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Autore: PepermintSmile    10/08/2008    2 recensioni
Traduzione di Temperance_Booth. “Fai le commissioni per i tuoi o qualcosa del genere?” Le sopracciglia di lui si corrucciarono per la confusione. “Intendo dire, ti hanno mandato a prendere la tua sorellina all’asilo?” Il giovane deglutì, a disagio, ma prima che potesse parlare, Lilly trillò. “Papy, di che parla? Tu non hai una sorellina, solo una gemella, vero, papy?” “Sì, tesoro, hai ragione; solo zia Sharpay.” “Solo zia Sharpay, nessun altro.” Affermò Lilly e guardò, raggiante, Kelsi, come se l’intera questione fosse risolta. “É…È tua?” Esalò la sua vecchia compagna di classe, vacillando all’indietro.
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kelsi Nielsen, Ryan Evans
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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≈ Capitolo Due ≈

Capitolo Due

 

Tabitha fece cadere la cenere della sua sigaretta ed esalò abilmente una larga nuvola di fumo.  Sentendo dei passi pesanti nel corridoio, si strinse di più nel cappotto e aprì come per caso la porta d’ingresso. Ma, naturalmente, erano Ryan e Lilly; Lilly, che al momento stava seduta sulle spalle di suo padre, sbraitando ordini come “Tutti sul ponte! Gettate l’ancora! Tutti a tribordo! Abbassate le vele!”

La donna sbuffò, divertita, e il fumo riempì l’aria ancora un volta.

“Un’altra avventura in mare aperto, Ryan?” Lo prese in giro. Ryan sorrise appena.

“Andiamo a dissotterrare il nostro tesoro, per essere precisi.”

Tabitha osservò le grandi borse sotto i suoi occhi e come le sue gambe sembrassero pronte a crollare a terra da un momento all’altro. La sua testa si alzò verso di lui in un gesto ricco di significato. Ryan colse la sua occhiata e posò con attenzione Lillian sul pavimento.

“Vai a perlustrare il territorio, capitano; ti raggiungo tra un minuto.”

Lilly lo salutò, prese la chiave giusta dal mazzo che lui le porgeva e scomparve oltre la porta dell’appartamento.

Una volta che la piccoletta fu fuori dal campo uditivo, Tabitha pose la sua domanda.

“Come è andato il colloquio di oggi?” Lo stringersi nelle spalle di Ryan confermò i suoi sospetti.

Tabitha fece correre un dito tra i folti ricci rossi e spostò il peso dalla gamba sinistra alla destra.

“Sai che ti dico? Quando il tesoro sarà completamente allo scoperto, manda Lilly da me che le preparo la cena

Quando lui aprì la bocca per protestare, lei gli posò semplicemente un lungo dito –terminante in un purpureo artiglio- sulle labbra. “Lo so che non hai i soldi per pagarmi. Lasciamelo fare come amica; non mi aspetto nessuna restituzione.”

“Sono solo stanco di accettare tutta questa carità.” Sbadigliò Ryan.

“Tu sei malato e basta.” Lo corresse Tabitha e gli appoggiò una mano tiepida sulla fronte.

“Non sono malato.” Insisté Ryan, spostandola. “Solo un po’ stanco.”

“Quand’è stata l’ultima volta che hai dormito per cinque ore di fila?” Lui si strinse nelle spalle e lei lasciò sfuggire dalla propria bocca alcuni anelli di fumo. “Se vuoi essere un padre migliore, vai a dormire. Ti condanno ad una notte tranquilla, stasera, pirata.”

Ryan la guardò ma realizzò che qualsiasi resistenza sarebbe stata inutile. La ringraziò e continuò lungo la strada per il suo appartamento da scapolo.

La donna di mezza età guardò l’orologio e scivolò di nuovo all’interno del proprio soggiorno, spegnendo la sua soap opera per cercare nella dispensa qualcosa che potesse attirare una bambina dell’asilo.

L’ex ballerino appoggiò la propria sottile ed esausta figura contro la porta e voltò la testa per esaminare il proprio dominio. Era decisamente ‘vissuto’, come lo definiva Sharpay. La pittura era scrostata e il divano non conteneva più alcuna imbottitura (era stata asportata tutta a causa di svariate azioni di pirateria). Scatole aperte e strapiene erano accatastate in ogni angolo e si potevano a stento muovere due passi senza inciampare in un giocattolo. Il muro era ricoperto di disegni e la luce era leggermente pallida a causa della mancanza di alcune lampadine.

La loro casa.

Ryan chiuse gli occhi per un brevissimo secondo.

“Papy, che c’è? Hai sonno?” Ryan costrinse le proprie palpebre a sollevarsi di nuovo e sorrise a sua figlia.

“Un pochino, tesoro. Ma che cos’hai lì?” Il viso raggiante, Lillian gli mostrò, orgogliosa, un nuovissimo animale di pezza.

“Ho trovato un gattino! Era nascosto insieme al tesoro!”

“Non ci credo!” Ryan si abbassò al suo livello. “È un maschio o una femmina?”

Lilly riflettè per un po’ sulla risposta da dare.

“Una femmina. A Mr. Teddy serve una fidanzata.”

“E come si chiama?”

“Beh… qual è il nome di mia madre?”

La domanda colse Ryan totalmente impreparato.

“Vuoi chiamare il gattino come la tua mamma?” Lilly annuì, seria.

“Sì. Tutti gli altri bambini a scuola parlano delle loro mamme.” Seguì una pausa imbarazzata che solo Ryan notò.

“Tu… vuoi una mamma?” Domandò cautamente.

“Naa.” Rispose la bambina immediatamente, continuando a rimirare il gattino. “Ci rovinerebbe tutto il divertimento, non trovi?”

“Penso di sì…” Rispose lui, incerto. “Ma questo è divertente, vero? Solo noi due?”

Le trecce di Lilly saltellarono.

“Certo, signore!”

“Solo noi due, un pirata e una giovane di alti natali!”

“Io voglio essere il pirata!” Protestò Lilly.

“Ma io non posso essere la ragazza.” Puntualizzò Ryan. “Quindi mi toccherà fare il pirata, questa volta.” Disse, per poi sollevare la bambina ridacchiante sulle proprie spalle. “Arr, ti ho presa, signorinella!”

“Oh, qualcuno mi salvi!” Strillò lei, ovviamente senza alcun desiderio di essere davvero salvata.

“Ti farò camminare sulla passerella!” Ringhiò Ryan, tenendola per le braccia ed ignorando i minuscoli talloni che battevano contro i suoi fianchi. Una volta in camera da letto la lasciò cadere (con molta attenzione) sul suo lettino. “Ora preparati per la cena: mangerai con la famosa Lady Tabitha, questa sera!”

Dieci minuti e due canzoni dopo, Tabitha sentì bussare alla propria porta. Quando aprì si trovò davanti una piccola bambina con un semplice vestito blu e un mazzo di fiori in mano che le rivolgeva un sorriso a ventisei denti.

“Che cosa sono?” Rise Tabitha, mentre Lilly le piazzava i fiori sotto al naso.

“Papà ha detto che te li manda per ringraziarti.” La donna roteò gli occhi.

“Immagino che sarai affamata. Entra, sei capitata giusto quando stavo finendo di preparare le polpette di patate al formaggio!”

“Evvai!” Lilly saltò dentro, sollevando il vestito per poter correre meglio.

Due ore dopo, Tabitha si portò un dito alle labbra, mentre Lilly apriva la porta del proprio appartamento. Prendendo in braccio la bambina, entrò in punta di piedi nella camera da letto principale.

Ryan giaceva senza camicia sul letto, le lenzuola sparpagliate attorno a lui.

Lilly si agitò tra le braccia di Tabitha, costringendo la donna a metterla giù, poi si arrampicò fino al padre addormentato e si accoccolò tra le sue braccia.

Scuotendo la testa, Tabitha liberò le lenzuola e le distese sulla piccola famiglia.

“’notte.” Sussurrò. Lilly sorrise, per poi voltare il viso contro il petto nudo di Ryan.

Sulla porta, Tabitha si voltò per guardarli ancora una volta.

“Sono quasi il perfetto ritratto di famiglia.” Pensò. “Ma manca loro ancora qualcosa… o qualcuno.”

Uscendo, si chiuse la porta alle spalle.

 

®

 

Ryan tossicchiò, lisciandosi la cravatta, sistemando la sedia più lontano dietro al bancone che poté e si guardò intorno. Un cimitero sarebbe sembrato un concerto rock, paragonato al negozio di strumenti musicali. Le sue dita scattarono, innervosite dalla mancanza di rumore, e presero a tamburellare sulla sua coscia.

Dopo quarantacinque minuti di assoluto silenzio e dopo essere caduto per tre volte dalla sedia, perso nei suoi pensieri, decide di testare l’equipaggiamento. Raccolse due nuovissime, lucenti bacchette per la batteria e le fece roteare abilmente tra le dita di una mano. Girellando, si trovò come per caso davanti ad una batteria e colpì uno dei lucidi piatti.

Un sorriso da bambino gli attraversò il viso. La tentazione era troppo forte e un’innocente suonata di batteria non avrebbe fatto male a nessuno. E, sperava, nemmeno una suonata di batteria in modalità fortissimo.

Solo quando le persone che passavano per strada iniziarono ad osservarlo attraverso la vetrina Ryan prese in considerazione l’idea di interrompere il suo controllo. Si allontanò dalla zona dove aveva suonato fino ad allora la chitarra elettrica e, uscendo dall’area chitarre, si avviò verso le tastiere.

Le sue dita si fermarono a pochi centimetri dai tasti di plastica. Una voce dentro alla sua testa prese a canticchiare allegramente il fin troppo familiare ritornello provato un infinito numero di volte su una tastiera simile a quella.

 

I’ve never had someone

That knows me like you do

The way you do

 

Sorrise a se stesso: si era quasi dimenticato di “Twinke Towne”. Nella sua mente, poteva facilmente ricreare i corridoi della East High e rivedere lui e la sua gemella scivolare tra gli altri nelle loro pazze, stilose e fiammanti uniformi. Rise forte, ripensando ai suoi jazz-squares e agli altri spettacolari passi di danza che amava.

Curioso, si alzò e trovò una porzione libera di tappeto. Prendendo un profondo respiro, eseguì un jazz-square più facilmente di quando era una matricola. Ridendo, tra adrenalina e ricordi, Ryan eseguì una serie di jazz-squares fino ai grandi pianoforti.

 Realizzando quanto idiota dovesse sembrare, il vecchio re del teatro si chinò sugli strumenti.

Fu come se ogni energia avesse abbandonato il suo corpo. Si calmò improvvisamente, ricordando un’altra scena, non così familiare e non così ben provata, della sua vita al liceo. Guardò con espressione vuota per parecchi minuti l’avorio davanti a lui, rima di realizzare ciò che stava facendo.

Sospirando, si riportò alla mente un’altra delle sue canzoni preferite ed iniziò a cantare per il suo pubblico di canne, ottoni, legni e plastica.

 

My gift is my song

And this one’s for you

And you can tell everybody

That this is your song

It may be quite simple but

Now that it’s done

I hope you don’t mind

I hope you don’t mind

That I put down in words

How wonderful life is

Now you’re in the world…

 

“Mi scusi.” Una sottile, anziana voce lo raggiunse dall’ombra. Per come Ryan reagì, la figura di lui avrebbe potuto aver appena lanciato un urlo. Imbarazzato oltre misura, il giovane incespicò oltre la panchina e cadde lungo e tirato per terra. Rialzandosi, si guardò intorno per vedere dove fosse finita la sua giacca. Incrociò le dita, pregando che il capo non passasse di lì proprio in quel momento; cartellino del nome per terra, camicia leggermente aperta, scarpe abbandonate in un angolo… la situazione non sembrava granché professionale.

Sarebbe stato licenziato di certo.

Ryan si sistemò in modo da nascondere la propria metà inferiore dietro al pianoforte.

“Come posso servirla?” Ryan biascicò il saluto d’uso, evitando di farsi vedere. L’alta, anziana signora rise con gentilezza.

“Veramente, stavo chiedendomi se non potrebbe farmi un favore. Sono la signora Shepherd, l’insegnante di musica dell’asilo di westbrook che è appena andata in pensione.” Ryan inarcò le sopracciglia ma non diede altra risposta. “Per caso ti ho sentito cantare e suonare il pianoforte, pochi secondi fa.” Ryan si sentì bruciare di umiliazione. “E ho pensato che potresti essere un perfetto assistente per la nuova maestra. La ragazza che ha preso il mio posto potrebbe trovarsi un po’ sovraccaricata da sola e penso che un assistente le farebbe comodo.”

Ryan si sentì come un pesce rimasto di colpo all’asciutto e la sua bocca si spalancò contro la sua volontà.

“Lei… lei mi sta offrendo un lavoro?”

Lei annuì, tutta contenta.

“Certo, devi ancora riempire i moduli, ma questo non è un problema. Per favore, di’ di sì!”

“Dovrei...dovrei prima lasciare questo lavoro.” Balbettò lui, cercando disperatamente una scusa.

La donna rise.

“Mio caro ragazzo, potevo sentirti suonare la chitarra dall’altra parte della strada. Non avrai bisogno di dare le dimissioni.”

 

®

 

Kelsi lanciò una pallina di carta verso il cestino dei rifiuti, mancandolo clamorosamente. Sospirando, spostò dal proprio grembo le dodici cartellette e si alzò per buttare efficientemente nella spazzatura la notevole quantità di tiri andati a vuoto. Lamentandosi, lo avvicinò alla cattedra, in modo da non doversi alzare di nuovo.

Alcuni colpi risuonarono sulla porta.

“Avanti.”

La signora Shepherd ridusse leggermente la propria statura in modo da non picchiare la testa sul montante della porta, seguita da qualcuno parecchio più basso.

“Ryan, che ci fai qui?”

“Gli ho offerto un lavoro come tuo assistente!” Esclamò la signora Shepherd con giubilo, dando un paio di buffetti sulla spalla dell’ex attore mortalmente a disagio.

“Ma signora Shepherd, le ho detto un’infinità di volte che me la cavo benissimo da sola! Non ho bisogno di un assistente; preferisco mille volte lavorare per conto mio! Mi dispiace per il tempo che hai perso, Ryan, ma non ho bisogno di te.”

La chitarrista dai capelli grigi prese l’indietreggiante padre per la coda del cappotto.

“Sii ragionevole, Kelsi. C’è qualcosa di personale che ti impedisce di volere Ryan Evans come collega?”

Kelsi squittì.

Non c’era niente di veramente sbagliato con Ryan; lui per primo non era mai stato cattivo con lei al liceo. Certo, forse all’epoca era leggermente effeminato, ma era solo a causa del fatto che veniva perennemente ignorato…e a causa di Sharpay. Non le aveva mai detto niente di particolarmente maleducato, ma non erano mai stati amici del cuore.

E poi si ricordava del loro ultimo incontro. Che brutta impressione doveva aver avuto di lei vedendola scappare via solo perché aveva scoperto… Lilly.

Ci sarebbe stato molto disagio tra loro, non avrebbe mai funzionato.

“Kelsi, non hai risposto alla mia domanda. Hai qualcosa di personale che ti impedisce di lavorare con Ryan?”

Kelsi guardò il ragazzo in questione che la stava guardando a sua volta con gli occhi curiosi, come se anche lui avesse voluto conoscere la risposta.

Gli occhi azzurri di lui penetrarono nella sua mente e, mentre ogni resistenza crollava, la signorina Nielsen sospirò.

“No. Non ho niente di personale contro Ryan.” Il suo coetaneo si rilassò, sollevato.

“Dubiti delle sue doti musicali?”

“Oh no!” Aveva assistito ad abbastanza spettacoli dei gemelli per sapere che lui che lui era un esperto in quel campo.

“E allora qual è il problema?”

“Vorrei saperlo.” Pensò Kelsi. “Nessuno, suppongo.” Fu ciò che disse ad alta voce, accettando la sconfitta.

“Eccellente! Allora siamo d’accordo. Apprezzerei che tu gli dessi i moduli da riempire. E poi voi due potrete passare quel che resta di questo giorno grigio parlando dei piani per il secondo semestre. Ryan… cioè, signor Evans, ti dispiacerebbe se parlassi da sola con Kelsi per un minuto?”

“Per niente.” Rispose lui in fretta e uscì velocemente dalla stanza.

La signora Shepherd prese le mani di Kelsi nelle proprie.

“Mia cara, non avrei lasciato questo posto con tanta allegria se non fossi stata sicura di lasciarti in buone mani.”

“Ma signora Shepherd, le cose saranno così… imbarazzanti...”

“Non dire sciocchezze. Ti auguro con tutto il cuore che tutto vada per il meglio. E fuori dal mondo del lavoro… penso che voi due dovreste conoscervi meglio.”

“Ma…”

“Basta con i ma.” Kelsi sorrise e la settantenne insegnante di musica si prese un secondo per abbracciare un’ultima volta l’aula con lo sguardo.

“Mi mancherà questo posto… ho cos’ tanti ricordi qui.” Kelsi annuì comprensivamente. “Oh, beh, dovrei andare.”

Dopo aver baciato la sua discepola sulla fronte, la signora Shepherd lasciò l’asilo.

Ryan rientrò, un po’ vergognoso, e si sedette all’indiana sul tappeto accanto a Kelsi.

“Sembrate molto affezionate l’una all’altra.”

“Conosco quella signora da tanto tempo, è naturale che siamo diventate amiche.” Pausa. “Senti, Ryan, a proposito dell’altro giorno…”

“Dimenticalo.” La bloccò. “È solo naturale reagire in quel modo.”

“È solo che non avevo idea…” Questa volta, si fermò da sola. “In ogni modo, il passato è passato. Da dove iniziamo?”

“Che ne dici di pulire questo disordine?” Suggerì Ryan, un sorriso aperto in volto. “E dovremmo iniziare a pianificare, suppongo.”

“Odio organizzare i file!” Si lamentò la giovane, lasciando cadere sul tavolo una pila di cartellette. “È lavoro da vecchi!”

“Di certo sei diversa dalla maniaca dell’ordine che eri al liceo.” Rise lui.

Kelsi roteò gli occhi.

“E tu di certo sei diverso dal costruitissimo bel ragazzo che faceva quasi fatica a rivolgermi la parola.”

“Ora ti sto parlando, no?” Domandò, sulla difensiva.

“E questi file assomigliano molto ad un porcile, non ti pare?”

Dopo essersi guardati per due o tre minuti, Ryan si arrese e scoppiò a ridere, subito seguito da Kelsi.

“Perché non ci dimentichiamo delle vecchie differenze e basta?” Propose Kelsi, tendendo una mano al suo nuovo collega.

Che la strinse.

“D’accordo. Però dobbiamo comunque mettere questi file da qualche parte.”

“Te l’ho detto, non voglio mai più riorganizzare una cartelletta del genere in tutta la mia vita!”

“Non ho parlato di organizzazione, ma finiremo nei guai se lasciamo la stanza in disordine. Facciamo almeno finta di tenerla a posto.”

Kelsi ridacchiò.

“Ok, tu prendi questa pila e io quella.”

Ryan si allontanò dalla cattedra, ma non aveva programmato il cestino della spazzatura, posizionato proprio dietro alle sue gambe. Inciampò, cadendo sulla schiena.

Nemmeno Kelsi si ricordò dell’esistenza della piccola pattumiera, così incespicò nei propri piedi, atterrando sopra di lui.

Ridendo della propria totale assenza di grazia, Ryan si puntellò sui gomiti e Kelsi si spostò i capelli dal viso.

I loro occhi si incontrarono.

“Oh, Signore…” Strillò la mente di Kelsi. Il suo cuore prese a battere come se avesse voluto uscirle dal petto e lei arrossì, rendendosi conto di quanto vicini fossero i loro corpi. Lui sembrava così… così caldo e il suo viso continuava ad avvicinarsi. “Oh, Signore…”

 

  
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