Capitolo XI
Strane sensazioni
Nicole
Montgomery scese dall’auto e si guardò attorno: era
strano che nessuno venisse ad accoglierla, eppure aveva avvertito del
suo
arrivo.
Girò attorno
alla macchina per recuperare la borsa con
l’attrezzatura fotografica e solo allora notò la decappottabile argento
parcheggiata sotto la tettoia.
Si avviò
all’ingresso e bussò all’antico batacchio, senza
tuttavia ottenere risposta.
Per ciò che
era venuta a fare, avrebbe potuto lavorare
anche se non vi fosse stato nessuno, ma era comunque strano il fatto
che avesse
trovato aperto il cancello principale della tenuta, altrimenti non
sarebbe
potuta arrivare fin lì, mentre lo Chateau
era chiuso.
Incuriosita
dall’auto posteggiata, si avvicinò per
osservarla meglio ma fu distratta dal suono inconfondibile, seppur
lieve,
dell’acqua che sciabordava: c’era evidentemente qualcuno che stava
nuotando,
poiché l’aria era troppo immobile per esserne la causa. Abbandonò il
precedente
obiettivo e, svoltando verso il retro della casa, si soffermò sotto
l’ombrellone color lavanda che, abbinato alla tovaglia sul tavolo in
ferro
battuto e al tessuto che ricopriva le sedie, richiamava l’esatta
tonalità degli
arbusti profumati che circondavano il patio. Da lì poteva osservare la
vasca
senza dare troppo nell’occhio.
In acqua un
uomo stava nuotando a crawl, con un
ritmo costante, rilassato, quasi ipnotico; nonostante
ciò procedeva con rapidità, macinando una vasca dietro l’altra, segno
che la
spinta di gambe e braccia doveva essere potente. Dopo venticinque metri
eseguiva una virata perfetta, increspando l’acqua che invece, durante
la
bracciata a stile libero, sembrava appena sfiorata, quasi che il
nuotatore
l’accarezzasse, anziché fenderla con vigore.
Dal punto in
cui si trovava riusciva a scorgere dell’uomo
solo i capelli scuri, le braccia e parte dell’ampio dorso; attraverso
l’acqua
intuiva appena la sagoma delle gambe, che dovevano essere lunghe e
muscolose,
mentre il profilo del volto si confondeva nella lieve increspatura
formatasi
dal movimento del braccio e dalla rotazione del capo durante la
respirazione.
Rimase ad
osservarlo per alcuni minuti, affascinata da
quei movimenti lenti ma al tempo stesso potenti, contando una
quindicina di
vasche prima che l’uomo decidesse di smettere; quando lo vide
rallentare e
dirigersi verso il bordo della piscina, comprese che sarebbe uscito di
lì a
breve e, guidata dall’istinto, posò la mano sulla macchina digitale che
portava
come sempre al collo, pronta a cogliere l’attimo. Egli si issò sul
bordo
facendo leva sulle braccia, mentre le dava le spalle; la scaletta per
risalire
era al lato opposto, ma Nicole aveva intuito che sarebbe uscito da dove
si era
tuffato per recuperare l’asciugamano appoggiato a terra e quando lo
vide
attraverso l’obiettivo in piedi capì anche il perché: non indossava il
costume
e lo scatto immortalò, inquadrato di schiena, un corpo nudo
assolutamente
perfetto.
A dire il
vero gli scatti furono tre, uno di seguito
all’altro, mentre l’uomo, sempre di spalle, si asciugava rapido
dapprima capelli
e volto e poi si avvolgeva in vita il telo bianco; al terzo egli si
accorse del
rumore e si voltò proprio mentre Nicole ne scattava un quarto che colse
entrambi di sorpresa, lui perché scoperto da una donna a fare il bagno
nudo e
per di più immortalato con delle foto, lei perché, nell’attimo in cui
vide il
volto sorpreso dell’uomo, capì come mai l’istinto le aveva suggerito di
fotografarlo mentre usciva dalla vasca: si trattava del medesimo
esemplare di
maschio che aveva incontrato su una spiaggia e che aveva fotografato
alcuni
giorni prima alla Maison Dior.
Era da quel
giorno che non faceva che pensare a lui e
sviluppare il servizio fotografico in cui era l’unico modello non aveva
certo
contribuito a toglierselo dalla mente. Le foto erano splendide, le più
sensuali
che avesse mai fatto, se si escludevano gli ultimi quattro scatti;
aveva
sufficiente esperienza per sapere che merito dell’eccezionalità di
quelle
immagini era dovuto al mix pericoloso tra la sensualità insita in
quell’uomo e
l’effetto che aveva su di lei. Non era l’unico uomo attraente che aveva
fotografato, considerato il suo lavoro, ma di certo era l’unico che le
trasmetteva quelle strane sensazioni alle quali, nonostante i suoi
ferrei
propositi, faceva fatica a resistere.
Dopo l’attimo
di sorpresa anche lui la riconobbe e lei lo
capì dal sorriso sornione con cui il suo volto si illuminò.
“Salve”, le
disse, con aria divertita.
“Salve”
rispose lei, cercando di avere l’aria più naturale
possibile mentre si gingillava la macchina fotografica nelle mani.
“Ci si
rivede” aggiunse lui.
“Già...”
puntualizzò lei a sua volta, per prolungare gli
inutili convenevoli, onde evitare l’imbarazzo del silenzio.
Lui non disse
più nulla e si diresse verso di lei con
estrema disinvoltura come se, anziché avvolto in un telo, fosse
abbigliato in
abito da sera.
“Sono appena
arrivata... ho bussato al castello ma non c’è
nessuno... devo... dovrei fare un servizio fotografico al giardino...”
balbettò, cercando di contenere le strane sensazioni che l’uomo le
procurava.
“E’ solo?”
aggiunse poi.
Non appena
ebbe posto la domanda, si rese subito conto di
quanto fosse stupida. Lui colse al
volo
l’occasione per metterla ancora più in imbarazzo, facendole notare di
essersi
accorto che lo aveva guardato e addirittura fotografato mentre usciva
nudo
dalla piscina.
“Ovviamente,
altrimenti non mi avrebbe trovato a fare il
bagno in costume adamitico! O per caso pensa che sia solito nuotare in
queste
condizioni ove chiunque potrebbe vedermi?” chiese divertito. Poi, senza
attendere risposta, proseguì: “Non avevo il costume con me, ma l’acqua
era
talmente invitante... credevo che sarei rimasto solo per almeno un paio
d’ore.
A quanto pare lei è sempre pronta a scattare una foto... deformazione
professionale?” domandò con un sorriso da presa in giro, assecondandola
nella
formalità verbale che lei si ostinava ad utilizzare, per non renderle
la vita
facile.
“Non sapevo
che fosse lei...” tentò di scusarsi Nicole.
“Quindi, se
avesse saputo che ero io, non mi avrebbe
fotografato, mentre un qualunque altro uomo sì? Ahi, ahi, che duro
colpo per il
mio ego! Devono essere venute davvero brutte le foto dell’altro
giorno...”
scherzò lui, con l’aria di non temere affatto ciò di cui pareva
preoccuparsi a
parole.
Quando la
vide arrossire aggiunse, avvicinandosi di
qualche passo e arrivandole pericolosamente vicino:
“Non mi dirà
che svilupperà queste foto, vero?”
“Si
vergogna?” chiese lei, a mo’ di sfida.
“No, non
direi. Se mi avesse fatto mettere in posa
apposta, è molto probabile che mi sarei sentito in imbarazzo, ma visto
che lei
ha scattato a mia insaputa...” disse con l’aria di chi voleva farla
sentire
quasi in colpa per avere violato la sua privacy; ma poi aggiunse
divertito:
”Mi
preoccupavo solo per lei...”
“Le ricordo
che sono adulta... e poi il ritratto
di un nudo, se ben fatto, può essere considerato persino un’opera
d’arte. E le
assicuro che le mie foto, anche se improvvisate, non sono mai
volgari...” .
Posandole un
dito sulle labbra lui la zittì:
“Non volevo
affatto mettere in dubbio la sua
professionalità... mi preoccupavo per lei...
“Per me?” domandò
Nicole a fatica, ipnotizzata da quel lieve tocco sulle sue labbra.
“Sì” rispose
lui, sorridendole “non vorrei che certe mie
foto la turbassero al punto da mettere in discussione i suoi ferrei
principi di
non mescolare mai lavoro e piacere e la spingessero ad accettare un mio
invito
a cena” aggiunse poi, sempre col sorriso sulle labbra e lo sguardo
acceso di
una luce particolare, la stessa che gli aveva visto alla Maison
Dior mentre lo fotografava.
La pressione
del suo dito unita a quello sguardo le resero
difficilissima la risposta che si costrinse a dargli:
“Lei
dimentica che sono una fotografa di professione e
sono abituata ad avere a che fare con modelli e modelle, quindi con
persone di
bellezza superiore alla media... Ci vuole più di un bell’uomo nudo per
farmi
cambiare idea e dimenticare le mie regole” disse con la voce che le
usciva a
fatica, mentre si allontanava di un passo.
“Mi sta forse
provocando?” domandò di rimando lui, gli
occhi fissi sulla sua bocca.
“Niente
affatto. Sto solo chiarendo la mia posizione” si
affrettò a precisare, osservando che ci sapeva davvero fare con le
parole,
tanto da trasformare una banale conversazione in una seducente
schermaglia
amorosa d’altri tempi.
“E, se non se
ne fosse accorta, mi sta dando anche un
grande vantaggio...” aggiunse lui, in un sussurro.
Aveva
ragione. Nicole se ne rese conto dalla tensione che
aleggiava tra loro. Se l’avesse baciata, come gli era sembrato che lui
stesse
per fare, in quel momento avrebbe capitolato.
“Dove sono i
custodi?” domandò, cercando di cambiare
argomento.
“Monsieur Pierre
e la moglie sono andati per un paio d’ore dal figlio... la nuora ha da
poco
avuto un bambino e loro volevano passare del tempo con il nipotino.
Sono andati
via da un po’, torneranno a breve. Perché non si siede ad aspettarli
con me?
Oppure può iniziare a fotografare il giardino, come preferisce. Io
starò buono
buono ad osservarla” rispose accomodandosi su una sedia con le gambe
allungate
davanti a sé e l’aria più rilassata del mondo.
Fotografare
il giardino... Figuriamoci! Con un uomo,
QUELL’UOMO, vestito solo di un asciugamano bianco stretto attorno alla
vita,
che la osservava mentre si concentrava per le foto che doveva fare...
Non se ne
parlava neppure!
“La
ringrazio, ma preferisco tornare un’altra volta”,
disse decisa. Poi aggiunse: “Piacere d’averla rivista” e, prima di
dargli il
tempo di capire che se ne sarebbe andata, girò sui tacchi e si diresse
rapida
all’auto.
Lui la
raggiunse e la fermò, prendendola per un polso.
“Sta
scappando, Nicole?” chiese in un sussurro al suo
orecchio.
Si sentì
percorrere da un brivido e si augurò che lui,
così vicino, non se ne accorgesse.
“Mi sta dando
un altro grande vantaggio psicologico, lo
sa, vero?” .
La sua
domanda le confermò che aveva colto con grande
perspicacia il suo turbamento.
Preferì non
rispondere e, liberando il polso dalle sue
dita, salì sull’auto e mise in moto.
“Mi saluti
Pierre e Madeleine”, aggiunse e, ingranata la
marcia, lo lasciò in mezzo al cortile, a piedi nudi e avvolto
unicamente da un
asciugamano.
Mentre
percorreva il viale alberato che conduceva
all’uscita si sforzò di scacciare dalla mente la sua immagine e,
soprattutto,
la sensazione provata quando gli aveva toccato le dita per allontanarle
dal
proprio polso.
Si sforzò ma,
come temeva, fu del tutto inutile.