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Autore: Ranyadel    11/06/2014    4 recensioni
Quando incrociò il mio sguardo, sembrò incassare leggermente la testa nelle spalle e sollevò un angolo della bocca in un minuscolo sorriso. Quanto poteva essere… cucciolo?!
Ecco, era un cucciolo. Avevo deciso.
***
“Oh, Coralie ha una capacità particolare. Sa leggere gli occhi come nessuno” disse Carol.
***
“So… so capire come sono fatte le persone solo guardandole negli occhi e osservando come si muovono” dissi a bassa voce. “Ti psicanalizza con uno sguardo” Fece Manuela ridacchiando. Luke mi guardò sorpreso. “Sarei curioso di provare.”
***
"Di solito le persone hanno paura."
"Di cosa?"
"Di sé stesse."
***
"Vieni con me."
"Eh?"
"Coco, vieni con me. Venite con me, tutte quante."
"Ma io non..."
"Ti ho promesso che ti sarei stato vicino, e ormai dovresti aver capito che mantengo sempre le mie promesse."
***
"È che ho troppi fantasmi alle mie spalle e mostri nella mia testa per poter essere davvero felice."
"Oh, ma li vedo."
***
Una ragazza particolare, che sa leggere gli occhi.
Coralie.
Un ragazzo speciale, con occhi che la catturano e la intrigano, così semplici da leggere e allo stesso tempo così complessi da capire.
Luke.
Un amore nato da sguardi e gesti.
***
trailer: https://www.youtube.com/watch?v=nPR1CdGLUV8
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Can’t keep my hands off you.

Nonostante all’inizio fossi entusiasta di avere de settimane di completo riposo, mi dovetti ricredere quasi subito: con completo riposo, si intendeva anche astinenza da musica, troppa lettura e computer. Giravo in casa come uno zombie di lunedì mattina. Era deprimente non poter fare niente. Manuela e Carol cercavano di stare in casa la maggior parte del tempo, ma anche loro avevano bisogno d’aria, quindi quando venivano i ragazzi ne approfittavano, utilizzando anche la scusa che troppo fracasso mi avrebbe fatto male. Luke, tuttavia, era sempre in casa. Sembrava essersi trasferito a casa nostra e nonostante la mia prigionia non mi lasciava da sola.

 

“Coco!” mi rimproverò Luke. Io incassai la testa nelle spalle, consapevole di essere stata presa con le mani nel sacco. Mi pulii in fretta le dita e mi voltai verso di lui, la bocca piena, nascondendo il pacchetto di patatine dietro la schiena. Lo guardai con espressione angelica, battendo candidamente le ciglia. “Cosa mangi?” mi chiese truce. “Io? Non sto mangiando!” tentai di difendermi. Lui mi lanciò un’occhiata scettica. “Guardati allo specchio!” mi disse. Io andai davanti al forno, con l’anta a specchio, e per poco non mi soffocai dal ridere. Sembravo tanto un criceto con le guance piene.

“Metti giù le patatine, subito!” mi intimò. Io alzai gli occhi al cielo e gliele consegnai. “Sembri mio padre!” mi lamentai. “Tuo padre scapperebbe con le patatine?” chiese lui. Io scossi la testa, mentre lui si avvicinò a me e mi diede un piccolo bacio sul naso. “Questa sarà la prova che non lo sono” mi sussurrò, prima di correre in sala. Io rimasi oltraggiata qualche secondo, prima di deglutire e lanciarmi all’inseguimento. Mi venne da ridere quando vidi il suo nascondiglio. “Non ti si vede proprio, dietro la tenda, eh?” commentai. “No guardi, si sbaglia, sono il fratello del fantasma Formaggino!” rispose lui. “E come si chiama?” chiesi cercando di non ridere. Lo vidi esitare. “Il fantasma Patatino” disse poi, uscendo allo scoperto con il sacchetto a nascondergli la faccia. “In questo momento sono invisibile, perfettamente mimetizzato” fece lui con tono cospiratorio. Io mi misi a ridere, notando che si muoveva lentamente, senza mai darmi le spalle. Improvvisamente, inciampò e finì ruzzoloni sul divano. Io scoppiai a ridere. “Luke? Stai bene?” chiesi poi. Lui annuì. “Ma le patatine no” fece poi, mostrando il sacchetto che aveva schiacciato con la schiena. Per un momento mi venne da chiedergli come avesse fatto a finire lì, quel sacchetto, ma preferii tacere. Invece, mi avvicinai a lui e mi sedetti al suo fianco. Subito lui mi abbracciò, mentre le patatine venivano dimenticate sul tavolino di fronte a noi. Gli stampai un piccolo bacio sulle labbra e lui s’imbronciò. “Cosa c’è?” chiesi ridacchiando. “Io voglio un bacio vero” si lamentò con voce da bambino. Io sorrisi e lo accontentai, approfondendo il secondo bacio. “Felice?” chiesi poi. Lui fece un sorrisetto da demente. “Sì” gongolò, facendomi ridere. “Che bambino” dissi, affondando il viso nella sua maglietta, inspirando il suo profumo così buono, familiare. “Ehi, ho diciassette anni. Non puoi pretendere che sia sempre serio” fece. Io gli diedi ragione e lui mi prese per i fianchi, portandomi sulle sue gambe. Catturò le mie labbra, di nuovo. Perdemmo l’equilibrio e finimmo distesi sul divano, con lui sopra di me. Ridacchiammo qualche secondo, prima di perderci di nuovo.

Non sentimmo la chiave nella toppa, né tantomeno il rumore della porta che si apriva. “Ditemelo, se volete perdere la verginità su quel divano. Ci metto sopra una fodera!” commentò Manuela. Noi ci separammo subito, rossi in viso. “Non dovete vergognarvi!” esclamò Manuela ridendo. “È più forte di noi!” risposi io, torturandomi le dita. Essere così in intimità con lui in presenza di qualcuno mi imbarazzava tantissimo e così doveva essere anche per Luke, a giudicare dal suo rossore.

“Andiamo di sopra?” mi chiese a bassa voce. Io annuii e ci defilammo mentre gli altri non guardavano. Mentre salivamo le scale, sentimmo un: “No, spiegatemelo, un attimo fa eravate qui, mi volto e non ci siete più!” ridacchiammo nel sentire Carol confusa, prima di correre in camera mia. Presi i fogli sparsi sul letto e tentai di dar loro un senso logico. “Luke, mi aiuti a trovare la pagina tre?” chiesi. Lui mise un ginocchio sul letto e iniziò a frugare fra i fogli. “Cosa sono?” chiese poi, scrutandone un paio. “Una bozza di una nuova storia. Mi piaceva come idea e sto provando a metterlo per iscritto” spiegai. “Posso leggere?” chiese con occhi luminosi. “Non so se è il tuo stile. È leggermente dark. Parla di una demone che deve trovare un angelo per tagliargli le ali e diventare la regina degli inferi. La demone, Nadir, è molto, come dire, assetata di sangue” feci, porgendogli la prima pagina. Lui fece spallucce e iniziò a leggere. Lo vedevo rabbrividire di tanto in tanto. Quando arrivò alla pagina due, fece una smorfia e si portò una mano sul collo. “A che punto sei arrivato? Sembri inorridito” ridacchiai. Lui mi indicò le righe in questione:

 

“T-tu sei pazza” disse lui, sempre balbettando. Nadir s’infastidì. “Risposta sbagliata” disse prima di far scattare il collo del ragazzo di lato e affondare i denti nella pelle lattea e sottile. Gli altri due erano paralizzati dall’orrore, mentre il ragazzo sotto i suoi denti urlava dal dolore. Il sangue schizzò nella sua bocca e sul pavimento, caldo, pulsante di vita, delizioso.

 

“Mi fai paura!” disse Luke, rabbrividendo. Io mi misi a ridere. “Te l’ho detto, che è dark. Io non sono solo una tenera bambina.”

“Ma la parte vampira mi spaventa!” fece lui. “Non reggo bene questo tipo di libri” aggiunse poi. “Mi dispiace per te, perché io lo adoro” risposi ridacchiando. Poi mi ricordai di dover cercare la pagina tre e sbuffai, guardandomi intorno nel marasma di fogli che mi circondavano. “Aiuto” sussurrai. Luke capì e si lasciò scappare un risolino.

 

Un quarto d’ora dopo, decidemmo di scendere. Appena arrivammo, vedemmo Ashton al telefono, con aria assorta, mentre prendeva appunti. “Ok, ci saremo” fece poi, prima di chiudere la telefonata. “Allora?” chiese Carol, al suo fianco. Ashton esultò prima di abbracciarla. “Che ci siamo persi?” chiesi. “Luke, scalda la voce, dobbiamo provare il nostro repertorio! Fra una settimana c’è un concorso, una guerra fra band, e ci saranno molti manager che potrebbero lanciarci in alto!” fece. Luke ed io rimanemmo a bocca aperta. “Stai scherzando, vero?!” chiese lui. Ashton scosse la testa. Aveva gli occhi troppo luminosi, il sorriso troppo sincero, per essere una presa in giro. Sentimmo dei passi veloci al piano di sopra, che preannunciarono Manuela, Michael, Calum e Madison. “Cos’è questa storia?!” chiese Manuela. Ashton spiegò loro tutto e i quattro lanciarono ovazioni entusiaste. “Andiamo a casa, allora! Che ci facciamo ancora qui?!” fece Michael. “Posso venire anche io?” chiesi, implorante. Loro mi guardarono indecisi. “Quanto manca allo scontare della pena?” chiese Calum. “Tre giorni” rispose  Luke. “Forse non ti farebbe bene tornare alla vita normale di colpo…”

“Quindi si potrebbe iniziare a farti uscire…”

Io esultai, felice. Corsi di sopra a mettermi le scarpe e fui di sotto in dieci secondi, mentre loro iniziavano ad andare in macchina. Nel giro di un quarto d’ora fummo a casa dei ragazzi. Mi ricordai subito la prima volta in cui ci ero stata, subito dopo il primo concerto cui avevo assistito dei ragazzi. La prima volta che rivedevo Luke dopo quattro mesi.

Adesso, la prospettiva di quattro mesi lontano da lui mi avrebbe ucciso.

Appena superai la porta, vidi Pericle scappare. “Che gatto autistico!” commentò Ashton. Ridacchiammo, mentre i ragazzi andavano a prendere gli strumenti.

 

Esattamente una settimana dopo, avrei ucciso chiunque mi fosse capitato sotto tiro. “Carol!” urlai. “Cosa c’è?!” mi chiese lei, da camera sua. “Il vestito nero!”

“Non so dove sia!”

“L’hai fatto te, il bucato!”

“Sono passati mesi da quando l’hai usato!”

“Voglio sapere che fine ha fatto il mio vestito preferito!”

“Non ne ho idea!”

“Carol!”

“Coralie!”

“Zitte!” intervenne Manuela, esasperata. “State facendo venire un esaurimento nervoso a me!” aggiunse. “L’esclusiva sugli esaurimenti nervosi ce l’ho io!” ribattei. Manuela mi zittì, buttandomi un mio vestito in faccia. “Mettiti questo e chiudi la bocca!” esclamò. Io sbuffai e osservai il vestito che mi aveva lanciato. “Dov’era?! Non lo trovavo più!” esclamai. Vidi Carol scappare e intuii la possibile risposta di Manuela, che non tardò ad arrivare: “Era nell’armadio di tua cugina.”

Se fossi stata un cartone animato, le orecchie avrebbero iniziato a fumare. “Carol!” urlai. “Giuro che me ne ero dimenticata! L’ho preso in prestito solo una sera!” si difese lei. Non feci in tempo ad attuare la mia tremenda vendetta, che il campanello suonò. Ci guardammo allarmate. “Muoviti!” fece Manuela, chiudendomi in camera. Io mi tolsi la maglia in fretta e la buttai sul letto, mentre i pantaloni facevano la stessa fine. Mi stavo infilando il vestito quando la porta si aprì, rivelando Luke. Lanciai un piccolo urlo e lui chiuse subito, balbettando scuse insensate, viola dalla vergogna. Finii di infilarmi le spalline e sbuffai, avevo bisogno di una mano per la cerniera. “Luke?” chiamai. “Posso entrare?” mi chiese lui. Io confermai e lui aprì lentamente la porta, lo sguardo basso, la testa affondata nelle spalle. “Mi dispiace, non pensavo che…” iniziò. Io lo zittii con un piccolo bacio. “Non preoccuparti. È capitato, punto” sussurrai. Lo vidi sorridere piano, ma nei suoi occhi c’era ancora senso di colpa.

A volte, questa mia capacità mi faceva vedere cose di cui non avrei voluto accorgermene.

Non sapevo se considerarlo più un bene o un male.

“Mi aiuti con la cerniera?” chiesi, voltandomi. Lui annuì e chiuse la zip, fredda al contatto con la mia pelle. Poi, senza dire niente, mi abbracciò da dietro. Io rabbrividii, sapeva quanto quel gesto mi mandasse fuori di testa e non esitava a sfruttarlo a suo vantaggio. Se mi avesse baciato sul collo, mi sarei sciolta.

Quasi avesse letto il mio pensiero, mi posò le labbra poco sotto il lobo dell’orecchio. Poi risalì, fino a sussurrare le parole di una canzone:

 

‘Cause on the street, or under the covers

We are stuck like two pieces of Velcro

At the park, in the back of my car

It doesn’t matter what I do,

No, I can’t keep my hands off you.

 

Io sorrisi piano, voltandomi fino ad incontrare le sue labbra morbide. Ogni bacio con lui era un assaggio di paradiso, in cui il tempo si fermava ed eravamo solo noi. Amavo sentire il sapore delle sue labbra, avevo imparato ad amare anche il suo piercing e il modo in cui mi mordicchiava piano quando voleva approfondire. Amavo quando le nostre lingue si intrecciavano in quella che molti definivano una battaglia, ma che io preferivo chiamare danza, perché in essa non c’era voglia di prevalere, solo intrecci dolci, infinitamente dolci e delicati.

Avrei voluto dirgli tutto questo, ma dalle mie labbra sfuggì solo un: “Ti amo.” Lui catturò immediatamente le mie labbra, lasciandomi a malapena il tempo di riprendere fiato, ma lo sentii sorridere nel bacio.

Avremmo continuato così per molto tempo, se non fosse stato per Madison, che ci ricordò – col fiatone per la corsa – che eravamo in ritardo per la competizione.

Guastafeste.

 

Arrivammo al locale adibito a campo di battaglia. Era grande, poteva contenere molte persone, a mio parere. I ragazzi entrarono dal retro, mentre noi fummo costrette a rimanere in fila per entrare.

“Questa coda non l’ho vista nemmeno con i saldi al centro commerciale!” si lamentò Carol, innervosita dagli spintoni che riceveva ogni istante. “Tranquilla, manca poco” disse Madison, accomodante. In effetti, davanti a noi c’erano solo cinque persone, ma il tizio alla cassa sembrava davvero incompetente. “Quante ore ci vogliono per battere uno scontrino?!” chiese Manuela, esasperata. Io preferii rimanere in silenzio. “Per me, Coco è più agitata dei ragazzi!” fece Carol, ridacchiando. “E dai, non potete biasimarmi! È un’occasione unica per loro!” mi difesi. Aveva ragione, ero tesa. Se avessero trovato qualcuno disposto a sponsorizzarli? Cosa sarebbe successo, poi?

Passò ancora un quarto d’ora e finalmente riuscimmo ad entrare. Inutile dire che non c’era un posto libero nemmeno a pagarlo. Optammo così per stare in piedi sotto al palco, mentre degli operatori lavoravano per sistemare i diversi strumenti. Non avendo niente da fare, mi ritrovai ad ascoltare le chiacchiere dei miei vicini. “Come si chiama, la band?”

“Let me love you.”

“Sembra il nome di una canzone…”

“L’hanno preso dalla loro prima canzone, appunto.”

“Si spiega tutto.”

“Sai chi è la cantante?”

“No.”

“La Vale!”

“Seria?!”

“Sì, e alla batteria Francesco.”

“Cantano cover?”

“No, solo originali.”

“Mi sembra che sia una regola, no?”

“Sì, si devono presentare  almeno cinque inediti.”

Io sorrisi. Ero curiosa di sentire questo gruppo, più che altro perché mi aveva ricordato la prima liceo. Non riuscivo a capire da che parte venissero le due voci, ma la prima mi era stranamente familiare. Non ci feci caso, molte volte il mio udito si sbagliava.

In pochi minuti, il presentatore iniziò a elencare i nomi delle band, in ordine. Ce n’erano di improponibili: i “Frappé alla fragola”, ad esempio. Per poco non mi misi a ridere. Agli ultimi, sentii i “5 seconds of summer” e sorrisi. Dopo di loro, venivano i “Let me love you”. Su uno schermo vennero presentati i turni ad eliminazione e sentii un insensato moto di sollievo nel notare che il gruppo dei ragazzi e i “Let me love you” erano in due gironi diversi. Non so perché, ma la curiosità verso quest’ ultimo gruppo mi faceva desiderare che arrivassero in finale. Ovviamente, contro i 5 seconds of summer. Potevo essere incuriosita al massimo, ma avrei tenuto sempre per loro.

Finalmente, arrivò il turno dei ragazzi. feci cenno a Luke di avvicinarsi e lui si chinò, in ginocchio. “Cosa cantate?” chiesi. “Amnesia” mi rispose. Io sorrisi incantata, ero innamorata di quella canzone, nonostante fosse dannatamente triste. “E le altre quattro?”

Wherever you are, Heartbreak girl, Good girls e She looks so perfect.

“Mi vuoi morta?!”

“No, ma dobbiamo fare colpo su i possibili manager, quindi ci andiamo giù pesante con le canzoni migliori.”

“Mi pare logico.”

“Adesso torna lì, che ci guardano tutti male.”

“Mi raccomando!” esclamai, dandogli un bacio sul naso e tornando al mio posto.

Sentii che presentavano il gruppo e la canzone, poi mi persi nelle dolci note della canzone.

Quando iniziò il ritornello, mi sentii sciogliere.

 

I remember the day you told me you we’re leaving

I remember the make-up running down your face

And the dreams you left behind, you didn’t need them

Like every single wish we ever made

I wish that I could wake up with amnesia

And forget about the stupid little things

Like the way it felt to fall asleep next to you

And the memories I never can escape

‘cause I’m not fine at all

 

Casualmente, le mie orecchie captarono di nuovo i commenti delle due che parlavano prima: “Sono davvero bravi.”

“Già, e poi il cantante è anche carino!”

“Scusa?”

“E dai, non dire che non è vero!”

“Mi dispiace per te, ma sono già fidanzata.”

Mi venne da pensare un: “Meglio per te.” Nessuno poteva anche solo osare di pensare quelle cose. Luke era proprietà privata. Improvvisamente, sentii un moto di gelosia. Mi ripromisi di parlarci, se avessero fatto ancora quei commenti.

Quando finì la canzone, si scatenarono gli applausi. Vedevo i volti radiosi dei ragazzi ed ero felice per loro, mentre battevo le mani. “Adesso tocca al mio patato!” esclamò di nuovo la voce che prima aveva detto di essere fidanzata. Vidi salire sul palco quelli che dovevano essere i Let me love you e rimasi a bocca aperta.

“Ma quella non è Valentina?!” esclamò Manuela, arpionandomi il braccio. “E l’altro è Francesco, quello della B!” convenne Carol. Io improvvisamente mi voltai verso le due voci, facendomi largo tra la folla. Forse avevo capito a chi apparteneva una delle due.

Infatti, mi ritrovai faccia a faccia con Giorgia.

“Giorgia!” esclamai, entusiasta. Lei mi guardò un attimo prima di sgranare gli occhi. “Coco!” fece, abbracciandomi. “Giorgia, chi è?” chiese la seconda voce. Mi voltai verso di lei, non la conoscevo. Era alta, i capelli tinti di platino, la pelle abbronzata, gli occhi truccati pesantemente. “Eravamo compagne di classe al liceo prima che cambiassi indirizzo. Piacere, mi chiamo Coralie” dissi, con una nota di freddezza che non doveva essere notata se non dall’altra. I commenti che aveva fatto su Luke mi avevano fatto diventare molto fredda, nei suoi confronti, ancora prima di conoscerla. “Elena, piacere” rispose lei. Nello stesso momento, da qualche parte sbucò Luke. “Eccoti qui!” mi disse, circondandomi la vita con un braccio e stampandomi un bacio sulla fronte. Io guardai con la coda dell’occhio Elena, palesemente disturbata da quella scena. “Gio, vado a prendere da bere” disse, prima di sparire. Brutta bestia, la gelosia. Mi venne in mente che Giorgia odiava quel soprannome.

Giorgia mi guardava sorpresa. “Hai capito a Coco?” commentò, facendomi ridere. “Giorgia, lui è Luke. Luke, Giorgia” dissi. I due si strinsero la mano con sorrisi cordiali, al contrario di me ed Elena. “Prima non ho potuto fare a meno di ascoltarvi. Chi è il tuo patato?” chiesi poi. La vidi riempirsi d’orgoglio e indicò Francesco. “Davvero?!” feci. Lei annuì entusiasta e io l’abbracciai, ricordando tutti i mesi di appostamenti fatti per quel ragazzo.

 

“Coco, non c’è! Non c’è!”

“Tranquilla, vedrai che arriva!”

“Non c’è!” fece Giorgia, urlando a bassa voce. Eravamo contro i due stipiti della porta della nostra classe, aspettando che Francesco passasse. Era l’unico modo per arrivare alla sua classe. “Vuoi che andiamo a vedere l’orario?” chiesi. Lei annuì e attraversammo il corridoio, non ottenendo nessuna risposta in più. Stavamo tornando in classe, mentre lei diceva una marea di “No!” disperati, quando le toccai un braccio. “Giorgia” feci solo, a bassa voce. Lei seguì il mio sguardo e sbarrò gli occhi. “Merda, no, no, no!” fece, mentre io mi trattenevo dal ridere: era di fronte a noi, con i suoi amici, che ci guardavano come a chiedersi se stessimo male. Davvero, stavo per scoppiare.

 

“Coco, levati dalla porta!” esclamò frettolosa. “Sta passando” dedussi ridacchiando. Lei annuì sorridendo incantata, mentre io mi toglievo dalla traiettoria. In quel momento, entrò il prof, che chiuse la porta. “No, prof! La prego!” fece a bassa voce Giorgia.

 

“Claudia, sapresti il nome di questo ragazzo?” chiesi, mostrandole il cellulare di Giorgia. “Sì, è Francesco, della B” rispose lei dopo un attimo. Vidi Giorgia sorridere imbambolata, avevamo orario e nome, le piccole stalker che erano in noi avevano fatto passi da gigante in un’ora.

 

“Come vi siete conosciuti, allora??” chiesi. “Ti ricordi la crociera??” mi chiese. Io annuii, si riferiva alla vacanza di prima liceo. “Ecco, c’era anche lui! E casualmente – sottolineiamo casualmente – continuavo ad incontrarlo…” dal modo in cui lo disse, intuii che non era affatto casuale. Mi venne da ridere. “Ad un certo punto, eravamo al bar, volevo prendere qualcosa di freddo perché faceva troppo caldo. Lui si è avvicinato e mi ha offerto da bere, dicendo di avermi già vista da qualche parte. Io gli ho spiegato di essere della sua stessa scuola e lì abbiamo iniziato a parlare, non abbiamo smesso per tutto il pomeriggio, davvero! La sera mi ha chiesto di cenare con lui. Da lì è partito tutto ed eccoci qui!” spiegò trepidante. Io l’abbracciai, ero davvero felice per lei. Fummo interrotti dalla presentazione della loro canzone, chiamata I’m in love with you.

Vale cantava davvero bene, mi piaceva il loro stile. Erano bravi, forse una delle poche band serie in quel concorso. Il testo era la dichiarazione di una ragazza, costretta a vedere colui di cui era innamorata con una sbagliata, che non faceva altro che usarlo.

 

Why can’t you see the truth?

I’m in love with you.

 

Alla fine, applaudii, nonostante in teoria dovessi tenere per la band dei ragazzi. Mi voltai verso Luke e vidi che stava battendo le mani a sua volta. Questo mi fece sorridere. Sentii Giorgia avvicinarmi a lei e sussurrarmi: “Io ti ho spiegato come io e Francesco ci siamo incontrati. Tu però mi devi raccontare per filo e per segno della storia con Luke.” Io ridacchiai e annuii, prima di voltarmi verso di lei e vedere che Elena stava tornando indietro. Giorgia seguì il mio sguardo. “Fai attenzione. Ha messo gli occhi su Luke” mi disse. “Ho sentito, e deve solo provare ad avvicinarsi. Le raddrizzo quel profilo rifatto che si ritrova” feci a denti stretti. “Come mai frequenti una come lei?” chiesi poi. “È un’amica della sorella di Vale, che adesso è sul palco alla tastiera. Quindi mi si è attaccata addosso, e fidati, non è bello” fece torva. “Se avessi un modo per  separarti dall’arpia, verresti con me?” chiesi. Lei annuì in fretta, facendomi ridere. Le presi una mano e la portai da Carol e Manuela. Eravamo meglio di un trio di mastini, contro le ragazze come Elena.

“Giorgia!” urlò entusiasta Manuela, gettandogli le braccia al collo, imitata da Carol. Vidi Elena avvicinarsi e ci scambiammo un gesto d’intesa. “Gio, vieni fuori? Devo fumare una…”

“Giorgia è occupata, non vedi?”

“Penso abbia di meglio da fare che farsi soffiare fumo nei polmoni da un individuo come te” fecero Carol e Manuela. Elena le guardò a bocca aperta. “Mi state dando della ragazza facile?” chiese. Io ridacchiai, era cascata nella trappola. “Tesoro, non l’abbiamo mai detto. Sei tu che l’hai dedotto. La coda di paglia fa brutti scherzi, eh?” fece Madison. La guardammo stupita qualche secondo, prima di tornare a fissare Elena, che era diventata paonazza. Quando se ne andò, furiosa, mi voltai verso Madison. “Primo, complimenti. Secondo, mi hai rubato il ruolo!” feci. Lei si mise a ridere. “Scusate, ma mi aveva già innervosito quando era venuta qui ancheggiando come se non avesse articolazioni. Se lo meritava!” disse. Giorgia esultò. “Mi avete liberata dall’arpia! Io vi amo!” esclamò. Vidi Luke che si scriveva qualcosa sulla mano. “Che fai?” chiesi curiosa. Lui mi porse il palmo, dove c’era scritto a caratteri cubitali: “Appunti. Attenzione! Mai mettersi contro Coco, Carol, Manu e Maddy.” Mi misi a ridere e lo abbracciai. Sentii la borsa vibrare e tirai fuori il cellulare. Messaggio da Giorgia: “Se adesso non esci con lui, non ti parlo più.” Ridacchiai e mi voltai verso di lei. Vidi che stava indicando l’entrata del locale con aria truce, imitata dalle ragazze. “Ho come l’impressione che vogliano farci uscire” sussurrò Luke. “Almeno uno di voi due l’ha capito!! Fuori di qui!” fece Madison. Noi ci mettemmo a ridere, per poi sgattaiolare fuori, dall’uscita sul retro. Lui sospirò di sollievo quando respirammo l’aria fresca della sera. “Si soffocava, lì dentro!” dissi. Lui annuì e mi abbracciò alle spalle. “Scusa, è più forte di me” mi disse, prima di baciarmi piano sotto il lobo dell’orecchio. Io intrecciai le nostre mani, non  potendo fare altro. “In che senso, è più forte di te?” chiesi poi. “Nel senso che non riesco a starti lontano” sussurrò.

Ciondolando da  un piede all’altro come pinguini, ci sedemmo su un muretto che delimitava un prato. O meglio, lui si sedette sul muretto, io sulle sue gambe. Cercai le sue labbra immediatamente, ma lui mi bloccò. Mi fece segno di rimanere in silenzio e di nascondermi dietro al muretto, con un sorriso da complotto. Io seguii il suo sguardo e vidi Michael e Manuela avvicinarsi, mano nella mano. Il mio passatempo preferito? Oltre che a stare con Luke, ovviamente, era spiarli. Mi buttai dietro il muretto stile balenottera azzurra e vidi Luke che si sforzava di non ridere mentre mi seguiva. “Coco! Attenta al vestito bianco!” mi fece poi a bassa voce. Io guardai a terra e notai di essere ad un centimetro da una pozza di fango. Sospirai di sollievo per averla evitata.

Michael e Manuela si sedettero dove eravamo noi prima e noi ci trattenemmo dal ridere, di nuovo, poiché sarebbe bastato loro voltare di un millimetro la testa per vederci. Quest’aria di pericolo rendeva il tutto ancora più divertente.

Decisamente avevo dei precedenti come spia, e anche Luke.

 

Erano passati una decina di minuti, in cui loro non avevano fatto altro che coccolarsi e noi spiarli e concentrarci per non ridere. Improvvisamente, Luke sbiancò. Mi fece segno di stare in silenzio e indicò un punto di fronte a me sul muretto. Io, perplessa, seguii il suo sguardo e mi sentii morire. Ad un centimetro dal mio naso c’era un ragno enorme.

Lanciando un urlo spaventoso, saltai lontano dal muretto, correndo per un paio di metri e passandomi le mani sulle braccia, quasi sentissi quell’aracnide schifoso zampettarmi allegramente addosso. Manuela e Michael si presero un infarto come minimo e Luke corse verso di me. “Toglimelo di dosso!” feci isterica. “Coco, non è su di te!” rispose, prendendomi i polsi e obbligandomi a calmarmi. “Si può sapere che ci fate qui?!” esclamò Manuela, ancora col fiatone per lo spavento. In quel momento mi ricordai che non dovevamo farci vedere.

Ops.

“Ehm, niente, avevo perso un orecchino.” Tentai. Già dal mio tono si capiva che era una scusa. “Da quanto tempo cercavate questo orecchino?” fece lei, virgolettando l’ultima parola. Io mi esibii in un’espressione che aveva da invidiare solo l’aureola ad un angelo.

“Ragazzi, tocca a voi!” fece la voce di Madison, dalla porta. Io e Luke ne approfittammo per dileguarci in fretta e furia. Passandole di fianco, ringraziai la nostra salvatrice in abito color confetto.

“In bocca al lupo, pinguino!” gli dissi, prima che lui salisse sul palco. “Crepi, piccola!” rispose dandomi un bacio sul naso. Io sorrisi, tornando al mio posto.

La serata era appena iniziata, e già avrei voluto non finisse mai.


*Angolo autrice*

 

Erin Sanders as Valentina

Alexis Bledel as Giorgia

Alex Pettyfer as Francesco

Il vestito di Coralie, Madison, Giorgia e Valentina (quelli di Manuela e Carol sono gli stessi del primo capitolo)

 

Ero indecisa su quale canzone dovesse essere il tema di questo capitolo, quale scegliere fra can’t keep my hands off you e they don’t know about us. Alla fine ho scelto la prima, ma solo perché la seconda la voglio tenere per un capitolo speciale.

Grazie a tutti quelli che hanno recensito, messo la mia storia fra le preferite/seguite/ricordate o semplicemente sono arrivati fino a qui, mi dileguo

Ranya

  
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