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Autore: Hitchris    07/06/2014    1 recensioni
Non potevamo solo rassegnarci alla supremazia dei Titani e vivere nel loro terrore fino al resto dei nostri giorni. C’era, doveva esserci qualcosa di più.
Doveva esserci speranza, e noi non avremmo dovuto fare altro che lasciarci guidare da essa.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A te, sperando che questa lettera possa esserti d’aiuto nei momenti difficili.
Non so neanche io il motivo per cui mi ritrovo chino sulla mia scrivania in piena notte, a riportare su carta tutte le vicende che in questi anni mi hanno coinvolto. Forse è solo perché, dopo tutto questo tempo, avverto ancora il bisogno di parlarne con qualcuno che – mi auguro – riesca a comprendermi; forse è perché sento che non è passato neanche un giorno. 
Probabilmente è cosi: credo di appartenere ad un passato che sembra lontano anni luce da questo presente. E questo presente, credimi, questo presente è la piena realizzazione di quello che io e miei compagni abbiamo tanto agognato.
Tredici anni fa la nostra – limitata – realtà era quella che si presentava all’interno delle Mura: una realtà fatta di una pace illusoria, stessa pace che credevamo potesse durare nei secoli a venire. E abbiamo passato così un secolo della nostra esistenza.. a cercare di sopravvivere, trascinandoci continuamente avanti. La nostra era una vita vuota ed inutile.
Io stesso mi sentivo così, i miei compagni si sentivano così. Uno dei miei migliori amici diceva sempre: “Se ci accontentiamo di vivere dietro queste Mura come bestie, niente potrà mai cambiare”.
Aveva ragione.
Per cento anni non era cambiato assolutamente niente se non le stesse Mura, che giorno dopo giorno diventavano più salde, più resistenti, separandoci dallo stesso mondo che ci apparteneva di diritto.
Le cose non cambiarono subito e, anzi, il cambiamento arrivò troppo tardi. Ancora alcuni parlano di quel giorno, lo fanno come se fosse una piacevole storia da raccontare davanti ad un falò: non fu così.
Quelle storie, raccontate con estrema leggerezza, nascondono molto di quello che successe in verità. E le stesse persone che le narrano non comprendono il dolore, la sofferenza e la disperazione della gente di Shiganshina.
Quel giorno perdemmo tutto: la nostra casa, i nostri affetti. Tutto quello che avevamo costruito con tanta fatica e dedizione fu spazzato via proprio davanti ai nostri occhi.
E quel giorno persino io sprofondai, come altri, in quella disperazione; tutto quello che avevo immaginato, tutte le paure che gli uomini avevano covato.. Le vedevo dipinte sul volto della gente. Ovunque il mio sguardo posasse non vedevo altro che terrore.
Avevo anch’io quello sguardo.
Avevo sempre fatto parte di tutte quelle persone che si erano rigorosamente rassegnate alla supremazia dei Titani – nonostante i miei sogni comprendessero una vita fuori dalle mura – e, proprio come loro, volevo affogare silenziosamente nelle mie paure.
Fu uno dei momenti peggiori della mia vita – non che ne abbia avuti altri migliori, ovvio –, e credo che mi trascinerò il ricordo fino alla fine dei miei giorni.
Tuttavia c’è una cosa che non vorrei mai dimenticare di quel giorno, ed è uno sguardo.
Fra tutta quella disperazione e paura, fra tutte quelle facce e occhi completamente persi, ce ne fu solo uno a infondermi quello di cui avevo bisogno per risalire alla luce. Fu la rabbia e la speranza, furono quelle parole sibilate fra i denti a riportarmi con i piedi per terra.
Più ci allontanavamo da quella che avevo sempre considerato la mia casa, più mi rendevo conto del vitale insegnamento che lo sguardo di Eren mi aveva infuso: non c’era solo paura, a questo mondo. Non potevamo solo rassegnarci alla supremazia dei Titani e vivere nel loro terrore fino al resto dei nostri giorni. C’era, doveva esserci qualcosa di più. Doveva esserci speranza, e noi non avremmo dovuto fare altro che lasciarci guidare da essa.
Non presi troppo sul serio i miei pensieri e, anzi, in un primo momento pensai che fossero addirittura stupidi.. ma la mia stupidità stava proprio nel non credere che l’umanità potesse essere forte.
È una domanda che mi sono sempre posto: l’umanità può davvero fare qualcosa? Siamo solo uomini in un vasto, sconosciuto mondo.. possiamo affermare di avere la forza necessaria per conquistarlo? Interrogativi di cui ho trovato una risposta non troppo tardi, questa volta.
Risposta che mi hanno dato i miei compagni.
Eren mi ha sempre ripetuto di non arrendermi, anche quando non c’era speranza; ha sempre detto che avrebbe avuto la sua vendetta e che una volta conquistata saremmo usciti da quelle mura per scoprire il mondo. Una volta gli dissi che volevo vedere il mare.
Glielo descrissi: un’infinità di acqua salata, pura, che ricopriva gran parte della superficie terrestre. Mi rispose che mi avrebbe portato a vederlo. Inutile dire che non diedi peso alle sue parole. Se c’era qualcosa che Eren sapeva fare benissimo era parlare prima di pensare – è una cosa che gli ho sempre rimproverato –, ma nonostante tutto decisi di dargli fiducia.
Mi piaceva la scintilla che aveva negli occhi, quella stessa scintilla che si accendeva durante la battaglia.. o quando parlava dei suoi ideali.
Sì, mi piaceva fantasticare con lui di un ipotetico futuro al di fuori delle mura. Lui ci credeva davvero, però, a quelle fantasie. E credeva nella forza dell’umanità.
La sua determinazione mi spinse a seguirlo: ci unimmo al Corpo di Ricognizione dopo aver superato un duro addestramento durato tre anni. Combattemmo, fianco a fianco, quando il Titano Colossale sfondò nuovamente le Mura; combattemmo quando scoprimmo che i nostri stessi amici erano in realtà coloro contro cui avevamo giurato vendetta; combattemmo quando scoprimmo che persino il nostro stesso Stato ci era nemico. Combattemmo, e furono lunghe le battaglie, così lunghe da sembrare infinite.
Perdemmo molto.
Perdemmo molto più di quanto avevamo previsto.
Perdetti molto più di quello che avrei voluto.
Forse è per questo che mi ritrovo qui a scrivere: non è il sangue, o la distruzione, o le immagini dei miei compagni, amici e cari a tormentarmi. Forse è solo il ricordo di quei giorni felici ad accendere in me una cocente malinconia.
Nonostante – a quel tempo – combattessimo una minaccia che pareva essere molto più forte e più grande di noi, riuscivamo a sorridere. Nonostante vedessimo morti e sangue ogni giorno, riuscivamo, con un sorriso, o un gesto, o un semplice sguardo, a non perdere la speranza e la ragione.
Eravamo costantemente in bilico tra la vita e la morte.
Ogni giorno della nostra mera esistenza desideravamo poter vedere l’alba del giorno dopo e, semmai ciò non fosse accaduto, speravamo che qualcuno tra i nostri amici portasse con sé il ricordo di ognuno di noi. Sono stato costretto a guardare i miei compagni morire e questo mi ha spinto ad andare avanti.
E’ stato così e lo è ancora: il loro ricordo brucia nel mio cuore e mi alimenta. E insieme a quegli sguardi, a quelle espressioni e a quei sorrisi c’è anche quella speranza che è riuscito ad infondermi Eren.
Adesso non ci sono più mura dietro cui vivere, né uno Stato a cui obbedire. La gente vive in piccole comunità, sparpagliata in giro per il mondo. Non so se le cose cambieranno da oggi in poi.
Sinceramente, non voglio saperlo.
Ho capito che non sono stati solo i Titani ad averci spinto a tal punto da dover rinchiuderci all’interno delle mura, costringendoci a vivere nella vergogna e nel terrore: noi abbiamo voluto che le cose andassero così. Gli uomini possono detenere il potere e utilizzarlo per i propri scopi; per raggiungerli sono in grado di distruggere vite e costringere un’intera specie ad un’esistenza vuota.
Beh, la feccia si nasconde ovunque.
Vorrei poter dire che adesso che ho conquistato la libertà e fatto giustizia, sono felice. Vorrei davvero poterlo dire. Vedi, molte persone sono perfettamente in grado di compiere sacrifici; altre hanno bisogno di tempo per capire che, se si vuole raggiungere uno scopo, occorre rinunciare a qualcosa per esso. Anche alla propria vita.
Sono fiero di vivere in un mondo in cui l’unico che è in grado di pormi dei limiti sono io, non sono fiero di quello che è stato fatto per riconquistarlo. A volte la libertà richiede molto più di una semplice ambizione, non basta desiderarla con tutto il nostro essere: la Libertà pretende delle vite, pretende delle rinunce e del dolore.
Non mi sono mai pentito di aver indossato quell’uniforme e di aver portato sulle spalle quel simbolo. Neanche Eren e Mikasa si sono pentiti.
Vorrei poter dire ad Eren che il mare è bellissimo e la vista di esso ha valso tutto il sudore e il sangue che abbiamo sputato. È proprio come descritto nei libri: una distesa d’acqua salata che si perde a vista d’occhio. Vorrei potergli dire che il sacrificio che ha compiuto tredici anni fa ci ha resi fieri di essere uomini.
Lo vorrei qui per mostrargli tutta la bellezza di questo mondo.
E infine vorrei dirgli che, nonostante gli anni passati, nonostante adesso sia tutto finito, il suo ricordo perdurerà nel tempo.
E la fiamma della speranza porterà per sempre il suo nome.

Armin.

  
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