e il torace
con una delicatezza che raramente mostrava, e tosto si ritrasse come se si
fosse scottata.
«Sono
così grata a Erin per averti salvato.» mormorò.
Il dio
aggrottò la fronte e studiò la sua espressione, preoccupato nel vederla
stranamente debole e al contempo intrigato da quella sua inconsueta morbidezza:
«Ti senti
bene, Sif? Sei forse ferita?» azzardò, eppure si scoprì a sperare che il motivo
fosse un altro.
Lei si
fece di nuovo fiera e compunta, ma gli rimase accanto e gli accarezzò le guance
barbute: «Prendi la mia felicità per un malessere fisico, mio signore? È un
equivoco che dovrò chiarire una volta per tutte.» disse, e leggera lo baciò.
Senza
aspettarsi che ricambiasse, e il biondo fu in effetti troppo stupito per farlo,
lo baciò recuperando gli innumerevoli anni trascorsi a sognare di mettere da
parte l’orgoglio, le lunghe stagioni in cui aveva disprezzato ciò che provava
ritenendolo fallace e degno soltanto di sciocche donne normali.
Poi se ne
andò, silenziosa, lasciando Thor nella penombra ambrata dei bracieri e degli
alti soffitti, il fantasma tiepido del suo tocco a solleticargli le labbra.
Note
E così ci avviamo alla conclusione, e Býleistr ha avuto ciò che si
meritava. Non ricordo se vi ho detto che nel mio cast ideale il succitato è
interpretato da Matt Smith, che con quella faccia lunga e strana – non
fraintendetemi, adoro Smith e il suo Undicesimo Dottore – sarebbe
perfetto per una parte da jotun.
Abbiate pazienza se ho rimandato l’aggiornamento. Ero impegnata nella
stesura dell’altra storia cui mi sto dedicando assieme alla signora Frau Blucher, ovvero La Leggenda degli straordinari Vendicatori che potete trovare QUI
Il titolo del capitolo è una strofa della canzone Brother di Edward Sharpe & The Magnetic Zeros, perfetta per i
Brodinsons sotto molti aspetti. Per il duello ho scelto Frost Giant battle dalla colonna sonora del primo Thor, mentre per la scena del sospirato
abbraccio tra Erin e Loki (scena sulla quale vado in brodo di giuggiole tutte
le volte che la rileggo) non c’è pezzo migliore della splendida One last try di Ane Brun.
Confido di conoscere le vostre opinioni e impressioni – a proposito,
grazie mille a Nyx Nyx e Mayaserana! – e vi aspetto al prossimo,
terzultimo capitolo.
Ossequi asgardiani a tutti! :)