Indagini e porte chiuse
Quando,
la
mattina successiva, il sole sorse timidamente su El Fahim, Semir
dovette suo
malgrado cominciare a prendere in considerazione le ipotesi di Ben: Max
era
uscito la notte precedente e non era più tornato, avevano
provato a chiamarlo e
non aveva mai risposto.
Affacciatosi alla finestra, l’ispettore l’aveva poi
scorto nel piazzale, mentre
si allontanava velocemente in compagnia di quella che gli
sembrò la stessa
donna che avevano conosciuto sulla soglia della sede
dell’organizzazione del
traffico d’organi.
Era lui la talpa, d’altra parte era stato piuttosto chiaro
fin dall’inizio.
A quanto pareva Max Rieder si era liberamente preso gioco di loro e ci
era
riuscito anche fin troppo bene.
Sebastian
uscì soddisfatto dal comando della polizia criminale di El
Fahim, con un pezzo
di carta in mano che non smise di contemplare fino a quando non
raggiunse il
capo, Alex Bronte, nella hall dell’albergo.
Il commissario dell’LKA, non appena seppe del mandato,
esultò felice come non
mai, almeno in questo era riuscito a precedere quegli incompetenti
dell’autostradale. Era servito tempestare di chiamate il capo
della polizia,
Bronte aveva ottenuto esattamente ciò che voleva, un mandato
di perquisizione.
A questo punto doveva semplicemente passare all’azione, ma
prima si sarebbe
dovuto ben organizzare: lui e il suo sottoposto erano soltanto in due,
il che
era un po’ rischioso. Tuttavia mai sarebbe andato a chiedere
all’autostradale
di unirsi a lui, anche semplicemente per una questione di orgoglio, e
nemmeno
avrebbe chiesto aiuto alla polizia del luogo.
Non si fidava di quei turchi, nemmeno un po’. Gli avevano
detto che l’analisi
dei proiettili non era ancora terminata, quando il giorno prima avevano
garantito che sarebbe stata pronta per la mattina seguente.
Alzò le spalle disinteressato, si sedette sul comodo
divanetto beige
dell’ingresso dell’albergo con il suo sottoposto e
pensò.
Lui e Sebastian Fudger dovevano assolutamente organizzarsi per
l’irruzione alla
base del traffico d’organi e dovevano farlo in fretta.
Il
telefono di Ben squillò per l’ennesima volta in
quella piccola stanzetta
d’albergo che quella mattina sembrava somigliare
più ad un centralino.
«Sì, Jager.».
«Ben? Ciao Ben, sono Hartmut...».
«Hartmut!» esclamò il ragazzo
corrucciando la fronte e attirando l’attenzione
del collega accanto a lui «Ciao, cosa succede?».
«Ragazzi, ditelo che vi manca la mia presenza nelle
indagini!» esclamò il rosso
con orgoglio.
«Da morire Einstein, se qui va tutto a rotoli
d’altra parte un motivo ci
sarà!».
«E io ovviamente ho la soluzione ai vostri
problemi.».
Ben attivò il vivavoce e posò il cellulare sul
comodino, sempre più stupito
dalla telefonata del collega della scientifica.
«So che avete avuto qualche contrasto con Bronte, il
commissario dell’LKA, è
così?».
«Sì.» annuì
l’ispettore continuando a non capire dove l’altro
volesse arrivare.
«Ecco, io ho per voi una notizia buona e una cattiva, da dove
parto?».
«Da quella cattiva.» propose Semir, incuriosito.
«Bronte ha ottenuto il mandato di perquisizione per la base
del traffico
d’organi, ma questo l’avreste comunque scoperto da
soli più tardi.» spiegò
Hartmut «La notizia buona è che mi sono messo in
contatto con la polizia locale
di El Fahim, mi sono fatto spiegare per filo e per segno cosa fosse
successo e
loro mi hanno accennato di alcuni proiettili che probabilmente
sarebbero
risultati utili alle indagini. Allora io ho cominciato a porre
pressione su
questi poliziotti per saperne qualcosa di più e alla fine
sono arrivato
addirittura a “contrattare”: pensate un
po’ che solo ieri sera ho fatto...».
«Einstein, ti prego, taglia, non abbiamo tutto il
giorno!» lo redarguì Semir
come accadeva sempre quando il collega si dilungava troppo in infiniti
ed
inutili discorsi.
«In due parole, ho la copia delle analisi dei proiettili che
i colleghi turchi
mi hanno mandato via mail e non hanno ancora consegnato a Bronte e al
suo
ispettore.».
«Ma bene, fantastico! E?».
«E l’arma apparteneva ad un carico sequestrato
dalla polizia anni e anni fa,
non si sa come sia potuta tornare in circolazione... della polizia
tedesca tra
l’altro. Inoltre ho un’altra cosa importante da
dirvi: sui proiettili e sulla
pistola c’erano delle impronte digitali di un uomo ancora da
identificare, ma
anche le impronte di un altro uomo... le impronte di Max.».
Silenzio.
«Magari aveva toccato l’arma per sbaglio,
oppure...» continuò Hartmut tentando
di dare una valida spiegazione alla sua scoperta.
«No Einstein...» lo interruppe Semir «La
spiegazione c’è ed è una sola, questa
ne è l’ennesima conferma: Max è la
talpa nella polizia, Ben aveva ragione.».
«Mi dispiace...».
«Non importa, almeno adesso sappiamo di chi poterci fidare e
di chi no. Non ho
ancora capito come tu sia riuscito ad ottenere queste analisi ma grazie
Einstein, ci sei stato di enorme aiuto!».
«Prego ragazzi, figuratevi!».
«Sai come sta la Kruger, Hartmut?»
domandò Ben, preoccupato.
«Non è ancora fuori pericolo anche se ha passato
la notte senza ulteriori
problemi... speriamo che si rimetta presto.»
spiegò il rosso.
«Ma sì, manico di scopa è forte, ce la
farà... Ciao Einstein, ci sentiamo!».
«Va bene, vi aggiorno appena ho novità!»
e il tecnico chiuse la chiamata,
ritornando al suo fedele computer.
Rebecca
aprì la porta della stanza senza fare rumore e
aspettò che anche Max, dietro di
lei, entrasse prima di richiudersi la porta alle spalle.
La stanza era buia e la ragazza aprì un po’ le
persiane, mostrando al nuovo
arrivato uno spettacolo orribile. Una decina di bambini dormivano uno
vicino
all’altro sul pavimento, con le mani legate e le espressioni
beate, ignare.
La chirurga posò sul pavimento poco distante da loro il
vassoio con i viveri e
l’acqua che sarebbero serviti ai bambini non appena si
fossero svegliati,
quindi rimase immobile a guardarli per qualche istante.
«Loro non sanno niente?» domandò Max in
un sussurro. Rebecca scorse in quella
voce curiosità, interesse, ma non dolore. Il tono con cui
quella semplice
domanda era stata pronunciata era freddo, distante.
«No, non sanno niente. Vengono rapiti in giro per tutto lo
Stato, solitamente
prima è stata fatta una ricerca sulle condizioni di salute
di ciascuno di loro.
A volte ci capita di dover trattare anche con adulti ma la maggior
parte delle richieste
sono di organi molto giovani.» spiegò la ragazza.
«Capisco.».
L’uomo fece per uscire dalla stanza quando si
sentì tirare per la giacca da
qualcuno. Si voltò, abbassò lo sguardo e
notò una bambina che lo chiamava.
Aveva le mani slegate.
«Marie, cosa ci fai sveglia a quest’ora?
È mattina, torna a dormire.» le
sussurrò Rebecca abbassandosi per guardarla negli occhi.
Era bella, gli occhi blu sul viso incorniciato da folti capelli rossi,
avrà
avuto più meno
cinque anni.
«Reb, non ho più sonno, posso venire di
là con te? Chi è questo signore, un tuo
amico?».
«Sì piccola, è un mio amico. Ora non
posso, e sai che Igor non deve vederti.
Torno più tardi.» si scusò la ragazza
guardando la bambina negli occhi. A
guardarla bene gli assomigliava un po’... come faceva Marie
ad assomigliare ad
uno sconosciuto, ad un criminale come Max Rieder? Rebecca si
rialzò e uscì
dalla stanza seguita da Max, senza dare alla piccola occasione per
replicare.
La bambina rimase immobile in piedi a fissare la porta che si chiudeva
davanti
ai suoi occhi.
Altro
mistero: chi è questa Marie?
Grazie sempre a chi continua a seguirmi, a presto!
Sophie :D