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Autore: acchiappanuvole    06/06/2014    2 recensioni
Noi musicisti siamo come gli astronauti, molti di noi muoiono durante il lancio, sospesi in orbite perpetue o nell'istante infiammabile del ritorno a casa, immersi nell'oceano completamente vestiti, con le nostre capsule e le nostre visioni.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Roger Waters, Syd Barrett
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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The madcap laughed
 
The madcap laughed at the man on the border
hey ho, huff the Talbot
the winds they blew and the leaves did wag
they'll never put me in their bag
the seas will reach and always seep
so high you go, so low you creep
the wind it blows in tropical heat
the drones they throng on mossy seats
the squeaking door will always squeak
two up, two down we'll never-[lee) limit
so merrily trip forgo my side
Please leave us here
close our eyes to the octopus ride!
-Syd Barrett-
 
E' il 1973.
E per essere più precisi è il cinque giugno del 1973. Una giornata torrida sotto il cielo grigio di Londra.
 Non avevo una meta precisa quel giorno, o forse ce l'avevo ma, inizialmente, mi sforzavo d'ignorarla.
Nella testa la musica come una vasca di isolamento e mezzo per viaggiare verso altri pianeti.
Era quello che diceva sempre anche lui. Noi musicisti siamo come gli astronauti, molti di noi muoiono durante il lancio, sospesi in orbite perpetue o nell'istante infiammabile del ritorno a casa, immersi nell'oceano completamente vestiti, con le nostre capsule e le nostre visioni.
Accendo una sigaretta. La porto alla bocca, l'assaporo come sempre faccio dopo una giornata passata a registrare. In vero fumare non mi piace, ma fa parte del gioco. Così come i capelli lunghi, le camicie dai lunghi colletti, abiti elettrici, occhiali con lenti colorate. E' il potere della luce.
Così ho letto in una rivista musicale con le nostre facce in copertina. Ben tre pagine dedicate a noi. Esattamente subito dopo Bob "Forever Young" Dylan e Paul "When I'm Sixsty Four" McCartney.
Le grandi glorie da cui abbiamo tratto ispirazione come assetati attaccati ad una fonte nel deserto.
Pink Floyd. Dalla genesi al successo.
Quattro ragazzi e alle spalle l'ombra di un fantasma onesto.
Eccoci lì. Aggrappati ai nostri strumenti come ad un bastone. Fuori dal mondo e così fottutamente dentro.
Salgo sulla metro. Sono le quattro ed intorno a me solo donne con buste della spesa e tanta lacca nei capelli. Sono le ultime eroine degli anni sessanta che ignorano volutamente i cambiamenti degli ultimi tre anni. Mi siedo in fianco ad una di loro.
Sentore di Chanel –credo- non ancora sostituito dal pachuli.
Sfoglia un giornale ricolmo di foto, rubriche e articoli più disparati.
 La cosa più psichedelica sulla quale probabilmente ha mai messo mano. Con strafottenza mi sporgo per leggere a mia volta. Mi piace capire che non capisco quasi niente; mi piace pensare che tutte quelle teorie su cose tanto superficiali possano essere importanti e attendibili per qualcuno; tutto quel giro di soldi intorno all'idea che il nuovo è sempre meglio del meno nuovo e che il classico sarà sempre più moderno di qualsiasi avanguardia della domenica. Tutti quei nuovi Beatles e quei nuovi Dylan - noi compresi-.
 In nessun posto si invecchia più in fretta e più in fretta si raggiunge l'immortalità come nel rock.
Lei si scosta, chiude la rivista e io rido. La condivisione a quanto pare non è gradita.
Scendo, qualcuno pare riconoscermi. Sento occhi puntati addosso e voci concitate. Tiro dritto, non è il momento.
Adesso ho una meta. E non è una meta semplice. E' una di quelle desiderate ma che fanno una paura tremenda. Ed io non ho niente con me se non una buona dose di bastardaggine a suggerirmi che, se anche avrei dovuto decidermi a venire qui molto tempo prima, il tardi è sempre meglio del mai.
La casa non è cambiata. I muri sono sempre scrostati e le piante non hanno smesso di mangiarseli. Le finestre sono tutte chiuse, le tende tirate.
Resto davanti al cancello. Indeciso se farmi un'altra sigaretta. Un po' di marijuana. Andarmene o decidermi a suonare il campanello.
Una volta era una consuetudine adesso invece è maledettamente difficile. Non avevo le catene del senso di colpa a gravarmi addosso come ora. E pesano. Pesano e probabilmente non finiranno mai di pesare.
Il dito preme sul bottone opaco del campanello. Una, due, tre, quattro volte. Nessuno risponde.
Scavalco la ferraglia arrugginita retaggio di una vittoriana nostalgia.
Il vialetto è breve, circondato da innumerevoli piante. Belle, curate.
Una lussureggiante cornice di un evidente degrado.
Quando sono davanti alla porta d'ingresso, valuto ancora se attraversare lo specchio o andarmene a Carnaby, Camden o qualsiasi altro posto non richieda miscele emotive pericolose.
Ma allora venire qui, essere qui ad un gradino dal troppo rimandato, non avrebbe senso.
Sarebbe l'ennesima vigliaccheria. Ed io sono stanco di sfuggirgli.
Consumo il dorso della mano sul legno rossastro della porta. Quando la sento aprirsi provo un improvviso senso di calma onirica, una disgregazione del corpo dalla mente che dura la frazione di secondo che i miei occhi impiegano a realizzare la figura di Gala che, come un'antica sacerdotessa stanca, mi scruta priva di qualunque emozione. Lei è la guardiana casuale di questa discesa vorticosa verso il non ritorno.
I suoi occhi di ghiaccio sono come un mare nordico sotto il quale giacciono i relitti di mille epoche.
- Posso vederlo?- taglio il silenzio con la lama malferma della voce che suscita appena un sorriso di scherno sulle labbra truccate di arancio di Gala.
- Sei qui per questo dopotutto- e si scosta dalla porta, la spalanca dietro di sé e poi discende, con il passo di una ribelle bambina, verso il vialetto e il nostalgico cancello. Non si volta mai.
Sono solo infine.
E' una solitudine che si amplifica man mano che procedo all'interno di questa casa imbalsamata. Le luci artificiali, soffuse, le tende pensanti impolverate, e l'eco gracchiante di un televisore. Seguo Alice nella ricerca del bianconiglio ma, al suo posto, abbandonato su una poltrona di pelle beige, trovo il Cappellaio.
 
- A quale specie o genere di fiore appartieni?- ripete in simultanea la frase che una grossa rosa rossa paffuta pone ad Alice, in quell'esatto momento, tra i singhiozzi del canale televisivo.
Syd sembra una marionetta priva di fili abbandonata da qualche burattinaio distratto sopra quell'orribile poltrona. La testa si sposta di tanto in tanto da un lato all'altro facendo ricadere una chioma corvina scompigliata e striata da precoci fili d'argento.
Comincio a pensare che non mi abbia riconosciuto.
- Ciao Syd - avanzo in una stanza cosparsa di bottiglie di birra vuote, mozziconi e grigiore.
 Il solo tono vivo viene dato dal film disneyano come macchia di colore in uno scenario sbiadito.
-Oh ciao!- si anima d'improvviso, con gli occhi fatti di ossidiana passa da me allo schermo del televisore e poi nuovamente a me.
- Tu credi che lo sia sempre stato?-
-Cosa?-
-Matto. Credi che il Cappellaio lo sia sempre stato?-
- Non saprei, Syd-
-Perché nessuno lo spiega. Nessuno. Nel libro non c'è scritto. Non mi pare ci sia scritto. Perché?-
-Non te lo so dire-
- Bisognerebbe domandarlo allo specchio ma in questi giorni non si sente bene- indica un veneziano, rotto di proposito, infondo alla stanza.
- Syd- prendo il respiro, cadenzando l'idea di un po' di fumo sapendo che peggiorerei solo le cose - Ho bisogno di parlarti-.
- Stiamo parlando-. ridacchia lui.
- No. Stai parlando tu. Come al solito-.
- Sto scrivendo un album lo sai? E' qui dentro la mia testa. Lo scrivo in ogni istante. C'è tempo. Sempre tempo. Non ce né? E' tardi. Sono in ritardo! Hai una sigaretta?-
Tiro fuori l'ultima Lucky Strike dal gacchino e gliela porto alle labbra.
- Se mamma vede che fumiamo sono guai, eh, Roger!? Dobbiamo fare attenzione. Le ho detto che ci sono cose che fanno più male e lei è scoppiata a piangere. Non la capisco, davvero. Talvolta parla tanto e le sue parole diventano suoni, suoni incredibili. Penso che cercherò di rubarglieli e di metterli nel prossimo disco. Pensi che si arrabbierà?-
- Syd ascolta... Pensavo che potrei darti una mano con questo nuovo disco.  David ha detto che ti aiuterà a produrlo ed io pensavo che potrei esserti utile nella composizione. Come ai vecchi tempi-.
- Come vuoi. Guarda li vedi i fiori? Adesso si mettono a cantare. Si possono imparare un sacco di cose dai fiori. Hanno una ritmica perfetta, Roger. Difficile eguagliarla-.
D'improvviso desidero uscire, vederlo alla luce del sole come se questa potesse in qualche modo purificarci entrambi.
- Syd, perché non usciamo fuori. Prendiamo un po' d'aria, ti va?-
- Qui ce né già abbastanza. Là fuori non mi piace. Non oggi-.
- Le ascolti le nostre canzoni?-
- Ce l'hai una sigaretta ?-
- La tieni già fra le labbra. Non vedi. Ascolti le nostre canzoni?-
- Certo. Alla radio le trasmettono spesso-.
- Sid io ho bisogno di... Ho bisogno di sapere che le ascolti, ma per davvero. Lo senti di cosa parlano, Syd?-
- Di me- sbuffa il fumo come si trattasse di una piccola anima bianca.
- Si, Syd, di te. Non c'è testo che io scriva dove tu non ci sia-.
- Perché io sono il diamante, Roger-.
- Sì. Tu sei il diamante-.
- Io ho liberato la musica. Vi ho fatto salire sull'astronave e vi ho portato dove siete ora. Un'astronave e non un sottomarino giallo. C'è differenza, lo sai?-
- Syd è diventato tutto più difficile adesso-.
-  Lo diceva sempre anche Gala. Più difficile. Le canzoni che scrivo sono tutte per lei. O almeno penso siano nate per lei. Ma forse sono per qualcuno che deve ancora esistere o che non esisterà mai. Nessuno ama le cose poco chiare-.
- Tante persone ti amano, Syd-.
- Ah sì?-
- Certo. Tutti noi ti amiamo-.
- Ma voi mi avete abbandonato. Vi siete presi quello che ho creato e mi avete abbandonato-.
- Non è così. Non... Lo sai bene che non potevamo andare avanti a quel modo tu... Tu non stavi bene e…-
- E ora? Ora cos'è cambiato? Sto bene, forse? E' per questo che sei venuto qui. No, non lo credo. Venite qui uno ad uno come in un pellegrinaggio a chiedere perdono. Ed io sono Dio e sono il Diavolo. Mi portate parole ed io me le mangio-.
- Fosse dipeso da me non avrei mai voluto che accadesse tutto questo-.
Ride. Ride e mi passa attraverso con lo sguardo.
 D'improvviso mi sento privo di consistenza, di ragione d'esistere.
- Avete rubato tutto e mi avete esiliato in un pianeta pieno di voci che non riesco a capire. Voi non capite me ed io non capisco le voci. Però non si sente la mancanza o non la si sente troppo di quel che non si è riusciti a capire-.
-Prendiamo un po' d'aria Syd-.
- Sei venuto qui solo perché sentivi la necessità di sbattere al sole il tappeto sporco? Non lo permetto nemmeno a Gala figuriamoci a te- canticchia qualcosa di stonato per poi guardarmi come se mi vedesse per la prima volta.
- Roger, accidenti, non ti ho nemmeno offerto da bere. Ti va il té? Sono le cinque? No, non sono le cinque. Ma possiamo bere il té lo stesso. O una birra. Ti va una birra?-
- Voglio che tu mi permetta di aiutarti con l'album. So che scriverai dei grandi pezzi e...-
- Siete davvero dei folli- si avvicina al mio viso ipnotizzandomi per un istante - Sì, dei meravigliosi folli. Mi cacciate ma poi volete aiutarmi con l'album. Se poi vendesse bene intaschereste pure qualcosa-.
- Non vorrei un centesimo! Solo aiutarti. Permettimelo-.
- Certo Roger, sei un caro e caro amico. Io permetto. Permetto sicuro. Ora però voglio dormire. E' già buio, non vedi?
Fisso le tende di velluto, gli occhi mi bruciano maledettamente e il ricordo di questa stessa stanza solo pochi anni fa mi strozza la gola che qualsiasi cosa tentassi di dire sarebbe solo una nuova patetica scusa. Ho conosciuto Syd quando lo splendore della sua genialità ha permesso la direzione che la mia vita ha preso in questi anni. La sua scia senza ritorno mi ha portato ai piedistalli della musica. Una volta raggiunto il firmamento però abbiamo ammutinato, abbandonando il nostro capitano spaziale sulla più solitaria delle comete.
 
 
 
 
 
Pare che Syd Barrett fosse ossessionato dal cappellaio matto di Alice nel paese delle meraviglie. Notizia appresa da uno dei recenti documentari sulla band fondata proprio da Barrett dalla quale fu poi estromesso a causa della sua instabile condizione psichica. Pare infatti che il primo frontman dei PF fosse affetto da schizofrenia condita da sempre più massicce dosi di LSD. Tuttavia, pur avendolo espropriato della sua stessa creazione, gli altri membri della band - Roger su tutti- non si fecero mai passare quel sibillino senso di colpa che pare gli abbia tormentati fino al disfacimento del gruppo. Roger infatti sosteneva di esorcizzare la questione piazzando Syd in ogni canzone che scriveva. Wish you were here o Shine on you crazy diamond  ad esempio sono entrambi pezzi dedicati a Barrett. Non so se si trattasse di veritiero senso di colpa o di azzeccate trovate pubblicitarie.. Pur protendendo per la seconda voglio credere nella prima. Questo spiega perché ho scritto quella roba.
 
 
  
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