Libri > Divergent
Segui la storia  |       
Autore: L S Blackrose    07/06/2014    9 recensioni
Eric è uno dei leader degli Intrepidi. Freddo, calcolatore, spietato e crudele.
Ma non è sempre stato così. Cosa lo ha portato ad odiare a tal punto i Divergenti?
In questo prequel di Divergent, il suo destino si intreccerà a quello di Zelda, una ragazza tenace e potente come una freccia infuocata.
Può un cuore di ghiaccio ardere come fuoco?
Un cuore di pietra può spezzarsi?
- - - - - - - - - - - - - - -
dal capitolo 4 (Eric)
- - - - - - - - - - - - - - -
Sto per aprire bocca, per invitare le reclute a dare inizio al loro cammino negli Intrepidi, quando un movimento al limite estremo del mio campo visivo mi obbliga a voltare il capo.
Ormai davo per scontato che le disgrazie fossero finite, invece una figura esile si lancia dall’ultimo vagone del treno e fende l’aria come un proiettile.
A causa della luce del sole che mi arriva dritta in faccia, in un primo momento metto a fuoco soltanto una macchia indistinta, blu e nera.
Nella frazione di secondo che segue, sono costretto a spingere l’autocontrollo al massimo della potenza per non mostrare nessuna emozione, per mantenere la mia posa autorevole e l’espressione gelida.
Perché sono talmente esterrefatto da non riuscire a credere ai miei stessi occhi.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio, Zeke
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Zeric - Flame of ice'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A





Image and video hosting by TinyPic





Capitolo 22




 

Zelda





Prendo un bel respiro prima di varcare la porta della mensa.

Mi sento le guance in fiamme e ho il fiato corto per aver corso a tutta velocità dalla palestra fino a qui.
Volevo mettere quanta più distanza possibile tra me, quei due Intrepidi e la situazione imbarazzante che si era creata.

Lo sguardo che aveva Quattro quando ci ha visti per terra era terrificante. Però ho il sospetto che non fosse diretto a me, bensì ad Eric.
Lo fissava come se volesse dargli fuoco.

Mi mordo un labbro.
È stata una mattinata interessante, il tempo è volato senza che me ne accorgessi.

Ammetto di aver giudicato male quel Capofazione: certo, è odioso e tutto il resto, ma questa volta si è comportato quasi in modo gentile con me.
Mi ha aiutata spontaneamente e durante l’allenamento non mi ha fatto del male. Credevo ne avrebbe approfittato per vendicarsi di tutte le volte in cui gli ho risposto per le rime o l’ho sfidato, invece sono ancora tutta intera e senza nemmeno un livido.

Mi sono perfino divertita.
Il mio orgoglio è salito alle stelle quando sono riuscita a coglierlo di sorpresa e la sua espressione stupefatta era a dir poco esilarante.
Un po’ mi dispiace che Quattro ci abbia interrotti. Chissà come sarebbe andata a finire se fossimo rimasti soli…

Scuoto la testa. Di certo non in modo romantico.
Mi avrebbe allontanata bruscamente come suo solito, o peggio.

Non devo farmi illusioni, non importa quanto stia cominciando a piacermi passare del tempo in sua compagnia.
Eric è Eric, un Capofazione irraggiungibile.
Non ci sono vie di mezzo, è inutile che speri che cominci ad interessarsi a me come ragazza e non solo come un’iniziata bisognosa di aiuto.

Dopotutto, lui ha già il suo passatempo personale, ovvero quella Josie che gli si avvinghia addosso ad ogni occasione.

Cosa potrebbe volere da me?
Se gli piacciono le ragazze di quel tipo – disinibite, provocanti e un tantino volgari – io di certo non rientro nella categoria.
E sicuramente non mi abbasserò mai a quel livello solo per farmi notare da lui.

Spingo la porta della mensa e vengo investita dal solito chiacchiericcio che la fa da padrone.

I miei compagni sono seduti al solito posto, ma sono più mogi del solito.
Mi posiziono accanto a Leslie e lei mi passa un piatto pieno di patatine fritte. – Ti sei svegliata presto, stamattina – dice, mentre mescola la sua tazza di caffè.

Noto che anche gli altri, più che pranzare, stanno facendo colazione.
Sorrido ai due gemelli, che hanno gli occhi gonfi di sonno e le spalle curve come se stessero per crollare da un momento all’altro.

- Ma che belle occhiaie – commento, sfiorando la guancia di Xavier con un dito.

Lui si lascia sfuggire un lamento. - Zelda, sarai anche uno schianto, ma il sarcasmo di prima mattina proprio non lo tollero –.

Mel, che se ne sta seduta sopra al tavolo con le gambe accavallate in una posa seducente, scoppia a ridere. – Ma quale mattina! È mezzogiorno passato -.

Xavier mi circonda la vita con un braccio e appoggia la testa sulla mia spalla. – Lasciatemi in pace – bofonchia, in tono scocciato.

Felix annuisce e affonda il viso tra le braccia conserte, usandole come cuscino.
Avevo ragione, sono proprio distrutti.

- Come sei morbida, Zelda – mormora Xavier, mentre io gli accarezzo i capelli con le dita.

Scambio uno sguardo con Leslie ed entrambe alziamo gli occhi al cielo.

Osservo la luce delle lampade riflettersi nelle ciocche bionde di Xavier.
Quando vivevo nel quartiere degli Eruditi non avevo nessun amico maschio, al di fuori di mio cugino Travis.
Credo fosse a causa dei miei fratelli: intimidivano tutti, nessun ragazzo osava avvicinarsi a me, distoglievano lo sguardo al mio passaggio come se fossi una portatrice di sventura.

Ma la colpa è, in parte, anche mia.
Ho sempre provato una sorta di avversione per il genere maschile ed i cinque esemplari con cui condividevo le giornate non hanno fatto proprio nulla per farmi amare l’altro sesso.

Tuttavia, da quando ho conosciuto i gemelli, mi sono sempre sentita a mio agio in loro compagnia.
Mi piace flirtare in maniera scherzosa con Xavier, prenderlo in giro assieme a Felix ed assecondare le loro idee a dir poco stravaganti.
Con loro non mi sento mai in imbarazzo, a differenza di quando sono assieme ad Eric.

Sussulto. Si può sapere perché sto paragonando quel Capofazione ai gemelli?
Sono due universi a parte, come i poli di una batteria.

Alla fine mi rendo conto del perché toccare Xavier non mi fa nessun effetto: il mio cuore non aumenta i battiti, non sento il respiro accelerare.
Praticamente tutto il contrario della sensazione che provo ogni volta che Eric mi sfiora, come se una scossa elettrica mi percorresse la pelle.

La scoperta improvvisa mi blocca il respiro.
Sento il sangue abbandonare il mio volto tutto d’un colpo e le pupille dilatarsi.

Mi sto innamorando di lui.

Oh, no. No, no, non può essere.

Non essere stupida, Zelda.
La voce della mia coscienza è calma, cerca di farmi ragionare.
Come potrebbe piacerti uno come Eric? Andiamo, siete due mondi completamente diversi!

Ma quale altra spiegazione c’è?

Mi passo le mani sul volto, cercando di farmi un’idea precisa del casino che sto combinando.
I miei sentimenti si mescolano, schizzano fuori controllo tra le pareti del mio cranio come palline da ping pong lanciate a tutta velocità.

Xavier percepisce l’immobilità del mio corpo e si scosta da me.
Aggrotta le sopracciglia davanti alla mia espressione sconvolta. – Ehi, va tutto bene? – chiede, con una nota preoccupata nella voce.
Mi toglie alcune ciocche ribelli dalla fronte, mentre io scuoto piano la testa.

- Ciao, gente! – esclama allegramente Zeke, mentre prende posto davanti a me.
Il suo sorriso smagliante si spegne di botto quando posa lo sguardo sul mio viso. – Sei pallidissima, Zelda. Cosa ti è successo? -.

Dopo quella frase tutti si voltano verso di me.
Vorrei sparire, diventare tutt’uno con la panca su cui sto seduta o sprofondare nel pavimento.
Detesto essere al centro dell’attenzione e detesto che gli altri mi assillino di domande.

Una voce brusca mi viene in soccorso. – Probabilmente ha già saputo la notizia – dice Quattro, mentre si appoggia al tavolo accanto a Zeke con entrambe le mani.

I miei compagni spostano i loro occhi su di lui e io tiro un respiro di sollievo, ringraziando il cielo per quell’interruzione così propizia.

- Quale notizia? – chiede Mel, sporgendosi verso l’istruttore con curiosità.

- Il Giorno delle Visite è stato anticipato – dichiara lui, sotto gli sguardi orripilati dei presenti.

- A quando? – domanda Felix, con una smorfia.

- Domani -.

Quell’unica parola rimane sospesa su di noi come una balestra pronta a scattare.
I gemelli si scambiano un’occhiata terrificata, mentre Mel si attorciglia una ciocca di capelli attorno ad un dito con fare indifferente.

- Dubito che i miei genitori verranno – bisbiglia Leslie, mordicchiandosi le unghie. – Dovevate vedere le facce che hanno fatto dopo la mia Scelta. Come se non fossi più figlia loro -.

Le stringo una spalla con solidarietà. – Ti farò compagnia io. Nemmeno i miei parenti si faranno vedere, su questo non ci sono dubbi -.

Xavier arriccia il naso. – Non sapete quanto vi invidio – replica, mentre suo fratello annuisce vigorosamente. – Nostra madre non ci lascerà in pace un attimo. Ci farà il terzo grado. Ho già i brividi -.

Gli sorrido. – Sembra una donna interessante. Mi piacerebbe conoscerla -.

I gemelli mi guardano come se mi fossi bevuta il cervello.
Mel ridacchia, ma mi sembra nervosa. Anche lei deve avere qualche problema con la propria famiglia.

- Che ne dite di fare un giro? Dobbiamo approfittare del giorno libero – propongo, cercando di alleggerire l’atmosfera.

Zeke mi fa l’occhiolino. – Ecco la mia ragazza! – esclama. Le sue sopracciglia vanno su e giù quando si gira a guardare l’amico. – Possiamo portarli al Percorso Sospeso. Che ne dici, Quattro? -.

L’istruttore non mi pare molto entusiasta, ma fa un cenno affermativo col capo.

Zeke si sfrega le mani e ci rivolge un sorrisetto perfido. – Allora, chi ci sta? -.

Visto che nessuno degli altri spiccica parola, mi faccio avanti io. – Come l’hai chiamato? Percorso…? -.

- Percorso Sospeso – ripete lui, scandendo per bene le sillabe. – Si trova nei piani più alti della residenza. Si comincia salendo una scala di corda, per poi arrivare ad una piattaforma a qualche metro da terra. Da lì partono delle funi che collegano i vari ostacoli da superare per giungere dall’altra parte della stanza. Vince chi impiega meno tempo -, il suo ghigno si allarga, - e arriva tutto intero fino all’uscita -.

Faccio finta di pensarci su. – Mi pare un piano un po’ azzardato. Dobbiamo mettere in conto probabili fratture in caso di caduta dalle funi… -.

Gli altri iniziati annuiscono con convinzione.

Mi alzo di scatto dalla panca e batto il pugno sul tavolo. – Che stiamo aspettando? – esclamo, facendoli sussultare.

Zeke getta indietro la testa e scoppia a ridere. – Sapevo che non mi avresti deluso -.
Si precipita al mio fianco e mi prende a braccetto. – Vieni, mia splendida ragazza. Lascia perdere queste finocchiette. Ce la spasseremo, noi due soli -.

Xavier e Felix scattano nello stesso istante. – Finocchiette a chi?! – ringhiano, mentre Quattro alza gli occhi al cielo per l’esasperazione.

Dopo un acceso battibecco su quanto sia offensivo quell’insulto – a me non sembrava così terribile, ma gli Intrepidi la pensano diversamente – ci avviamo, tutti e sette, alle scale di roccia.

Ho proprio voglia di sperimentare questa nuova sfida.

Qualsiasi cosa, pur di non rimuginare troppo su Eric.
Non ho intenzione di trascorrere il pomeriggio a fantasticare su quanto siano affascinanti i suoi occhi o a quanto vorrei vederli ardere di nuovo come è accaduto ieri sera alla festa.






 
* * *




 

Eric





Dopo l’ennesima flessione, mi rialzo da terra e faccio un sorriso soddisfatto.

Mi piace tenermi in forma, allenare i miei muscoli è diventato quasi un dovere. Mi aiuta a combattere lo stress e anche ad allontanare i pensieri che, da tre giorni a questa parte, minacciano di mandarmi fuori di testa.

Mentre recupero la maglietta nera - della quale mi ero liberato prima di cominciare gli esercizi -, lo sguardo mi cade sui tappetini impilati con ordine vicino ai sacchi da boxe.

Li ho rimessi a posto personalmente, per combattere la voglia di inseguire Quattro e di … beh, ‘dirgliene quattro’.
L’ironia del gioco di parole mi fa sorridere per un attimo, ma torno serio in fretta.
Quell’idiota ha avuto il fegato di minacciarmi, per poi uscire impettito dalla stanza, di sicuro compiaciuto di aver avuto l’ultima parola.

Quanto avrei voluto avere un coltello a portata di mano.
Forse dovrei appenderne uno alla cintura, tenendolo pronto per ogni evenienza. Di certo mi risparmierei un sacco di fastidi.

Lancio un’occhiata all’orologio appeso al muro: sono le undici in punto.
Ho fatto più tardi del solito, ma non mi importa granché. Non riuscirò comunque a dormire.

Al solo pensiero degli incubi che mi aspettano mi sale la nausea.
Chiudo la porta e mi avvio a passo lento verso il mio appartamento.

Mentre mi accingo a svoltare verso la rampa di scale che conduce direttamente alla mia stanza, vedo una persona correre verso di me.
Mi blocco sul primo gradino e alzo un sopracciglio quando scopro che si tratta di Elizabeth, l’infermiera.

Ha il camice aperto, le svolazza alle spalle come un paio di ali candide.
Si ferma a pochi centimetri da me e prende fiato. – Grazie al cielo ti ho trovato, Eric – dice, con una nota di panico nella voce. – Sai dov’è Max? -.

- Doveva recarsi al quartiere degli Eruditi per prelevare i nuovi sieri per le simulazioni – spiego, in tono sbrigativo. – Per quale motivo lo cerchi? -.

Lei si passa una mano tra i capelli. Sembra stanca e nervosa. – Ho provato a dissuaderlo, ma James non mi ha voluto ascoltare e … -.

La interrompo subito, seccato. – Arriva al punto -.

I suoi occhi si spalancano come quelli di un uccellino finito in trappola. – Si tratta di Ted – balbetta. – Max l’aveva affidato a me, ma James ha voluto portarlo a giocare con i coltelli e … si è ferito, povero piccolo -.

Aggrotto la fronte. – In modo grave? – chiedo, allarmato.
L’ansia di Elizabeth mi sta contagiando. Al diavolo James e le sue iniziative di pessimo gusto!

- No, non proprio, ma … -.

Faccio un gesto stizzito. – Ma cosa?! -.

Lei sospira. – Ted non vuole che lo tocchi – ammette. – Devo disinfettare il taglio e ricucirlo, ma non mi permette nemmeno di avvicinarmi. Continua a ripetere che vuole Zelda e nessun altro -.

Rimango perplesso per un istante, poi annuisco. – Capisco. Beh, in tal caso sarà meglio farla venire subito in infermeria -.
Prima che Elizabeth possa obiettare, mi giro e percorro il corridoio che conduce alla camerata degli iniziati.

Non dovrei essere così eccitato, né sorridere come uno stupido come sto facendo adesso davanti alla porta del dormitorio.

Ringrazio mentalmente Ted per essersi fatto male: sono curioso di vedere come si comporterà Zelda quando mi vedrà piombare su di lei come un falco nel bel mezzo della notte.

Giro la maniglia, attento a fare meno rumore possibile.
Lascio la porta leggermente aperta: la luce che riesce a filtrare dalla fessura mi permette di orientarmi in mezzo alle file di brandine.

Gli ignari ragazzini dormono come agnelli, nessuno di loro si accorge della mia invasione silenziosa.
Mi dirigo senza esitazione verso il mio obiettivo, riuscirei ad individuare il profilo di Zelda anche nell’oscurità più completa.

La forza che mi spinge verso di lei è potente, quasi fossimo uniti a doppio filo.

Quella ragazza mi attrae a sé come se fosse una fiamma, calda, luminosa e invitante: io sono la falena che si avvicina incauta, troppo affascinata dal bagliore per riuscire a fiutare in tempo il pericolo che nasconde. O forse ne sono pienamente consapevole, ma voglio lo stesso riscaldarmi accanto a quel fuoco, infischiandomene delle conseguenze.

Attento, Eric. Finirai per bruciarti.

Al diavolo. Il rischio mi piace, mi è sempre piaciuto.

Rimango ad osservare Zelda per alcuni minuti.
Dorme profondamente, il suo petto si alza e si abbassa con regolarità.
Le lunghe ciglia scure spiccano sul suo volto pallido, incorniciato da ciocche selvagge di capelli corvini.

Mi piacerebbe toccarli, sentire la loro morbidezza sulle dita.
Sto già allungando una mano, ma mi blocco a pochi millimetri da lei.

Non fare lo stupido, Eric. Ricordati perché sei qui.
Giusto, il marmocchio. È lui la priorità.

Mi gratto il mento mentre penso a come svegliarla senza farle fare un infarto.
Non voglio certo che si metta ad urlare e attiri l’attenzione dell’intera camerata.

Faccio un respiro profondo, poi mi siedo accanto a lei.
Il materasso cede sotto il mio peso, ma non emette nessun rumore.
Cerco di non lasciarmi distrarre da quei lembi di pelle che il lenzuolo lascia scoperti e sussurro piano il suo nome.
Il primo tentativo va a vuoto.

Le tocco delicatamente una spalla e lei emette un lieve gemito. – Zelda – ripeto, chinandomi sul suo viso. – Ehi, mi senti? -.

La ragazza batte le palpebre due volte per mettermi a fuoco.
Quando mi riconosce sussulta e sbarra gli occhi.
Mi affretto a tapparle la bocca con una mano per prevenire grida isteriche e quant’altro.

- Calma, ok? – mormoro, nel tentativo di tranquillizzarla.
Aspetto che il suo respiro ritorni normale, poi la lascio andare. Mi porto un dito alle labbra. – Non fiatare e seguimi -.

Lei annuisce, con gli occhi ancora spalancati. Sembra che la stia ipnotizzando.

Agguanta le scarpe, se le infila e poi mi raggiunge nel corridoio.
Una volta chiusa la porta, mi squadra con gli occhi ridotti a fessure. – Grazie al cielo dormo vestita – sibila, mentre si lega i capelli con l’elastico che porta sempre al polso a mo’ di braccialetto.

Faccio un sorrisetto. – Ti assicuro che un dettaglio del genere non sarebbe bastato a fermarmi – dichiaro, lanciandole un’occhiata maliziosa. – Ti avrei fatta comunque uscire di lì, con o senza vestiti -.

Zelda arrossisce, ma non abbassa lo sguardo. – Hai trenta secondi per spiegarmi il motivo di tanta sollecitudine – ribatte, incrociando le braccia. – Prega che sia importante, altrimenti ti stendo -.

È la minaccia più invitante che qualcuno mi abbia mai fatto.

Il mio sorriso si fa più ampio. - Proposta allettante, ma sarà per la prossima volta. Elizabeth ha bisogno di te in infermeria – spiego, in fretta. – Si tratta di Ted -.

Lei rimane spiazzata, chissà cosa si aspettava. – Cosa è successo? -.

- E’ ferito, ma non lascia che Elizabeth lo medichi – rispondo, in tono cupo. – Ha chiesto di te -.

Zelda sbianca e si porta una mano al petto. – Perché non l’hai detto subito? – esclama, prima di precipitarsi lungo il corridoio.

Io sono mezzo passo dietro di lei.
Spalanca la porta dell’infermeria e si fionda dentro come un fulmine.

Deve tenere molto a quel bambino: non correrebbe in questo modo se si trattasse di me, ci scommetto tutto quello che ho.

Non appena la vede, Ted tende le braccia verso di lei.
Ha gli occhi lucidi, si vede che sta facendo di tutto per non scoppiare a piangere.

Zelda gli si siede accanto e gli sorride. – Ciao, tesoro – mormora, accarezzandogli piano i capelli.

Il piccolo non respinge il suo tocco, anzi le circonda il collo con le braccia e comincia a singhiozzare.
Rimango accanto alla porta, indeciso se andarmene o restare.

Elizabeth fa un respiro di sollievo. – Grazie per essere venuta, Zelda –.

- Ci mancherebbe – sussurra la ragazza.
Scosta un po’ il bambino da sé e gli prende il braccio per esaminare la ferita.
I suoi lineamenti si distendono quando vede che si tratta di un taglio poco profondo.

L’infermiera si avvicina a Ted per disinfettarlo, ma lui si tira indietro. – No, lasciami stare – strilla, scuotendo la testa. – Fa male -.

Elizabeth fa un respiro secco. - Devo solo pulire la pelle, Ted -, cerca di calmarlo, senza risultato. – Vuoi che si infetti? -.

Il bambino chiude gli occhi e continua a fare i capricci.

- Adesso basta! – sbotta Zelda, facendo sussultare sia lui che me.

Ted smette di piangere di colpo e la fissa ad occhi sbarrati, come se gli avesse appena mollato un ceffone.

Il tono della ragazza si addolcisce. – Farà male solo per poco, te lo prometto -.
Il piccolo stringe le labbra, non pare molto convinto, ma almeno la pianta di lamentarsi.

Zelda si volta verso l’infermiera. – Posso farlo io – dice, indicando il kit di pronto soccorso con un gesto. – Ho curato i miei fratelli per anni -.

Quella frase non riesce a far scomparire l’espressione dubbiosa di Elizabeth, così aggiunge a malincuore: - Mio padre è Fergus Blackburn -, come se quella fosse una spiegazione più che sufficiente.

Funziona, perché l’infermiera abbandona il cipiglio diffidente e fa un piccolo cenno col capo. – In tal caso, hai campo libero – dichiara, alzando le mani.

Non credevo che un semplice nome potesse fare un simile effetto.
Il padre di Zelda ha davvero un grande potere, sia nel quartiere degli Eruditi che qui tra gli Intrepidi.

– Vado a vedere se Max è tornato – annuncia Elizabeth, mentre si avvia verso la porta.
Io faccio per seguirla, ma lei mi ammonisce con un’occhiata dura. – Non perdere di vista quel bambino -.

Alzo un sopracciglio. – Zelda non basta? -.

- Sei uno dei Capifazione, o sbaglio? – rilancia lei, facendomi sbuffare. – Ti reputo più intelligente di James. Non deludermi -, conclude, uscendo a grandi passi.

Roteo gli occhi per l’irritazione e mi siedo su uno dei letti.
Quando riporto lo sguardo in direzione di quei due pericoli ambulanti, scopro che Ted mi sta fissando con insistenza.

- Perché lui non se ne va? – chiede a bassa voce a Zelda.

Perché da Eric il Capofazione mi sto trasformando in Eric il Babysitter a tempo pieno, vorrei rispondergli in tono acido.

Zelda si gira a guardarmi e fa un sorrisetto. – Perché mi serve il suo aiuto – afferma, facendomi cenno di raggiungerla.

Non so per quale ragione acconsento a prendere ordini da lei, ma faccio come chiede senza fiatare.

Le porgo la valigetta di pronto soccorso, mentre Ted continua a fissarmi con sospetto.
Zelda mi ringrazia e spruzza un po’ di disinfettante su un batuffolo di cotone.
Lo passa sulla ferita e il bambino stringe i denti. – Porta pazienza – gli sussurra, in tono dolce.

Estrae una pila di bende dalla scatola e un astuccio nero di pelle. Lo apre e tira fuori un ago dalla punta sottile che luccica sotto la luce delle lampade.
A quella vista, Ted si copre con il lenzuolo e piagnucola.

Zelda fa finta di non accorgersi della sua reazione.
Passa un filo nella cruna dell’ago e poi si china verso la ferita.
Il bambino cerca di togliere il braccio, ma la presa della ragazza è ferrea.

Si vede che non è la prima volta che esegue quell’operazione.

- Adesso sdraiati, Ted – ordina, in tono fermo, mentre lo spinge giù delicatamente. Il piccolo fa una smorfia, ma obbedisce.

Mi sfugge un ghigno. Ci sa proprio fare con i bambini.

Zelda continua a parlare in tono rilassato. – Adesso devo metterti i punti – spiega, accennando all’ago che tiene in mano.
Ted deglutisce rumorosamente, provo quasi pena per lui.

- Devi solo stare calmo, non sentirai nulla – aggiunge, scostandogli i capelli dal volto.
Lui annuisce piano, poi chiude gli occhi.

La ragazza comincia a passare il filo da una parte all’altra della ferita, con movimenti esperti e precisi.
Rimango a fissarla, ammaliato.

Quando finisce, avvolge il braccio di Ted con una lunga benda bianca, poi si china e gli dà un bacio sulla fronte. – Bravissimo piccolo. Sei stato molto coraggioso -.

Il bambino si illumina a quelle parole.
Quando Zelda fa per alzarsi dal letto, lui la trattiene per il polso. – Non rimani con me? –. La sua vocetta si incrina sull’ultima parola.

La ragazza sposta lo sguardo da lui a me, come se mi stesse chiedendo consiglio.
Io mi limito ad allargare le braccia in un gesto spazientito, poi mi stendo sul letto.
Ho l’impressione che la faccenda andrà per le lunghe, quindi tanto vale mettersi comodi.

Zelda segue il mio esempio e Ted le si accoccola vicino.
Poggia la testa sulla sua spalla, mentre lei continua ad accarezzargli i capelli.

Quel bambinetto non ha idea di quanto io lo stia invidiando in questo momento.

Nessuno si è mai preso cura di me in questo modo, nemmeno mia madre quando ero piccolo.

- Vuoi che ti canti qualcosa? – mormora Zelda, dopo alcuni istanti.
Per un folle momento immagino che si stia rivolgendo a me, poi sento il semplice ‘Sì’ di Ted e torno a rilassarmi.

La voce dolce della ragazza comincia ad intonare alcune frasi di una canzone che conosco anch’io, una delle tipiche ninne nanne degli Eruditi.

Non aver paura della mezzanotte, piccolo mio. Non fuggire via spaventato.
Non aver paura della mezzanotte, bambino mio. Non sei solo.

Chiudo gli occhi. Mi sembra di tornare indietro nel tempo.

Solo perché non riesci a vedere il mistero che si cela nel buio, non significa che ti farà del male.
Non conoscerai la tua forza finché non avrai sconfitto i tuoi demoni.
Non aver paura della mezzanotte, piccolo mio.


Quella voce vellutata è l’ultima cosa che sento prima che il sonno si avventi su di me.






 

* * *


 
Il bambino dai capelli chiari passeggia in solitudine lungo la strada che conduce al boschetto di tigli.

Ha le mani infilate nelle tasche dei pantaloni che indossa, sporchi e spiegazzati a causa della rissa appena conclusa.
Sorride soddisfatto, mentre calcia via una lattina dal suo cammino.
Si è procurato solo un taglio sul mento, ben poca cosa rispetto ai lividi che è riuscito ad infliggere a quei bulletti che lo tormentavano in continuazione a scuola.


L’espressione allegra si spegne lentamente, non appena pensa alla strigliata che gli darà sua madre non appena tornerà a casa e si farà vedere in quelle condizioni.

‘Un’altra volta? Sono stanca dei tuoi comportamenti infantili! Vuoi diventare un selvaggio? Sentirai tuo padre! Ti darà tante di quelle botte che te ne ricorderai a vita! Sei solo una nullità, non posso credere che tu sia veramente mio figlio…’

Il bambino scuote la testa per scacciare quelle parole che lo feriscono come punture d’insetto.

È quasi il tramonto, il momento della giornata in cui può dimenticare le continue lotte con i compagni di classe e il disprezzo dei genitori.


Nessuno conosce il suo segreto, nessuno sa dove si reca ogni giorno da alcune settimane a questa parte.
Quella scoperta rimarrà sempre e solo sua.


Non appena scorge la siepe, si affretta ad arrampicarsi sul tronco della ormai familiare quercia che lo ospita tra i suoi rami come una vecchia amica.
Si nasconde tra le fronde e rimane in attesa.
Da lì riesce a malapena ad intravvedere le mura della casa rossa nella fioca luce del crepuscolo.


Non rimane deluso nemmeno quel giorno.
La melodia di una canzone, seppur debole e lontana, arriva alle sue orecchie distintamente.


Quando sarai inquieto, io calmerò gli oceani per te.
Nel tuo dolore, io asciugherò le tue lacrime.
Quando avrai bisogno di me, io sarò l’amore che ti starà accanto.


Sospira.

Darebbe qualsiasi cosa per poter entrare in quel giardino e scoprire a chi appartiene quella voce.
Ma sa bene che rischierebbe la pelle: in quella casa vive Alfred Blackburn, uno degli individui più meschini e cattivi che abbia mai incontrato.

Terrorizza adulti e bambini, non sarebbe una buona idea farsi beccare nella sua proprietà come un ladro.


Gli occhi grigi del bambino si chiudono, mentre si lascia cullare dal quel canto armonioso.

È l’unica cosa che lo aiuta a sentirsi meno solo, che gli infonde speranza.
Quella voce sembra comprenderlo meglio di qualsiasi altra persona.








 
* * *



 
Mi sveglio di soprassalto quando qualcuno mi chiama per nome.

Elizabeth è china su di me e mi guarda con un sorriso condiscendente. – Dormito bene, Eric? -.

Scatto a sedere come se mi avesse minacciato con un paio di forbici.
Maledizione, mi sono addormentato!

Mi passo una mano sugli occhi e impreco a bassa voce.
Ted è ancora a letto, ma di Zelda non c’è traccia.

L’infermiera coglie la mia occhiata e fa un altro sorrisetto. – La ragazza se n’è andata qualche minuto fa – dice, con una nota di ammirazione nella voce. – I suoi punti di sutura sono perfetti. Non avrei saputo fare di meglio -.

Io mi limito ad annuire, sono ancora intontito.
L’orologio mi comunica che sono le sette e mezzo ed io rimango a fissarlo, perplesso.
Da quando ho terminato l’iniziazione, questa è la prima volta che dormo per più di sei ore di fila. E senza incubi.

Di certo il merito va a Zelda e a quella sua canzoncina.

Arriccio il naso, ripensando al ricordo che è tornato a ripopolare il mio – di solito vuoto - mondo dei sogni.

Mentre mi alzo, noto un vassoio appoggiato al comodino accanto alla mia brandina.
Allineati in bell’ordine ci sono una tazza di caffè fumante, un muffin e alcuni biscotti.

Corrugo la fronte e guardo Elizabeth.

Lei sorride. – E’ per te – afferma. – Da parte di Zelda -.









 
- - - - - - - - - - - - - - - -
 Ciaooo gente ;)
ecco il nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto (la mia vena romantica inizia ad emergere ahahah) ;)


La freddezza di Eric crolla a picco quando si tratta di Zelda, ma riuscirà lei ad entrare veramente nel suo cuore di pietra?
Continuate a seguire, mi raccomando ;)


Ringrazio chi legge, chi recensisce, chi segue la storia: un bacio a tutti!!!

Alla prossima,
Lizz

p.s. ok, veniamo alle canzoni. Sono traduzioni, non proprio letterali, di alcuni versi di ‘Afraid of the midnight’ dei Sunrise Avenue e di ‘Temple of Thought’ dei Poets of the Fall ;) se avete tempo ascoltatele, sono stupende!
   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Divergent / Vai alla pagina dell'autore: L S Blackrose