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Autore: Silver Shadow    07/06/2014    1 recensioni
Questa fanfiction inizia dopo "Lo scontro finale", ma non tiene conto degli avvenimenti dei libri "Gli eroi dell'Olimpo".
'Il mio nome è Willow Blackblood. Ho 15 anni e ho dei lunghi, lisci capelli neri che non stanno mai al loro posto. I miei occhi sono verdi “come il mare”, mi dicono tutti, sono piuttosto magra e porto l’apparecchio. Mi piace il colore nero e amo la musica rock e metal. Studio molto e ho ottimi voti a scuola. Sono una ragazza come voi, a parte il fatto che sono la figlia di Poseidone. '
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Chirone, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il ritorno dall’Olimpo fu piuttosto problematico dato l’incontro con mio padre, ma per fortuna i miei amici erano lì per sostenermi. Come sempre. Sempre.
L’ingresso del Campo Mezzosangue, comunque, non era mai stato confortante come allora. Non mi pesò neppure salire la collina, e anzi non vedevo l’ora di giungere all’estremità. Una volta entrati nei confini, mi sentivo totalmente in pace, a casa.
La pace durò naturalmente molto poco.
Il giorno dopo, tutti i semidei di tutte le cabine sfondarono le porte delle nostre cabine e ci portarono fuori correndo, sorridendo, urlando e acclamandoci a gran voce per l’impresa che avevamo compiuto e che ovviamente aveva già fatto il giro del mondo. Ci sollevarono e ci portarono in giro per il Campo festeggiandoci, nonostante fossimo ancora in pigiama e avessimo la necessità di riposare ancora un po’. Percy aveva l’aria di uno che stava per bestemmiare pesantemente.
Dopo essere passati dalla mensa per farci lanciare qualche cornetto dagli altri, continuammo la nostra gita a cavallo dei semidei, prendendo a cantare le canzoni del Campo che non avevo effettivamente ancora imparato. Era tutto fantastico e mi sentivo leggera e libera dal peso che mi aveva oppresso fino a solo un giorno prima, anzi quasi dimenticai tutti i pericoli che avevamo corso e i nemici che avevamo dovuto fronteggiare, godendomi semplicemente il ritorno a casa. Almeno, fino a che, passando accanto al campo di fragole, scorsi una figura magra e familiare fra gli alberi.
Subito mi accigliai, messa all’erta dai miei sensi, e senza troppi complimenti mi scostai dalle mani che mi tenevano e scesi a terra, intrufolandomi fra gli alberi. Avevo visto bene?
Addentrandomi meglio, solo poco dopo, notai fra le fragole una donna, minuta ma forte, i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, che ondeggiavano ogni qualvolta la donna si muoveva. Mamma.
Quando mi vide, i suoi occhi indugiarono a lungo su di me, senza un’espressione precisa. Non riuscivo a decifrare il suo sguardo, ma mi avvicinai. Al solo vederla ricordai che, in punto di morte, l’avevo perdonata. Lo sentivo davvero.
- Willow – si decise a dire infine, col suo tono autoritario che precedeva solitamente o una sgridata o un pianto. A mia madre era sempre piaciuto fingersi forte prima che la sua corazza crollasse. Peccato che con me non funzionasse.
- Mamma – risposi soltanto, avvicinandomi più velocemente a lei, e in men che non si dica mi ritrovai stretta nel suo abbraccio, caldo, familiare, confortante, avvolta nel suo profumo di gelsomino e coperta dai suoi capelli che quasi si fondevano coi miei. Non vennero lacrime perché non ce n’erano o perché non c’era bisogno, da nessuna delle due.
- Oh, Willie.. per favore,scusami. Tutto ciò che ti è successo e che hai dovuto affrontare è stato colpa mia e io non ho fatto altro che importi un destino che tu non desideravi senza neppure provare a lottare.. Sono stata una madre snaturata e una pessima persona, ma non volevo che rischiassi tutto quello che hai rischiato perché so quanto è difficile essere semidei.. Avevo solo paura di perderti.. – le sue parole sembravano più vere che mai mentre teneva il mio viso stretto fra le mani e mi guardava con i suoi occhi dello stesso azzurro del cielo d’estate mentre mi chiedeva quel perdono che le avevo già concesso. Avevo troppe parole da dire e si stavano ingarbugliando fra loro nella mia testa e, per paura che mi si annodasse la lingua nel pronunciarle, solamente annuii. Il sorriso che si aprì sul suo volto in quel momento fu il regalo più grande.

Una volta girato l’intero Campo per cercare gli altri, raggiunsi finalmente l’anfiteatro, attirata dalla melodia delle canzoni che tutti stavano ancora cantando, raccolti sugli spalti. Sorrisi, e mi avviai verso l’entrata, ma qualcuno mi si affiancò facendomi sussultare.
- Complimenti per il coraggio – mi sussurrò una voce accanto all’orecchio, e il mio sorriso si aprì di più mentre mi voltavo verso quel suono.
- Altrettanto – gli risposi, mentre Nico ricambiava il sorriso, con le mani in tasca e il giubbotto da aviatore legato in vita dato il caldo (poco prima ci avevano infatti gentirlmente concesso di vestirci e lavarci).
- Ho visto tua madre, prima – esordì all’improvviso, lasciandomi un po’ interdetta. Il suo viso ora era serio.
- Abbiamo chiarito. Cioè, va tutto bene adesso. Non potevo certo stare per sempre arrabbiata con lei, ho capito perché ha fatto quello che ha fatto e l’ho perdonata – risposi, un po’ troppo frettolosamente perché mi infastidiva un po’ toccare l’argomento. Nico puntò lo sguardo a terra e annuì. Mi chiesi se stesse pensando se lui avrebbe perdonato sua madre, se solo fosse stata ancora viva.
- Stai bene? – gli chiesi poi, ricordandomi del fatto che suo padre, due giorni prima, l’aveva praticamente condannato a morte. Non doveva proprio essere una bella sensazione.
- Sto bene – si limitò a dire, atono, sollevando lo sguardo sugli alberi. Non mi ero resa conto che ci eravamo allontanati dall’anfiteatro, camminando, ed eravamo giunti all’ingresso del boschetto. Mi fermai.
- Cavolo! Quand’è che siamo arrivati qui? – domandai, cercando di sdrammatizzare. L’espressione sul volto di Nico mutò in una che non gli avevo mai visto prima.
- Ho una sorpresa per te – mi confessò, infatti, sorprendendomi.
- Una sorpresa? – chiesi nuovamente, continuando a non capire. Mi sentivo come se ci fosse qualcosa che mi sfuggiva. Nico mi prese per mano e si avvicinò a me.
- Auguri, Willow. – furono le sue uniche parole, e mi resi conto che mi era sfuggito qualcosa di abbastanza importante.
- Che.. Che giorno è oggi? – continuai a domandare, stordita e confusa. Non poteva essere. Come avevo fatto a dimenticarmene?
- 12 agosto – rispose lui sorridendo – è il tuo compleanno – mi chiarì, confermando i miei sospetti.
- Oh, Zeus! – esclamai, ancora incredula, ma una domanda vorticava nella mia testa superando lo stupore del momento – e tu come lo sai? – aggrottai la fronte e lui scoppiò a ridere.
- Informatori segreti.. – mi rispose, vago – e archivi della Casa Grande in cui sono conservati documenti contenenti informazioni su ognuno di noi – e riprese a camminare, facendo finta di nulla. Io sgranai gli occhi perché semplicemente non ci potevo credere.
- Tu sei matto! – riuscii a dire solamente, mentre Nico cominciava a correre, tirandomi con sé.
- Può darsi! – mi assecondò, ridendo e costringendo a correre anche me per tenere il passo.

Dopo qualche minuto, diverse gocce di sudore e un bel fiatone, giungemmo a quella che doveva essere la nostra destinazione.
Non avevo parole.
Eravamo arrivati in un enorme spazio nascosto da altissimi alberi e delimitato a semicerchio da essi, coperto da un’erba verdissima e soffice. Dove gli alberi terminavano,iniziava un’enorme collina piatta dalla quale scendeva una cascata che cadeva in un basso fiume dall’acqua limpida e cristallina, dove il sole si specchiava. Meravigliosi pettirossi cinguettavano fra gli alberi, nascondendosi nei loro rami o mostrandosi e bevendo dall’acqua del fiume, accanto al quale era stata sistemata, sull’erba, una tovaglia a quadretti bianchi e rossi sulla quale erano a loro volta adagiate bibite e un cestino che traboccava cibo.
- Ti piace? – mi chiese un po’ intimorito Nico, forse spaventato dalla mia reazione, ovvero un’espressione persa e profondamente stupita. Non riuscivo a pronunciare nemmeno una sillaba, così annuii energicamente, quasi staccandomi la testa dal collo. Nico rilassò le spalle, e si allontanò, ma io continuavo a non riuscire a muovere un muscolo. Quando ritornò, mi si avvicinò e mi porse qualcosa. Un fiore. Una meravigliosa camelia. Magicamente, mi sbloccai.
- Significa “Perfetta bellezza” – mi spiegò Nico, rigirandola fra le dita e facendomi prendere più o meno il colorito di una ciliegia matura – se regalata, vuol dire stima – e detto ciò me la mise fra le dita, spostando lo sguardo su di me. Non sapevo cosa dire e la cosa mi imbarazzava.
- Nico è.. – riuscii solo a sbiascicare – è fantastico. Tutto. Non mi sarei aspettata nemmeno che qualcuno si ricordasse del mio compleanno o che qualcuno lo sapesse.. neppure io – specificai, facendolo sorridere. Lui sollevò una mano come se volesse toccarmi,ma probabilmente ci ripensò perché si ritrasse. Leggevo l’imbarazzo sul suo viso, e per non farlo notare lui cominciò a incamminarsi verso la tovaglia adagiata sull’erba, invitandomi a seguirlo con un gesto della mano. Non me lo feci ripetere.
Ci sedemmo sull’erba soffice e io inspirai l’aria fresca, pulita e profumata di quel posto, un profumo che mi stordiva e mi inebetiva. Mi stesi sul prato e guardai il cielo. Sentivo lo sguardo di Nico su di me.
- Non hai fame a quanto pare – notò spostandosi accanto a me. Sorrisi.
- E’ ancora presto – gli risposi, seguendolo con lo sguardo mentre si sdraiava  nel verso opposto, di modo che solo le nostre teste fossero allineate.
- E così.. – cominciai, temendo che il silenzio che iniziava a insinuarsi fra di noi, strisciando, si prolungasse troppo a lungo – hai sbirciato segretamente fra gli archivi – conclusi poi, facendolo ridere per un secondo.
- Sono bravo a non farmi notare – disse soltanto, non senza una nota di malinconia. Mi sollevai su un gomito per guardarlo, lasciando che i capelli mi ricadessero sul viso. Lui non si mosse, ma mi guardò allo stesso modo.
- Non passi poi tanto inosservato – gli feci notare, continuando a sostenere lo sguardo. In situazioni normali mi sarei sentita nervosa e avrei trovato difficoltà nel pronunciare simili parole, ma stranamente in quel momento non accadde.
- Io penso di sì – ribatté lui, come sfidandomi a controbattere ancora.
- Con me non è successo – replicai io invece, quasi fosse una sfida. Le guance di Nico si tinsero di rosso, e mi resi conto che stava succedendo lo stesso anche a me. Come eravamo arrivati a quel punto?
- Will, non ho avuto tempo, come puoi ben capire, per farti un vero regalo – mi disse Nico, dopo essersi sollevato ed essersi seduto a gambe incrociate di fronte a me, non prima di aver fatto un profondo respiro – ma c’è qualcosa che desidero darti e non potrei mai trovare momento migliore di questo – il cuore cominciò a battermi forte, mentre i suoi occhi, inchiodati nei miei, cominciavano a scavarmi dentro l’anima.
- Quando sono arrivato al Campo, quella sera, e ti ho trovato davanti alla cabina di Poseidone, la prima cosa che ho notato di te sono stati gli occhi. In quella notte così profondamente scura sono stati l’unica cosa che mi hanno consentito di orientarmi, era come se brillassero nel buio. Da allora, ho avuto paura di guardarti per timore che il loro splendore fosse inghiottito dal nero dei miei. – e qui iniziarono a tremarmi le mani, ma tentai di non farlo notare stringendole a pugno – Ho notato subito in te la volontà di non farti notare. Nonostante tutti ti acclamassero e ti cercassero perché eri la sorella di Percy non hai voluto approfittare della popolarità e sei sempre stata per conto tuo, non hai mai cercato di barare e renderti le cose facili grazie al tuo prestigioso titolo, hai voluto farcela da sola e hai sempre insistito, ed è la prima qualità che ho ammirato anche in tuo fratello – lo stomaco cominciava ad attorcigliarsi – e quando hai saputo ciò a cui dovevi andare in contro ti sei armata e l’hai affrontato senza batter ciglio, senza che neppure ti passasse per la testa di ritirarti o di arrenderti.. Hai avuto un coraggio che nessuno di noi semidei ha dimostrato alla sua prima impresa, e hai rischiato di morire per salvare qualcuno che non lo meritava e questo è nobile e ti fa veramente onore e.. – ma non gli permisi di continuare, perché non condividevo una parte di ciò che aveva detto.
- Tu meriti di essere salvato, Nico. Lo meriti eccome. – ribattei io, guardandolo senza più un briciolo di timore. Sentivo anche la sua corazza cominciare a sgretolarsi sotto il mio sguardo. Lui non rispose.
- Il punto, è Will.. che tutto il tuo essere è un concentrato di meraviglia, come mai ne avevo vista fino a questo momento. E che le mie arterie si annodano e il mio cuore si ferma quando ti vedo e i miei polmoni si seccano come se fossero pezze messe ad asciugare al sole e nel mio stomaco iniziano a cavalcare rinoceronti e nella mia testa tutto si azzera perché esisti solo tu.. – il suo viso si era terribilmente avvicinato al mio – Io non ho mai provato amore Will, e non so dirlo, non so definirlo,ma so che non ce n’è bisogno perché l’amore si sente e basta, ma so cos’è il dolore e posso dirti con sicurezza che questo è l’esatto opposto.. Sei la luce che illumina il mio buio e che mi ha fatto diventare uomo da che ero solo un’ombra – il suo tono era diminuito ad ogni parola pronunciata e il suo sguardo era ormai fisso sulle mie labbra, e la mia testa era in subbuglio e io non ce la facevo più. Tutte le parole che c’erano da dire lui le aveva già dette, e l’unico modo che avevo per rispondere era agire. Non ricordo nemmeno quando appoggiai le mie labbra sulle sue,ma successe, successe e basta, e fu la cosa più bella e indescrivibile che mi fosse mai successa nella vita. Sentivo esplodere fuochi d’artificio in tutto il mio corpo e non sapevo più se il mio cuore battesse o battesse troppo velocemente e pensai che non me ne importava assolutamente nulla finché le braccia di Nico mi stringevano a sé, calde, confortanti e sicure, e le sue labbra, prima tese, diventavano morbide al contatto e si schiudevano per  massaggiare le mie e creare uno spazio dove le nostre lingue s’incontrarono, mentre la mia mano affondava nei suoi capelli come tanto avevo desiderato fare per tutto quel tempo, quei capelli setosi proprio come avevo pensato che fossero.
Quando, dopo diversi secondi (o minuti o ore o anni) ci allontanammo per riprendere fiato, il viso di Nico aveva assunto una colorazione e un’espressione del tutto diverse. Le sue gote erano ancora rosee e i suoi occhi erano scuri, profondi, risoluti. Bellissimi.
- Sai – appoggiai la fronte alla sua e tenendo le braccia strette attorno al suo collo, ansante – non credevo che un figlio di Ade potesse baciare così bene – mi decisi a dire, alla fine, facendolo ridere.
- Potrei sorprenderti – rispose, tenendosi ancora sul vago, respirando sulle mie labbra.
- Allora, la cosa che volevi darmi quando hai iniziato il tuo meraviglioso discorso strappalacrime qual era? – chiesi dopo una breve risata causata dalla sua risposta precedente. Il suo volto si fece improvvisamente serio mentre mi guardava fissamente negli occhi.
- Il mio cuore – fu tutto quello che disse.
  
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