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Autore: soulmirrors    10/06/2014    16 recensioni
Harry Styles - venticinque anni compiuti da poco, tatuaggi sparsi per tutto il corpo e un tenore di vita davvero discutibile nonostante oggi sia un padre responsabile – non si era accorto di essere diventato una camera in affitto per nove mesi sino al suo quinto mese di gravidanza.
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«Dannazione, tuo figlio non la smette di calciare!» urlò d’improvviso e stavolta il suo viso era davvero paonazzo, e la sua espressione bazzicava tra il terrore e la sorpresa, tra la gioia e l’ansia.
«Ah, adesso è solo mio figlio?» fece Louis cercando di apparire offeso, ma fallendo miseramente quando Harry, con un sorriso sulle labbra rosse come stelle di Natale, gli ebbe afferrato le mani per posizionarsele sull’addome al di sotto del cappotto appena sbottonato.

[Louis/Harry] [preg!Harry] [11.4k] [K]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Mpreg
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N.D.A Ancor prima di iniziare (ma sono fondamentali!).
Innanzitutto salve a tutti! Io sono K e vi regalo un sorrisetto perché siete qui a leggermi! 

Come prima cosa dovete sapere che questa OS di 11.4k partecipa all’iniziativa sull’mpreg di Wanki!Fic   
Come seconda cosa, invece, mi preme farvi sapere che è la prima volta che partecipo ad un’iniziativa del Wanki e che sono davvero felice di questa cosa, soprattutto perché questo mese dedicato alle mpreg casca a fagiolo; volevo giusto scriverne una dal momento che non mi sono mai cimentata in un AU tanto AU (…)!  
E a proposito di questo, ultima cosa e vi lascio in pace, volevo farvi sapere che scrivere questa storia mi ha divertita un sacco – sorrido ancora come un’idiota – non è stato affatto una forzatura scrivere di determinate cose e proprio per questo spero di essere riuscita a trasmettere normalità nonostante l’AU a dir poco surreale!  
Ci si vede alle note finali.
Buona lettura!




 
 


Sorpresa.
Una sorpresa che arriva in tremendo ritardo,
ma lo fa con un sorriso sincero che forse non avrei avuto quel 19 maggio.
E’ passato così tanto dal tuo compleanno ma, insomma, noi il tempo lo pieghiamo (altro che “orologi molli” di Dalì!).
Il punto, però, è che io in quel “meglio tardi che mai” ci credo davvero.
P.S. Ora betami questa stronzata e arrangiati.
 
 
 


Dicono che in gravidanza i mesi più difficili da gestire e superare siano i primi tre.
L’aborto spontaneo è un rischio costante, bisogna fare molta attenzione a ciò che si mangia, al tenore di vita che si ha e bisogna soprattutto impegnarsi a cambiare certe abitudini, specie se queste sono ritenute poco consone e pericolose per il feto. Bisogna, quindi, evitare attività azzardate quali sport estremi, sospendere il fumo, l’acool e specialmente l’uso di sostanze stupefacenti.
Il punto, però, è che Harry Styles – venticinque anni compiuti da poco, tatuaggi sparsi per tutto il corpo e un tenore di vita davvero discutibile nonostante oggi sia un padre responsabile – non si era accorto di essere diventato una camera in affitto per nove mesi sino al suo quinto mese di gravidanza.

Di programmi idioti ne vede a bizzeffe tuttora, di quelli in cui gente strana ha ossessioni altrettanto strane, o di quelli dove un’equipe  medica alquanto stramba se ne va in giro per le strade della capitale alla ricerca di malattie imbarazzanti, ma molto imbarazzanti. E poi c’è quel programma, com’è che si chiama? Ah, sì! I Didn’t Know I Was Pregnant. Questo programma Harry non riusciva proprio a comprenderlo, e tuttora continua a ritenerlo una stronzata madornale sebbene la sua esperienza personale - ancora vivida nonostante siano passati cinque anni - sia stata molto analoga a quelle che si vedono continuamente proprio in quello show.
E ci passava ore a litigare con sua madre e sua sorella su come una persona potesse non accorgersi di aspettare un bambino. Allora era poco più che un ragazzino, i brufoletti dell’adolescenza che ancora gli adornavano la fronte chiara circoscritta dai suoi bei riccioli scuri, e ricordava come inveiva contro sua sorella Gemma che “Haz, non è fantascienza. Può succedere che per i primi tre mesi, se non di più, non avverti nessun sintomo strano!” diceva sbuffando e con gli occhi al cielo.
Anne, sua madre, restava in silenzio a godersi la scena sino a quando il suo ostinato scetticismo non le faceva partire l’embolo e “Ha ragione tua sorella, ogni gravidanza è diversa e ognuna presenta sintomi altrettanto diversi”.

Ma lui non ne voleva proprio sapere di dare ascolto a quelle due, forse perché – come diceva un’anziana signora amica di famiglia – “La chiusura mentale non è altro che uno scudo protettivo verso tutto ciò che ci fa paura”. E Harry, anche se non lo avrebbe mai ammesso alle uniche due donne della sua vita, era terrorizzato dall’eventualità di vivere sulla sua pelle una delle storie propinate da quello show strambo.
Be’, forse sarà proprio per questa ragione se non si può dire che il destino, con lui, si sia divertito poco.
 
 






 
 
 
21 + 6 settimane.
La pelle del feto è grinzosa e si iniziano a formare i primi depositi di grasso.
I genitali esterni si differenziano definitivamente.
Il feto pesa in media 310 g ed  è lungo circa 23 cm.
 
  
«Io lo chiamo Karma».
La voce divertita e d’un tempo pungente di Gemma perforò il suo timpano sinistro sebbene tra di loro, a separarli, ci fossero svariati chilometri e un vasto oceano da attraversare.
«Io la chiamo semplicemente sfiga, invece» rispose lui piccato, sbuffando sonoramente, la cornetta del cordless incastrata tra orecchio e spalla mentre provava invano a chiudere un paio di vecchi skinny neri.
«Smettila Hazza», lo rimproverò la ragazza, «devi smetterla di considerare sfiga una cosa tanto bella».
Harry, di fronte allo specchio della camera da letto, dedicò una smorfia scettica al suo riflesso immaginando l’espressione saccente di sua sorella maggiore.
Non aveva tutti i torti Gemma, però «Dannazione!» urlò pestando con un piede nudo il parquet lucido, la frustrazione ai massimi livelli.
«Cosa succede?»
«Non mi entrano più i miei jeans preferiti, va bene?» rispose come se sua sorella c’entrasse qualcosa con quella tremenda disavventura.
Infatti Gemma ridacchiò divertita e il suono della sua risata non fece altro che peggiorare la situazione emotiva di Harry, ormai sull’orlo di una crisi di nervi.

Considerava un miracolo già solo il fatto che quei jeans – strappati sulle ginocchia, per giunta – gli fossero entrati tra saltelli e imprecazioni varie, ma non poteva fare a meno di disperarsi perché «Merda!» quei bottoni non riuscivano neppure a vederle col binocolo le loro asole.  
«Io non capisco, non capisco proprio dannazione» riprese a borbottare tra sé e sé, dimentico di sua sorella in linea.
«Cos’è che non capisci, Haz?»
«Per quattro fottutissimi mesi, quattro! Non mi sono accorto di un cazzo, Gemma» imprecò ancora.
Si sfilò in maniera stizzita i jeans che alla fine non era riuscito ad abbottonare e «E ora guardami!» - «Mi piacerebbe» rispose ironica Gemma dall’altra parte - «Nessun sintomo, l’addome piatto come sempre, e ora mi è spuntato il pancione tutto in un colpo e devo rifarmi il guardaroba intero! Mi sento male».

Mentre Gemma si cimentava in una serie di aneddoti e di battute affettuose mirate a consolare suo fratello, Louis faceva il suo ingresso nella camera da letto con indosso dei pantaloni della tuta e una t-shirt (più grande di almeno tre taglie) che un tempo era stata di uno splendente bianco e che adesso invece mostrava fiera le cicatrici cromatiche della passione di Louis: la pittura.
«Harry non devi affaticarti, quante volte dovrò ripetertelo?» disse avvicinandosi al suo ragazzo che, a discapito della sua condizione, si era caricato tra le braccia un enorme scatolone pesante, tirato via dall’armadio, contenente alcuni cambi invernali.
«Lou, è uno scatolone… Non sto provando a spostare una montagna, rilassati».
Ovviamente non ebbe neppure il tempo di terminare la frase che Louis lo aveva già liberato dello scatolo per poi salutare allegramente Gemma al telefono.
La ragazza prima di riattaccare con un saluto generale a vivavoce parve dire qualcosa a Louis, probabilmente si raccomandò con lui per la salute di Harry perché quello annuì con un mezzo sorriso osservando il ricciolo che, di nuovo afflitto, rovistava nella scatola alla ricerca di qualcosa da poter indossare.

«Cosa ti ha detto Gemma?»
«Mh, niente».
«Certo, li conosco i tuoi “niente”».
Louis sbuffò divertito schiacciando il suo petto alla schiena nuda e bianca di Harry. Lo cinse delicatamente, le mani un po’ incrostate di vernice a carezzare il suo bel pancione –  che poi non era neppure così esageratamente grosso come lui diceva – e il naso affondato nei ricci.
«Hai fatto lo shampoo?» gli domandò con le labbra immerse nella fossetta calda alla base della nuca, amava baciarlo in quel punto tanto morbido e delicato. Sentì Harry trasalire a quei suoi tocchi e un po’ ne fu soddisfatto di essere riuscito a tranquillizzarlo, o almeno così credeva.
«Sì, prima sono andato a correre, cioè a camminare, e quando sono rientrato ero troppo sudato così ho fatto una doccia».
Louis sospirò pesantemente sulla sua schiena, tra le scapole e «Ma Harry, lo sai che devi riposare, sei andato a correre anche ieri…» disse severo.
 «Louis questo tuo lato iperprotettivo mi farà ammalare e morire di ansia, smettila, ok?»
Poi si girò e il tono divertito con cui aveva appena parlato si trasformò in uno di quei suoi sorrisi mozzafiato, un po’ storti con la fossetta nella guancia sinistra più profonda rispetto a quella destra. A Louis sembrò che i suoi polmoni d’un tratto fossero privi di ossigeno.


 
*

 
 
Dopo due ore passate a provare l’intero guardaroba, Harry era riuscito a trovare un jeans chiaro ed elastico che, miracolosamente (“Se neppure questo mi entra, giuro che ci vado in boxer a fare la spesa!”) si abbottonò senza troppi intoppi.

«Dà a me il carrello, che si è fatto troppo pesante».

Stavano passeggiando tra i corridoi di un grande supermercato, di quelli dove puoi trovare di tutto (“Guarda Boo, si vendono pure preservativi e lubrificanti qui!”) e Harry si divertiva a trainare il carrello della spesa come un bambino a cui il genitore gli aveva concesso di poterlo fare.
Il riccio boccheggiò scandalizzato, ma una fitta alla schiena lo costrinse a tacere e ad obbedire al suo ragazzo. Fortuna che non si era accorto di nulla, sennò Louis avrebbe iniziato col suo solito discorso sul dover stare di più a riposo e bla bla bla.
Fecero la spesa serenamente, e poiché non aveva avuto il permesso di portare il carrello, Harry si era preso il diritto di caricarlo delle peggiori schifezze.

Probabilmente era alle prese con uno dei suoi attacchi di fame improvviso quando incurante di tutto scartò un pacchetto di noccioline per poi riversarne metà del contenuto nella sua bocca esageratamente larga.
«Anacardi», biascicò con la bocca impastata, «li amo alla follia, forse più di te Lou».
E Louis aveva soltanto sorriso in quel momento e scosso la testa perché, insomma, la gravidanza aveva reso il suo ragazzo leggermente più stupido del solito.

Una volta fuori da lì, un nuvolone grigio sembrò minacciare tutti gli avventori di quell’ampio parcheggio adiacente con la sua presenza incombente. Di lì a poco avrebbe sicuramente piovuto.
Harry si era avviato fuori con due buste tra le mani perché il carrello era troppo carico e si stufava di aspettare che Louis finisse di pagare il conto. Mentre si apprestava ad avvicinarsi all’auto – una fitta alla schiena lo fece intirizzire per un secondo ma non volle pensarci – sentì la voce preoccupata di Louis urlargli alle spalle. Si voltò per guardare cosa stesse succedendo, aveva già immaginato uno scenario apocalittico alle sue spalle, ma era solo Louis che, rosso in viso forse dalla rabbia, correva verso di lui come un toro.
«Metti immediatamente giù quelle buste! Vuoi farti venire un’ernia da sforzo in queste condizioni?»
Harry spalancò la bocca vedendosi strappare via di mano le buste e «Aspetto un bambino, cretino, non sono disabile!» sbottò a quel punto, furente.
Louis si preparò inconsciamente alla sua ennesima scenata.
«Ho due braccia e due gambe, portare un paio di buste della spesa è ancora nella lunga lista di cose che le mie capacità fisiche possono permettersi».
«Te lo ha detto anche il dottor Grimshaw che dopo i quattro mesi di gravidanza passati a bere e fumare ora devi stare maggiormente a riposo, almeno sino alla fine di questo mese!»

Una bimba intenta a gustarsi il suo bel gelato al pistacchio e cioccolato passò di lì mano nella mano con la madre, guardò Harry col pancione e sussurrò alla donna «Mamma guarda, quel bambino avrà due papà, ma io sono più fortunata perché ho due mamme!»
E se Harry e Louis non fossero stati occupati a discutere probabilmente avrebbero riso entrambi alla piccola, ma il sorriso malizioso, anzi, il ghigno bastardo che apparve sul volto di Harry subito dopo fece in modo che ogni pensiero di Louis si annullasse istantaneamente.

«Quindi devo evitare ogni stress fisico, giusto?» domandò retorico.
Louis deglutì e annuì.
«Sei in una fase delicata, Haz» riferì caricando l’auto con la spesa.
Il ricciolo allora ghignò di nuovo perché, sul serio, Louis era premuroso e lui lo amava più della sua stessa vita (più degli anacardi!) ma doveva darsi una calmata o quel suo atteggiamento lo avrebbe costretto a prendere dei seri provvedimenti, tipo...
«Se credi che io sia così delicato come dici, allora sarà meglio dormire separati da questa sera» comunicò serio, aggiudicandosi subito gli occhi sgranati e terribilmente azzurri di Louis puntati addosso.
Lui annuì e «Sì, hai capito bene. Anche il sesso potrebbe arrecare danni al bambino, quindi…»
«Harry, insomma, io non volevo farti arrabbiare è solo che lo sai quanto tengo a te e a nostro figlio, non voglio pressarti è che anche Gemma mi ha chiesto di tenerti d’occhio perché hai questa mania di strafare…» cercò subito di rimediare perché la prospettiva di un mese di astinenza forzata lo faceva già stare male.

Insomma però, possibile che Harry non riuscisse neppure a tenergli il broncio per finta? Perché l’attimo dopo, mentre Louis cercava di spiegarsi ancora, lui si era fiondato su di lui e con le braccia allacciate strette strette al suo collo lo aveva spinto contro il cofano del loro Suv nero e baciato. E la gente continuava ad affollare quel grande parcheggio del supermercato, alcuni li guardavano con gli occhi traboccanti pregiudizi e disprezzo, altri invece con una sorta di invidia a tagliargli il cuore troppo rigido, altri semplicemente li osservano adoranti perché che si amassero follemente era palese persino ai segnali stradali.  
 





 
 
26 + 2 settimane.
Nel cervelletto del feto inizia a svilupparsi la “corteccia”,
ovvero la parte superficiale; lo sviluppo si completerà un anno e mezzo dopo la nascita.

Il feto pesa in media 640 g ed è lungo circa 29 cm.
 
Un mese. Trenta giorni di cui quindici avevano visto Louis costretto a dormire sul divano nel salotto.
Durante gli altri quindici, invece, aveva potuto riappropriarsi del suo posto nel letto che condivideva con Harry, ma non del diritto di toccarlo.
Le prime due settimane erano trascorse d’Inferno, perché Harry faceva come lui gli diceva (si sforzava di meno, riposava di più), ma aveva deciso di punirlo tacitamente privandolo di ogni tipo di contatto. Gli permetteva solamente di giocare con il pancione perché, cavolo, cosa c’entrava la creatura che portava in grembo?

Negli ultimi giorni, invece, ogni tanto gli concedeva un bacio a fior di labbra, una carezza di sfuggita e gli aveva permesso di ritornare a letto, ma era come se fosse rimasto a dormire sul divano perché Harry si piazzava sul suo lato del materasso e scriveva col portatile poggiato sul pancione. Non lo degnava neppure di uno sguardo, lui e quella sua dannatissima passione per la scrittura!
Non gli aveva mai permesso di sbirciare nei suoi documenti di Word ma Louis, a quanto aveva capito, era piuttosto convinto che Harry fosse una specie di “fanwriter”. Era giunto a questa conclusione osservandolo di nascosto. Passava le giornate sul divano a guardare telefilm e a fantasticare su questa o quella coppia, parlandone persino con Perrie al telefono, e alla fine finiva con l’alienarsi tra le sue parole: prima o poi avrebbe sbirciato di nascosto nel suo portatile.

Ne aveva persino parlato con il suo migliore amico, Zayn. Il moro gli aveva esplicitamente detto – dannato il suo essere sempre così schietto e sincero! – che doveva affrontare la situazione di petto e farsi valere. Gli aveva spiegato che anche lui, quando Perrie era incinta del loro primo figlio, era stato costretto ad una sorta di astinenza diabolica da parte della compagna, una privazione che minacciava quasi di farlo cadere in depressione. Louis lo aveva ascoltato annuendo soltanto, il fumo caldo di una canna che stavano condividendo a riempirgli i polmoni e ad alleggerirgli la testa mentre il moro, con gli occhi arrossati e un sorriso sfacciato, “Lo so che ti piace il cazzo” gli diceva come se potesse dimenticarsene, mentre lui rispondeva ridendo come un idiota e mettendo subito dopo il broncio; perché a Louis mancava Harry, gli mancava sentirlo vicino a letto, sotto le lenzuola.
 


 
*

 
 
«Louis» mormorò Harry con la voce resa ancor più roca dalla gola secca.
Louis non sembrò accorgersi del suo richiamo tant’è che continuò a dormire indisturbato al suo fianco.

Ottobre era ormai agli sgoccioli, l’autunno era nel vivo dei suoi colori, col suo vento fresco di giorno e l’aria già fredda di notte, eppure in quella casa, quella notte, si moriva di caldo manco fosse agosto. 

«Lou», riprovò scuotendolo delicatamente per una spalla, «Lou per cortesia ti svegli».
Si mise seduto nel centro del letto dopo aver scostato con un gesto stizzito le coperte leggere ed essersi levato di dosso praticamente tutto, eccetto i boxer. In quella camera sembravano esserci quarantacinque gradi e lui ormai stava pensando seriamente ad una possibile liquefazione.
«Louis ma che cazzo!» sbottò piccato, sbuffando e facendosi un po’ d’aria con la mano mentre l’altro sembrava, finalmente reagire. A Louis gli ci volle un po’ di tempo per mettere a fuoco cosa stesse succedendo, e pensò di iniziare a pensarci seriamente solo dopo aver acceso la luce della lampada, incastonata direttamente nella testiera del letto.
«Harry cosa succede?» disse infastidito, il sonno che ancora gli offuscava la ragione perché sembrava si fosse addirittura scordato della gravidanza del suo ragazzo.

«Ho caldissimo, sento di potermi sciogliere da un momento all’altro e tu te ne stai lì a dormire».
Louis alzò un sopracciglio e gli bastò vedere la schiena nuda di Harry, illuminata dolcemente dalla luce aranciata della lampada, per ritrovare immediatamente tutta la sua lucidità e tutta la tenerezza che nutriva nei suoi riguardi.
«Posso fare qualcosa?» gli domandò con premura mettendosi a sedere di fianco a lui, una mano a scivolare piano sulla sua schiena madida di sudore, giocando distrattamente con i riccioli appiccicati alla nuca.
«Innanzitutto potresti abbassare quella cazzo di temperatura, eh?» gli fece notare e con gli occhi scintillanti anche nella penombra indicò il condizionatore posto sopra la porta della camera.

Louis borbottò seccato qualcosa di incomprensibile, forse qualche imprecazione perché, cavolo, lui era un tipo freddoloso e gli bastava un po’ di aria più fresca per fargli tirare fuori dall’armadio sciarpe e cappotti; Harry invece era sempre stato quello accaldato, quello che girava per casa nudo perché “ho caldo e mi sento imprigionato dagli indumenti” anche prima della gravidanza e delle notti insonni, come quella.

«D’accordo».

Mentre si alzava per recuperare il telecomandino del condizionatore, imprecando a bassa voce perché non riusciva a trovarlo da nessuna parte, sentì un fruscio di lenzuola alle sue spalle, e le toghe del letto fremere in modo inquietante.
Louis si voltò a controllare e riuscì a stento a deglutire.
«Ho voglia di qualcosa, ma non so che cosa ed è così frustrante» riferì il riccio ora completamente nudo, sdraiato a stella al centro del letto con il pancione svettante all’aria. Aveva le labbra gonfie e screpolate dal vento secco di quei giorni, e con la lingua cercava invano di lenire quelle increspature nella carne rossa che Louis aveva scoperto di amare, così tanto che finiva sempre col morderle piano quando lo baciava, anche se a Harry dava dolore.

«Se hai tanto caldo posso portarti dell’acqua, o che ne so, un’aranciata?»

«Mi sento così frustrato» rispose l’altro eludendo la sua domanda. Louis vide la mano di Harry scendere dal suo collo per sfiorare le rondinelle tatuate sulle clavicole per poi calarsi lungo il ventre accarezzandolo distrattamente come a voler coccolare il piccolo. 

Louis si accorse di avere improvvisamente caldo, alla faccia del tipo freddoloso. Più osservava Harry completamente esposto – gli occhi chiusi, le gambe bellissime e bianche leggermente divaricate così come le braccia distese sulla sua testa – e più sentiva la sua temperatura corporea salire vertiginosamente, sciogliendogli il sangue e facendolo pompare impazzito in tutte le direzioni, specialmente lì sotto. La situazione stava per sfuggirgli di mano quando si ritrovò a massaggiarsi il membro nascosto dal tessuto morbido della tuta perché Harry, a sua volta, stava toccandosi l’intimità forse senza neppure rendersi conto di quanto potesse apparire sensuale ai suoi occhi azzurri.
«Sì, magari portami dell’acqua. Grazie Boo».
Louis deglutì ancora soffiandosi un po’ sul mento e sparì nella cucina al piano di sotto.
“Cogli ogni piccolo segnale, Louis, e approfittane!” si ricordò del consiglio di Zayn mentre versava con un tremore alla mano dell’acqua fresca in un bicchiere.

Quando rientrò in camera la situazione non era variata; Harry era nella stessa medesima posizione solo che ora lo stava fissando con un strana luce negli occhi, le pupille nere appena dilatate come se avesse fumato dell’erba. Louis conosceva bene quell’espressione, soprattutto perché sapeva che il fumo non c’entrasse niente e che Harry da quando aspettava il loro bambino era di una volubilità davvero impressionante.
Louis gli porse un po’ d’acqua fresca in un bicchiere, ma lui lo glissò per impadronirsi direttamente della bottiglia che reggeva nell’altra mano. La attaccò alle labbra rosse e prese a bere con ingordigia, come un disperso nel deserto che trova una oasi dopo giorni e giorni di disperata sete. Louis stette a guardarlo in silenzio, le dita un po’ troppo strette intorno al vetro fresco e umido, domandandosi quanto ancora avrebbe dovuto soffrire in quel modo. Dopo quel piccolo litigio Harry non si era fatto toccare per un mese intero, era come – oltre al volerlo punire per la sua maniacale premura – se temesse di poter fare del male al bambino; poi era bastato parlare con il loro medico per scoprire che il sesso in gravidanza portava svariati benefici al feto. Nonostante questo, però, quella strana astinenza non aveva cessato.
«Continuo ad avere voglia di un qualcosa che non riesco a…» mormorò staccandosi dalla bottiglia, un rivolo di acqua a colargli lungo il collo niveo e sul petto e a far deglutire Louis.
«Vuoi mangiare qualcosa di fresco? Una frutta, un po’ di gelato?»

E non servì proporgli altro perché Harry sembrava aver capito come estinguere quella sua voglia sibillina. Louis lo capì quando si ritrovò – esultando mentalmente e benedicendo Zayn e le sue perle di saggezza – con la schiena contro il materasso, i pantaloni della tuta in un angolo sul letto e le gambe oscenamente aperte per accogliere tra di esse un Harry a gattoni.
«Harreh…» mormorò riconoscendo a stento la sua voce tanto era roca.
La punta umida della lingua dell’altro già percorreva la sua lunghezza.
«…Mh»
Il suono osceno ed erotico delle labbra chiuse sulla punta a succhiare.
«Harry, il tuo pancione…»
«Stai zitto, stiamo comodi in questa posizione» sussurrò riferendosi, ovviamente, anche alla creatura nel suo grembo. E Louis non ebbe proprio il coraggio di ribattere, affatto.

Un attimo dopo Louis si copriva gli occhi con una spanna, alzava di riflesso il bacino verso l’alto mentre sentiva la bocca calda di Harry avvolgerlo completamente, la sua mano stringergli la base rendendo i suoi muscoli una gelatina molle incapace di opporsi – non che lo volesse davvero. Louis non aveva arbitrio in quel momento, poteva solo stare zitto e lasciare che Harry soddisfacesse quella sua voglia che, a dirla con tutta onesta, rendeva tanto felice anche lui.

Levare la mano dagli occhi ed aprirli sulla testa del ricciolo che faceva su e giù ritmicamente dal suo basso ventre non fu una mossa astuta da parte di Louis, che si ritrovò a trattenere un gemito così acuto da sembrare quasi un urlo strozzato. Sentiva lo stomaco sottosopra come se ad ogni affondo di Harry si trovasse in un aereo in piena turbolenza. Era una sensazione tanto appagante che lo riempiva e lo svuotava continuamente, le gambe già tese e le caviglie arcuate spasmodicamente.
«Harry aspetta, aspetta un momento» ansimò oscenamente a corto di fiato obbligandosi a non venire tra le sue labbra. Aveva desiderato così tanto quel momento che stava per venire dopo appena un minuto, come un adolescente sfigato.
«Non ci sono controindicazioni, quindi rilassati e lasciati andare» lo tranquillizzò Harry con quella sua dannatissima voce roca che in ogni momento avrebbe potuto farlo venire senza neppure sfiorarlo con un dito.
Ma Louis non si diede per vinto e con le mani strette tra i capelli di Harry «Ma non avevi voglia di qualcosa di fresco, magari di un gelato…» biascicò lasciando che l’ondata dell’amplesso si abbattesse con veemenza tra le labbra dell’altro. Louis si lasciò andare in una serie di imprecazioni quando Harry, con una leccata tanto ambigua e sfacciata, sottolineò che no, non aveva bisogno di nessun gelato se poteva usufruire di quel ben di Dio.
«Cristo» imprecò di nuovo tra i denti mentre il ricciolo, evidentemente non del tutto soddisfatto, lo ripuliva con la sua lingua lasciandogli piccoli baci umidi sulla pelle ancora un po’ tesa, sull’inguine e nell’interno coscia dove – con un grugnito di Louis – lasciò un morso famelico, quasi rabbioso.
Le doti di Harry durante la gravidanza sembravano essersi affinate, e se la sua bocca aveva sempre avuto il potere di fargli perdere la testa, Louis ora si era convinto di poter perdere definitivamente il senno.
«Io non arriverò vivo alla fine di questi nove mesi».
Il risolino cristallino di Harry, come una cometa improvvisa, illuminò il buio di quella notte con la luce del suo splendore, mentre risalendo piano piano si accoccolava a lui per riaddormentarsi sereno e finalmente soddisfatto.
 






 
 
 
30 + 4 settimane.
Nei feti di sesso maschile i genitali non sono ancora del tutto sviluppati a differenza
di quelli di sesso femminile che sono già ben evidenti.

Il feto pesa in media 1670 g ed è lungo circa 40 cm.
 
«Non lo so, secondo me è un segno» mormorò pensieroso Louis, fermandosi davanti alla vetrina dell’ennesimo negozio del centro commerciale, impegnandosi sul serio a trattenere un mezzo sorriso orgoglioso. Il riccioluto al suo fianco che si trascinava con davvero poca grazia, il volto arrossato dal freddo nascosto in un’ampia sciarpa di uno sgargiante verdazzurro, lasciò che un sopracciglio gli si alzasse pericolosamente esibendo quella sua espressione scettica e d’un tempo irritata che tanto preoccupava Louis, ma che al tempo stesso lo faceva ridere.
«Cioè? Spiegati» lo esortò avvicinandosi ancor più alla vetrina del negozio di giocattoli che avevano da poco iniziato a scrutare senza però soffermarsi ad osservare nulla in particolare. Al di là del vetro vi era un tripudio di azzurro e rosa: cavalli a dondolo graziosi,  peluche dal pancino luminoso, proiettori di stelle e galassie che sicuramente suonavano dolce ninnananne e giochi d’ogni tipo, tutti dedicati alla prima fascia d’età. Gli occhi di entrambi saettavano in ogni angolo al di là della vetrina troppo presi a rimirare ogni balocco esposto e a fantasticare, così, sul sesso del loro bambino.
Sesso che, per loro scelta, sarebbe rimasto un’incognita sino al giorno del parto.

«Insomma, hai dato un’occhiata al negozio alle nostre spalle?» chiese Louis continuando a reprimere il sorriso mordendolo tra i denti.
A quel punto vide il riflesso del suo ragazzo chiudere gli occhi e inspirare profondamente, le grandi mani bianche a premere su un lato dell’addome come per controllare le fitte di dolore che divampano da quel punto.
«Ehi, stai bene? Mi fai preoccupare» si affrettò a chiedere piazzandosi davanti a lui per osservare il suo volto contratto in piccole smorfie di dolore.
Harry annuì stancamente, gli occhi ora aperti in due sottili fessure dalle quali Louis poté sbirciare l’universo meraviglioso che l’amato nascondeva al di là delle iridi verdi come le acque nitri che circondano atolli tropicali.
«Comunque, mi stavi dicendo…» si sforzò di dire Harry, per non farlo preoccupare ulteriormente. Louis sembrava aver capito la lezione e non lo stressava più con il suo lato iperprotettivo, anche se le sue occhiate premurose sottintendevano che non lo avrebbe mai perso di vista.
Louis storse il muso, poco convinto, ma tutto sommato – conoscendo l’irritabilità del riccio dovuta alla gravidanza –  si affrettò a rispondergli.
«Niente, in pratica Zayn mi ha mandato un sms proprio cinque minuti fa dicendomi che Perrie gli ha detto di aver sognato ieri notte che il nostro bambino sarà un maschio».
E lo disse con il tono più felice e orgoglioso che le sue corde vocali potessero mai improvvisare e con così tanto entusiasmo che non poté fare a meno di tremare un po’ quando gli occhi di Harry si aprirono del tutto sul suo viso lasciando intravedere nelle iridi colorate fiamme dardeggianti.
«E quindi?» domandò subito aspramente, forse imprimendo nella voce più acidità del dovuto, «cosa c’entra il negozio alle nostre…»
Si bloccò di colpo come se un lampo divino gli avesse appena donato l’illuminazione giusta.
«Perché ho pura di voltarmi?» chiese quindi, respirando affannosamente, vedendo il mezzo ghigno di Louis annuire lentamente come se temesse di aizzarsi contro la sua ira.
«Oh, Cristo».

Harry esalò prima di voltarsi con una mano sulla fronte come a volerne controllare la temperatura, l’altra premuta su di un lato dell’ampio ventre gonfio e sprizzante di vita, e guardò afflitto la vetrina del negozio adiacente a quello dei giocattoli. Inspirò profondamente come se stesse per avere le prime doglie e non riuscì a dire nulla se non a comprendere ciò che l’altro aveva voluto fargli intendere.
Louis era al suo fianco e nonostante non lo stesse guardando, Harry poteva immaginarli tranquillamente, perché ormai lo conosceva meglio di chiunque altro, i suoi occhi turchini luccicare dinnanzi alla generosa esposizione di articoli sportivi che il negozio offriva allo sguardo degli appassionati di calcio.
C’erano palloni di cuoio con gli stemmi di alcune nazionali, maglie di squadre europee, ma la cosa che lo fece trasalire maggiormente, però, fu l’unico articolo prenatale dell’intera vetrina posto in un angolo con accanto un cartello che recitava:
Campioni si nasce!
 
E «Mi piace un sacco!» trillò Louis con una voce acuta ed eccitata proprio mentre lui cercava di reprimere un inaspettato conato di vomito che avrebbe potuto fargli rigettare l’anima perché no, quel carrozzino era azzurro, con enormi ruote blu, Harry voleva una femminuccia e le uniche cose che avrebbero comprato quel pomeriggio sarebbero state rosa o bianche, al massimo lilla!
«Non mi sento bene» ammise Harry con un broncio da fare invidia ad un bambino di cinque anni a cui era appena cascato il gelato sulle scarpe. Aveva gli angoli della bocca all’ingiù e gli occhi improvvisamente lucidi, acquosi, come se volessero esplodere in fiotti di lacrime.
Louis alzò un sopracciglio e «Dai, sediamoci, così ti riposi» propose mentre con una mano poggiata delicatamente sul suo fondoschiena, appena sopra la cintola dei jeans (non più skinny perché non poteva più permetterseli), lo accompagnava verso una panchina posta al centro del largo corridoio dove su entrambi i lati si affiancavano i vari negozi.

Il fatto era che Louis sapeva bene che Harry non aveva nulla di grave se non un po’ di nausea e che il suo, in realtà, non era altro che il malessere dovuto al conflitto tra i due incentrato sul sesso sconosciuto del loro bambino.
Perciò sbuffò e «Senti, Harry», iniziò sistemandosi nervosamente il cappello di lana sopra i capelli ora più lunghi e lisci, «è stata una tua idea fare del sesso del nostro bambino una sorpresa, permetti che mi prenda il diritto di fantasticare un po’?»
Il riccio seduto al suo fianco fece scivolare la schiena contro lo schienale della panchina, una smorfia in viso che diceva “quanto è scomodo qui sopra”, e annuì debolmente rivolgendo di nuovo lo sguardo malinconico alla vetrina dei giocattoli.
«Lo so, però io voglio una femminuccia» piagnucolò come se stesse parlando di un cucciolo di cane da adottare e non del bambino che portava in grembo, gli occhi puntati su di un unicorno bianco dalla criniera di un bel fucsia appariscente, così come la coda lunga e morbida.
Louis a quel punto si scoprì realmente intenerito dal suo uomo e restò a fissarlo come se fosse in estasi, annullando la percezione visiva del mondo che gli scorreva frenetico intorno. Ora che ci pensava, Harry, che per lui era sempre stato di una bellezza disarmante – anche quando aveva solo cinque anni e i capelli troppo ricci e lunghi – con il pancione e il rossore a colorirgli tenuemente le guance e a farlo sembrare un piccolo putto raffaellesco, era ancora più incantevole di quanto avesse osato pensare sino ad allora.  
«Harry, maschio o femmina che sia nostro figlio sarà un piccolo splendore» provò a rincuorarlo sebbene in cuor suo desiderasse un maschietto con il quale condividere la sua passione per il calcio.
«E poi ce l’hanno detto tutti che ci conviene fare dello shopping vario, non abbiamo nessuna certezza sul sesso, quindi meglio comprare cose neutre».

E proprio mentre i suoi occhi si posavano sulla vetrina sportiva, Harry al suo fianco si intirizzì improvvisamente strizzando gli occhi e trattenendo il respiro, una mano avvinghiata al polso di Louis così forte che quasi glielo staccava.
«Oddio, oddio, oddio», cantilenò con un tono esageratamente teatrale e catastrofista, «oddio fa malissimo, sto per morire».
«Anche il mio polso» rispose piccato Louis liberandosi gentilmente dalla sua morsa e volgendosi verso Harry.
«Inspira ed espira, te lo ha detto anche il dottore che così le fitte passano, e stai tranquillo».
«No, Louis Tomlinson, tu non puoi capire!» urlò quasi, facendo voltare alcuni passanti verso di loro.
Louis si sentì per la prima volta in vita sua in imbarazzo.
«Harry ti prego, stai calmo che ci fissano tutti. Lo sai bene che non è niente, non fare inutili moine e sii uomo» soffiò perché, dai, chi meglio di lui poteva riconoscere i suoi capricci? Perché quello non era altro che isterismo dovuto ai suoi continui sbalzi d’umore. Ne avevano parlato con il dottor Grimshaw proprio una settimana prima, e quello era stato chiaro. “Dal settimo mese potrebbero esserci dei crampi e il bambino inizia a starci stretto nel suo grembo, quindi non si spaventi se dovesse mostrarsi iperattivo!” aveva spiegato con un sorriso gentile.
Harry però, tuttavia, in quell’istante si voltò a fissarlo allibito con le mani a tenersi l’enorme pancione come se potesse cascargli in terra da un momento all’altro e «Be’, facile parlare quando non ci si sente come un uovo pronto ad esplodere!» ribatté.

Louis alzò gli occhi al cielo e si trattenne dallo sbuffare e «Dai, manca poco oramai e poi potremmo cullarlo insieme» cercò di sussurrare al suo orecchio per distrarlo dai dolori.
Effettivamente Louis non se l’era mai sentita di sminuire i sintomi di Harry perché, anche se non era lui a portare il loro bambino in grembo, riusciva a immaginare come potesse sentirsi il suo ragazzo di giorno in giorno, con la data del parto a farsi sempre più vicina.
Quindi cercò di assecondare i capricci di Harry con un sorriso premuroso, ma quando si ritrovò con la mano a mezz’aria pronta ad accarezzargli i ricci scomposti dovette ricredersi perché…
«Dannazione, tuo figlio non la smette di calciare!» urlò d’improvviso e stavolta il suo viso era davvero paonazzo, e la sua espressione bazzicava tra il terrore e la sorpresa, tra la gioia e l’ansia.
«Ah, adesso è solo mio figlio?» fece Louis cercando di apparire offeso, ma fallendo miseramente quando Harry, con un sorriso sulle labbra rosse come stelle di Natale, gli ebbe afferrato le mani per posizionarsele sull’addome al di sotto del cappotto appena sbottonato.

E tutto ciò che Louis sentì furono i piedini del loro bambino spingere contro il ventre di Harry e contro i palmi delle sue mani.
E tutto ciò che vide furono i suoi occhi commossi riflessi in quelli altrettanto luminosi e sorpresi di Harry, due paia di labbra piegate all’insù in due sorrisi.
E tutto ciò che riuscì a dire fu: «Se continui con questo isterismo, Harry Styles, giuro che ti abbandono prima del parto» ovviamente sigillando il tutto con un bacio a fior di labbra.
 







 
 
35 + 0 settimane.
Il feto (ora più rotondeggiante) riesce a riconoscere distintamente molti suoni,
specialmente quell’interni al grembo, per cui dall’ottavo mese di gravidanza in poi
è bene abituarlo ad ascoltare musica ogni giorno.

Il feto pesa in media 2400 g ed è lungo circa 45 cm.
 
 
Nonostante il pancione divenuto ormai ingombrante e pesante, il dolore alla schiena sempre più persistente, Harry proprio non riusciva a starsene con le mani in mano come se fosse un principino da viziare. Certo, in quei mesi di capricci ne aveva fatti a bizzeffe, a discapito della povera pazienza di Louis, ma quando si trattava di spostarsi per andare in contro ai loro cari per festeggiare insieme qualche ricorrenza, lui non se la sentiva di mancare.
Per questo, poiché Anne e Rob quell’anno non avrebbero potuto spostarsi, Harry decise di programmare un weekend fuori casa per festeggiare il Natale con i suoi. Louis ovviamente aveva subito mostrato entusiasmo – a volte sembrava tenere a Anne più di quanto tenesse a sua madre – e in cinque ore di viaggio in auto erano arrivati dritto a destinazione.
Gli era mancata la casa dove era cresciuto, dall’esterno sembrava essere sempre la stessa come se gli anni non l’avessero mai sfiorata. La vernice di un tenue giallo paglierino era intatta e non vi era neppure un punto delle mura dove sembrava essersi stinta. L’unica novità che balzò ai suoi occhi fu un piccolo alberello di mandarini che probabilmente doveva essere stato voluto da suo padre che era praticamente ossessionato da quel frutto.

A quanto sembrava doveva essere proprio la loro stagione perché tanti piccoli mandarini si affacciavano dai rami, alcuni verdi, altri di un bell’arancio maturo, invitando chiunque a raccoglierli con il loro colore vivace.
Bastò un’occhiata a Louis per fargli comprendere di cosa avesse voglia in quel momento, per questo non fu un caso se quando Anne arrivò ad aprire loro la porta di casa lo trovò intento a sbucciare già il suo terzo mandarino.

«Tesoro mio, ma sei enorme!» trillò entusiasta la donna, i lunghi capelli mossi e castani scuro come quelli del figlio e piccole rughe di gioia agli angoli degli occhi.  
Lo strinse subito a sé mentre quello sarcastico, ma terribilmente felice di essere tra le braccia di sua madre, commentava: «Grazie mà, è sempre bello quando qualcuno me lo ricorda, sai, potrei dimenticarmene».
Risero tutti e tre – Louis con gli occhi più brillanti del solito – ed entrarono in casa.
Gemma non ci sarebbe stata quel giorno perché era a festeggiare il Natale con il suo compagno, un certo Ashton, ma Anne gli aveva detto che lo avrebbe video-chiamato in serata per salutarlo (Harry avrebbe scoperto che la fissa di sua sorella di tingersi integralmente i capelli tre volte al mese non gli era ancora passata).



 
*

 
 
Non appena ebbero sistemato le loro cose nella vecchia camera di Harry – Rob aveva accostato al suo lettino anche quello di Gemma così da ricreare un letto a due piazze – quest’ultimo si afflosciò sul letto, con i muscoli tesi.
«Avverto un po’ di tensione muscolare, sai?»
Louis lo raggiunse poco dopo e gli si stese accanto, entrambi a fissare il soffitto sopra di loro.
«Resta un po’ disteso e vedrai che ti passa, sarà stato per il viaggio in auto».
Harry annuì e si voltò verso di lui, in posizione fetale. Louis si sarebbe mai abituato a tutta quella sua bellezza? Probabilmente no.
«La nostra prima volta», iniziò Harry, «te la ricordi?»
Louis si mise su di un lato portandosi più vicino a lui e con una mano tra i suoi ricci scuri «Come potrei dimenticarla, idiota?» sussurrò sulle sue labbra con un sorriso talmente dolce da cozzare con quel filo di barba che gli conferiva quell’aspetto un po’ rude che a Harry piaceva un sacco.
«E’ successo qui, tra queste piccole mura, e tu tremavi come una foglia».

C’era stato un periodo durante la loro adolescenza in cui si erano persi di vista, sebbene continuassero ad essere vicini di casa. Ognuno aveva preso la propria strada, fatto le proprie esperienze senza dare conto all’altro.
Louis aveva avuto modo di sperimentare il piacere in una maniera totalizzante, spingendosi oltre al sapore dei baci e ai tocchi fugaci di mani frettolose. Harry, invece, la sua esperienza la doveva interamente a Louis. Di baci ne aveva dati e ricevuti, certo, ma solo le mani di Louis lo avevano toccato davvero, solo la sua bocca lo aveva baciato a fondo; solo a Louis aveva permesso di farsi spazio nella sua timida e profonda intimità.

Poi erano cresciuti insieme da allora, e insieme aveva imparato a conoscere i loro corpi, a testare i loro limiti e a scoprire cose nuove.
Ad esempio insieme, all’inizio dell’ottavo mese, avevano scoperto che l’orgasmo produceva delle contrazioni nella sacca dove vi era il feto e che queste – facendo vibrare il liquido amniotico – davano al bambino l’impressione di essere in un idromassaggio così che il piacere intenso si trasformasse in endorfine in grado di arrivare dritto al feto.
E da quel momento Harry era sembrato incontentabile – più del solito – e  il suo appetito sessuale era aumentato esponenzialmente. Le voglie della gravidanza, che generalmente si basavano sul desiderare improvvisamente frutti impossibili da trovare perché fuori stagione, per Harry consistevano nel voler trovare un sollievo alla tensione muscolare in qualsiasi ora del giorno e in qualsiasi posto.

Proprio come stava succedendo in quel momento, con Anne che avrebbe potuto chiamarli di lì a poco perché il pranzo era ormai quasi pronto e intavolato.

«Louis aspetta, lascia fare a me» gemette con le ginocchia puntellate nel materasso e le mani a stringere le ginocchia di Louis disteso sotto di lui. Quest’ultimo annuì frettolosamente anche se Harry, che gli dava le spalle in quella posizione comoda per lui, non poteva vederlo. Portò le mani a stringergli i fianchi morbidi in modo da accompagnare i suoi movimenti e lo lasciò fare.
Harry sospirò e «Ecco, così, piano» ansimò con un filo di voce roca calandosi centimetro dopo centimetro sull’eccitazione di Louis che lo liberò della sua presa per potersi sorreggere puntellando i gomiti nel materasso.

La schiena bianca e ampia di Harry che lo sovrastava, la sua chioma leonina che sembrava dominare nell’etere, gli mandavano in corto circuito le facoltà intellettive. Era totalmente incapace di pensare razionalmente.
Louis non disse nulla, lasciò che fosse Harry a scandire il tempo con quel va e vieni ritmico del suo bacino a strusciarsi lentamente sopra di lui. Quando poi vide la mano del riccio scattare verso il basso per potersi toccare trattenendo improvvisamente il respiro, Louis sentì immediatamente i muscoli delle sue gambe tendersi, il consueto formicolio alle viscere crescere ed espandersi sino allo stomaco prima di giungere a tutte le terminazioni nervose. Fu allora che pensò alla fondamentale differenza che vi era tra il fare sesso e il fare l’amore.
Il vero piacere, quello che faceva capitolare una persona col cuore a battere impazzito e le lacrime di gioia a premere contro i suoi occhi, arrivava solo quando si sentiva la persona amata raggiungere per prima la sua vetta.

Era stato proprio vedere Harry intirizzirsi e lasciare andare il capo in avanti, stringere le lenzuola in un pugno con la mano libera e sentire il suo gemito forte e lungo ciò che gli era bastato per riversarsi dentro di lui, crollando a sua volta con la schiena contro il materasso.  
Il sesso svuotava solamente, l’amore invece, alla fine, donava sempre qualcosa di nuovo e inaspettato.
Come l’ombra di un piedino schiacciato contro la pelle tesa di quel pancione che tanto amava.
 


 
*


 
Rob arrivò poco dopo, era passato a prendere dal fruttivendolo di fiducia – a cui li aveva richiesti – dei frutti fuori stagione (papaya, kiwi, mango e fragole) da far mangiare a Harry. Durante quel pranzo parlarono di ogni cosa, Anne lo inabissò di domande sulle visite che aveva fatto, su quelle che avrebbe dovuto fare di lì a poco visto il penultimo mese di gravidanza, e risero tantissimo per via delle battute a doppio senso che potevano comprendere un po’ tutti, specialmente lui e Louis.
Come quando, addentando un pezzo di mango, Rob gli aveva chiesto se anche lui, come sua madre, avesse avuto voglie assurde nel cuore della notte e Louis fosse stato costretto ad uscire per andare a comprare l’impossibile.
“No, devo ammettere che Harry in questo è stato alquanto anticonvenzionale” aveva risposto Louis lanciandogli un’occhiatina carica di sottintesi. E Harry era scoppiato subito a ridere a bocca aperta e con gli occhi strizzati, rischiando quasi di strozzarsi, mentre i genitori scostavano lo sguardo sorridendo maliziosi e d’un tempo leggermente in imbarazzo.
Alla fine si ritrovarono in salotto a ricordare i vecchi tempi, sorridendo. 

«Quindi non avete voluto sapere il sesso» domandò Anne entrando nella sala con un vassoio di biscotti appena sfornati, mentre Harry se ne stava disteso sul divano con la t-shirt sollevata sino al petto per rimirarsi il pancione. Avevano appena finito di pranzare e il sole del tardo pomeriggio iniziava a calare piano oltre le finestre adornate da tende colorate.
«No mamma, te l’ho spiegato una trentina di volte in questi mesi, io e Louis abbiamo optato per l’effetto sorpresa».
Anne annuì amorevole passandogli accanto per scompigliargli la marea di ricci scomposti e poi si rivolse a Louis.
«Se tua madre non si fosse trasferita a Manchester qualche tempo fa ora saremmo qui tutti insieme» disse la donna con un sorriso. Le mancava la sua cara amica, da quando Johannah si era trasferita e i suoi figli ormai avevano lasciato il loro nido, le sue giornate erano diventate un pochino più spente.
La serenità di Louis, ad ogni modo, parve adombrarsi per qualche secondo e «Già, mi sarebbe piaciuto. A Capodanno però verrà a trovarci con le ragazze!» disse sorridendo subito a Harry. Si sedette accanto a lui con un iPod tra le mani e «Musica» gli sussurrò piano con le labbra a sfiorare delicatamente il pancione.
«Ne sono felice! Magari dopo le feste possiamo organizzare qualcosa e incontrarci tutti qui».
I ragazzi annuirono entusiasti ed Anne, che si era alzata e aveva sorriso materna, con il cuore ad esploderle nel petto per l’affetto che nutriva per i due ragazzi, decidendo di raggiungere il marito in cucina così da lasciarli un po’ soli.

«Ora che ci penso non lo abbiamo mai fatto, o meglio, solo una volta ma al terzo mese…» constatò Louis lasciandogli piccoli baci umidi intorno all’ombelico gonfio che sembrava quasi voler esplodere.
«Eh già, era troppo presto! Perrie mi ha detto che solo dall’ottavo mese in poi il bambino riesce a distingue nitidamente i suoni. Sono curioso di vedere se riesce a percepire la musica» disse Harry infilandosi una cuffietta in un orecchio per scegliere una canzone a caso, ma accorgendosi subito di qualcosa di strano nel suo iPod.
«Lou dove è finita la mia playlist indie rock?»
«Haz, ho fatto un macello e per sbaglio l’ho eliminata…»
«Ma sei un deficiente!» lo rimbeccò quello già esasperato, facendo per alzarsi e andarsene. Quella di Harry, però, fu una mossa azzardata perché la creatura che portava in grembo, forse spaventata dal movimento brusco, iniziò a calciare e a muoversi come non aveva mai fatto prima.
«Oh merda». Imprecare a volte aiutava a calmare il dolore, così dicevano. «Cazzo, cazzo, che male» appunto.
Louis lo afferrò per i polsi e con cautela lo riaccompagnò a stendersi e «Calmati» gli intimò con un angolo della bocca all’insù e lo sguardo severo. Era stato uno stupido Harry a reagire in quel modo, ormai era come se avesse strappato il loro bimbo dalla tranquillità in cui si era cullato sino a quel momento.
«Ti fidi di me?» fece Louis retorico, come al solito.
Harry sbuffò e piegò di lato il volto corrucciato dal dolore, per non guardarlo.
«In quindici anni ho imparato a non farlo».
«E dai!» rise il ragazzo con gli occhi azzurri strofinando la punta del naso sul suo ventre che si alzava e si abbassava di continuo, per via dei calcetti del piccolo.

Harry si lasciò coccolare in quel modo per un po’, inspirò ed espirò profondamente e quasi gemette di piacere quando Louis con le unghie corte gli fece un po’ di grattini sulla pelle ai lati delle costole per calmare le fitte e «Ok, stupiscimi» mormorò, finalmente più tranquillo.
Gli porse l’iPod e Louis ci smanettò un po’ prima di prendere entrambe le cuffiette e poggiarle con delicatezza sul ventre di Harry; la prima la posizionò su di un lato – Harry affermava di sentire i piedi del loro bimbo puntellati in quel punto – e l’altra in alto, appena sotto lo sterno.
Harry lo osservava in silenzio e lo lasciava fare; in fondo, pensava ogni volta che Louis si perdeva in quei gesti premurosi, doveva ritenersi davvero fortunato ad avere un uomo come lui al suo fianco.
Clair de Lune di Debussy iniziò a risuonare nelle piccole cuffie adagiate sull’addome di Harry. Le note erano dolci ed estremamente lente, sembravano braccia pronte a cullare chiunque si fosse fermato ad ascoltarle. Harry subito riconobbe la melodia anche se non riusciva a ricordarne il nome e il compositore, e dopo appena un minuto di piano che risuonava in maniera sublime, la creatura nel suo grembo parve rasserenarsi. Smise di sgambettare furente e a Harry – nonostante fosse del tutto impossibile – parve addirittura di poterne sentire il respiro tranquillo e di percepire il suo piccolo corpo accoccolarsi in posizione fetale.
«Va meglio?» sussurrò leggero Louis poggiando la testa sul ventre del ricciolo e chiudendo a sua volta gli occhi.
«Va meglio, sì».

Erano oggettivamente belli da guardare, quei due. Harry supino con le gambe distese sulle ginocchia di Louis che a sua volta se ne stava piegato di lato con una guancia poggiata al suo pancione. Harry gli carezzava i capelli, li spettinava e li annodava solo per il gusto di districarli passandovi le dita lunghe e bianche; Louis quasi miagolava per quelle attenzioni.  
«Alcuni esperti affermano che nel novanta percento dei casi…»
«Quando parli così sembri uscito da uno di quegli spot sul dentifricio».  
«Mi lasci finire?» ridacchiò piano Louis dandogli un pizzichino su un braccio. Il riccio rispose dandogli un buffetto sulla nuca e Louis riprese a parlare.
«Dicono che la prima melodia che riesce a tranquillizzare il bambino quando è ancora in grembo, diventerà la sua ninnananna preferita quando sarà finalmente nato».
Harry allora mugugnò qualcosa col capo di lato, stava riflettendo. Pensava ad un modo carino, in caso fosse stato proprio come aveva detto Louis, di riproporre quella melodia al loro bambino; usare aggeggi tecnologici che avrebbero storpiato la bellezza di quel suono gli sembrava davvero poco opportuno.
«A cosa pensi?» domandò l’altro strofinando la guancia sulla sua pelle tirata.
Harry si illuminò d’improvviso perché un vecchio ricordo, magari dovuto al fatto di trovarsi nella sua città natale dopo tanto, gli carezzò il cuore fornendogli la giusta risposta. 
«Un carillon».
Louis alzò la testa per guardarlo «Eh?».
«Magari potremmo prendere un carillon, di quelli antichi, e farci caricare all’interno questa melodia, che ne dici?» propose con un sorriso entusiasta.
«Mh, mi piace davvero tanto questa idea!»
     
 
 
 



 
40 + 0 settimane.
Il feto ha raggiunto il suo pieno sviluppo ed è pronto alla nascita.
Pesa in media 3300 g ed è lungo circa 50 cm.
 
 
Che Louis non fosse un tipo abitudinario, Harry non aveva impiegato molto tempo a capirlo.
Si conoscevano da una vita, letteralmente, poiché si erano incontrati per la prima volta al parco della loro città quando avevano rispettivamente cinque e sette anni, e il destino aveva fatto in modo che si vedessero ogni giorno.
Complice il fatto che fossero vicini di casa, che frequentassero la stessa scuola e che le loro madri avessero la stessa passione nell’organizzare grigliate in giardino ogni fine settimana. Fatto stava che pur essendo cresciuti praticamente insieme, il loro amore – nato da un’amicizia, nel più scontato dei modi – non aveva mai preso quel risvolto fraterno e abitudinario che avrebbe dovuto portarli a separarsi. Questo perché, come detto sopra, Louis era un tipo davvero poco abitudinario che non smetteva neppure un giorno di stupire il suo ragazzo.

«Poi prima o poi mi dirai perché per quasi un anno, da quando aspetto nostro figlio, mi hai vietato di entrare nella tua camera oscura».
Harry era dietro al bancone della cucina a smanettare con un impasto per cupcake, formelle e stampi sparsi sul piano e un grembiule bianco a cingergli l’addome – tanto grosso oramai che il fiocco sulla sua schiena si era ridotto ad un nodino per poterlo tenere chiuso.
«Domani lo scoprirai!» urlò di rimando Louis da un punto indefinito della loro casa, la voce smorzata da un qualcosa che probabilmente stava reggendo con la bocca. «Devo solo fare un’ultima cosa e montare della roba e poi potrai mettere piede lì dentro tutte le volte che vorrai!»
Louis era un fotografo. Era un fotografo? No, Louis era un tuttologo.
Si interessava a qualsiasi tipo di cosa, detestava starsene con le mani in mano e aveva due lavori che gli permettevano un certo tenore di vita.
Dipingeva concetti astratti che capiva solo lui – a detta di Harry – servendosi dei volti dei personaggi noti (cantanti, attori, sportivi…) il ché gli consentiva di avere una cerchia di acquirenti sempre interessati alle sue tele e disposti anche a pagarlo profusamente. Ed era un fotografo, non affermato, certo, ma nella piccola Castle Rock tutti lo conoscevano e tutti si rivolgevano a lui per i loro matrimoni, battesimi, compleanni, per ogni tipo di ricorrenza di un certo spessore. Nella loro casa aveva uno studio tutto suo dove dipingere e imbrattare le mura senza l’ansia di essere rimbeccato continuamente da Harry, e una camera oscura perché “non mi basta quella al negozio!” per sviluppare i suoi amati rullini.

Entrò in cucina con un enorme sorriso a scoprire la chiostra di denti bianchi e scintillanti che Harry adorava follemente – a volte considerava quella strana adorazione come un vero e proprio fetish specialmente quando Louis, con quei denti, si divertiva a lasciare segni sulla sua pelle candida – e subito si portò vicino a lui.
«Questo non ti serve» constatò sciogliendo il nodino del grembiule e sfilandoglielo.
«Ma sto preparando i cup…» le labbra di Louis lo zittirono prontamente, così come le mani che erano corse ad infilarsi tra i suoi riccioli ora leggermente lisci, tirati all’indietro da una specie di bandana (Louis adorava quella sua mania di tenere a bada i ricci con quel tipo di stracci). Harry dal canto suo amava essere zittito in quel modo e per questo non protestò, anzi, nonostante il pancione a mettere un po’ di distanza tra di loro – come se il piccolo fosse già voglioso di attenzioni e geloso – trovò il modo di approfondire il bacio mettendosi seduto su uno sgabello in modo che Louis riuscisse a cingerlo per bene.
Mugugnò qualcosa di incomprensibile quando le mani un po’ fredde di Louis si fecero strada sotto al tessuto sottile della sua maglia e «Sta’ un po’ zitto e lasciami fare» lo ammonì quello. «Non ti serve neppure questa» aggiunse sfilandogli la t-shirt bianca – larga di tre taglie – e poggiandola distrattamente sul bancone dietro di loro.
Harry, con le mani grandi e sporche di impasto, strinse le natiche di Louis beandosi di quel benedetto fisico da calciatore che si ritrovava perché sì,
Louis tra le tante cose, giocava pure a calcetto. E la situazione al suo bassissimo ventre sembrò surriscaldarsi quando Louis sospirò nella sua bocca, mentre lui lasciava che la lingua si intrufolasse per poter incontrare l’altra. Ma ci fu appena un contatto umido e guizzante, un morso su un labbro e un risucchio scomposto e Louis era già un po’ lontano da lui.
Gli porse la mano mentre Harry aveva ancora gli occhi socchiusi e le pupille troppo dilatate, da fare impressione, poiché i suoi occhi sembravano neri e non verdi, e la afferrò titubante senza riuscire a capire il perché di quell’interruzione.

«Prima il dovere e poi il piacere» gongolò Louis.  
«Si ma si può sapere cosa divolo-ah…» disse prima di comprendere.
Harry si ritrovò a seguirlo, le mani intrecciate e i polsi a combaciare in modo che il nodo tatuato su quello di Louis potesse legarsi e afferrare l’ancora sul polso di Harry. Il riccio comprese definitivamente le intenzioni del suo compagno di vita quando poté scorgere sulla parete del salotto il fondale bianco per il chroma kay fotografico che Louis aveva usato in tutti quei mesi, e che si portava appresso quando capitava ad entrambi di essere fuori casa.
«Domani andrai in clinica e ti prometto che questa è l’ultima» proferì Louis con le mani a carezzare il pancione enorme di Harry, gli occhi immersi in quelli del ragazzo più alto che ora lo osservava con un’espressione illeggibile.  
«Lo sai, vero, che mi sento uno stupido ogni volta che mi chiedi di posare in questo modo?» domandò prima di aggiungere con un sorriso divertito «e me lo hai chiesto ogni giorno per sei mesi».
Louis alzò le spalle e sbuffò una risata mentre gli dava le spalle e si avvicinava al tavolino al centro della stanza per recuperare la sua fotocamera analogica. Si infilò la tracolla e gli fece cenno col capo di posizionarsi al solito posto, davanti al pannello.
«Come ti ho detto, Haz…» si portò la fotocamera davanti al viso, l’indice destro sul pulsante di scatto e pollice e indice sinistri a giocare con l’obiettivo «questa è l’ultima volta quindi fammi il piacere di stare zitto e collabora».
Harry sbuffò un «Bullo» canzonatorio accogliendo un occhiolino provocatore di Louis e fece quello che aveva fatto per sei mesi da quando aveva scoperto di aspettare un bambino. Per sei mesi, tutti i sacrosanti giorni.

Primo scatto: frontale.
Secondo scatto: lato sinistro.
Terzo scatto: lato destro.

«Mi sento come un criminale davanti all’obbiettivo dell’FBI».
«Mh, mi hai appena offerto una fantasia erotica, grazie».
«Fanculo».

Un attimo dopo la fotocamera era di nuovo sul tavolino, i cupcake bruciavano nel forno, e loro due erano troppo occupato a baciarsi, toccarsi e ad amarsi sul divano per preoccuparsi di tutto il resto.



 
*


Fu solo dopo il parto, quando Harry ritornò a casa dalla clinica, che scoprì il risultato di tutti quegli scatti perché a quanto sembrava Louis aveva preparato tutto alla perfezione.
E non furono i festoni colorati di benvenuto, gli abbracci e le congratulazioni degli amici e dei familiari – che si erano spostati per chilometri solo per arrivare da loro – e i tanti regali ricevuti a far emozionare Harry.
La vera emozione, quella che germogliava nel profondo dell’anima e cresceva dentro come una rampicante ad una velocità sorprendente, fu generata da ciò che Harry vide nella loro camera da letto a sera tarda, quando tutti i conoscenti se ne furono andati.

«Tu sei un matto fottuto, lo sai?»  domandò con quell’ironica retorica che faceva morire dal ridere Louis, la voce ridotta ad un sussurro roco quando ebbe visto qualcosa appeso al muro e coperto da un telo bianco.
«Nah. Ora avvicinati, strappa via il telo e dimmi che te ne pare, va bene?»
La creatura data alla luce tre giorni prima dormiva beata in una splendida culletta di vimini posta di fianco al loro letto. Harry passò accanto a quel fagottino e dopo avergli lanciato un’occhiata istintiva e carezzato distrattamente la copertina che lo copriva, si apprestò a raggiungere la parete subito dietro al letto, annuì a Louis con un sorriso adrenalinico e tirò via il telo.

Ciò che si rivelò ai suoi occhi gli fece piegare lentamente il capo di lato e puntellare le mani sui fianchi, ancora un po’ larghi, e alzare gli occhi per rimirare quell’opera da vicino, proprio come se fosse un critico in una galleria d’arte.
Circoscritte da una cornice rettangolare nera dal design minimal e semplice, circa cinquecentocinquanta foto delle dimensioni di una polaroid si affiancavano creando uno splendido effetto di luci e ombre prospettiche. Il suo ventre sembrava ripetersi all’infinito in un’interminabile successione di frontali e laterali; da quando era piatto e nessuno, osservandolo, avrebbe potuto pensare che al suo interno si nascondesse già una vita, agli ultimi giorni quando ormai era pronto ad aprirsi per far spiccare il volo al tenero uccellino ora dormiente.
La genesi della genesi, un concetto ad effetto matrioska che strappò l’aria dalla gola di Harry che si ritrovò, per la prima volta in vita sua, a non sapere che cosa dire.

«Io…», provò sentendo una lacrima scappare dall’angolo destro dell’occhio, «…Io non so che cosa dire».
Ed era terribilmente vero.
«Che ti piace o ti fa schifo potrebbe già essere un passo avanti, no?» fece quello dietro di lui strappandogli un risolino gutturale, arrochito da un pianto di commozione che gli premeva dal fondo della gola.
E Harry voltandosi e trovandosi Louis a pochi centimetri dal suo viso neppure ci provò a trattenere quelle lacrime, decise semplicemente di lasciarle andare, piccole, silenziose e luccicanti nella calda penombra della loro camera.
Il modo in cui Harry lo baciò subito dopo, il modo in cui quella notte lo strinse a sé, lo toccò e lo amò facendogli fotografare con il cuore ogni particolare, ogni piccolo attimo vissuto, a Louis bastò per capire che sì, la sua sorpresa a Harry era piaciuta davvero un sacco.
 
 





Nel frattempo…
 
 
Il parco giochi di North Landwick non è più quello di quando Harry e Louis erano solo dei bambini. Gli anni lo hanno cambiato proprio come succede alle persone; le sue profonde rughe sono le altalene troppo cigolanti e i suoi acciacchi sono gli adolescenti che hanno preso sotto assedio ogni angolo di quello che un tempo era il parco più bello della città e dintorni.

Questo pomeriggio, però, con la primavera nell’aria a far frizzare di allegria ogni cosa, il parco è meraviglioso perché a riempirlo con la sua presenza c’è una bimba davvero speciale. Una cascata morbida e setosa di boccoli castani le ricade sulle spalle incorniciandole il visetto pallido e tondo come la Luna, e la pelle candida di quello stesso viso mette in risalto due labbra rosse rosse così perfette che l’idea che le abbia dipinte la mano stessa di Caravaggio non sembra poi così remota.
Quando il suo amichetto David – conosciuto da poco, durante i giorni di vacanza a casa dei nonni – la chiama dall’alto della casetta di legno, lei sgrana gli occhi grandi e azzurri come il cielo di maggio, arrossisce e gli sorride.

Poi, un minuto dopo, sono entrambi a rincorrersi in un campetto, un pallone da calcio tra i piedi, a creare azioni e difese in una maniera tanto scaltra da fare invidia persino ai ragazzini più grandi e competenti.
La piccola scivola a terra e i jeans si sporcano di terriccio all’altezza delle ginocchia, ma lei non piange, né si dispera, si rialza semplicemente e riprende con un grande sorriso a rincorrere il pallone. Ora sulle sue guance rosa come pesche sono apparse macchie di terra a sporcare la sua perfezione e a conferirle l’aspetto di una principessina a cui le regole costrittive di corte stanno sempre un po’ strette.
Suo padre è seduto poco lontano, su una delle poche panche superstiti del parco, con un taccuino in una mano e una penna nera – “Le penne blu sono per le persone indecise!” – nell’altra. Scrive cose che vede solo nella sua testa e ogni tanto lancia un’occhiata alla piccola che continua a sgambettare con il suo amichetto.

Alla fine pare proprio che sia stato lui a vincere quella sfida contro il fato, per così dire, perché il sesso della creatura che ha portato in grembo per nove mesi, tra dolori, crisi e gioie, si è rivelato essere quello che lui desiderava. Una femminuccia tanto anticonvenzionale, però, che dai primi anni di vita ha subito fatto comprendere a tutti quali fossero le sue intenzioni.
Non a caso il rosa le fa schifo, le bambole le usa come cavie da laboratorio per testare sui loro capelli platino le tempere che ruba dallo studio dell’altro suo papà, e i trucchi le piacciono solo quando è a casa della zia Perrie e questa le lascia usare persino le sue scarpe col tacco. Per il resto le piacciono tanto gli unicorni, specialmente quelli bianchi con la criniera e la coda fucsia (“Il rosa è triste, il fucsia è più fico!”) e ai servizi da tè preferisce le costruzioni della Lego perché “Mi piace creare qualcosa da zero!”. 
Insomma, non è la femminuccia che si aspettava ma al diavolo quello che si aspettava, tutta la sua vita ora ruota intorno a quell’esserino che ora osserva con un sorriso inconsapevole a illuminargli il volto.

Poi però lancia un’occhiata all’orologio sul polso e si raddrizza schiarendosi la voce.
«Camilla!» la richiama perché, accidenti! Tra poco passerà il suo compagno a prenderli.
La bimba non ci mette molto a sentire il richiamo del padre, si volta e rapidamente lo raggiunge, di corsa. E’ una bimba ubbidiente.
«Papy!» mormora con appena l’ombra di un broncio sulle labbra. «Secondo te Papy Lou ha aggiustato la mia ninnananna?»
Harry la osserva per un po’, il cuore a battere appena più veloce perché sua figlia ha gli occhi identici all’uomo che ama, e dopo aver messo da parte il taccuino su cui non smette mai di appuntare idee – alla fine ha deciso di scrivere un romanzo – le dedica la sua completa attenzione.
«Stamattina papà Lou doveva sbrigare un po’ di faccende con i nonni, ma penso che oggi pomeriggio sia riuscito a sistemarla».
La piccola non dice nulla, fa solo quel faccino come quando vuole convincere uno dei due a comprarle quel giocattolo che desidera e Harry nota le tracce di terreno sulle sue guance. Si inumidisce con la lingua entrambi i pollici, le prende il visetto nelle mani e cerca di levarle via alla meglio maniera lo sporco dal faccino.
«Ma che schifo, papà!» protesta la piccola con una smorfia esagerata che le accartoccia il bel visino e fa sorridere Harry.
E quando la piccola fa per chiedergli dove si trovi l’altro suo papà, Harry non ha manco il tempo di pensare alle corna che spuntano quando parli del Diavolo che lo vede spuntare dal cancelletto del parco, non il Diavolo, sia chiaro!

Louis cammina piano e li saluta da lontano con una mano alzata, ogni suo passo corrisponde a un piccolo infarto per il cuore di Harry. Lo conosce da una vita, ma la sua bellezza non smetterà mai di sortire in lui quel batticuore continuo che lo fa sentire, ogni volta, vivo. Ha ventisette anni, ma ai suoi occhi sembra sempre lo stesso ragazzino di una volta, complice gli skinny chiari che gli scoprono le caviglie e le Vans di tela che dai tempi del liceo sono rimaste le sue scarpe preferite. 
Harry si passa distrattamente una mano tra i ricci, sgancia i primi tre bottoni della camicia perché d’un tratto, ebbene sì, ha caldo. E in quei gesti sembra esserci una sorta di soggezione, di imbarazzo misto ad emozione come se lo stesse incontrando per la prima volta.
Si sente un po’ stupido. Stupido, ma terribilmente innamorato.

La sensazione si intensifica quando Louis, ormai vicino a loro, prima dà un bacio tra i capelli alla piccola, poi alza gli occhi turchini per puntarli nei suoi che sembrano smeraldi al sole e lo bacia. E lo fa con una calma straordinaria come se implicitamente stesse obbligando il tempo a fermarsi intorno a loro, a smettere di correre per permettergli di viversi il suo uomo nei tempi che desidera, senza alcuna fretta.
«Ecco la tua ninnananna» annuncia poi piegandosi sulle ginocchia per porgere alla sua bambina il tanto amato carillon.
Quella tutta entusiasta prima gli getta le braccia al collo per sbaciucchiarlo tutto e ringraziarlo e poi afferra il cofanetto blu dalle sue mani e lo apre.
Il coperchio alzandosi rivela sul fondo del cofanetto uno specchietto rotondo che simula un piccolo lago sul quale due cigni bianchi ruotano piano e i loro becchi sono così vicini in un tenero bacio che i loro lunghi colli eleganti sembrano disegnare un romantico cuore.
La melodia che ne viene fuori, poi, è quella che ha il potere di far tranquillizzare Camilla ogni volta che le capita di fare un incubo o di non riuscire a dormire.

Si ritrovano tutti e tre assorti ad ascoltare il Clair de Lune di Debussy e a chiedersi se esista melodia più bella al mondo, e forse ce ne sono davvero di più belle, ma per loro, quella, sarà sempre insuperabile perché è un po’ come se fosse la colonna sonora della loro avventura insieme.
«E comunque oggi ho deciso una cosa!» trilla Camilla quando ormai si sono incamminati per raggiungere l’auto parcheggiata appena fuori dal parco.
«E cioè?» dicono in coro i suoi due papà prima di dedicarsi un’occhiata complice e un sorriso (loro e quella dannata capacità di parlare in simultanea!).
«Ho deciso che voglio andare a calcetto!»
A quel punto i due adulti si bloccano al centro del sentiero alberato che conduce al cancello, la loro bimba si ferma tra di loro e si volta a guardarli.
Sta zitta per qualche minuto perché teme di aver detto qualcosa di sbagliato, anche se non sa bene cosa ci sia di sbagliato in ciò che ha appena detto. Vede i suoi due papà scrutarsi attentamente.
I grandi, pensa grattandosi la testa, e chi li capisce.
«Come si vede che è mia figlia!» esulta poi Louis improvvisamente, rompendo la bolla di silenzio creatasi intorno a loro.
«Ah, adesso è solo tua figlia?» lo canzona Harry colpendolo alla spalla con un pugno.
Entrambi scoppiano a ridere e Camilla vede papà Louis tirare per il colletto della camicia papà Harry e baciarlo sulle labbra, con la delicatezza di un soffio di vento.
«Ma che schifo!» si lamenta la piccola con le manine paffute a coprirsi gli occhi, perché Camilla è in quella fase puerile in cui certe dimostrazioni d’affetto le danno il voltastomaco.
E Harry e Louis scoppiano di nuovo a ridere, però stavolta il ricciolo se la issa in braccio, Louis abbraccia entrambi e tutti e due, in contemporanea, le scroccano due enormi bacioni sulle guance ora più rosse.
Lei finge di volersi divincolare dalla loro stretta e pensa di nuovo bah, e chi li capisce i grandi eppure ha già gettato le braccia intorno ai loro colli per poterli abbracciare forte forte.







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Niente, non voglio tediarvi oltre!
Dico solo che l'intera storia è un piccolo regalo per il mio Ossimoro 
♥ 
Dedico la piccolissima scenetta Zouis (non posso non farlo, ha!) al mio Salmone
Abbraccio un po' tutte le creaturine che hanno stellinato, nel corso della stesura, i miei disagi su twitter ♥
Inoltre, visto che ora posso dirlo perché tanto avete letto, se prima di imbattervi in questa storia vi è capitato di leggere Un pomeriggio a casa della signora Finch...
Non avete notato nulla di "particolare"?
Non dico niente!
A voi libera interpretazione (ma sappiate che è una sorta di sorpresina per chi ha gradito l'altra mia storia!).
Infine,
se state leggendo queste note, significa che avete letto anche questo sclero qui sopra e io vi ringrazio di nuovo e vi scuoricino un po' 
Spero che la storia vi sia piaciuta e, davvero, fatemi sapere cosa ne pensate (siate sinceri e spietati perché io lo sono sempre e preferisco un commento sincero che di circostanza!) lasciandomi una recensione o scrivendomi su twitter
@bluesidhe o su ask psychromatic!
Tanti baci,
K ♥

 
   
 
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