Era
tardo pomeriggio e il Sole iniziava a tramontare, nascondendosi dietro alle
colline rocciose che sorgevano ad ovest del pianoro fuori dalla periferie di
Gerusalemme. Era un alternarsi di piccoli appezzamenti di terreno coltivati, tratti desertici e zone
erbose per il pascolo. Un giovane pastore stava tenendo dietro alle proprie
capre; dal momento che era ormai il momento di rientrare a casa, aveva iniziato
a radunare il suo bestiame e, mentre si aggirava nei pressi del pascolo per
assicurarsi che nessuna capra si fosse smarrita, ecco che vide qualcosa di
straordinario: un montone completamente d’oro! Il vello, le corna, tutto quanto
era aureo, tranne gli occhi. Lo sentì belare.
Il
pastore era incredulo, ma colmo di felicità: quella bestia era la soluzione a
tutti i suoi problemi; se l’avesse catturata, avrebbe potuto rivendere l’oro e
fare una vita da nababbo.
Decise
di avvicinarsi con circospezione, per non spaventare l’animale. Il montone,
tuttavia, iniziò a muoversi, andando verso le colline rocciose. Il pastore,
allora, accelerò, ma pure la bestia si mise a trottare. L’uomo non si arrese e
si mise a correre e l’inseguimento durò diversi minuti, poi il montone iniziò a
salire su un’altura e il pastore dovette rallentare per arrampicarsi. Ad un
certo punto l’uomo vide l’animale entrare in un cunicolo piuttosto largo; certo
che ormai il montone d’oro fosse suo, il pastore si affrettò a raggiungere la
cavità e ad entrarci. Il tunnel era buio, ma presto l’uomo scorse una luce in
fondo, non si spaventò e avanzò e giunse in una grotta illuminata da una luce
priva di fonte. Al centro della caverna vide il montone d’oro e, accanto ad
esso, vi era l’uomo con la bombetta.
Il
pastore, sorpreso di trovare qualcuno lì dentro, domandò: “È tuo
quell’animale?”
“Sì,
ma posso vendertelo.”
L’uomo
se ne sorprese e chiese: “Cosa vuoi?”
“Un
occhio della testa, anzi, due.” ridacchiò.
“Non
ne vale la pena! Se devo spendere più di quanto guadagnerò, vendendolo, non mi
interessa.”
“Oh,
ma non è il denaro che voglio. Vieni, avvicinati.”
Il
pastore esitò qualche istante, poi raggiunse l’uomo con la bombetta e domandò:
“Che cosa vuoi, allora?”
“Te
l’ho detto: i tuoi occhi.”
“I
miei occhi?” sbalordì il pastore.
“Sì.”
rispose con estrema calma l’altro “Ma non resterai, cieco, anzi! Li sostituirò
con questi!” mostrò un paio di occhi di vetro assolutamente perfetti “Ti
permetteranno di avere una nuova visione delle cose: la mia. Che ne dici? È un
prezzo che è disposto a pagare, per avere questo montone d’oro?”
Il
pastore fu incerto, guardò gli occhi, guardò il montone e alla fine acconsentì:
“Va bene, fai quel che vuoi.”
“Eccellente.”
sorrise l’uomo con la bombetta “Inginocchiati e riversa la testa all’indietro,
in modo da guardare verso l’alto.”
Il
pastore obbedì e si mise come richiesto. L’altro uomo tirò fuori un sacchetto
da una tasca interna della giacca dell’abito, sciolse il laccio che lo
stringeva, vi immerse una mano e prese della sabbia che poi lanciò negli occhi
del pastore che si mise ad urlare, disperato implorava di smetterla, provò a
ripararsi con le mani, ma le sue braccia erano bloccate.
Sabbia,
sabbia, manciate di sabbia finché i bulbi oculari del pastore non uscirono
sanguinanti dalle orbite e caddero a terra.
L’uomo
con la bombetta schiacciò col piede quegli occhi, poi prese quelli di vetro e
li inserì nelle cavità vuote.
Il
pastore sbatté le palpebre qualche volta, poi, guardando l’altro uomo, disse:
“Padrone.”
L’uomo
con la bombetta sorrise e i suoi occhialetti tondi e neri parvero celare il
luccichio delle sue pupille; annuì e disse: “Sì, esatto, sono il tuo padrone,
ora. Mi hai dato la tua volontà per una bestia.” indicò il montone che ora non
era più d’oro “L’avidità o il potere fanno sempre sragionare i mortali.” scosse
il capo “Aveva ragione Bonifacio, nel dire che mi sarei divertito. Con questo
sono già a dieci, ma devo procurarmi più schiavi, se voglio attirare
l’attenzione del Princeps.” guardò il pastore:
“Suppongo tu abbia famiglia.”
“Sì,
vivo coi miei genitori e i miei fratelli.”
“Molto
bene, cenerò con voi: fammi strada.”
Il
pastore fece un inchino col capo, poi si alzò in piedi e condusse l’uomo con la
bombetta fuori dalla grotta e poi verso la propria casa.
Isaia
era seduto nel proprio studiolo e stava facendo pratica di telecinesi: un altro
dei potenziamenti del potere gesuitico che aveva scoperto negli ultimi tempi.
Sentì bussare la porta, per cui rimise al proprio posto i libri che stava
facendo volteggiare per aria e disse: “Avanti.”
Entrò
Abdel Nassen, il templare
che ormai stava diventando il suo luogotenente, che gli disse: “Gran Maestro, è
successo di nuovo.”
“Cosa?!”
si allarmò Isaia “Dove? Quando?”
“Nella
piazza del mercato. Erano una cinquantina; senza alcun segnale di preavviso o
intimidazione, hanno iniziato ad uccidere chiunque, senza distinzione, ebrei,
palestinesi, turisti …”
“Perché
non mi avete avvertito subito? Avrei voluto condurre io i nostri uomini alla
difesa di quella povera gente.”
“Beh,
un nostro drappello era già in zona e sono intervenuti senza aspettare un
ordine. Come al solito, quegli assassini, si sono dispersi nel giro di breve,
dopo dieci minuti che i nostri templari erano intervenuti, essi si erano già
dati alla macchia.”
“Hanno
agito anche questa volta in maniera rituale?” si preoccupò Isaia.
“Sì:
prima hanno inciso un simbolo sul petto delle vittime e poi le hanno sgozzate.
Ci sono, però, due informazioni rilevanti, questa volta.”
“Davvero?”
si mostrò speranzoso Isaia.
“Sì:
i nostri Templari sono riusciti ad esaminare un paio di cadaveri, prima che si
dissolvessero nel nulla come al solito.”
Da
oltre dieci giorni, infatti, a Gerusalemme si verificavano omicidi di quel
genere: dei settari raggiungevano un luogo pubblico e iniziavano ad uccidere;
era evidente, tuttavia, che si trattava di un rituale, infatti le vittime
venivano sempre marchiate e poi uccise e dopo pochi minuti i loro corpi si
dissolvevano nel nulla.
Isaia
aveva subito capito che si trattava di una qualche setta satanica o che ci
fosse un demone in giro, ma non aveva abbastanza indizi per capire quale entità
fosse in gioco. I settari o posseduti erano talmente numerosi che i Templari
rimasti a Gerusalemme non potevano fronteggiarli da soli, per fortuna, in più
di un’occasione, erano stati aiutati da Franchi Giudici, che arrivavano sul
luogo dello scontro, uccidevano e sparivano.
Abdel Nassen continuò: “Sono riusciti a ricopiare il simbolo che
i settari incidono sui petti delle vittime; eccolo.”
Isaia
prese il foglietto che gli era stato porto e gli bastò un’occhiata per capire:
era un rettangolo coi lati prolungati terminanti con uncini, a parte la base
maggiore inferiore che era delimitata da due cerchi; altri tre cerchi erano
disegnati appena sotto la base maggiore superiore, sulla quale erano tracciate
quattro ondine.
“Paimon …” sussurrò Isaia, comprendendo quanto la situazione
fosse grave.
“Che
genere di demone è?” chiese Abdel che non era ferrato
su quegli argomenti.
“Uno
dei peggiori. Nella gerarchia infernale è un re (come Baal,
ad esempio, che sicuramente hai già sentito nominare). È sottomesso solo a
Satana. Insegna arti e scienze, dona onori ma, soprattutto, il controllo sugli
uomini … quando non è egli stesso ad esercitarlo. Ora bisogna chiedersi se i
settari siano suoi devoti che desiderano ingraziarselo e ottenere benefici da
lui, oppure se è egli stesso a dominare queste persone.”
“Beh,
ecco, c’è dell’altro.” disse Nassen.
“Cosa?”
“I
nostri templari sono riusciti ad uccidere alcuni dei settari e hanno scoperto
che …” era un po’ inorridito “Non avevano gli occhi.”
“Come?”
“Sì,
cioè, i loro occhi non erano occhi veri, ma di vetro.” Abdel
tirò fuori un sacchetto e lo rovesciò sulla scrivania del Magister
Templi: diverse palline di vetro rotolarono su di essa.
Isaia
ne prese una, constatò che erano occhi finti, si rabbuiò, pensò, poi disse:
“Lasciami, per favore, devo studiare la faccenda per conto mio, sebbene mi paia
evidente che stiamo avendo a che fare con Paimon in
persona e non con dei suoi adoratori. Avvertimi se accade qualcosa e, la
prossima volta, voglio prigionieri e non cadaveri.”
Rimasto
solo, Isaia prese il proprio computer e si mise a cercare un testo che sapeva
esistere in PDF.
Quando,
poche ore più tardi, Isaia si trovò di nuovo in riunione con Abdel, gli spiegò: “Ho avuto la conferma di quel che
sospettavo: quelli che uccidono non sono settari, bensì succubi di Paimon. Gli occhi di vetro mi han fatto venire in mente un
vecchio racconto di Hoffman: L’Uomo della Sabbia. Riporta, in realtà, fatti
realmente accaduti, solo in parte romanzati; comunque sia, una rapida ricerca
mi ha confermato che Paimon esercita il suo dominio
sugli uomini, solo dopo aver sostituito i loro occhi con quelli da lui
fabbricati.”
“Perché
proprio gli occhi?” domandò stupito Abdel.
“Da
sempre si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima, no? L’ipnosi, ad
esempio, o il magnetismo di Mesmer, si praticano riuscendo, per così dire, a
penetrare gli occhi. Gli occhi come presenza fisica della volontà, come
muraglie che difendono la mente e l’anima di una persona. Paimon,
non si limita a penetrare questa difesa e a controllare temporaneamente
qualcuno, bensì sostituisce la volontà dell’individuo con la propria volontà e
questo gli concede un controllo totale.”
“E
perché uccide tutte quelle persone? Che cosa se ne fa?”
“Nutrimento
per se e per le proprie legioni, suppongo; ne ha duecento.”
“Demoni
legionari?”
“No,
duecento legioni, per un totale di 600.000 demoni.”
“Speriamo
non decida di schierarli tutti.” rabbrividì Abdel.
“Dobbiamo
scoprire dove si trova e alla svelta. Non sappiamo neppure se stia possedendo
il corpo di qualcuno, oppure se sia qui fisicamente. Nassen,
per favore, allerta tutti gli esorcisti che abbiamo a disposizione, sarà arduo
riuscire a scacciarlo.”
In
quel momento qualcuno bussò alla porta.
“Avanti.”
esortò Isaia.
Entrò
un templare che con molto rispetto disse: “Gran Maestro, c’è un uomo che vuole
vedervi. Non so chi sia, ma mi ha consegnato questo come biglietto da visita.”
Isaia
prese il foglietto e trasalì nel vedere di nuovo il sigillo di Paimon: dunque il demone gli stava lanciando una sfida e
quelle stragi erano state compiute per attirare la sua attenzione.
Probabilmente, allora, era stato lui stesso a permettere che i Templari
individuassero il suo marchio e si accorgessero degli occhi di vetro … e ora
gli mandava un emissario, perché?
“Fallo
entrare.” ordinò Isaia, gravemente, deciso ad andare fino in fondo alla
faccenda.
Un
paio di minuti dopo, fece capolino nella stanza un uomo apparentemente normale,
un palestinese, ma i suoi occhi non erano normali, era evidente che fossero di
vetro.
“Buona
sera, Princeps.” salutò il sopraggiunto.
Isaia
e Abdel si scambiarono uno sguardo perplesso, ma non
dissero nulla.
“Tu
sai chi mi manda, vero?” proseguì l’uomo.
Isaia
fece un cenno affermativo col capo e sibilò: “Paimon.”
“Oh,
conosci il suo nome!” il posseduto parve turbato “Complimenti, non se lo
aspettava: credeva che lo avessi individuato semplicemente col suo epiteto
tradizionale, Uomo della Sabbia. Sei davvero degno di essere il Princeps.”
“Perché
mi chiami così?”
“Non
lo sai?!” si meravigliò l’uomo “Meglio per noi. Ora, parlando di ciò per cui
sono stato mandato: il mio signore vuole che tu mi segua e ti presenti al suo
cospetto.”
“Mi
sembra una richiesta stravagante.”
Isaia
supponeva che il demone volesse ucciderlo; comunque quella situazione gli
sembrava paradossale.
“Oh,
no di certo: lui vuole farti diventare uno di noi.”
“Si
aspetta ch’io mi presenti a lui, dopo che mi avete messo al corrente delle sue
intenzioni?”
“Non
ne dubita: se non mi seguirai, uccideremo ogni essere vivente di questa città.”
Isaia
fremette: non poteva permettere una cosa del genere; d’altra parte, però, non
poteva neppure andare subito: non conosceva le reali forze di Paimon, non sapeva quante legioni avesse con sé; voleva
aspettare di preparare una squadra di esorcisti e dar loro delle istruzioni.
Disse:
“D’accordo, domattina mi condurrai da lui.”
“No.”
disse seccamente il posseduto “Tu vieni ora. Tra mezzora inizierà il massacro,
se non sarai arrivato dal mio signore.”
Isaia
si fece scuro in volto: andare sarebbe stata una sconfitta sicura, tuttavia non
poteva permettere che si scatenassero altre stragi. Deglutì, si fece forza
pensando al fatto che, come erano aumentati i suoi poteri gesuitici, così forse
si erano potenziati anche i suoi esorcismi.
Si
alzò in piedi e disse: “Va bene, fammi strada.”
Il
posseduto sorrise malignamente. Abdel balzò in piedi
e cercò di opporsi: “Gran Maestro, voi non potete! Se …”
“Nassen, questo è quel che devo fare. Tu e gli altri, se
volete aiutarmi, pregate.”
In
un palazzotto poco distante, Serventi e l’uomo con la bombetta erano seduti su
divanetti bassi messi a cerchio attorno a un piccolissimo specchio d’acqua
artificiale, decorate con tessere di mosaico dai colori sgargianti.
“Allora?” domandò Bonifacio, sdraiato
sul divano, con le mani incrociate dietro la nuca.
“Sta venendo qui, ovviamente.” gli
rispose l’amico “So sempre su cosa fare leva per convincere gli uomini a venire
da me: ricchezza, potere, piaceri, o anche senso del dovere, senso di colpa e
ancora e ancora, sono le ossessioni degli umani. Ogni persona ha un prezzo, più
o meno materiale, per il quale è disposta a vendersi a me.”
“Lo so bene, è per questo che mi sono rivolto
a te, per liberarmi di Isaia. Il suo tradimento non è servito a far scatenare
Gabriel. Già era fastidioso prima, ora che a capo dei templari può seriamente
ostacolarmi, per cui voglio che sia reso inoffensivo.”
“Ti accontenterò, amico mio, stanne certo.
Quando me l’hai proposto, ero alquanto scettico, ma il fatto che lui non sappia
chi sia mi renderà più semplici le cose e io avrò in mio potere il Princeps … quale soddisfazione maggiore potrei avere?”
“Ero certo ne saresti stato contento.
Come ha intenzione di agire, ora che sta venendo qua?”
“Sono prudente, lo sai bene, prima farò
in modo che si stanchi e affatichi, fronteggiando un po’ dei miei succubi e una
legione. Dopo mi sarà facile farlo cedere alla tentazione.”
“Se sopravvivrà …”
“Hai detto che è il Princeps,
certo che sopravvivrà, altrimenti mica mi davo tanto da fare!” si irritò l’uomo
con la bombetta.
“Certo che è lui, ma, per nostra
fortuna, ne sa ancor meno del suo amico, l’Eletto. Il tempo sta per scadere, se
vogliamo che le cose non si mettano male per noi, dobbiamo …”
“Lo so, lo so, Bonifacio, è inutile che
lo ripeti ogni volta. Io penso a lui, tu pensi al suo amico, dopo non resta che
trovare il terzo e siamo a posto.”
“Già, ma se anche dovesse sfuggirci, due
su tre dovrebbe comunque assicurarci il sopravvento.”
“Meglio garantirceli tutti e tre, anche
perché poi dovremo litigarci pure gli altri quattro.”
“Loro sono ancora imprigionati. Se i
miei calcoli sono corretti, dovremo attendere ancora venticinque anni, prima
che i quattro siano liberati e si assista alla loro venuta, per cui possiamo
concentrarci tranquillamente sull’Eletto, il Princeps
e la Guida.”
“Shhhh. È
arrivato, devo concentrarmi.”
Isaia, infatti, scortato dal posseduto,
era arrivato davanti al portone del palazzotto in cui si trovavano Serventi e Paimon, sebbene si aspettasse solo quest’ultimo. Il
templare guardò con dispiacere il posseduto: non c’era possibilità di salvarlo,
era come già morto, l’unica cosa che lo teneva in vita era la volontà del
demone; rotti gli occhi, il corpo sarebbe caduto a terra deceduto.
Prima di entrare, Isaia rapidamente, con
le dita afferrò gli occhi di vetro e li strinse fino a mandarli in frantumi. Da
quando aveva iniziato i nuovi studi ed esercizi, tra le capacità e le qualità
che aveva scoperto di possedere c’era anche una forza e una velocità fuori
dall’ordinario; la cosa lo aveva un poco spaventato, considerando che anche
Gabriel aveva manifestato caratteristiche simili, tal volta, come quando aveva
scagliato lui contro un altare ad oltre dieci metri di distanza, oppure quando
aveva sbalzato Yuri … in realtà, Isaia si era sempre
chiesto come mai, quando era stato sbattuto d schiena contro un altare di
pietra, non si fosse fatto praticamente alcun male.
Il templare, però, non stava certo pensando
a queste cose in quel momento, mise la mano sulla maniglia della porta e
l’aprì, rimanendo, però, fuori, pronto a reagire in caso di attacco.
Non era stato preparato nessun assalto,
almeno apparentemente. La stanza era piena di persone, ma nessuna si scagliò,
in quel momento, contro Isaia. Il templare abbassò per un istante lo sguardo
sulla propria spada, sentendosi pronto a sfoderarla: si era allenato
quotidianamente negli ultimi mesi e, anche se non era diventato uno schermidore
provetto, era riuscito ad ottenere una buona dimestichezza con l’arma e si era
reso conto di avere una naturale predisposizione (effettivamente, tagliare di
netto la testa a Vargas era un colpo da maestro).
Isaia entrò, avanzò di qualche passo, la
porta si richiuse alle sue spalle e fu allora che i posseduti lo aggredirono.
L’uomo sapeva bene che ricorrere al potere gesuitico o a quello di esorcista
era inutile in quella situazione, poiché si sarebbe trattato di uno scontro di
volontà e lui si sarebbe trovato a contrapporre la propria a quella di Paimon, moltiplicata per tutte le persone che stava
possedendo, il che sarebbe stato troppo faticoso per lui.
Il templare, quindi, sguainò la spada e
si difese dagli assalti dei posseduti. Ricorreva al potere gesuitico per tenere
indietro gli aggressori, cercando di creare campi di forza che lo proteggessero
e impedissero ai posseduti di attaccarlo più di due per volta, ma non era
facile mantenere quelle difese che venivano spezzate e lui era costretto a
crearne di nuove.
Ragionava rapidamente sul da farsi e
arrivò ad una possibile soluzione: sviluppando al massimo i propri poteri
gesuitici, si era reso conto che non solo poteva manipolare una mente debole,
inducendole allucinazioni visive e sonore, ma anche che poteva produrre realmente
qualsiasi suono, per cui in quel momento pensò che l’unica possibilità di
salvezza fosse quella di emettere un suono talmente acuto che mandasse in
frantumi il vetro degli occhi.
Isaia ripose la spada, si concentrò
doppiamente, sia per creare un campo di forza che lo proteggesse, sia per il
suono. D’improvviso nella stanza iniziò ad udirsi un sibilo acutissimo e ne
giro di un minuto, gli occhi di vetro si creparono e si spezzarono e i
posseduti caddero a terra morti.
L’uomo tirò un sospiro di sollievo, era
soddisfatto e in cuor suo ringraziò la sorella per averlo indirizzato verso
quegli studi, che però non avrebbe mai intrapreso, senza aver prima letto i
manoscritti di Giacomo il Giusto.
Isaia non fece in tempo a riprendersi
dallo scontro che subito la stanza si popolò di nuovi avversari: demoni di
fumo, esattamente come i lupi di Fontanefredde, dalle
sembianze più svariate, si materializzarono nella sala.
L’uomo sapeva di poterli affrontare solo
con la preghiera e con l’esorcismo, per cui non pensò nemmeno a riprendere la
spada. Fece appello alla propria energia interiore e la sentì scorrere in sé.
Sollevò la mano destra, che percepiva vibrare di potere, e iniziò a tracciare
davanti a sé una croce, dicendo: “Tibi sunt Kheter” la mano era in alto,
la portò verso il basso “Et Tipheret
et Geburah” la mano era a
sinistra e ora andava verso destra “Et Gedulah per eonas!” concluse
riportando la mano all’altezza del cuore.
Già questo solo semplice gesto fece
dissolvere le prima tre fila di demoni e tra gli altri si diffuse un certo
scompiglio.
Isaia ringraziò Giacomo il Giusto per
avergli trasmesso quel segno della croce così potente. Dopo di ciò, da sotto le
vesti trasse il proprio crocefisso e lo impugnò con la sinistra, mentre teneva
la destra davanti a se col palmo aperto. Sentiva l’energia che dalla propria
mano usciva e andava a disperdere i demoni, a ricacciarli nella loro
dimensione, per dare maggior forza, iniziò ad usare una formula di esorcismo: “Prínceps gloriosíssime cœléstis milítiæ, sancte Michaël Archángele, defénde nos in prœlio advérsus
príncipes et postestátes advérsus mundi rectóres tenebrárum harum, contra spirituália nequitiæ, in cœléstibus. Veni
in auxílium hóminum: quos Deus ad imáginem similitúdinis suæ fecit, et a tyránnide
diáboli emit prétio magno. Te custódem et patrónum sancta venerátur Ecclésia; tibi trádidit Dóminus ánimas redemptórum in supérna felicitáte locándas.
Deprecáre Deum pacis, ut cónterat sátanam
sub pédibus nostris, ne
ultra váleat captivos
tenére hómines, et Ecclésiæ nocére.”
Isaia sapeva bene, ormai, che quelle
parole di per sé non avevano forza e che l’esorcismo attingeva solo dalla sua
energia, ma era pure consapevole che formule e gesti rituali servivano per
sottolineare meglio la propria volontà ed incanalarla.
L’esorcismo fu potentissimo e i demoni
legionari vennero ricacciati agli inferi tra urla strazianti.
Isaia si sentiva quasi svuotato: non
sapeva quanti demoni lo avessero circondato, ma dovevano essere stati
centinaia, poiché era certo di aver dato fondo a gran parte della propria
energia.
Sentì una forza oscura. Udì il suono di
passi, si voltò e vide che nel salone c’era una scalinata che portava al piano
superiore, da essa stava scendendo l’uomo con la bombetta e gli occhialini
tondi e neri.
Isaia capì immediatamente e, facendosi
coraggio, con tono di sfida, disse: “Paimon!”
Il demone annuì e sogghignò. Finì di
scendere le scale, si mise di fronte al templare e lo informò: “Anche se sai il
mio nome, questo non ti aiuterà, anch’io conosco il tuo: Isaia.”
L’uomo non si era certo illuso che il
demone non conoscesse il suo nome, dal momento che aveva fatto di tutto per
trovarselo di fronte. Si chiedeva, tuttavia, come mai era stata la vittima
designata di un Re infernale che da almeno due secoli si era aggirato
nell’ombra, pur non essendo mai stato sconfitto.
“Perché io?” chiese Isaia, in parte
anche per prendere tempo e recuperare le forze “Perché sono il Magister Templi? Perché discendo da Giacomo il Giusto?”
“Di Giacomo non sapevo. Ottimo, sarà una
soddisfazione in più.”
“Allora, perché hai provocato tutto
questo caos solo per me?”
“Davvero, quindi, non hai idea di chi
sei o, per meglio dire, di chi potresti essere?”
“Io sono un servo di Dio, nient’altro.”
“Oh, su questo sono assolutamente
d’accordo; non sei, però, un servo qualsiasi … peccato che tu non lo sappia, la
mia vittoria sarà un po’ meno saporita.”
“Questo non è un problema: non c’è
vittoria per te, solo sconfitta.” replicò Isaia, molto sicuro di sé ed emanando
calma, sebbene dentro di sé non fosse affatto certo.
Paimon si mise a
ridere e disse: “Se fossi in atto ciò che sei in potenza, potresti
effettivamente avere qualche possibilità di sconfiggermi, ma nello stato in cui
ti trovi ora …” scosse il capo negativamente e sghignazzò, beffardo.
“Il mio maestro, Samuele Costa, ha
sconfitto Baal. Io sono un degno allievo e
sconfiggerò te.”
Un’altra tremenda risata.
“No. Mi spiace deluderti ma, devi
sapere, il caro Baal mi ha raccontato come sono
andate le cose: il tuo maestro stava per essere sconfitto dal Signore delle
Mosche che se n’è andato unicamente perché gliel’ha chiesto il tuo amico
Gabriel.”
“Cosa …?”
Isaia era esterrefatto: non poteva
credere che le cose fossero andate così! Se Gabriel era davvero in grado di
farsi obbedire dai Re infernali, allora era una minaccia ancora maggiore di
quello che aveva supposto e le possibilità per non doverlo uccidere diminuivano
parecchio.
“Ci sei rimasto molto male?” lo schernì
“Come vedi le tue speranze sono nulle. Non opporre resistenza e dammi ciò che
voglio.”
“Non avrai mai i miei occhi. So
benissimo che non puoi strapparmeli con la forza ma che devo essere io a
cederteli. Io non mi arrenderò MAI!”
“Aspetta, almeno, di ascoltare la mia
offerta, prima.”
“Non hai modo di tentarmi.”
“Ah no? Io, invece, scommetto di sì. So
perfettamente che cosa ti fa soffrire e che cosa desideri. Sei solo. Hai perso
i tuoi amici, perché hai anteposto ad essi il tuo dovere e ora sei circondato
da tanta gente, sì, ma sono solo collaboratori, non c’è affetto. Ti rimane solo
la tua sorellina, ma hai paura che Gabriel possa perdere il controllo e farle
del male o, peggio, che lei venga influenzata dai tuoi vecchi amici e ti volti
le spalle.”
Isaia deglutì, era sorpreso che il
demone fosse riuscito a superare la sua difesa mentale e riuscisse a leggere
così profondamente nel suo animo.
“Odi Serventi e lo ritieni la causa di
tutto questo. Odi il fatto di dover combattere contro il tuo migliore amico;
odi il fatto di amare fraternamente quello che diventerà l’anticristo; odi la
tua debolezza umana che ti ha fatto affezionare e che ora ti fa soffrire,
poiché per te il dovere, il bene, la giustizia, vengono prima di qualsiasi
altra cosa, anche della tua felicità.” ghignò “Ho solo l’imbarazzo della scelta
per decidere su cosa far leva. Che ne dici di questo: se tu mi dai i tuoi
occhi, io resetterò tutto. Tu tornerai a startene a Roma, coi tuoi amici,
sarete felici e nessuno di voi si ricorderà della Profezia e di quel che è
accaduto.”
“Come hai giustamente capito di me, non metterò
a rischio il mondo, solo perché una responsabilità mi pare troppo gravosa.”
“Allora ti darò il potere per
sconfiggere Gabriel.”
“Non ho intenzione di ucciderlo.”
Isaia, intanto, stava raccogliendo tutte
le proprie forze.
Paimon ragionò qualche
momento e poi propose: “Dammi i tuoi occhi e io me ne tornerò all’Inferno,
senza più mettere piede sulla Terra. Non è un nobile sacrificio, degno di te?”
“No. Mi useresti come tramite per le tue
malvagità. Tu non puoi corrompermi!”
Il demone era furioso! Non era mai
capitato che qualcuno resistesse alle sue offerte!
Pieno di collera, Paimon
afferrò per il collo l’uomo e gli disse: “E va bene, Isaia, può essere ch’io
non possa distruggere la tua volontà, ma ci sono mille altre cose che posso
fare! Ti imprigionerò in uno dei miei posticini preferiti dell’Inferno.”
L’energia demoniaca iniziò ad uscire
dalle mani di Paimon e iniziò a scontrarsi con quella
che Isaia stava usando per difendersi.
Era uno scontro di volontà e di energia.
Il templare aveva usato quasi tutto il suo potere per respingere i diavoli
legionari e ora gliene era rimasto ben poco per difendersi. Sapeva bene che se
avesse permesso alla forza di Paimon di penetrare nel
suo spirito, allora non ci sarebbe stato più nulla da fare e sarebbe stato
risucchiato chissà dove.
Doveva resistere, doveva sfruttare tutta
la propria volontà e la propria concentrazione per attingere ad ogni barlume di
luce astrale per proteggersi.
Aveva già impiegato quasi tutte le
proprie forze e non era ancora in grado di risucchiare energie esterne da
sfruttare.
Paimon lo percepiva
chiaramente e sentiva imminente il proprio trionfo!
Isaia digrignò i denti, anche se debole,
era deciso, sicuro, la sua volontà era di ferro, ostinata a non cedere.
D’improvviso, i suoi occhi castani divennero azzurri. Isaia sentì in sé
un’energia completamente rigenerata e, soprattutto, sconfinata. Respinse la
forza demoniaca, l’attaccò, la sopraffece. La volontà di Isaia, guidando questo
potere, distrusse la volontà di Paimon, entrò nella
sua mente, nella sua anima, le rovesciò, le scombussolò totalmente e poi …
“Io ti domino, Paimon!
Io ti esilio nell’Inferno. Sarai incatenato e non potrai più nuocere!”
Paimon, sbigottito,
iniziò a dissolversi: stava tornando nel suo mondo; sorrise amaramente e sussurrò:
“Almeno è stato il Princeps a sconfiggermi, non ho di
che vergognarmi.” sparì.
Isaia, pure, era sorpreso. Non aveva
capito dove avesse trovato la forza per reagire, forza che ora non sentiva più
pervaderlo. Si concentrò per cercarla ed ebbe la parvenza di sentirla latente o
quiescente nel suo profondo.
I suoi occhi erano tornati castani.
“Complimenti, padre Morganti.”
Era la voce di Serventi. Isaia fu
incredulo di sentirla lì, si guardò attorno e infine scorse Bonifacio sulla
balaustra del piano superiore.
“Vieni, Isaia, credo sia il caso di
conversare da persone educate e civili.”