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Autore: Brown_97    07/06/2014    0 recensioni
Un paesino come un'altro, o almeno così sembra. Quanti misteri può nascondere una siepe ben curata, una cassetta per le lettere ben dipinta?
Probabilmente nessuno, avrebbero detto in molti e così avrebbe detto anche Ronnie, prima di conoscere Chris. Grazie a lui finalmente riesce ad aprire gli occhi e a svelare misteri inquietanti che non pensava neanche esistessero. Ma alla fine la verità viene a galla, come un cadavere in un porto. Esempio lugubre.. ma piuttosto calzante. bhe divertitevi e spero vi piaccia. un bacione Brown
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Va bene che il giorno prima fosse stato tutto un ritrovarsi e ricredersi, perché diciamocelo: non me l'aspettavo un Chris del genere. Però non sono un'ingenua e il mondo non è un sfera traboccante d'amore e uccellini canterini. Quindi rimaneva in sospeso una domanda: potevo davvero fidarmi di lui? 

Riconoscevo quando una persona nascondeva qualcosa e Christopher Warren mi stava inequivocabilmente nascondendo qualcosa. Speravo solo che fosse una notiziola di poco conto, del tipo: 'prendo a calci i bambini quando i genitori non guardano' o 'non mi sono lavato i denti nell'ultimo mese, ma giuro lo farò nel prossimo'… cose su cui avrei potuto passare sopra, una volta armata di buone intenzioni e di mentine. Purtroppo avevo il sentore che non fossero neanche lontanamente queste le notizie di cui non dovevo venire a conoscenza. 

Peccato per lui, perché quello che voglio sapere prima o poi lo scopro. Quindi preparati Christopher Warren, i tuoi panni sporchi stanno per essere sventolati all'aria, e non sarà piacevole. Non a caso si dice: conosci i tuoi nemici, ma molto meglio gli amici. 

Più precisamente, questo era il discorsetto che mi stavo ripetendo la mattina dopo, mentre cercavo di forzare la serratura della finestra della sua camera.

Rimasi almeno dieci minuti a trafficare con il chiavistello, chiedendomi come mai nei libri sembrasse così facile. Ebbene, non lo era affatto, neanche se avessi chiesto una mano a una banda di scassinatori. Affranta, appoggiai la testa contro il vetro e la finestra, a tradimento, si aprì di botto, catapultandomi a faccia in giù sul tappeto sottostante. Diedi una craniata stratosferica sulla faccia ricamata di un astronauta e il mio naso si spiaccicò sulla bandiera degli stati uniti che l'omino stava conficcando orgogliosamente sulla superficie lunare. Mi alzai velocemente, come se non avessi appena fatto la figura di una povera tonta, e diedi un calcio al davanzale della finestra. Ben ti sta, traditrice.

Dopo di che, cominciai a guardarmi attorno, notai che, strano ma vero, quella stanza non era cambiata affatto negli ultimi sei anni. Anche quel libro un po' storto sulla libreria, era sempre stato così. Chris, una delle poche volte che ero stata lì dentro, mi aveva spiegato che sua madre era una fan del 'disordine selezionato'. Praticamente nessuno in quella casa aveva il permesso di toccare o usare niente perché lo avrebbero potuto sporcare e/o rompere.  

Gli ospiti avevano fatto notare che più che una casa quella sembrava un negozio di arredamento. La signora Warren, ovviamente, non aveva ben accettato il complimento e quindi da quel momento in poi aveva fatto in modo da creare l'impressione di una casa più vissuta, spostando oggetti in angolazioni precedentemente studiate al dettaglio. Tipo la lampada sulla scrivania di Chris, era piegata in modo da sembrare, per un qualsiasi visitatore esterno, spesso utilizzata per lo studio. Invece, io sapevo benissimo che Chris non aveva neanche il permesso di toccarla perché era fatta di qualche materiale strano, tipo adiamanto e polvere di stelle. Non so il motivo ma tutto ciò mi aveva sempre fatto ridere. Per esempio, la prima volta che ero venuta a trovare Chris, sempre passando dalla finestra tra l'altro, visto che non ero esattamente la benvenuta, avevamo dovuto giocare nello spazio compreso tra il letto, sempre in tema astronauti, e la scrivania, e che in tutto sarà stato un metro per un metro.

E' finita con noi due che continuavamo a scontrarci prima involontariamente, poi dopo, poichè avevamo cominciato a prenderci gusto, c'era stata una vera e propria lotta e come unica vittima il vaso di ceramica sulla credenza. Bei tempi.

Spostai l'attenzione sull'orologio appeso al muro. Le 9:15, in perfetto orario. Chris era già a scuola come previsto. Un'oretta fa l'avevo visto lasciare la villetta, appostata dietro il cespuglio di rose nel lato nord del giardino. Avevo avuto una visuale perfetta per non perdermi neanche un dettaglio del 'Warren family show'. Niente di più comico. Marion Warren che sbraitava in preda a una crisi isterica alla vista dell'abbigliamento del figlio, che stavolta aveva addirittura osato indossare una tuta. 'Una tuta!' aveva urlato ' Una tuta! Mi vuoi fare sfigurare difronte all'intera comunità? Christopher Leopold Warren, mi stai ascoltando?!' 

Senza volerlo la povera Marion aveva azzeccato il punto, perché Christopher Leopold (lo prenderò in giro a vita per questo) non solo non le degnava un minimo di attenzione, ma per di più portava anche delle cuffie nelle orecchie. Difatti, camminava placido lungo il vialetto, perdendosi quella serie di suppliche senza senso. Dubitavo, però, che qualsiasi tipo di musica stesse ascoltando fosse in grado di coprire tutto quel fracasso. Fatto sta che sbadigliando e arruffandosi i capelli per il sonno se ne era andato come se niente fosse. A quel punto era entrato in scena il padre, che aveva fatto capolino dalla soglia per ordinare alla moglie di darci un taglio e andare a frignare all'interno. Un gentiluomo non c'è che dire. Pensai con orrore che se Chris aveva anche solo un pizzico dei suoi geni marci, la mia missione era del tutto giustificata, effrazione con scasso inclusa. Avevo aspettato fino a quando anche i coniugi avevano lasciato l'abitazione e poi, scalando l'albero davanti la finestra di Chris, avevo cominciato la perlustrazione.

Tirai fuori il taccuino in cui avevo scritto il piano della giornata, il prossimo punto da depennare era: cercare qualcosa di sospetto, qualsiasi cosa.

Cominciai dalla scrivania e dai cassetti. Niente di niente, osservai delusa. Ispezionai l'armadio e, a parte una quindicina di abiti eleganti, anche quello fu un buco nell'acqua. Stavo per chiudere l'anta quando notai uno scatolone sotto un mare di coperte ben piegate. Lo liberai dal suo nascondiglio e poi con un certo sforzo lo trasportai sul letto. Prima di aprirlo cercai un qualche rimorso dentro di me nel violare così apertamente la privacy di qualcun altro, ma non trovandone, tolsi il coperchio e rivoltai il contenuto sul letto senza esitazione. Vi era un mucchio di roba. Sulla cima stava il tipo di abiti che gli avevo visto indossare in quei giorni: magliette con stampe, jeans, felpe e… odio non può essere… una maglia con la foto degli High Lights! Era la mia band preferita, la stringevo tra le mani come fosse stata un tesoro inestimabile. Calcolai la serie di reati che avevo già commesso quella mattina e non me la sentii di aggiungerci anche il furto. Però quella maglietta doveva essere mia.. come fare? Pensa pensa. Schioccai le dita, ovvio bastava fare uno scambio. Mi sfilai la felpa e poi la canottiera che portavo sotto. Era orrenda, c'era sopra una donna con un cagnolino al passo e per di più era rosa. Odio il rosa. La lasciai cadere con sollievo nello scatolone e mi infilai quella di Chris… Pardon, volevo dire la mia. Continuando a scavare nel mucchio trovai anche alcune divise militari e poi pantaloni e magliette più sobrie senza stemmi colorati. Ne presi una e la stesi sul letto. Mi dava una strana sensazione, forse perché ci associavo la storia che mi era stata raccontata la sera prima. Non avevo idea di come fosse o cosa accadesse dentro un'accademia militare, ma immaginavo Chris imparare a combattere, a sparare, a sopravvivere con addosso quell'uniforme. Lui aveva trovato il modo di crescere e di maturare in qualche modo, mentre io ero sempre rimasta uguale, bloccata a un'età indefinita che non faceva di me né una donna né una bambina. Ripiegai la divisa e la rimisi al suo posto.

Pensavo di aver terminato la ricerca, quando, sollevando un cappellino di lana che sembrava tanto un passamontagna, vidi un foglio mal appallottolato. Lo estrassi dalle grinfie del suddetto cappellaccio e lo distesi per leggere il contenuto.

Gli occhi cominciarono a lampeggiare dall'entusiasmo non appena lessi la scritta RISERVATO. Repressi una risata di scherno, riservato sì, ma non per me.

Il testo diceva testualmente:

'Il cadetto Christopher Warren in seguito alla missione coraggiosamente compiuta il 17 dicembre del corrente anno, riceve, come testimonianza del suo valore, una medaglia. L'atto del cadetto non solo ha permesso il completamento della missione richiesta, ma ha anche salvato la vita ad un suo compagno. Riceve in merito tutti gli onori e un'avanzamento di grado..' il resto semplicemente non era altrettanto rilevante.

Ok, sbaglio o era più o meno quello che avevo già letto dalle foto rubate nel suo fascicolo e di cui mi ero del tutto dimenticata? Tirai fuori dalla tasca dei jeans quasi nuovi il cellulare decrepito, che come uniche abilità aveva quelle di chiamare, mandare messaggi e, per l'appunto, fare foto di pessima qualità, e scorsi la galleria fino ad arrivare alle ultime foto scattate. Confrontai il testo cartaceo e quello digitale e bingo, non solo dicevano la stessa cosa, ma erano proprio lo stesso documento. Portai il foglio tutto spiegazzato vicino alla finestra per aver maggior visibilità e realizzai che, probabilmente, quello era l'originale mentre alla preside era stata consegnata una copia.

 

Riassumendo ecco quello che sapevo fino adesso sul 'MisteroChris':

1)Era stato in un'accademia militare per sei anni

2)All'inizio dell'anno, durante una missione aveva salvato la vita a qualcuno.

3)Era stato premiato.

4)Era rimasto ferito durante un'esercitazione.

5)Ora era ad Hallow.

 

Segnai sul taccuino il nome dell'accademia che avevo trovato sul foglio e ci scrissi a fianco altri due promemoria: cercare informazioni su questa ' Military Academy of CG' (per gli amici MACG) e sul salvataggio. 

Riposi velocemente la roba nello scatolone e trasportai il tutto nell'armadio in cui l'avevo trovato. Appena l'ebbi ricoperto dalle coperte, mi diressi verso la cassettiera. In realtà avevo già trovato quello che cercavo ma forse continuando avrei scoperto anche altro. Conforme a questa linea di pensiero aprii il primo cassetto, c'erano solo calzini, passai al secondo, canottiere su canottiere, esitai sul terzo e ultimo, perché a quel punto mi ero fatta una certa idea su quello che avrei potuto trovare. Comunque lo aprii lo stesso per amor di conoscenza  e ci trovai i suoi boxer. Lo chiusi di scatto imbarazzata e guardandomi intorno colpevolmente: le mutande erano cose troppo personali anche per me.

Di fatto avevo finito la perlustrazione, ma già che ero a casa Warren potevo passare a fare anche una visitina alla camera del signor sindaco, che immaginavo morisse dalla voglia di essere perquisita.

Se ricordavo bene, cosa di cui dubitavo fortemente, la porta giusta era quella in fondo al corridoio e infatti.. era la porta sbagliata. C'era una scala che portava al soppalco dietro la porta quasi giusta, che diveniva a quel punto la porta ufficialmente sbagliata. Eh va bene, non si può riuscire sempre in tutto, no?

La camera in questione era da tutt'altra parte ma una volta trovata potei evitare di perquisire ogni angolo perché il sindaco Warren era un cliché vivente e come tale doveva poteva nascondere qualcosa d'importante? Ma sì, nel cassetto delle sue preziosissime bandane. Difatti sotto una bandana più orrida del consueto, ecco spuntare un involucro nero.  Lo afferrai e cominciai a srotolarlo quando sentii provenire dal fondo delle scale la voce potente di Rosalinda, la governante.

Era una donnona portoricana, dal forte accento spagnolo, che in quel momento, a causa della possente massa, stava lentamente raggiungendo il primo piano. Mi infilai il pacchetto nella tasca della felpa, mandando a farsi benedire tutti i buoni propositi contro il furto, e schizzai alla velocità della luce fino alla finestra da cui ero entrata. Scalando l'albero al contrario finalmente raggiunsi il suolo e me la diedi a gambe levate lungo il vialetto. Nonostante le finestre chiuse del primo piano, raggiunto con determinazione e forza d'animo, vedevo distintamente,oltre il vetro, Rosalinda ballare un tango appassionato con l'aspirapolvere. Rosalinda, meno male che ci sei tu.

 

 

Era ormai l'ora di pranzo quando raggiunsi il porto, dopo aver percorso la strada passante per il giardino del signor Algar, visto che il giardiniere Arn si ritrovava di nuovo casualmente a fare la guardia all'altro più breve percorso. Sospettavo che ci fosse lo zampino del sindaco dietro ciò, probabilmente voleva essere sicuro che ieri non avessi mentito.

Mentre camminavo spedita lungo la banchina del porto, tirandomi su il cappuccio per ripararmi dal vento proveniente dal mare, persi lo sguardo lungo la linea dell'orizzonte che in quel momento appariva più netta che mai.

Il luccichio dell'acqua era accecante e dava leggermente fastidio agli occhi, ma era quel tipo di fastidio che si sopporta facilmente.

Sostai a lungo davanti al portoncino della veterinaria di Scar senza osare entrare, nonostante sentissi l'abbaiare festoso dei cuccioli e il cinguettare acuto dei pettirossi, segno inequivocabile che lei era dentro.

Alla fine me ne andai e proseguii ancora verso nord, passando davanti all'officina gestita da Owen, il ragazzo di Scar, per giungere pochi minuti dopo alla piccola roulotte sgangherata parcheggiata perennemente in un piccolo e isolato piazzale polveroso. Estrassi le chiavi e aprii la porticina facendo tintinnare il pendaglio appeso al soffitto. Respirai il tipico odore di casa e mi buttai a peso morto sul letto che prendeva gran parte dello spazio disponibile, e che di fatto era l'unico mobile oltre la piccola scrivania su cui, miracolo di miracoli, faceva bella mostra un malconcio computer portatile, un regalo di Scarlett e di Owen per i miei 17 anni. Mi alzai a fatica dal letto e mi accomodai sulla sedia girevole per poi attendere con pazienza che il computer si accendesse e si connettesse al modem, che fra tutti e due non si sapeva quale fosse più lento. Finii per addormentarmi sulla testiera, non avendo dormito neanche quella notte. Mi risvegliai con il bip bip dello schermo, che mi informava di essere finalmente pronto all'uso. Guardai l'orologio e mi accorsi che erano passate due ore da quando mi ero seduta lì davanti, un nuovo record. Mi sentivo leggermente intontita e dolorante ma trovai comunque il modo di concentrarmi e digitare nel motore di ricerca 'Military Academy of CG' e ecco comparire la pagina ufficiale. L'edificio era imponente e di mattoni antichi, con grosse mura all'esterno. Non si capiva se fossero lì per impedire alle persone di entrare o di uscire, probabilmente per entrambe le cose. Nelle informazioni lessi che accoglieva ragazzi dai 13 ai 21 anni e mi domandai cha agganci dovessero avere i Warren per averci mandato il figlio appena undicenne. Scorsi anche la galleria delle foto e mi trovai sommersa dai volti giovanili seri e impassibili, tra cui, però, non riconobbi quello di Chris. A quel punto, da piccola hacker quale ero, entrai nei file riservati ed eccolo lì, il fascicolo del cadetto Warren.

Aveva un'impressionante quantità di informazioni lì dentro, alcune perfino criptate. Ma era un militare o un agente della CIA?

Non sapevo neanche da dove iniziare, e in questi casi reputavo che 'dal principio' fosse l'unico modo. Stetti tutta l'ora successiva a leggere cose che sapevo già o che non erano più di tanto rilevanti, ed ero arrivata solo al terzo anno di addestramento.

Gli occhi mi pizzicavano dallo sforzo e dal continuo sfregamento da sfinimento, e per di più fuori si era già fatto buio. Copiai il fascicolo sul desktop, spensi tutto e presi la felpa, pronta a uscire. Mi accorsi che era più pesante del solito. Ah si il pacchetto, lo estrassi dalla tasca, dandomi della stupida per essermene dimenticata. Cominciai a srotolarlo affannosamente per la fretta, quando il telefono iniziò a squillare. Solo una parola sul display, solo una, bastò a terrorizzarmi. MAMMA.

Mi prese il panico, ma che diavolo di ore erano? Le 7 e mezzo.

Sono morta, sono molto morta.

Finii di srotolare il pacchetto, che mi cadde di mano non appena capii cosa conteneva. Guardai la pistola nera e lucida ai miei piedi e mi si mozzò il respiro, il sangue mi inondò il cervello. Con mani tremanti la riavvolsi nell'involucro nero e lo misi al sicuro nel cassetto del comodino accanto al letto e mi precipitai fuori dalla roulotte, chiudendo prima la porta col lucchetto. Una volta fuori, feci un respiro profondo e mi abbassai il cappuccio sulla fronte, ordinandomi di non andare in panico solo perché intorno a me c'era il buio più totale, non un lampione a fare un po' di luce attorno, e perché tutto sembrava tremendamente spaventoso. Altro respiro e mi incamminai, pronta ad affrontare una passeggiata infinita, passando tra moli e pub di pescatori ubriachi, per arrivare sana e salva fino da Algar. Un programmino invitante. Tutte le ombre mi mettevano addosso una fifa assurda, perfino un povero cane randagio, spuntato fuori dal nulla, ebbe il potere di mandarmi in paranoia. Fuori da un pub c'era una banda di uomini strepitanti, mi fermai prima di entrare nel loro campo visivo. A quel punto avevo due possibilità: trovare una strada alternativa e allontanarmi da quella principale o passare lì in mezzo. Analizzai le alternative attentamente e la pigrizia ebbe la meglio, come sempre. E poi probabilmente quelle persone avevano di meglio da fare che dar fastidio a me, no? 

Evidentemente no, perché non appena passai loro davanti, illuminata dalla poca luce proveniente dal locale, qualcuno cominciò a sbiascicare più forte del normale nella mia direzione, altri a fischiare e uno brutto e senza alcuna esperienza in fatto di rasoi o lamette in genere mi si avvicinò. Il mio sangue freddo cominciò a ribollire dalla paura e le mie gambe persero ogni funzione vitale, proprio mentre l'uomo barbuto dal tipico passo malfermo degli ubriachi mi si parò davanti.

-Ciao bella…- farfugliò inondandomi del suo alito puzzolente e nauseante.

Non capii il resto della frase perché alla parola 'ciao' il cervello aveva già ordinato alle gambe di darsi una svegliata e al 'bella' ero schizzata via.

Corsi a perdifiato infilandomi in un vicolo e poi in un altro, sperando di disorientare il tipo che si era messo a rincorrermi ed essendo già confuso da quello che aveva bevuto, non fu difficile.

Dopo poco infatti sentii il rimbombo dei suoi passi affievolirsi, ma non smisi di correre intrufolandomi in zone del porto che non riconoscevo. Il fiato non reggeva più ma non potevo fermarmi, per quanto ne sapevo quell'uomo poteva aver preso un'altra strada e trovarsi a pochi passi da me. Quando andai a sbattere contro qualcosa fui addirittura contenta di crollare a terra e riprendere fiato, non ce la facevo più.

Intorno era tutto buio, tutto eccetto un cono di luce proiettato sul marciapiede da un lampione poco distante dove intravidi due figure e strinsi gli occhi per mettere meglio a fuoco. 

Tadan, che sorpresa fu riconoscere il sindaco Warren parlare con un uomo, diverso da quello dell'altra volta. 

No, pensai, non ce la faccio a sopportare anche lui oggi. 

Quell'omuncolo presuntuoso, che avevo sempre reputato essere un emerito idiota, stava cominciando a creare più problemi del previsto. 

Gattonai verso la loro direzione, protetta da un auto, quella che aveva causato la mia caduta tra l'altro, per ascoltare cosa avessero di così importante da dirsi nel bel mezzo della notte e guardandosi intorno con così tanta diffidenza.

Appena realizzai che il secondo uomo questa volta era di mia conoscenza mi venne un mezzo infarto, era Roger Trenton, il gestore del country club, soprannominato da me il 'Baffuomo'. Molto baffo e poco uomo.

La situazione a questo punto aveva raggiunto livelli di improbabilità troppo elevati, dovevo assolutamente sapere che diavolo stava succedendo e così mi avvicinai ulteriormente, sempre gattonando nel buio più totale.

A un certo punto sotto le dita sentii qualcosa di morbido e caldo e mi alzai di scatto dalla sorpresa. Così facendo, finii contro l'auto, azionandone l'antifurto, il cui suono squarciò l'aria. 

I due uomini si voltarono allarmati dal rumore e in breve si volatilizzarono nelle tenebre. 

Poco dopo una luce da sotto di me mi inondò il volto, accecandomi. Mi riparai il viso con le mani, tastando intorno a me per spegnere la sorgente luminosa.

-Ronnie?!- sentii chiedere da una voce incredula, molto vicina. 

-Chris?!-domandai con lo stesso tono. Che ci faceva lui qui?

Fortunatamente la luce si spostò in un'altra direzione lasciandomi il tempo di riabituarmi all'oscurità circostante.

-Non mi fai respirare.-  mi fece osservare col respiro mozzato. In effetti ero per metà seduta sul suo stomaco. Ops, allora era lui la cosa morbida e calda, meglio così, avevo avuto paura di aver calpestato un animale. Mi levai da sopra di lui aiutandolo a mettersi seduto. Aveva i capelli davanti alla faccia e qualche ciuffo ribelle mi pizzicò gli occhi mentre mi misi a sedere a mia volta, nel piccolo spazio tra la macchina e il muro di qualche abitazione.

-Che diamine ci fai qui?- 

Ehm, già che diamine ci facevo lì?

-E tu che diamine ci fai qui?- Quando non sai come rispondere, svia l'attenzione.

-Io ho seguito mio padre. Io. Seguire. Padre. Afferrato il concetto? Ora dimmi che ci fai tu qui.-

-Passeggiata notturna?- provai a metterla sul leggero, ma il ragazzo con l'aria truce non parve d'accordo. Mi si piazzò davanti, tanto vicino che sentivo il suo respiro sulle guance, e mi inchiodò con lo sguardo.

-Ronnie, ascoltami bene. Non possiamo collaborare se tu non ti confidi con me. Io ieri l'ho fatto e ti ho lasciato il tempo di elaborare. Ora, o mi dici tutto o me ne vado.- proferì guardandomi fisso, senza lasciarmi possibilità di fuga.

Lo fissai a mia volta analizzando le alternative. Gli occhi di uno percorrevano il volto dell'altro come palline da ping-pong durante una partita molto intensa. Chris voleva l'onestà, bene, l'avrebbe avuta.

-Vengo al porto ogni giorno da 5 anni ormai.- confessai non distogliendo lo sguardo.

-Cosa?- era confuso -perchè?- era sempre più confuso.

Scossi le spalle -Ero sola. Non avevo nessuno in città e avevo bisogno di compagnia. Non che lo ammettessi con me stessa, me ne sono resa conto da poco.- 

Distolsi lo sguardo, non mi piaceva vedere la gente compatirmi. 

-Fammi capire, scompaio io e tu esci fuori di capoccia?- ridacchiò divertito. 

Addio momento tragico, grazie al cielo: li odio.

Rialzai gli occhi e mi misi a prenderlo in giro anch'io -Be' sai, non c'era un altro bambino psicopatico con cui buttare coloranti nelle piscine o manomettere biciclette.-

-E che ti aspettavi, c'è un unico Chris Warren: l'originale.- si pavoneggiò mostrando i bicipiti e facendo strane smorfie.

-Come no, Leopold.- sghignazzai infliggendo il corpo mortale e infatti si bloccò, improvvisamente a disagio.- Me lo volevi tenere nascosto Leo? Posso chiamarti Leo, vero?-

-Non osare..- minacciò riducendo gli occhi a due fessure.

-Altrimenti?- lo sfidai godendomela un mondo. Rimase senza parole, un successone praticamente.

Mi alzai, attenta a non inciampare nell'intrico di gambe e mi incamminai nella direzione da cui ero venuta. Dopo una decina di passi, mi voltai indietro. Intravidi la testa ricciuta di Chris dietro la macchina, non si era mosso di un centimetro.

-Warren, che fai non vieni?- 

Mi raggiunse con una lieve corsetta, sembrava un bagnino di Baywatch. Trattenni un sorriso mentre riprendevamo a camminare.

- Dove?- Domandò secco. 

- Lo vedrai se hai un po' di pazienza.- promisi.

- Non mi vorrai mica attirare in un vicolo buio per stuprarmi o qualcosa del genere, vero Allen?- chiese fingendosi scandalizzato.

Mi voltai con una smorfia. -Ti piacerebbe.-

Dopo dieci minuti, durante i quali mi persi due volte per le stradine buie, finalmente arrivammo alla roulotte.

Chris, che aveva continuato a chiedere quanto mancasse ogni due secondi, ricevendo in riposta insulti mal celati, finalmente si azzittì. 

Presi le chiavi da dietro il vaso con disegnata una tartaruga e aprii il lucchetto e lo lasciai passare per primo, per poi chiudere la porta alle mie spalle. Incrociai le braccia, sedendomi sul letto, e lo osservai guardarsi intorno.

- Che posto è?- chiese afferrando un libro dalla scrivania. Indicai una targa sul muro che riportava la scritta 'RIFUGIO DI RONNIE'. Lui mi guardò stupito e io alzai le spalle.

- E' tutto tuo? No, ma come è possibile…aspetta, ma questo è un computer?- chiese voltandosi di scatto e indicando con gesti esagerati il pc.

- Diciamo di si, non è l'ultimo modello ma..- 

- Niente ma. E' fantastico! Non c'è n'ènemmeno uno in città, stavo per impazzire. Non una televisione, non un apparecchio elettronico, zero contatto col mondo esterno.- tirò fuori dalla tasca l'iphon- anche questo è inutile, non c'è un wifi neanche a pagarlo.-

- Non me ne parlare, tu sei qui da una settimana, io da una vita. Quindi frena l'entusiasmo, ho io la precedenza.- dissi sbadigliando. Non volevo leggere l'ora o pensare a mia madre, che sicuramente stava già dormendo e sognando di rinchiudermi in casa a vita.

Non commentò, sapendo che avremo finito per litigare e si stese sul letto, il mio letto. Stavo per dargli una piedata e cacciarlo dal mio spazio vitale quando notai che, nella luce fioca delle lampadine elettriche, aveva un aspetto pallido e due occhiaie profondissime. Insomma era stanco morto, anche più di me.

-Da quanto è che non dormi Chris?- chiesi osservandolo mentre si rigirava nel letto troppo corto per le sue gambe e sprofondava la faccia nel cuscino.

-Da un po'- mormorò.

Come minimo un paio di giorni, ma doveva fare il figo e non poteva certo rivelarlo.

-Perchè non c'eri oggi a scuola?- volle sapere dopo un po' con voce impastata. 

Mi appoggiai con la schiena alla testiera del letto e chiusi gli occhi. -Ho sentito dire che fa male andarci tutti i giorni. Cerco di limitare i danni.-

Mi diede una leggera spinta che quasi mi fece cadere dal letto -Ahah divertente. Ora dimmi la verità.- ordinò con la voce attutita dal cuscino in cui era immerso.

-Ho fatto.. ehmm.. delle ricerche e tu perché stavi seguendo tuo padre?-

-Se ne parliamo domani?- propose con un sussurro assonnato.

-No non ne parliamo domani, potrebbe essere important.. Chris non starai mica russando?- 

Sì, era una specie di sbuffo ritmico che sentivo provenire da sotto la massa di capelli ricci. Oh ma andiamo!?

A quel punto mi tolsi la felpa e le scarpe, presi una coperta dalla sedia lì affianco e ci ricoprii entrambi, notando che Chris occupava più della metà del letto. Mi girai dall'altro lato, sul fianco. Presi il cellulare dalla tasca dei jeans e inviai un messaggio a mamma in cui le dicevo che stavo bene e di non preoccuparsi. Prima di chiudere gli occhi, mi soffermai un po' sul comodino vicino a me e una stretta fredda mi avvolse la mente, sapendo che cosa conteneva.

Un'altra notte insonne, evviva.  

  
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