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Autore: persempretusarai    05/06/2014    0 recensioni
La vita coniugale di Finn e Rachel va alla grande: aspettando il momento giusto per sposarsi nella Grande Mela, continuano gli studi rispettivamente alla NYADA e all’Actor Studio vivendo nella bolla del loro grande amore. Quando Finn viene preso per la parte di un personaggio secondario in un film, ed entrambi conoscono due ragazzi nuovi e misteriosi, non sanno che determinate situazioni e avvenimenti metteranno alla prova, ancora una volta, il loro amore e anche quello dei due ragazzi misteriosi che avranno in comune con loro molti aspetti.
Note: storia scritta a quattro mani
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Finn Hudson, Rachel Berry | Coppie: Finn/Rachel
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Just a dream.

 

Capitolo venticinque.
 
Scusa per la lunga attesa
 

Lea si svegliò di soprassalto, la bocca asciutta e la fronte umida. Cosa era successo? Dove si trovava? Non sapeva quanto tempo fosse passato, non era nemmeno sicura che il tempo fosse effettivamente passato. Cercò di tamponarsi la fronte con le mani, ma si accorse che queste erano immobili. Perché non riesco a muovere le mani? Con un respiro profondo Lea sollevò un braccio, ma era come se fosse di piombo. Non riusciva a capire il motivo, e una profonda sensazione di insicurezza e pericolo si stava impossessando di lei.

“Ah..” Cercò di articolare una frase, ma non ne era in grado. Non era in grado di respirare a pieni polmoni, né di sollevare le braccia, né di.. Ma dove si trovava? Ecco la vera domanda che doveva porsi. Che avrebbe dovuto porsi sin dall’inizio. Perché, non era nella sua stanza, nel suo letto. No, Lea si trovava in una stanza d’ospedale.

 

Il film era finito. Concluso. E Finn non era mai stato così felice.

Rachel lo vedeva, tutte le mattine, con il giornale in mano, in attesa delle prime recensioni.

Finn, non ne scriveranno prima di due o tre mesi.” gli ricordava sempre. Lui la guardava sorridendo, ammiccava e le spediva un bacetto.

Non si sa mai.

E invece lo sapeva benissimo. Ci voleva ancora un mese per finire la produzione e chissà poi quanto tempo ancora prima che il film uscisse. Ma Finn era soddisfatto. Il suo primo lavoro era concluso, conviveva con la ragazza che amava e aveva tutte le intenzioni di uscire a comprarle un anello di fidanzamento nel pomeriggio. Oh, si. La cosa lo esaltava tantissimo. Da mesi non era così felice. Non era così felice da… già. Non era così felice da quella notte che aveva passato a prendersi cura di Lea Michele, a casa sua. Quella notte era stato così vicino a tradire Rachel, così a pochi passi dall’arrendersi e donarle tutto, che non appena aveva messo piede nel suo appartamento, quello che condivideva con la ragazza più bella, più entusiasta, più talentuosa, più egocentrica che conoscesse, si era ripromesso di tagliare ogni tipo di relazione che aveva avuto con Lea. Certo, gli era dispiaciuto. La vedeva, sola sul set, decine di fazzoletti stropicciati in mano, simbolo che Cory non si era fatto più vivo.

Cory.

Rachel aveva confessato. Una sera, gli aveva preso le mani e lo aveva trascinato davanti al caminetto nel loro piccolo appartamento. “Finn.” gli aveva detto. E Finn aveva capito. Aveva asciugato le sue lacrime. “E’ stato solo un bacio.”, “Ti perdono.”, “Non conta niente per me.”.

E così era stato. Finn aveva perdonato Rachel. La sua Rachel. L’aveva perdonata perché aveva provato sulla sua stessa pelle ciò che si provava ad avere la tentazione a portata di mano. Lo sapeva. Desiderava ogni giorno Lea, sul set, in cabina, a cena. Ma si limitava a guardarla da lontano, a sorriderle annuendo. Si, anche lei lo sapeva. Sapeva che Finn provava qualcosa per lei, e che era stato meglio che lui si fosse allontanato. Il giro di sofferenze sarebbe stato troppo grande, non ne sarebbe valsa la pena.
 

Anche Lea lo guardava da lontano. Gli sorrideva, ogni tanto in modo triste. Finn capiva subito, e le prime volte l’aveva raggiunta in bagno dopo qualche minuto, l’aveva stretta tra le braccia mentre piangeva, poi, senza dire una parola, così come erano fuggiti in bagno erano ricomparsi, a tavola, sul set, e tutto era tornato normale. Anche quei momenti piano piano si spensero, e Lea compariva sempre più spesso accompagnata da Jon. Finn ne era felice. Era felice di vedere il suo bellissimo sorriso italiano brillare sotto la luce del sole, sebbene spesso vedesse le ombre che lo offuscavano.

Le altre persone quelle ombre non le vedevano. Vedevano solo Lea, tornata ad essere felice ora che Cory era andato via. Ma non era questa la verità. Non era felice, non stava meglio, non si era tornata a godersi la vita. No. Finn riusciva a leggerle nel cuore, riusciva a vedere come in certe situazioni si sforzasse di non scoppiare in lacrime davanti a tutti.

Avevano smesso di portarle il giornale, sul set. Avevano smesso di farle leggere qualsiasi articolo si riferisse a lei come “Rinata.”, “Sopravvissuta.”. Lea non era rinata, né sopravvissuta. Era diventata un’ombra, un’ombra il cui sorriso splendente celava i peggiori segreti.

Finn li leggeva a tavola, a colazione, i giornali. “Finn, non ne scriveranno prima di due o tre mesi” gli diceva sempre Rachel, pensando che stesse a cercare informazioni sul suo film. Finn era felice di lasciarglielo credere, era una menzogna con cui riusciva a sopravvivere. Un giorno glielo avrebbe detto. Se lo era ripromesso. Un giorno avrebbe preso le sue piccole delicate mani, l’avrebbe condotta in salotto, davanti al camino del loro piccolo appartamento e gli avrebbe confessato: “Rachel, non aspetto delle recensioni. Leggo per sapere cosa dicono di Lea, quali storie di inventano sul suo conto. Cosa dicono, fingendo di non sapere che ogni giorno convive con la scomparsa di Cory.” Non avrebbe aggiunto che la scomparsa di Cory era stata causata anche da Rachel. No, Rachel l’avrebbe capito da sola. Era sempre stata intelligente, la sua stella.

E così, il tempo era passato. Tra articoli nascosti e letture mattutine, tra sorrisi rubati e parole spente, le riprese del film erano finite. Finn era tornato ad essere l’uomo di casa, contento di abbracciare una esausta Rachel sera dopo sera. Aveva ricominciato a correre al mattino presto, e per la prima volta aveva accettato l’aiuto di uno psicologo. Il mercoledì, il giovedì e il sabato si recava in un piccolo ufficio sulla settima strada, parlava delle sue vicende nell’esercito, cercava di non piangere e puntualmente piangeva. Le prime due settimane erano state struggenti. Rachel non sapeva come affrontare i silenzi di Finn, troppo spesso alternati a crisi di pianto violente. Non sapeva come consolarlo, non sapeva come gestirlo. Il suo pensiero, le prime volte costantemente concentrato su Cory e sulla sua scomparsa, sui suoi sensi di colpa e sulla sua pena nei confronti di Lea, era adesso popolato da Finn. “Come posso aiutarti”, “Cosa posso fare per te”, “Parlami”.

E Finn aveva iniziato a parlare con lei. Aveva iniziato a stringerle le mani alla notte, quando non riusciva a togliersi dalla mente le immagini dell’Afghanistan. Le baciava le guance quando la confondeva con un’ombra sconosciuta, e Rachel era sempre disponibile. Non pensava più a Cory.

Finn era il suo presente, e il suo futuro.


Erano passate esattamente tre settimane dall’ultima volta che Finn aveva visto Lea. Si erano salutati sul set, e Lea non aveva partecipato alla cena che festeggiava con gli attori la fine delle riprese. A breve avrebbero ricevuto le date che richiedevano la loro presenza alle diverse prime dei film. Una data a Parigi, una a Londra, una a Los Angeles. “Ti porto a Parigi!” aveva detto Finn a Rachel. La ragazza aveva riso a bocca aperta, “Ma devo studiare! Non riuscirò mai a ballare in modo decente!” Finn annuiva, comprensivo. “Che bisogno c’è? Ti insegno io a ballare!”. Rachel aveva riso ancora di più.

Era successo a Los Angeles. Rachel aveva acconsentito ad andare con Finn, per vedere la parte di America che non aveva mai visto. Sull’aereo era eccitatissima, così come lo era Finn. Los Angeles sarebbe stata l’unica destinazione a cui Lea avrebbe partecipato. In Europa non era venuta, e Finn si era trovato a girare da solo per i quartieri malfamati, cercando campo per chiamare Rachel, o Kurt. Loro si che se ne intendevano. Solo a Londra lo aveva raggiunto una orgogliosissima Carole, che con il suo sorriso lo aveva accompagnato alla presentazione del film, posando con lui e stringendogli la mano durante le interviste.

Los Angeles. Chissà come sarebbe stato rivederla. Chissà com’era cambiata in quei quattro mesi. Chissà se si sarebbe legata i capelli in quel modo che le donava tantissimo. Un dolce sorriso era comparso sul viso di Finn, e aveva lasciato credere a Rachel che fosse per l’emozione.

Non appena scesi dall’aereo, Finn aveva preso la mano di Rachel. Consapevole degli innumerevoli paparazzi che li avrebbero accolti, le aveva consigliato di attrezzarsi di occhiali scuri e di cappello a tesa larga. Era comunque bellissima. Il suo sorriso illuminava tutto quanto l’aeroporto, ed era sicuro che in vita sua mai avrebbe visto qualcosa di più bello. I flash avevano già cominciato a illuminare i loro volti, quando in lontananza, Finn scorse un volto famigliare. Lea era bella da mozzare il fiato. Decine di fotografi chiamavano il suo nome, ma lei avanzava impassibile, borsone alla mano. Per un momento alzò gli occhi, incrociando quelli chiari di Finn.

Un lampo di riconoscimento le attraversò il viso.

Lea si bloccò in mezzo all’atrio dell’enorme aeroporto, diretta verso l’uscita. Finn non seppe mai se uscì o meno dall’aeroporto. Strinse forte la mano di Rachel nella sua, e con un ultimo sorriso diretto a Lea, uscì. Né lui né Rachel videro mai più Lea. Né Cory.

 

Una mano le accarezzava il braccio. Le dita erano fresche, così come era fresca l’aria che filtrava dalla finestra. Sentiva i piedi riscaldati dal sole, e non desiderava aprire gli occhi. Il proprietario della mano che la stava accarezzando le sussurrò qualcosa all’orecchio.

Mamma.

Lea cercò di aprire gli occhi, stringendo i denti. Non riusciva a sollevare le braccia. Non riusciva, esattamente come la notte precedente. La cosa la mandava in bestia.

I suoi grandi occhi marroni si aprirono infine. La luce era accecante, ma confortevole allo stesso tempo. Si sentiva al sicuro.

Due infermiere erano ai lati del suo letto, sua madre e sua padre le tenevano la mano destra, Jon quella sinistra. Quest’ultimo si chinò dolcemente verso di lei, sfiorandole la guancia con un bacio.

“Sono felice che tu sia sveglia.” Disse piano.

“Oh, tesoro.” Edith strinse la presa sul braccio di Lea, cercando di trattenere le lacrime. No. Il braccio no. Lea voleva parlare, urlare, tutto quello che riuscì a fare fu un piccolo cenno con la testa.

“E’ possibile che il braccio le dolga, Signora Sarfati. Dopotutto, sono mesi che gli aghi sono infilati li.” osservò una infermiera, rivolta alla madre di Lea. Edith annuì rispettosa, e si concentrò sul volto della figlia.

“Come sta?” domandò al vento.

“Starà bene. I livelli sono regolari, la respirazione è autonoma. Stanotte ha anche chiesto un bicchiere d’acqua, prima di riaddormentarsi. Il dottore stamattina presto l’ha visitata, non sembrano esserci danni alla memoria. C’è solo una cosa..”

L’infermiera venne interrotta dal respiro profondo di Lea, che cercava di attirare la sua attenzione. La piccola ragazza raccolse tutte le forze che aveva in corpo, e per la quarta volta da quando la notte prima si era risvegliata, pose la domanda che più le stava a cuore. “Cory?”

L’infermiera annuì, comprensiva. Poi, rivolta ai genitori di Lea, scosse la testa sconsolata. “Il dottore non ha avuto la forza di dirglielo. Alle sue domande stamattina ha risposto solo con dei cenni, l’unica cosa che ha detto è il suo nome.” A quelle parole, fece gesto alla sua collega di uscire dalla stanza.

“Se avete bisogno, sono qua fuori.” disse prima di congedarsi lei stessa. Resse lo sguardo perso di Jon fino alla completa chiusura della porta.

“Lea.” cominciò il padre di Lea.

“Mark. No.” Intercettò Edith, posandogli una mano sul braccio.

“Posso?” Jon chiese il permesso ai Sarfati, prima di piegarsi su Lea.

“Tesoro. Ti ricordi cosa è successo prima dell’incidente?”

Lea guardò Jon confusa, cercando di concentrarsi. Certo, si ricordava. Annuì.

“Ecco. Nell’incidente, tu e Cory siete rimasti gravemente feriti. Lui.. Ecco, Cory ha resistito fino a qualche mese fa, in stato incosciente come il tuo. Una notte, però..”

Ma Lea non aveva più bisogno di sentire. Lo sapeva già. Calde lacrime riempirono i suoi occhi. Aveva visto Finn e Rachel nell’aeroporto. Non aveva senso, perché Finn e Rachel erano lei e Cory. Aveva subito compreso che qualcosa non andava. Tutto non andava. L’incidente, la corsa verso l’aeroporto,

“Muoviti che New York ci aspetta!”,  “Guarda che non ho una super auto e devo rispettare i limiti se no non ci arriviamo in aeroporto!”. 

Le sirene. Cory non c’era, ecco cosa le stava dicendo Jon, cosa sua madre non voleva che suo padre le dicesse.

Fu in quel momento, mentre le sue mani erano strette dalle tre persone che le stavano più a cuore, le uniche tre persone che avrebbe voluto con lei in quel momento, che sentì una voce dentro di lei. Chiuse gli occhi, lasciando che le lacrime le scendessero sulle guance, e si concentrò sull’immagine che il suo cervello le stava donando. Riusciva a vedere chiaramente Finn e Rachel, ma no, che stava dicendo. Vedeva lei e Cory, in una foto scattata dai paparazzi, mentre uscivano dall’aeroporto. Vedeva Cory, il suo bellissimo sorriso, i suoi occhi chiari. Era al suo fianco, le teneva la mano insieme ai suoi genitori. Le sorrideva, il solito dolcissimo ghigno che dedicava a lei e solo a lei.

“Sono contento che ti sia svegliata piccola. Io sono al tuo fianco, come sempre.”.

Non riusciva a sollevare le braccia. Gli aghi le pungevano la carne. Le mani le sudavano, strette tra quelle dei suoi genitori e del suo migliore amico. Le guance e gli occhi le bruciavano per le lacrime.

Non avrebbe più rivisto Cory, eppure non l’aveva mai sentito così vicino a lei prima d’ora.

Lea spalancò gli occhi.
 

________________

Angolo delle Laras
 

Quindi siamo arrivati alla fine.. Volevo dire due parole anche io, l’altra Lara, Nano. Insomma, prima di tutti mi dispiace avervi fatto aspettare così a lungo per il mio capitolo. Quando io e Lara ci siamo viste, pochi mesi fa, le avevo detto che ero a buon punto, ma poi sono rimasta ferma immobile dove ero arrivata. Abbiamo molto discusso riguardo quello che sarebbe dovuto succedere in questo capitolo, e beh, speriamo sinceramente che non vi abbia deluso il risultato. Ci sarebbero così tante cose da spiegare, così tanti significati da farvi capire, ma io penso sia meglio lasciare tutto alla vostra lettura, e alla passione che coltivate nel cuore. Io personalmente, so che porterò dentro al mio moltissimi momenti, vissuti grazie alle coppie protagoniste di questa storia, e soprattutto grazie alla mia compagnia di avventure (e di nome). Scrivere questa storia con te è stato, come sempre, un onore. Scrivere di Lea e Cory, Rachel e Finn, è stato un onore, lo è ancora oggi, e l’emozione che mi ha dato scrivere questo capitolo è immensa, semplicemente immensa. La forza che ancora mi danno è incredibile, proprio quando credevo si fosse spenta. Ora so che mai si spegnerà, sebbene non intenda scrivere ulteriormente di loro. Infine, scrivere per voi è stato bellissimo. Come i primi capitoli, le prime storie. Mi rendete felice, mi avete reso felice negli anni, e spero sinceramente che con questo capitolo porterò ancora un po' di felicità nelle vostre vite.
Un bacio enorme,
Lara
–  Nano.

Ho voluto mettere come primo commento le parole di Lars perché è giusto così. Se questa storia ha un inizio e una fine è grazie a lei - la mia compagna di scrittura, la mia amica che vive lontano ma è vicina con anima e cuore. Ho tanta nostalgia nel cuore ma allo stesso tempo tanta felicità perché con questa storia sono cresciuta, mi ha fatto compagnia nei momenti di sconforto e di pura euforia. Porto nel cuore tanti di momenti importanti che difficilmente andranno via e non ho intenzione di dimenticarli.
Sono passati due anni dall'inizio di questa fan fiction e sembra ieri quando Lars mi chiese di scrivere una storia insieme a lei - io che mi divertire a recensire (cosa che mi diverte tutt'ora) storie altrui consapevole di non essere brava quanto lei e di tante fanwriter in giro per il sito. 
Scrivere con te, Lara, è stata la cosa più fantastica della mia vita.
Scrivere di Lea e Cory, Rachel e Finn mi ha riempito il cuore; vederli prendere vita sulle pagine di Word - o sui tantissimi fogli sparsi in camera mia - è stata un'emozione immensa. Il sentimento che provo per loro non andrà mai via perché ormai sono parte della mia vita, della mia persona. E sono sicura che sia così anche per voi. 
Scrivere per voi è stato un piacere bellissimo e ognuno di voi mi ha dato quella spiinta in più per andare avanti. E qui voglio fare un ringraziamento speciale a Roberta per aver sempre creduto in questa storia e il suo supporto è stato essenziale. Grazie Roberta. 
Grazie a tutti per tutto. 
Un bacio enorme,
Lara 
– persempretusarai

  
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