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Autore: hollowlord69    12/06/2014    1 recensioni
Qualcuno a cui il Cavaliere oscuro tiene molto è in grave pericolo. Per salvarlo, Batman avrà bisogno dell'aiuto del suo peggior nemico.
Peccato che Joker sia misteriosamente scomparso.
Azione,mistero e colpi di scena nella mia primissima fanfic.
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Harley Quinn, Joker, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si era allontanato parecchio dall’Iceberg Lounge.

La zona in cui sorgeva il club non era delle migliori ma era sicuramente meno malfamata e fuori mano di quella in cui Bruce si trovava in quel momento.

Tra i recessi più oscuri e soffocanti di Gotham, dove le peggiori bestie della città nascevano, venivano vomitati nella società pronti a corromperla e a devastarla e poi tornavano a nascondersi.

Era davanti ad un edificio basso, sporco e cadente, in un vicolo stretto e maleodorante come la gola di un qualche gigantesco, mostruoso animale.  

In quell’ambiente asfittico e cupo, a cui da anni si era abituato, Batman fece qualcosa che decisamente non era da lui.

Qualcosa che in quell’ambiente non poteva permettersi e sarebbe stato sciocco e imprudente fare.

Entrò dalla porta principale.

Chiunque avrebbe evitato una possibilità simile visto chi stava per incontrare. Ogni volta che Bruce indossava la maschera la porta d’avanti non la guardava mai e le poche volte che lo faceva era quando decideva di togliere di mezzo i gorilla che solitamente la sorvegliavano.

Ma lì non ce ne erano.

L’ingresso era libero.

E, come scoprì Bruce, anche l’interno dell’edificio lo era.

L’analisi che i sensori del suo cappuccio avevano fatto una volta entrato non rivelava alcuna presenza umana. Eccetto una.

Era lì da solo.

Il perché era un mistero persino per il più grande detective del mondo.

Anche se quasi sempre riusciva ad anticipare le mosse dei più folli criminali di Gotham non riusciva mai a capire appieno i processi delle loro menti contorte. E, purtroppo, la mente di quell’unica persona presente in quell’edificio era tra le più contorte in assoluto.

Dire che agiva per istinto era sbagliato, ma lo era anche dire che era la sua mente a governare le sue azioni.

C’era qualcosa di più grande e distorto che lo muoveva, qualcosa che egli odiava e venerava al tempo stesso.

Qualcosa in nome del quale era pronto a compiere i peggiori delitti.

Aveva attraversato un lungo e stretto corridoio scarsamente illuminato per poi salire da una scalinata fino al piano superiore.

Come previsto non incontrò nessuno.

Si fermò in una piccola stanza dalle pareti sudice e umide. All’interno c’era solo un vecchio biliardo dal tessuto ingrigito e vecchio.

Vecchio ma non in disuso.

Le palle erano sparse sulla moquette del piano,lucide, e c’era un stecca appoggiata al tavolo con la punta ingessata di fresco.

I sensori del cappuccio avevano percepito la presenza di chi stava cercando, ma non era in grado di dire dove si trovasse esattamente.

E così si mise al centro della stanza, vicino alla finestra, e attese.

Era il solo modo per far uscire allo scoperto il suo ospite.

Era come braccare un animale selvaggio. Un predatore che diventava preda.

Anni fa non avrebbe mai pensato che avrebbe dato la caccia a quell’uomo.

Anni fa si fidava di lui.

Ma adesso di quell’uomo non ne era rimasta neanche la metà checché ne dicessero in giro.

Adesso anche quell’uomo un tempo virtuoso si rintanava nelle tenebre di quei luoghi maledetti.

Ma Bruce non aveva dimenticato gli anni in cui erano stati amici.

E non aveva dimenticato la sua voce.

“Non muoverti”.

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Bastò che la voce gli desse quell’ordine perentorio e lui si rannicchiò contro la roccia alle sue spalle.

Non muoverti.

Ormai aveva chiaro che l’unico modo per sopravvivere era darle ascolto alla lettera e in qualunque circostanza.

E in circostanze come quella, ascoltare i suoi preziosi consigli era l’unica cosa sensata da fare.

L’unica cosa sensata in quel luogo totalmente insensato.

Perché solo in luogo insensato potevano spuntarti montagne e rocce sotto i piedi  all’improvviso in un deserto.

Solo in luogo come quello potevi perderti in un intero canyon spuntato chissà come dal nulla.

Solo in un luogo come quello potevano esistere quegli esseri.

Li aveva visti mentre cercava di farsi strada tra le grigie e imponenti pareti di roccia.

Casualmente aveva alzato lo sguardo verso il cielo cupo e plumbeo e aveva notato due macchie che svolazzavano in modo disordinato a svariati metri di altezza dal suolo.

D’un tratto erano scesi in picchiata e aveva potuto scorgerli un po’ meglio.

Fu solo un’occhiata fugace poiché subito dopo la voce gli aveva ordinato di nascondersi velocemente dietro una parete la parete di roccia più vicina e di non emettere un fiato.

Eppure era bastato quel solo sguardo a terrorizzarlo.

“Che diavolo sono?!”

Zitto.

“Ma…”

Non dire più nulla. Loro non possono sentirmi perché solo tu puoi  comunicare con me. Ma basterà che tu pronunci una sillaba e ti saranno subito addosso.

Sono uno degli innumerevoli ostacoli che troverai a dividerti dalla salvezza. Ti aspettano sofferenze atroci ed eterne se cadi nelle loro mani. Finchè non li avrai seminati non dovrai aprire bocca.

Non temere, basta che tu faccia ciò che ti dico come sempre. Non lascerò che ti prendano.

Lui ascoltò, facendo attenzione a tenere la bocca ben serrata nonostante il fiume di domande che lottava per straripare dalle sue labbra.

Alzati lentamente. Vai a destra,poi a sinistra, poi ancora a destra, poi sempre dritto fino a quando non ti dirò di fermarti.

Si rimise in piedi lottando contro la paura che gli paralizzava le membra.

Si allontano dall’apparentemente sicuro rifugio che aveva trovato, seguendo il percorso che gli era stato detto.

Destra…

Svoltò tra le pareti di roccia con ansia crescente come se da un momento all’altro avesse dovuto incontrare quegli esseri.

Sinistra…

Se Lei gli imponeva di essere così cauto significava che non erano solo di passaggio. Erano lì nel canyon e lo cercavano. Ma perché?

Ancora destra…

Perché proprio lui? Perché in quel luogo strano e spaventoso? Perché senza alcun ricordo della sua vita prima di risvegliarsi in quel luogo dimenticato da Dio?

Perché non ricordava neanche cosa fosse un dio? Perché riusciva a pensare queste strane parole senza nemmeno ricordarne il significato? Perchè…

FERMO!

Si bloccò all’istante come fosse stato incatenato al suolo.

Sei andato troppo avanti! Torna subito indietro e gira a destra appena te lo dico, presto!

Si voltò e fece il percorso a ritroso. Al segnale della voce, girò a destra.

C’era una sorta di grande e piuttosto ripida scalinata rocciosa davanti a lui.

Capì cosa doveva fare senza che neppure la voce parlasse.

Eppure, anziché iniziare subito a salire, si voltò dando le spalle alla salita. Aveva sentito come un impulso, un riflesso, un presentimento, un brivido lungo la schiena che lo aveva convinto a girarsi.

Fu grazie a quel non so cosa, che lo vide.

Era alto quanto lui pur avendo la schiena gobba e curva in avanti.

La corporatura asciutta e atletica. Indossava un consunto e sporco completo blu scuro con cravatta e un cappello a tesa larga e sottile. Sarebbe potuto sembrare un elegante ed eccentrico uomo d’affari o un ricco avvocato, se non per qualche piccolo particolare.

Tipo il volto verdastro e deforme dalle labbra gonfie da cui spuntava una chiostra di denti acuminati. O le tozze ali squamose che gli spuntavano dalla schiena. O gli occhi giallo brillante senza pupille che lampeggiavano spettrali.

Vedendolo ebbe quell’attimo di preavviso necessario per gettarsi sulla scoscesa parete rocciosa riuscendo per un pelo a sfuggire agli artigli della creatura che, spiegate le ali, si era gettata ringhiando su di lui.

E in tutto questo l’unica cosa che gli passò per la tesa fu una domanda.

Che accidenti è un avvocato?

La paura lo aveva animato di una forza quasi sovrumana, vista la velocità e l’agilità con cui si arrampicò sulla pietra ripida e irregolare.

Non osava voltarsi indietro. Gli bastava tendere bene le orecchie per sentire i movimenti del suo sinistro inseguitore alle sue spalle.

Arrivò in cima alla parete rocciosa senza neanche accorgersene.

La parte superiore di essa continuava davanti a lui simile a una lunga strada brulla e rozza.

Scattò in avanti senza neanche pensarci. Altri ringhi dietro di lui lo fecero correre ancora più velocemente fino ad arrivare al limite della strada. Dopo di essa v’e n era un'altra che non era altro che la sommità di un’altra parete di roccia.

Saltò il breve spazio vuoto che le separava, atterrando dall’altro lato con una precisione e una velocità che lo spinsero a chiedersi se in realtà non fosse stato un atleta prima di finire lì.

Poi ovviamente si chiese cosa diavolo fosse un atleta.

Ma fu ciò che vide mentre saltava che lo stupì veramente.

Le pareti di roccia si erano avvicinate l’una all’altra così che le loro cime, tutte della stessa altezza, formavano una sorta di immenso labirinto.

Lei gliel’aveva detto. Anche lo spazio che lo circondava era suo nemico. Ragionava da sé, come un’enorme sconfinata bestia malefica.

Continuò a correre saltando da una parete all’altra senza nemmeno sapere dove andava.

“Dove devo andare? Che devo fare? Qual è la direzione?” gridò al vento.

“Ehi mi senti?”

Nessuna risposta.

Un’ombra oscura gli passò davanti e all’improvviso il mostro gli atterrò  di fronte.

Si fissarono per qualche secondo.

“C-chi sei? Che vuoi da me? Sai chi sono io?”

Per tutta risposta il mostro allargò i lati della bocca ed emise uno strano brontolio intermittente.

Rideva. Rideva di lui.

Per un attimo fu tentato di riprovare a parlargli, ma quando lo vide gettare la testa all’indietro, facendo  cadere il cappello, e lanciando un selvaggio ululato al cielo grigio, decise che darsela a gambe senza meta era una scelta migliore di cercare di intavolare una conversazione con lui.

Continua a correre.

“Ah eccoti! Meno male che non dovevi abbandonarmi! Cos’è avevi paura di quella specie di demone?”

Sputò rabbioso in direzione del vuoto.

Io ero con te. Lo sono sempre. Solo che tu non eri ancora in pericolo.

“Non ero in pericolo?! Un’orripilante mostro alato mi insegue per condannarmi a, ti cito testualmente,  sofferenze atroci ed eterne  e non sarei in pe… ”

Si voltò di scatto, senza smettere di correre.

Il mostro non lo inseguiva più.

Era rimasto indietro per raccogliere il cappello che gli era caduto ed era ancora intento a spolverarlo con cura e attenzione (per quanta gliene permettessero le mani tozze e artigliate).

Ma non ebbe il tempo di chiedersi il motivo di quel gesto. La strada rocciosa declinò repentinamente e lui si ritrovo a scivolare, chiappe a terra, su una sorta di scivolo di pietra.

Ruzzolò a lungo senza riuscire a fermarsi, la strada diventava sempre più ripida e lui scivolava sempre più veloce…

Infine piombò in un buco oscuro e stretto che lo inghiottì per intero.

Quando la maggior parte dei suoi muscoli smise di pulsare di dolore, si rese conto che il buco non era molto profondo. Avrebbe potuto arrampicarsi e uscire fuori prima che…

Resta lì. Ora sei in pericolo.

“Ma davvero?! E come ti è venuta questa brillante intuizione?”

Lei non disse niente. Non ne ebbe bisogno. Dalla fessura frastagliata del buco arrivò la risposta.

Il mostro volava in picchiata verso la cavità e accanto a lui c’era un altro mostro; più massiccio e alto con indosso calzoni strappati e un vecchio giubbotto di pelle. I loro occhi lampeggianti erano sempre più vicini.

Resta fermo.

“Ma che stai dicendo?! Devo uscire da qui! Devo…”

Resta fermo.

“No! Stanno arrivando! Fa qualcosa!  Ti prego! NOOOO!”

Le sue urla  furono coperte da un altro suono.

Uno stridio penetrante che fece tremare la roccia.

Il verso più orribile che avesse mai sentito.

I mostri si fermarono a mezz’aria. Si scambiarono un’occhiata sbigottita e confusa.

Il verso risuonò di nuovo, più forte e agghiacciante di prima.

I mostri volarono via.

Rimase in quel buco per parecchi secondi, incapace di credere a ciò a cui aveva assistito.

Ora puoi uscire.

Obbedì senza proferire verbo.

Non appena fu fuori, per l’ennesima volta, rimase stupito.

Il terreno era tornato ad essere il deserto di prima. Piatto e senza la minima irregolarità.

Ed era scesa la notte. Una notte oscura e tenebrosa senza luna né stelle.

Mi pare di aver capito che non riponi in me la fiducia che speravo.

“Non è questo…è solo che…ho…io ho…”.

Hai paura. Ed è comprensibile. Questo posto non può suscitare altro sentimento se non questo.

Ma, come ti ho già detto, tu hai Me dalla tua parte. Quando sarai  davvero in pericolo io ti dirò cosa fare per salvarti. L’unica cosa che voglio è che ti fidi di me. Puoi farlo?

Lui annuì, con aria colpevole.

Ok. Scusa se ti ho fatto spaventare, era l’ultima cosa che volevo.

Era di nuovo dolce e soave come prima che apparissero i mostri. Si sentì più tranquillo.

Ora rientra nel buco.

“Nel buco?”.

Sì nel buco. Ciò che ha scacciato quegli esseri è ancora più pericoloso di loro. Devi nasconderti da lui a qualsiasi costo.

Approfittane per riposarti. Ti dirò io quando ripartire.

E così rientrò nel buco.

Nascosto più in fondo che poteva, nel buio.

Ad attendere che la sua unica guida e garanzia di salvezza gli dicesse quando ripartire.

E lì, sepolto nelle tenebre e nella roccia, le forze lo abbandonarono cedendo il posto ad un sonno dolce, senza sogni e pieno di vuota tranquillità, accompagnato da una sola frase bisbigliata un secondo prima che la sua coscienza si assopisse.

Sogni d’oro.

 

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Eccolo finalmente.

Come sospettava era bastato aspettarlo per qualche minuto prima che si facesse vivo di sua sponte.

E, sempre secondo i suoi sospetti, era armato.

Un tempo anziché puntargli la pistola contro come faceva in quel momento sarebbe andato ad abbracciarlo. E lui, come sempre, lo avrebbe rifiutato.

“Che ci fai qui?”

Bruce si prese un paio di secondi per rispondere. Doveva essere cauto con lui. Era sempre difficile dire cosa avrebbe fatto di lì a qualche istante, soprattutto conoscendo il suo metodo di ragionamento.

“Sarò breve Harvey. Devo chiederti qualcosa.”

 la parte sana della bocca di Dent si contorse in una smorfia infastidita “ Non usare quel nome con noi. Siamo solo Duefacce adesso.”

Già. Ormai del buon procuratore era rimasto ben poco.

La metà sinistra del corpo era ancora quella del vecchio Harvey. La chioma bruna curata, i lineamenti affascinanti e alteri e l’elegante abito bianco marmo parlavano ancora dei vecchi tempi, quelli in cui mentre Batman sfiancava i criminali con i suoi pugni, lui li finiva con la sue arti oratorie in tribunale.

L’altra metà del corpo, invece, provocava terrore e ripugnanza in chiunque la vedesse.

A Bruce provocava solo dolore. Il dolore di non essere riuscito a Salvare un amico dalla mafia prima e da se stesso poi.

Le ustioni coprivano tutto il lato destro della testa arrivando fino al collo. L’acido aveva martoriato la pelle fino a renderla vermiglia e deforme. In corrispondenza della guancia la carne era tirata e raggrinzita, cosicchè la bocca restava aperta, lasciando vedere i denti e i muscoli che la manovravano e che un tempo la usavano come arma contro la criminalità gotamita.

L’occhio sopra di essa era privo di palpebre e incapace di chiudersi. Sembrava una grossa bacca marcia e la pupilla, dilatata in mezzo all’iride azzurro pallido, sembrava un buco dal quale il verme che aveva divorato quel bulbo e fatto marcire il bel viso in cui era incastonato, si era intrufolato dando inizio alla follia.

“Ho bisogno di farti delle domande Harvey.” Continuò Bruce imperturbabile, ignorando  l’avvertimento dell’ex procuratore. “Basterà che tu mi risponda sinceramente e senza tralasciare dettagli e io sparirò da qui all’istante. E non dirò alla polizia dove possono trovare colui che un mese fa ha rapinato una delle più grandi banche di Gotham, uccidendo metà dei dipendenti e torturando l’altra metà.”

Duefacce lo fissò per qualche secondo. Poi sorrise.

Per un attimo parve che anche la metà straziata della sua bocca si stesse per piegare all’insù.

“Davvero un’offerta allettante Batman. Tu sì che sai come tentarci. Ma noi abbiamo un’idea migliore! Vale a dire svuotarti tutto il caricatore addosso, senza sentire una parola di ciò che hai da dire. Converrai anche tu che sarebbe la scelta più logica in questa situazione.”

Mentre parlava estrasse dal taschino la sua moneta.

La moneta da cui dipendeva ogni scelta di Duefacce. La moneta che aveva deciso il destino di tante persone,  innocenti o colpevoli che fossero.

Bruce non rispose. In effetti aveva davvero sperato che gli rispondesse senza fare storie.

Ma aveva previsto anche quell‘altra eventualità.

“Hai qualche ultima parola Cavaliere Oscuro?”

“Ho una cosa da chiederti.”

Dent smise di sorridere “Abbiamo detto che non vogliamo ascoltare le tue domande!”

“Mi sono espresso male.  Quello che volevo dire e che ho una proposta. Voglio proporti una scommessa.”

“Una…scommessa? Che vuoi di…FERMO!”

Bruce, che si stava togliendo la Bat-cintura, rimase immobile.

“Sta calmo. Non ho voglia di fare scherzi, sai che non sono il tipo. Fa solo parte del gioco. Se appena lancerai la moneta quella segnerà croce, potrai spararmi e io non opporrò resistenza. Se invece segnerà testa risponderai alle domande che ti farò. E non accetterò menzogne di alcun genere.”

Ora Duefacce sembrava sbigottito. Ciononostante, non fece domande, non fece nulla per impedirgli di togliere la Bat-cintura e quando Bruce gliela lanciò, la mano non armata la afferrò saldamente.

“E chi ci dice che non hai davvero in mente qualcosa di strano? Hmmm?”

“In quella cintura ci sono tutte le armi e i gadget che possiedo. Sono inerme senza quella, contro uno armato di pistola.”

L’occhio buono di Harvey rimase strizzato a fissarlo di sbieco per un pò, come se stesse valutando l’offerta.

Poi posò la pistola sul tavolo da biliardo accanto a lui e  un momento dopo la moneta già volteggiava in alto sopra la sua testa.

Bruce e Harvey la seguirono con gli occhi mentre cadeva.

Mentre decideva i destini di entrambi.

Atterrò con precisione nella mano di Dent senza emettere un suono.

 Nei secondi che seguirono, mentre Harvey studiava con interesse la sua mano per vedere il risultato del lancio, Bruce lo rivide com’era un tempo. Anche allora decideva così come agire in tribunale. La sua moneta era uno strumento di giustizia e un arma usata in difesa dei deboli e degli oppressi.

Poi Batman vide Duefacce ghignare e ritornò al presente.

Ora quella moneta voleva solo sangue.

E stavolta invocava il suo.

La pistola era di nuovo in mano a Dent e il suo posto sul tavolo da biliardo era stato preso dalla moneta “Mi spiace Batman, non avresti dovuto decidere di fare questo gioco con noi.”

Gli puntò la pistola contro. Il dito sul grilletto, pronto a far traboccare morte fuori dall’arma.

Il dito della mano destra di Bruce invece si era spostato sul suo bracciale sinistro, in cerca di un certo bottone.

Quando lo premette produsse solo un impercettibile bip.

La cintura in mano a Duefacce, invece, produsse una certa quantità di energia elettrica che folgorò il criminale.

Ora stava a Bruce tentare la fortuna.

Si lanciò rapidamente in avanti, urtando il tavolo da biliardo e spingendo Harvey contro il muro dove lo bloccò con un braccio sulla gola e una mano sul petto.

Dent  si divincolò ferocemente cercando di prendere la mira con la pistola per sparare al suo aggressore.

“Bastardo!! Abbiamo vinto noi! Il fato l’ha deciso!!”

“Guarda meglio alle mie spalle Harvey e vedrai che ti sbagli. Stavolta la vittima del fato sei tu.”

Harvey gettò un occhiata oltre Batman.

La moneta era caduta dal tavolo verde e sul pavimento brillava la faccia integra che segnava Testa.

La faccia della salvezza.

Dent smise di opporre resistenza e si afflosciò contro il muro, come se improvvisamente gli mancasse l’energia persino per stare dritto in piedi.

La pistola gli cadde di mano.

Il fato aveva parlato. Era sconfitto.

“E ora starai a sentire ciò che ho da chiederti. E che non ti venga neanche in mente di mentirmi. ”

Lui non lo guardò neanche. Sembrava sotto choc, come se avesse assistito a qualcosa di particolarmente spaventoso.

Bruce tentò comunque “Cosa sai della scomparsa di Joker? È vero che di recente hai incontrato Harley Quinn? Cosa vi siete detti?”

Harvey tornò improvvisamente a guardarlo. Nell’occhio senza palpebre una rabbia sconfinata. In quello integro, solo frustrazione.

“Non sappiamo granchè di Joker. Ma , sì, Quinn l’abbiamo incontrata. Aveva anche lei una strana richiesta, proprio come te.”

 

La moneta scintillava nella loro mano, incuneata tra pollice e indice e pronta per essere lanciata.

“Senti non vorrei essere inopportuna ma…è davvero necessario? Non ho mica tutta la sera sai?”

Alzarono lo sguardo. Quella mocciosa di Quinn li stava proprio seccando.

Era entrata nel loro nascondiglio all’improvviso e aveva cominciato a parlare di un  regalo per il compleanno di Joker e di come loro fossero delle persone gentili e giuste che le avrebbero sicuramente accordato ciò che aveva chiesto.

Come avrebbero voluto ucciderla in quell’istante.

Ma dovevano per forza aspettare. Era il fato a dover decidere.

“Sì è necessario. Ed è anche necessario che tu te ne stia zitta  altrimenti,  anziché cederti parte dei nostri uomini come ci hai chiesto, ti faremo saltare la testa immediatamente.”

Ovviamente non l’avrebbero mai fatto, ma questo lei non lo sapeva.

Quinn sbuffò e non disse altro, lasciando che lanciassero la moneta.

Maledetta. Si comportava come se già sapesse il risultato. Come se fosse sicura che le cose sarebbero andate per il verso giusto.

A dire il vero, aveva negli occhi una determinazione per lei insolita.

 Ma si illudeva. Nessuno poteva prevedere come il fato avrebbe agito.

O forse sì?

 

“Non sappiamo cosa ne abbia fatto Quinn dei nostri uomini Batman. Ma di una cosa siamo certi.

Qualunque cosa Joker abbia in mente, qualunque piano stia escogitando, tu non riuscirai a passarla liscia.

Ce lo sentiamo dentro. Questa volta è diversa dalle altre. Questa volta non ne uscirai vivo Cavaliere Oscuro!!”

Le ultime parole che Duefacce gli aveva rivolto, legato al tavolo da biliardo in attesa della polizia, erano la manifestazione verbale di gran parte delle sue preoccupazioni.

E se fosse stata tutta una trappola?

Se  fosse stato l’ennesimo piano diabolico di Joker per eliminarlo?

Non si poteva mai dare niente per scontato quando c’era lui di mezzo.

Ma poi Bruce vide davanti a lui Tim, ridotto a un vegetale per aver cercato di salvarlo, e Stephanie, triste e divorata dall’ansia, al suo capezzale. E i dubbi svanirono.

Saltò giù dalla finestra nella notte, ancora incerto su cosa il futuro gli avrebbe riservato.

Ma la ricerca doveva continuare.  

  
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