Film > Le 5 Leggende
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Autore: AngelsOnMyHeart    08/06/2014    3 recensioni
[FANFICTION IN REVISIONE DAL 15/11/2015]
[Capitoli revisionati: 11/15]
Gli anni sono trascorsi dalla vittoria dei Guardiani e la conseguente sconfitta di Pitch, l'Uomo Nero.
Dieci anni, ad essere precisi.
Tutte le attività delle Leggende sono tornate alla normalità e di quei difficili giorni, non è rimasto altro che un lontano ricordo.
Ma non tutto è esattamente tornato come prima, poiché, da quella notte, una luce sul Globo ha smesso di brillare.
Scarlett è una studentessa di diciotto anni, una semplice ragazza la cui vita non ha nulla che possa ritenersi degno di nota ma che cela nel proprio petto un peso oscuro, il quale sta lentamente trascinando la sua mente nell'oblio.
Incubi.
Da che la ragazza riesca a ricordare, la sua mente è sempre stata tempestata da neri, asfissianti ed orribili incubi e non è mai stata in grado di capire il motivo per cui questi infestassero il suo sonno. Sapeva solamente che erano sempre presenti e che, qualunque cosa facesse, sarebbero tornati notte dopo notte.
Ma il tempo inizia a stringere e, con questo, molte verità verranno a galla, portandosi dietro altre domande le cui risposte non sempre saranno un sollievo per l'anima.
Genere: Avventura, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Pitch, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo X
Dal buio nascono lacrime di luce.




Pitch sbarrò gli occhi ambrati in un'espressione tra l'incredulo e lo scocciato.
Quella ragazzina, non aveva idea di come ci fosse riuscita, lo aveva colto sorpresa.
Fissò prima i suoi occhi, rossi dal pianto, poi la piccola lama che gli stava porgendo, ammutolito. Cosa avrebbe dovuto dirle? Cosa avrebbe dovuto fare?
:-Oh ti prego! Non fare finta che ti importi proprio ora- gli disse lei ridendo in modo quasi isterico -Almeno questo, dopo quello che mi hai fatto passare. Almeno questo me lo devi-.
Pitch rimase ancora in silenzio, si guardò intorno infastidito, quasi cercando qualcosa che gli concedesse una via di fuga da quella situazione.
:-Allora?-.
:-Dammi un secondo!-. La zittì lui a denti stretti, visibilmente scocciato.
Sarebbe riuscito a strappare via la vita dal suo corpo? Poteva realmente arrivare a tanto? Sì ma...tanto per cosa?
“Cosa desidero?”
No. Non le avrebbe permesso di minare il suo piano, non a quel punto, non ad un passo dalla vittoria. Ed alla fine di lei cosa gli importava?
La guardò un'altra volta ancora, istanti di lungo silenzio riempirono la caverna. Negli occhi stremati di Scarlett non percepì alcuna traccia di odio o rabbia nei suoi confronti, solo tanta stanchezza. In quello stato pietoso, d'altronde, le avrebbe fatto un favore no? Era lei che glielo stava chiedendo alla fine. Lui non aveva nulla da perdere e lei aveva già perso tutto.
:-Lo farò-.
Scarlett gli rivolse un sorriso e gli porse la mano debolmente la mano libera :-Niente trucchi?-. Al termine della domanda le sfuggì un risolino che le fece brillare gli occhi per un istante.
Non ebbe idea di come ci fosse riuscita. Trovare la forza per sorridere e scherzare ad un passo dalla fine. Gli umani erano capaci di atti davvero bizzarri e, spesso e volentieri, nei momenti meno opportuni.
Come lei, che scherzava con il suo aguzzino ad un passo dalla fossa. Forse aveva davvero sottovalutato la sua forza e, non seppe nemmeno lui il perché, le sorrise a sua volta, stringendole la mano :-Niente trucchi-. Le promise e Scarlett gli credette, nessuna insidia nascosta nelle sue parole questa volta. La ragazza poté chiudere gli occhi, lasciando che un'ultima lacrima solcasse la sua guancia.
:-Continua pure-.
Pitch fissò la propria mano, in una piccola frazione di secondo in cui gli sembrò di esitare, poi scosse il capo e posizionò il palmo aperto sul petto della ragazza.
:-Sarà breve-.
Già, breve ma non indolore.
Come si aspettava le fitte giunsero come un fulmine al ciel sereno, portando il cuore a contrarsi, battendo ad un ritmo sempre più forte. Per un istante si convinse che sarebbe schizzato via dal suo petto per correre nella morsa di Pitch.
Cercò di concentrarsi sul fatto che presto sarebbe tutto finito ma non fu comunque in grado di trattenere lo straziante grido di dolore che fuoriuscì dalle sue labbra, mentre il vortice nero fuoriusciva dal suo cuore, sempre più grande e nero per ogni secondo che passava.
Di lì a poco la sua mente si ritrovò avvolta da una coltre di nebbia scura che ovattò tutto attorno a lei, così come il dolore che sembrò passare in secondo piano.
Fu come risvegliarsi con l'impressione di cadere all'interno del proprio letto. Solo che lei, al contrario, si stava addormentando in un mondo sospeso tra due realtà.
Ormai prossima a chiudere gli occhi, rivolse un'ultima occhiata allusiva a Pitch, ricordandogli il compito che gli sarebbe spettato in seguito e che lui le aveva promesso.
:-Per quel che vale, mi dispiace-. Disse piano lui, o forse aveva borbottato qualcos'altro. Cosa importava ormai? I suoi sensi si stavano spegnendo.
E cadde.

Tra le mani di Pitch risiedeva un nero globo d'ombra e tenebra, la cui grandezza era pari più o meno a quella di una testa umana. L'oscurità grondava da quella massa, scivolando tra le sua dita ed insinuandosi nei pori della sua pelle.
Lo contemplò in silenzio, un sorriso sardonico stampato sulle labbra.
Avvicinò il globo al suo petto e ve lo spinse contro, lasciando che vi penetrasse.
Una scarica di adrenalina gli attraversò il corpo e si sentì come appena ridestato da un sonno durato non solo decenni ma secoli. Scattò velocemente in piedi, inspirando a pieni polmoni il potere che ora scorreva dentro di lui proprio come nei tempi lontani, in cui tutti lo temevano. Allargò le braccia ed assaporò quel momento che, purtroppo, non aveva il sapore si aspettava. La dolce vittoria portava con se una nota di amarezza. Il che gli ricordò di avere ancora un compito da svolgere, prima di chiudere definitivamente quel capitolo.
Scarlett era distesa a terra, ovviamente priva di sensi, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Un lento alzarsi ed abbassarsi del suo petto testimoniarono che vi era ancora vita in lei, purtroppo.
:-Prima il dovere, poi il piacere-.
Si chinò su di lei e raccolse il coltellino svizzero buttato al suo fianco. Ne osservò la lama e scosse il capo, sorridendo amaramente. Era rovinata dai mille utilizzi e solo uno stolto, o un sadico, avrebbe potuto utilizzarla per uccidere qualcuno. Così lo lanciò via e nella sua mano apparve un altra lama, un pugnale stavolta, nero ed affilato a dovere.
Posizionò la lama contro il collo scoperto di lei, premendo appena ma la sua mano tremò e fu costretto a fermarsi.
“E solo un momento di debolezza” si giustificò con se stesso, scuotendo il capo.
:-Ora o mai più-.
Premette un altro po' la lama sulla sua pelle ma non fu ancora in grado di andare a fondo.
Perché doveva essere tanto difficile? D'altronde non aveva esitato a rovinarle la vita, fino a quel momento, quindi cosa poteva costargli concederle il dolce ed eterno riposo?
“Maledizione!” Pensò, alzando il viso su quello di lei. Vagamente gli ricordò una di quelle principesse delle fiabe, quelle che solo un bacio avrebbe potuto risvegliare dal sonno. Non che fosse tipo da quel genere di racconti -sebbene quelli più datati fossero il pari di una storia dell'orrore- ma ne aveva sentite nei secoli di quelle storie, narrate fanciulli che lui era pronto a terrorizzare, acquattato nell'angolo più buio della loro camera.
Prese un respiro profondo e premette un'ultima volta la punta della lama contro la giugulare di lei, per un attimo si convinse che ce l'avrebbe fatta ma, quando un piccolo rivolo rosso scivolò sulla sua pelle, fu di nuovo costretto ad arrendersi.
:-No!- urlò infine, lasciando cadere a terra il pugnale che si dissolse -Non ci riesco!-.
Quella ragazzina, riusciva ad essere una spina nel fianco persino così, addormentata e vulnerabile.
Pitch sospirò e si arrese all'evidenza.
:-Sei riuscita a mettermi con le spalle al muro, piccola Scarlett-.

Nella cittadina di Burgess l'alba era ormai prossima ma il sole non avrebbe rischiarato il cuore dei suoi abitanti in quell'uggiosa mattina di fine autunno.
Poche gocce di pioggia iniziarono a cadere dal cielo plumbeo.
Pitch apparve dal suo vortice di ombre lungo il vialetto della casa di Scarlett, la ragazza era inerme tra le sue braccia.
Si chino e piano la depositò delicatamente a terra, adagiandola su di un fianco, a pochi passi dalla porta.
La contemplò alcuni istanti, osservando la pioggia cadere su di lei, inzuppandole i capelli ed i vestiti. Infine, senza dire o fare altro, sparì.

Non appena Helen vide quel corpo disteso lungo il suo vialetto, non ebbe alcun dubbio a riguardo.
Era lei.
Non aveva idea di come fosse possibile che i suoi capelli avessero subito una simile trasformazione ma, alla fine, cosa importava? La sua bambina era lì.
Corse sotto la pioggia battente, un piede le scivolò sul cemento bagnato e cadde in ginocchio al fianco della figlia, probabilmente si era procurata qualche graffio o lieve contusione ma in quel momento non se ne accorse nemmeno, si allungò sulla sua bambina e la avvolse nelle proprie braccia, sollevandole il viso e posandolo contro il suo petto, cercando di coprirla dalla pioggia.
:-Scarlett? Scarlett? Amore mio svegliati-. Disse dapprima piano e dolcemente lei, accarezzando il viso di sua figlia mentre la scuoteva appena, cercando di svegliarla.
Immediatamente controllò il suo polso, le sembrò regolare. Avvicinò una guancia al suo viso, riuscendo a percepire i suoi lenti respiri ma, benché ella respirasse, non riaprì i suoi occhi.
La scosse ancora gentilmente, continuando a chiamare il suo nome, mentre la pioggia inzuppava ormai entrambe. La sua piccola era lì, perché non apriva gli occhi? Cosa poteva esserle capitato di tanto grave da ridurla in un simile stato?
Il suono della sirena di un'ambulanza, chiamata da qualche vicino che stava segretamente assistendo alla scena, iniziò a sovrastare quello della pioggia.
Ma non solo i vicini stavano assistendo a quel drammatico evento.
Celati agli occhi degli adulti, i Guardiani erano lì: North, Sandman, Dentolina, Calmoniglio e Jack Frost.
Il silenzio di aver fallito abbracciò la loro consapevolezza di cosa si sarebbero dovuti preparare ad affrontare. Con Pitch ora al pieno delle forze, cosa gli avrebbe impedito di fare qualcosa di ben peggiore di quello che aveva fatto a Scarlett? Quante altre infanzie sarebbero finite distrutte dalla sua folle smania di grandezza e potere? Sarebbero stati nuovamente in grado di fermarlo come un tempo?
Scarlett nel mentre venne caricata nella vettura, accompagnata dalla madre.
Le sirene suonavano ma il pianto disperato di Helen riuscì a sovrastarle.

 
* * * *

2 SETTIMANE DOPO

La situazione era più nera che mai e non perdeva attimo per peggiorare ancora di più.
I Guardiani stavano lottando senza sosta contro Pitch, il quale usciva vittorioso da ogni battaglia, portandosi via i sogni di centinaia di bambini ogni volta.
Al Polo Nord, il Globo stava andando via via spegnendosi, già un quarto di quelle luci non brillava più, per quanto ancora sarebbero riusciti a durare?
:-Manny, amico mio. Cosa devo fare?-. Chiese North, non lo avrebbe mai ammesso ad anima viva ma era disperato, rivolgendosi al suo caro amico, il motivo per cui tutti loro potevano definirsi dei Guardiani: L'Uomo nella Luna.
Nessuna risposta giunse in loro soccorso, stando a significare che se la sarebbero dovuta cavare da soli contro quell'immane ed oscura potenza.
Il Natale era ormai alle porte ma...sarebbe mai giunto questo Natale? Persino in lui la Speranza iniziò a vacillare e Santa Clause iniziò a percepire il peso di tutti quegli anni come un macigno.

Altro che doppi turni, Sandman si ritrovò letteralmente sommerso di lavoro. Costretto a correre da un capo all'altro del pianeta, nel tentativo di allietare il sonno dei bambini i cui incubi si facevano, man mano, sempre più forti.
Tanto piccolo, quanto forte e stoico, avrebbe continuato a lottare contro Pitch sino allo stremo delle sue forze, per nulla al mondo si sarebbe mai arreso alla Paura.
Il sole aveva appena iniziato a sorgere e spargere i propri raggi sui tetti della città indiana in cui si trovava, il che significava che il suo compito lì era terminato, al momento. Stremato dalle lunghe ore di lavoro, il paffuto Guardiano dei Sogni si passò una mano sulla fronte, sbadigliando così stanco da desiderare un sorso di quella bevanda, nera ed amara, che gli uomini bevevano per darsi energia: il caffè.
Per quanto desiderasse dormire, volle concedersi quel breve momento di pausa per volare in direzione di Burgess. La sua destinazione era sempre la stessa: una stanzetta del terzo piano di rianimazione del St. Joanne Hospital. Si recava lì ogni giorno, più o meno, sperando ogni volta che al suo ritorno ci fossero cambiamenti ma, anche quel giorno, la situazione era la stessa del precedente: su di un letto, avvolta da bianche coperte, dormiva Scarlett. Un macchinario, collegato da tanti fili al suo cuore, simulava le pulsazioni del suo battito cardiaco su uno schermo nero attraversato da una linea curva verde.
Bip...bip...bip...
La linea si alzava regolarmente ad ogni battito.
I medici non erano stati in grado di spiegare in alcun modo le sue condizioni. Secondo tutti i test a cui era stata sottoposta, anche più volte, stava bene. Non vi erano alterazioni o danni di alcun tipo, ad esclusione di un piccolo taglio all'altezza della giugulare che si era rimarginato nel giro di un paio di giorni. Per quanto riguardava tutti i risultati delle analisi, lei stava semplicemente dormendo, ma un sonno della durata di due settimane non poteva di certo definirsi un semplice riposino pomeridiano.
Sul grembo della ragazza vi era poggiato il capo della madre. Quella donna era più forte di tutti loro, una vera forza della natura. Non si era mai arresa e non aveva mai perso la speranza. Sua figlia avrebbe riaperto gli occhi e, allora, avrebbe affrontato il mondo intero purché non si allontanasse più da lei. Se glielo avessero proposto come unica soluzione, avrebbe dato l'anima per riaverla.
Seduto accanto a lei invece c'era Jaime. Il ragazzo stava facendo i salti mortali, giostrandosi tra lo studio e le visite all'ospedale, dando spesso il cambio ad Helen affinché lei potesse riposarsi o andare a casa per le più piccole necessità.
Non appena Jaime vide Sandman, entrare flemmatico dalla finestra, gli rivolse un sorriso stanco :-Ehi!-. Lo salutò.
Sandman rispose al saluto con un distratto cenno della mano e si avvicinò al letto.
Bip...bip...bip...
Il ragazzo pensò che forse era meglio lasciare il Guardiano da solo con la ragazza, motivo per cui scosse delicatamente Helen, destandola dal suo leggero sonno e, con la scusa di un caffè per riprendersi dalla stanchezza, la convinse ad uscire dalla stanza.
Quando nella stanza rimasero solamente loro due, Sandman prese tra le sue mani quella di lei.
Più degli altri, lui sentiva gravare la responsabilità per ciò che le era accaduto. Certo non avrebbe mai potuto immaginare che lei avesse preso quella chiave per liberare Pitch ma, al di là di tutto, era quanto mai giustificabile che potesse compiere qualche follia in quello stato. E lui aveva un semplice compito, quello di vegliare su di lei, glielo aveva promesso, e invece l'aveva lasciata andare.
Guardò l'orologio fissato sulla parete dinanzi al letto segnare le 19:08. Per lui era tempo di tornare a svolgere il proprio dovere in qualche altra parte del globo.
Si allungò quindi sulle punte e, dandosi una leggere spinta, posandole un bacio la fronte per poi volare via sulla sua nuvola dorata di sogni, che si stava facendo, via via, sempre meno rilucente.

Il buio.
Non vi era nient'altro in quel desolato posto che era la sua mente.
Solo buio, buio e buio per settimane. Gli incubi erano cessati certi ma in cambio aveva ricevuto il nulla.
Era sola, sospesa nel vuoto. Riusciva a percepire piccole pillole di quello che accadeva intorno a lei ma non poteva interagire con nessuno. Più inutile di così non si poteva.
“Oh andiamo Scarlett! Non prendiamoci in giro. Sei sempre stata abbastanza inutile, sia per gli altri ed anche per te stessa. Non sei stata nemmeno in grado di convincere il nemico della tua intera esistenza ad ucciderti, nel momento cruciale”
L'unica compagnia che le era rimasta, oramai, era quella dei propri pensieri e, dopo due settimane passate ad ascoltarsi, veramente non si sopportava più.
Si alzò dal suo angolo e cammino in quello spazio, così infinito e così limitato al tempo stesso, vi aveva vagato per giorni ma era sempre stata consapevole che sarebbe rimasta lì, da sola con se stessa.
Quando aveva perduto i sensi, precipitando nelle tenebre, non si sarebbe di certo aspettata di risvegliarsi in quel luogo. A dirla tutta credeva che non si sarebbe risvegliata mai più ed in alcun modo, visto che aveva lasciato a Pitch la semplice missione di ucciderla e, al momento, non era nemmeno tanto sicura se essergli grata o meno per essersi tirato indietro.
Dopo l'ennesimo giro di ricognizione, che le confermò non ci fosse altro che la sua irritante compagnia, decise di dare un'occhiata a ciò che stava accadendo fuori. Non aveva idea di come accadesse ma, quando voleva vedere qualcosa, si apriva come una finestra sul mondo che la circondava al di fuori. I tratti delle figure non erano mai ben delineati, probabilmente era la sua memoria legata ai suoni che percepiva a ricrearle ma tanto bastava a darle un quadro della situazione.
Sua madre dormiva poggiata contro il suo grembo, cosa avrebbe dato solo per carezzarle i capelli e rassicurarla su tutto ma, come ovviamente sapeva, non aveva il controllo dei propri arti.
Jaime invece era seduto al fianco della donna, sbadigliò stanco e stirò le braccia per poi incrociarle attorno al petto. Era talmente dispiaciuta di stargli arrecando tutto quel disturbo, avrebbe voluto scusarsi, parlare con il suo migliore amico e chiarirsi, così da poter parlare di tutte le cose non dette. Anche perché, sinceramente, nonostante le fosse stato spiegato, non aveva ancora ben capito quale fosse il suo legame con i Guardiani.
Di lì a poco Sandman fece ingresso dalla finestra, rivolgendo un saluto a Jaime e volando al suo fianco. Il ragazzo quindi si alzò e portò con se sua madre mentre il Guardiano le si avvicinava, tenendole la mano e fissandola con i suoi tristi occhi dorati.
:-Se solo sapessi quanto mi dispiace-. Mormorò Scarlett con voce spezzata, anche se sapeva perfettamente che la sua voce non sarebbe mai giunta a lui, da lì. Eppure lui alla fine le sorrise, come se avesse capito e si spinse sulle punte posandole un bacio sulla fronte.
Come per incanto una lieve luce apparve, una lacrima dorata che lentamente scese dall'alto. Scarlett la fissò, meravigliata ed immobile, col capo rivolto all'insù, lasciando che la goccia cadesse delicatamente sulla sua fronte.
Fu strana la sensazione, un dolce tepore la avvolse e il ricordo di quel bacio sulla fronte, ricevuto per chissà quante notti negli ultimi dieci anni, risvegliarono in lei memorie lontane che si proiettarono nel buio come in una sala cinematografica, la sua mente il loro proiettore.

Una bambina correva ridente tra le braccia di un uomo, suo padre, il quale la strinse a se, abbracciandola, per poi sollevarla al di sopra della sua testa dandole l'impressione di saper volare :-Ehi vieni qui!-. Disse subito l'uomo riportandola giù :-Non mi volare via eh?-. Le raccomandò lui ridendo.

Sì, era strano, non aveva alcuna memoria di quei momenti da molto tempo ormai. Eppure, quello era sua padre; quella bambina era lei e...stava ridendo.
:-Cosa sta succedendo?-.
Il ricordo mutò.

Sempre la stessa bambina, solo qualche anno più grande. Affacciata alla finestra della propria cameretta con l'orsacchiotto stretto contro il pigiama, osservava ciò che stava accadendo ad un piano di distanza da lei, nel vialetto di casa. Suo padre urlava mentre caricava diversi bagagli nella macchina, sua madre invece lo inseguiva avanti e indietro, anche lei urlando ad ogni frase, così da richiamare le attenzioni dei vicini. Alcuni si affacciavano sulla strada, altri invece osservavano dietro la sicurezza delle loro fragili finestre.
La bambina strinse un po' di più l'orsetto a se, assistendo incapace di comprendere il perché di tutto quel trambusto.
I grandi litigavano, questo lo sapeva benissimo, ma poi facevano sempre la pace no?
Suo padre infine salì in macchina e, effettuando un paio di manovre incerte con le quali si trascinò via persino la cassetta delle lettere, percorse la strada a gran velocità, sparendo e lasciando solo il silenzio mentre le gente tornava nelle proprie abitazioni. Fingendo di non aver visto niente.
La bambina invece rimase per alcuni istanti alla finestra, incerta, per poi rimettersi a letto, senza lasciare mai andare il suo adorato amico di pezza :- E' solo un brutto sogno- piangeva -Non è successo nulla Scarlett, stai solo sognando-.
Ma purtroppo il mattino venne con le sue realtà. Erano rimaste solo lei e la mamma tra quelle mura. La bambina non le chiese il perché. Non voleva saperlo, non poteva esserci alcuna spiegazione che sarebbe riuscita a comprendere allora. Abbracciò solamente sua madre e le diede un bacio sulla guancia :-Non preoccuparti mamma, io non ti lascerò mai-.

Scarlett pianse.
Gli incubi le avevano dilaniato l'anima, quello era vero, ma erano soltanto incubi. Quel ricordo invece, così vero e nitido da far male.
Il ricordò cambiò ancora ritornando ad un evento di pochi anni prima.

La scena si aprì su di un grande prato. Avvolti dallo sconfinato verde dei campi, la famiglia di Scarlett aveva trovato un piccolo all'ombra di un albero, dedicandosi ad un sereno pic-nic domenicale. Sembravano tutti così felici, come nelle fiabe, o forse era solamente il ricordo sfocato e confuso di una bambina.
Lei correva senza sosta attorno all'albero, alle prese con una palla che non riusciva a far rimbalzare sull'erba, cosa che sembrava scocciarla alquanto, finché non si fermò improvvisamente, fissando un punto non proprio chiaro tra le fronde dell'albero.
Tornò in un lampo dai suoi genitori, tenendo tra le braccia una piccola palla di pelo bianca :-Mamma mamma- urlava -Ho trovato il bianconiglio!-. E porse la povera bestiolina, mentre si dimenava per sfuggire alla sua “amorevole” morsa, vicino al viso della madre.
:-Ma che carino-. Disse la madre poco convinta volgendo un'occhiata di supporto al marito che intervenne subito, trattenendo a stento una risata.
:-Tesoro che ne dici se lo lasci tornare alla sua tana?-. Le chiese quindi il padre, in pena per quella creatura, mentre si allungava per accarezzarne il folto e morbido pelo.
:-No!- urlò lei, quasi spaccando i timpani dei genitori, portando il coniglio contro il suo petto, forse stringendolo un po' troppo forte – Il signor Coniglio è mio amico e vuole venire a casa con noi! Può vero?-. La piccola Scarlett formulò la frase come se fosse stata una domanda ma in realtà era più un'imposizione. Tant'è che i due coniugi spesero parecchio tempo, tentando di convincerla a desistere e, alla fine, fu il coniglio a decidere il da farsi per tutti, mordendo le dita della bambina che lo lasciò cacciando un urlo, così che potesse scappare via ad una velocità mai raggiunta da nessun roditore.
Scarlett scoppiò in lacrime battendo i piedi a terra, indignata.
Suo padre, tentò di consolarla ma non poté fare a meno di scoppiare a ridere dopo aver assistito ad una scena così buffa e, anche se la figlia gli mise il muso per questo fino al loro ritorno a casa, non riuscì a smettere per un bel po', cadendo addirittura sull'erba, fino a tenersi la pancia.

Una risata, fuori dallo schermo, si unì a quella dell'uomo. Sebbene avesse gli occhi lucidi e le guance rigate dalle lacrime, le labbra di Scarlett erano aperte nella più gioiosa risata che fosse mai uscita dal suo petto.
:-E quindi, sarebbe per questo motivo che...- un singhiozzo, dovuto al troppo ridere, le bloccò la frase-...che ho paura dei conigli?-. Una risata ancora più forte sovrastò l'altra e continuò a ridere senza ritegno, tenendosi anche lei la pancia, come suo padre nel ricordo.
Sentì le sue risate avvolgere l'oscurità donandogli luce e, lentamente il buio si illuminò di immagini, in un corridoio di ricordi perduti: alcuni belli, dolci e piacevoli; altri tristi e malinconici; altri invece talmente divertenti che non poteva trattenersi dal ridere non appena il loro pensiero sfiorava la sua mente.
Continuò a seguire quei ricordi e, alla fine, una luce apparve.

I suoi occhi si aprirono, la luce invase il suo campo visivo e per un attimo si ritrovò costretta a chiudere gli occhi, per poi riaprirli più lentamente.
Stava ancora ridendo, poteva sentire il volto piegato in quella bellissima smorfia, poteva sentire il suo cuore, ora leggero e sereno riempirsi di quella luce che aveva intorno. E continuò a ridere, non riusciva più a smettere.
Sua madre e Jaime tornarono proprio in quell'istante, trovandola lì: gli occhi aperti e la risata sempre più forte, mentre con una mano si asciugava una lacrima che le era scesa su una guancia.
E dopo un primo istante di stupore, senza alcun motivo logico, ma credo che in momenti di tale stupore le azioni non abbiano mai una gran logica, scoppiarono anche loro a ridere insieme a lei.
   
 
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