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Autore: bice_94    06/06/2014    8 recensioni
il primo capitolo è una one-shot! ho deciso di non mettere completa così, se in futuro vorrò pubblicare altre one-shot, le riunirò tutte in questa storia! spero vi piacciano. olicity ovviamente
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi di nuovo.. voglio scusarmi con voi, perchè questa è farina del mio sacco, quindi per questa volta non ho esaudito nessuna proposta. spero che comunque vi piaccia. sto lavorando anche per voi nel frattempo.. spero comunque che vi piaccia.. fatemi sapere, un bacione




Erano passati 5 mesi esatti dalla sconfitta di Slade, quando Connor fece il suo ingresso nella vita di Oliver.
La madre, Susan, era morta di cancro qualche settimana prima e i servizi sociali riuscirono a determinare la paternità di Oliver solo dopo numerosi sforzi. Moira Queen aveva fatto un ottimo lavoro nel coprire le tracce. La vita ancora traballante dell’arciere divenne totalmente instabile.
Laurel riuscì a riconsegnargli l’azienda e divenne una figura sempre più presente in entrambe le sue identità. Non che Oliver non avesse notate il fastidio che aveva causato negli altri membri della squadra, ma pur cercando di limitarne l’ingerenza, le permise di rimanere. Per il resto, Laurel si propose come un’amica, nonostante potesse vedere palesemente le sue intenzioni reali.
Era lì anche quando Connor arrivò. Oliver chiese alla sua squadra una pausa e fu così che, proprio come un anno prima, dopo il terremoto di The Glades, Arrow si prese un periodo sabatico.
Non mancarono le chiamate di Felicity e Diggle, ma evitarono di raggiungerlo per non creare ancora più confusione nella vita del bambino.
Connor si dimostrò problematico. Parlava a monosillabi, rivolgendosi esclusivamente al padre, nonostante Laurel aleggiasse su di lui con apprensione soffocante, il suo atteggiamento era scontroso e riservato e sembrava che un fondo di sfiducia fosse costantemente nei suoi lineamenti.
Connor Queen incontrò per la prima volta la squadra Arrow al completo solo due settimane dal suo arrivo.
Laurel insistette per una festa di benvenuto e, nonostante la reticenza di Oliver, fu organizzato per un venerdi.
Quando Felicity, Digg e Roy varcarono la porta del nuovo attico trovarono ad aspettarli Oliver, Laurel e, nascosto dietro alle gambe del padre, Connor.
Il primo a farsi avanti fu l’ex militare. Era evidente che avesse esperienza con i bambini. Oliver vide un’espressione sul viso del suo compagno di armi che forse non aveva mai avuto il modo di vedere. Roy sembrava in difficoltà, ma la persona che riuscì letteralmente a conquistare Connor fu Felicity.
Oliver bevve della vista di lei. Era vestita molto casualmente, con un paio di jeans, un paio di converse e una camicia più larga, legata all’altezza di fianchi. I capelli erano legati in una coda di cavallo sbarazzina e gli occhiali fedelmente al suo posto. Notò come i suoi occhi si oscurarono per un secondo nel vedere Laurel, ma riuscì a nascondere tutto in fretta.
Si rivolse invece a Connor con un sorriso radioso. Si accovacciò alla sua altezza, ma non parlò. Il bambino la guardò con curiosità e si scostò dalle gambe del padre, spostandosi al suo fianco e davanti a Felicity.
La donna inclinò la testa di lato e allungò una mano per lui. “Ciao, io sono Felicity. E tu?”
Connor sembrava stregato da quella ragazza stravagante. La sua attenzione fu attratta dalle unghie colorate di Felicity. Un piccolo sorriso colorì il viso paffuto del bambino. “Ciao, mi chiamo Connor.” Sembrava ancora titubante, ma finì con lo stringere la mano di Felicity.
La donna provò uno strano senso di calore e non potè fare a meno di donare a Connor Queen un pezzo del suo cuore. La sua espressione doveva essere particolarmente eloquente, perché il bambino finì con lo staccarsi dal padre e avvicinarsi a lei, stringendo nella mano il tessuto della sua camicetta.
Felicity si prese un momento per osservarlo. Era veramente un bambino molto bello ed era probabilmente la fotocopia del padre da piccolo. I suoi capelli erano di un biondo brillante, ma i suoi occhi era verdi come due meravigliosi smeraldi. Le sue iridi però sembravano pieni di dolore e inquietudine. Conosceva la storia e sapeva quanto male avesse già visto quel bambino.
La donna gli sorrise e allungò la sua mano verso di lui, aspettando che l’afferrasse. Quando lo fece, il suo cuore battè più forte. “Che ne dici, dopo averlo chiesto a papà, di farmi fare un giro della tua casa?”
Una scintilla si accese negli occhi di Connor che si rivolse immediatamente ad Oliver. “Posso? Posso accompagnare City?” L’uomo si ritrovò senza parole.
Non aveva mai visto suo figlio in quel modo. Era stato scostante, chiuso in sé, in collera con il mondo e con lui. Ogni essere umano sembrava essere sgradito, ma Felicity era sicuramente una grande eccezione. L’aveva visto sorridere, nonostante una leggera ombra fosse ancora rimasta nei suoi occhi. E aveva sentito la sua voce per una frase completa. Fissò la donna con un misto di gratitudine ed incredulità.
Non riusciva a ricordare quando la sentì, ma Oliver ripensò ad una frase che Raisa gli ripeteva spesso. – I bambini riconoscono i puri di cuori- Connor aveva visto la bontà, la purezza e la luminosità della sua Felicity. Sentì una leggera pressione ai suoi occhi e pensò che stesse per piangere. “Certo.” Non fece in tempo a pronunciare il suo permesso, che suo figlio trascinò la donna verso le camera, accompagnato dal suono della risata di Felicity.
Quando rivolse lo sguardo sugli altri, vide reazioni differenti. Laurel sembrava sul punto di avere una crisi di nervi, Roy sorrideva con nostalgia e Diggle sembrava un padre fiero di sua figlia. Cercò di frenare il treno di pensieri che gli mostrava immagini familiari di se stesso, insieme a Felicity e Connor.
“Andiamo a cena, che ne dite?”
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Connor si sedette tra Oliver e Felicity e la postazione non passò inosservata, tuttavia nessuno ebbe il coraggio di parlare. Laurel sembrava scomoda nel suo ruolo di padrona di casa, nonostante non vivesse lì, né avesse una relazione con Oliver. Connor aveva iniziato a spiegare a Roy qualcosa su di soldatini, mentre Diggle gli descriveva un carro armato. Occasionalmente si rivolgeva a Felicity, assicurandosi che stesse ascoltando la loro conversazione.
Oliver si ritrovò a sorridere, guardando lo sguardo adorante che suo figlio lanciava alla bionda accanto a lui.
Nonostante questo, era evidente che Connor non era ancora a suo agio. Avevano notato che non amava particolarmente essere toccato, fatta eccezione per il padre. Laurel era probabilmente la persona che meno era riuscita a legare con lui. Era esigente con lui come lo era nella vita e questo, da una donna che non era sua madre, non era ben accetto dal bambino.
La conversione tra gli adulti si mosse con comodità e Oliver cercò di distrarre il bambino affidandogli il suo telefono. Si stava annoiando e le sue piccole spalle sembravano tese.
Non passò molto quando una musica orecchiabile partì. Tutti gli occhi si rivolsero al bambino. Laurel e Oliver gli tolsero immediatamente il telefono, lasciando Connor sull’orlo delle lacrime.
Felicity però lo osservò con attenzione. La tensione che il bambino irradiava era abbastanza per fargli capire quanto fosse scomodo ancora. Tuttavia la donna aveva notato come quella musica avesse portato un guizzo di pace in Connor. Immaginò che fosse qualcosa che lo faceva stare bene prima di arrivare lì.
Così la donna aspettò per un momento in silenzio e poi prese la sua decisione. “Oliver, hai un impianto stereo in casa?” La sua voce interruppe una qualche conversazione e gli occhi di tutti furono su di lei, guardandola come se fosse impazzita. “Ehm, si, ma non l’ho mai usato, perché?”
Felicity bevve un sorso d’acqua. “Connor, credi che potresti aiutarmi a trovare una canzone per il mio telefono?” Un lampo di gioia attraversò il suo volto. “Si si!!” Era quasi saltato sulla sua sedia. Felicity stava per dirgli di chiedere prima ad Oliver, ma il bambino fece tutto da solo. “Posso, posso?”
L’uomo dovette aver visto quel pizzico di gioia che la richiesta di Felicity aveva portato e non poter far altro che accettare.
La coppia scomparve velocemente e Laurel lanciò ad Oliver uno sguardo infelice. L’uomo fece finta di non sentire un’ondata di fastidio attraversargli lo stomaco. Gli adulti tornarono a parlare, ma il corpo di Oliver fremeva per raggiungere gli altri due.
Furono interrotti però da un boato e una musica assordante che invase la casa per un secondo. Tutti spalancarono lo sguardo, ma il silenzio tornò immediatamente. Sentirono la voce di Felicity parlare a raffica, dicendo che qualcuno doveva aver girato la manopola mentre era spento e poi alle loro orecchio giunse un suono che Oliver pensò che avrebbe ricordato per tutta la vita.
La risata piena e sincera di suo figlio. Non aveva mai sentito quel suono da quando lo aveva conosciuto, ma sapeva che avrebbe voluto riascoltarlo ancora e ancora. Il fuoco nel suo petto si riaccese e stava per alzarsi, quando Laurel lo fermò, dicendogli che avrebbe almeno dovuto assaggiare il suo dolce.
Non perse lo sguardo di Diggle, un misto di disapprovazione e compassione per lui.
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Non si resero conto che era passata una buona mezz’ora. La musica si era riaccesa, ma ora giungeva in sala solo come un leggero sottofondo. Finirono di mangiarono e si diressero nella stanza accanto.
La vista che li accolse era assolutamente perfetta. Connor era in piedi sui piedi di Felicity e seguiva i suoi passi. Le sue braccia erano attorno alla donna e la sua espressione era assolutamente concentrata. “Sei molto bravo.” Connor ridacchiò. “Infatti sono più bravo di te.” Il bambino gli fece la linguaccia e si allontanò da lei, guardandola con sfida.
Felicity finse una faccia offesa e poi si lasciò andare ad una risata prima di rincorrere Connor.
Quando lo prese, iniziò a fargli il solletico, costringendo il bambino a ridere istericamente, supplicandola di lasciarlo andare. Oliver si immerse in quella vista e un improvviso bisogno di toccarli invase il suo corpo. Le lacrime premevano nei suoi occhi e un calore soffocante invase il suo petto.
Sapeva di amare Felicity Smoak da molto tempo, ma mai come in quel momento provò il bisogno fisico di averla con lui, di prendersi la vita che voleva. “Sembra che nessuno riesca a resistere a Smoaky.” Roy ridacchiò, causando una leggera risatina da Diggle. “E di certo non potevamo aspettarcelo da suo figlio.” Questo causò una risata e un’occhiataccia da Oliver.
Laurel si schiarì la voce e questo sembrò abbastanza da bloccare quella piccola scena di pace.
Felicity alzò lo sguardo e le sue guance si colorarono per l’imbarazzo. Liberò Connor e gli spettinò i capelli. Il bambino si staccò da lei e, in modo assolutamente inaspettato, si fondò tra le braccia di Oliver.
L’uomo rimase spiazzato e lo prese in braccia, tirandolo a sé. “Sai papà, voglio che Felicity sia la mia ragazza.” Oiver sgranò gli occhi, ma finì con lo scoppiare a ridere insieme a Diggle e Roy. “Tale padre, tale figlio” L’ex militare sghignazzò, ricevendo questa volta l’occhiataccia di Felicity.
“Connor tu sei il miglior ballerino con cui ho mai ballato, ma non posso essere la tua fidanzata, ancora.”
Il bambino la guardò, dalle braccia del padre, con il broncio. “Perché no?”
Felicity sorrise dolcemente. “Devi ancora crescere un po’, ma che ne dici se io e te siamo amici?”
Connor sembrò valutare a cosa e poi annuì con convinzione. “ Allora sarai la mia migliore amica.” La donna si avvicinò a lui e gli stampò un bacio sulla guancia. “E tu il mio migliore amico.”
Connor sembrò illuminarsi, ma poi, come se un pensiero si fosse fatto largo nella sua mente, si voltò verso il padre. “Allora Felicity è la tua fidanzata?”
Oliver e Felicity sgranarono gli occhi per lo shock, Laurel guardò il bambino con rabbia e Diggle e Roy scoppiarono a ridere. “Ragazzo, tu hai già capito tutto.” Roy sembrò soddisfatto di sé, ma Diggle volle provare ad aiutare. “Senti Connor che ne dici se andiamo a ballare?”
Questa fu la parola magica, perché il bambino si divincolò dal padre e raggiunse l’ex militare, dimenticando la domanda in sospeso. Roy vide Laurel con un’aria arrabbiata e decise che per una volta avrebbe sacrificato se stesso per salvare la vita di Felicity.
“Laurel, andiamo anche noi?” L’avvocato sembrò non intenzionata a lasciare la sua posizione, ma Roy le afferrò gentilmente la mano e la portò in mezzo alla sala.
Rimasero Oliver e Felicity, con un imbarazzo scomodo che aleggiava tra di loro.  “E’ un bambino veramente molto speciale.” L’uomo annuì, ma non distolse lo sguardo dalla donna. “Hai ragione, ma fino ad ora è stato come un automa. Sembrava in un mondo tutto suo in cui non riuscivo ad entrare. Io non so cosa hai fatto Felicity, ma hai aperto una porta, uno spiraglio.”
Sembrava quasi che stesse per piangere. “Grazie.” L’intensità che mise in quella parola fece quasi boccheggiare Felicity.
Oliver raggiunse le sue mani. “Oliver, lui aveva solo paura. Si è trovato da solo, con un padre di cui non conosceva l’esistenza e ora si domanda solo se riuscirà mai ad essere abbastanza per meritare l’amore degli altri, senza che se ne vadano nel frattempo.”
Le parole uscirono dalla bocca della donna con lentezza e con un dolore di fondo che portò Oliver a chiedersi se nono stesse parlando per esperienza. “Lui non ha bisogno di dimostrare niente.”
Felicity sorrise. “Lo so e riuscirai a farlo capire anche lui.” Oliver abbassò lo sguardo. “Non so se riesco a farlo.” La donna strinse le sue mani. “Te l’ho già detto. Tu non sei solo e credo in te. Sarai un padre meraviglioso ed ogni volta che vorrai sarò con te.”
Oliver la guardò negli occhi per un tempo infinito e poi la portò tra le sue braccia, tenendola addosso a lui come per paura di lascarla andare. “Io ti voglio con me. Sempre”
Felicity sospirò. “Ci sarò, solo se tu mi permetterai di farlo. Lo capisci?”
Quella conversazione fu così familiare che portò Oliver sul bordo del crollo. “si.”
Felicity si staccò leggermente da lui e sorrise. “Bene. E ora possiamo andare a ballare? O hai paura di tenere il confronto con tuo figlio?” Una risata genuina scaturì dall’uomo e, prendendo la sua mano, si diresse verso il centro della sala, dove Connor li raggiunse, abbracciando una gamba ad ognuno di loro.
   
 
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