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Autore: seilie    14/06/2014    1 recensioni
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Claudia è uscita dal suo guscio, dalla sua maturità con un bel cento tra le mani.
Ascolta la radio, attraverso le sue cuffiette e cammina a testa alta. 
E il giovane Venditti glielo aveva detto di non avere paura, se l'amore è amore.
Claudia si sente comunque incompleta, perchè tutto ciò che conosceva è finito.
Non ci sarà quel ragazzo, nel banco dietro al suo, a tirarle i capelli.
Non ci sarà più il suo professore di filosofia, quello burbero e scontroso, a sorriderle di nascosto.
Non si ritroverà più nei bagni a fumare una sigaretta di nascosto e a tossire il secondo dopo.
E il sole che la inviterà a non entrare in quella classe, dove tutto è sbagliato.
Tutto ciò che è sbagliato è ora davanti a lei.
Il mare ha un altro sapore e lava via su di lei ogni traccia di innocenza.
Claudia ha lasciato il suo peccato originale insieme ai suoi calzoni americani.
Per terra, lì, stanno a soffrire i ricordi della bambina tutta ricci e capricci.
Claudia si toglie le scarpe e cammina verso il mare.
Cammina male, lo dice il suo stesso nome, 'zoppa'.
Le mancherà sempre qualcosa, si riveste, se ne va.
Si finge nuovamente bambina, si finge nuovamente pura e innocente.
E per un momento si rivede lì, in quel banco troppo piccolo per due, con le mani sudate.
A fissare negli occhi il suo futuro, troppo grande per non fare neanche un pò di paura.

 

-Senti Claudia, hai diciotto anni e va bene, sei adulta e ci siamo, ma non puoi pretendere che io ti lasci andare così.
Senza una spiegazione, senza soldi, senza una guida. Assolutamente no.-
La signora Sabrina è sempre troppo apprensiva, sempre troppo donna.
Ascolta tutti e nessuno, rimane ferma nelle sue idee come il sugo che si attacca al fondo della sua pentola preferita.
Quella rossa, quella vecchia di anni, quella che le ha passato sua madre e tempo prima sua nonna.
La guardo e sorrido, all'apparenza così severa e impassibile, mia madre è sempre stata una donna piena di insicurezze.
Da quando mio padre è andato via, siamo sempre state io e lei, contro il mondo e contro gli uomini, soprattutto.
Perchè gli uomini sono un grande problema, perchè preferiamo stare da sole e va bene così, ci bastiamo.
Mi alzo in piedi e chiudo il libro di francese, la guardo e sbatto le mani sulla copertina.
-Io all'Università non ci vado, toglitelo dalla testa.- dico quasi sibilando, mia madre si blocca.
Le mani screpolate le rimangono ferme sulla lattuga che sta sciacquando sotto l'acqua gelida.
Si gira piano e abbozza un sorriso, il suo sorriso killer, quello che spaventerebbe chiunque.
E lo capisco che non ho altro da dire, l'Inghilterra posso dimenticarmela, tra un mese ci sono i test di ammissione.
E la mia gioventù finisce qui.
Esco di casa senza sapere dove andare, prendo il motorino e percorro Roma senza casco, chi se ne frega.
La mia testa è già abbastanza complicata, se dovessi rompermela, non sarebbe poi un dramma.
Il laghetto dell'Eur mi aspetta, come sempre, fedele e imperituro, con le sue acque scintillanti e l'erba appena tagliata.
Mi abbandono al contatto con la rugiada e la borsa rotola a qualche metro da me.
Il cielo sembra un altro, non sembra estate, non sembro io.
Fa troppo caldo però e io ho troppi vesititi addosso, i miei blue jeans mi danno fastidio, così come mi danno fastidio anche i miei capelli.
I miei capelli... così rovinati e bruciacchiati dal tempo, folti come una criniera e rossi, rossi fuoco.
Mi alzo e decido, bisogna cambiare vita, devo scappare da questa città.
E mia madre potrà guardarmi come vuole, al diavolo le lingue, io voglio scoprire il mondo.
Mi rimetto in moto, questa volta il casco lo metto, la mia testa mi ha dato un'idea geniale.
Adesso sta solo a me metterla in atto. 
E ho troppa paura per farlo, tipico di te Claudia, sei una fifona, sei una zoppa, sei una a metà.
E' un nome orrendo il mio, pieno di difetti, ce ne sono così tanti che li vedo anche in tutto ciò che mi circonda.
Perchè mia madre è troppo madre, mio padre è troppo poco padre, l'estate non è una bella estate.
E io percorro l'Appia senza avere una meta o un tragitto, ma nelle orecchie ho i Queen che mi guidano.
E' estate, ora sì. 

-Hai finito? Veloce, dai.- Alessandro sbuffa e prende la canna tra le dita, se la rigira, se la guarda per bene e se la porta alle labbra.
Prende una grossa boccata e trattiene il fumo dentro, socchiudendo gli occhi.
E' andato, partito completamente, ha raggiunto il suo paradiso e lo ha appena buttato fuori.
Vorrei che anche per me fosse così semplice. Vorrei che una stupida erbetta riuscisse a tirarmi fuori dai casini e dai pensieri.
Ale se ne sta così tutto il pomeriggio, abbandonato su una panchina a baciare una droga che sta diventando troppo leggera per lui.
Fa l'amore con le allucinazioni, mentre io continuo ad annotare nel mio taccuino pensieri offuscati.
Marco invece rimane un pò più lucido e spia ciò che scrivo, io mi copro e lui sbuffa.
Si alza e si scotola quei pantaloni fuxia indecenti e così stretti da fermargli la circolazione.
-Ale, me ne vado, ci si becca all'Eur.- e gli da una pacca sul ginocchio, Ale annuisce e sorride flebilmente.
Vorrei andarmene anche io, perchè qui non ci sto a fare niente, mi manca l'aria e respiro solo disperazione.
Ale non è stato ammesso agli esami, ha perso ogni cosa, tranne l'orgoglio.
Rido di lui perchè non c'è niente che possa abbatterlo, è il mio migliore amico e devo proteggerlo io.
Ale è gay, ma lui lo nega, mi piace scrivere di lui perchè è un foglio bianco.
Prendo la penna e gli disegno un fiore sulla guancia, mentre rido e lui ride insieme a me, senza neanche ricordarsi chi sono.
-Ale, devi smetterla di farti di questa roba, non credo neanche che sia buona.- appoggio la testa alla sua spalla e lui sbadiglia.
-Sei matta, ho visto due elefanti che scopavano dentro ad una buca delle lettere, credi che non sia un viaggio assurdo?- e ride, ride di ogni cosa, poi però la notte alle quattro mi scrive un messaggio e mi sveglia, gli rispondo e lui si è già addormentato.
E io rimango sveglia tutta la notte, per colpa sua, sto sveglia a cercare un modo per tirarlo via dalla sua apatia.
Ma Ale è un tipo che ce la fa da solo, è quello del 'me la cavo' e in un modo o nell'altro se la cava sempre.
-Voglio scappare via da Roma, lo sai?- gli dico alzando un pò di terra con la punta della scarpa, questa volta Ale non ride.
Sta zitto e mi stringe un pò, ora lo so che è tornato lucido, il suo viaggio è finito ed è tornato accanto a me.
-Non andartene.- mi sussurra, lo dice così piano che probabilmente quelle parole sono solo il frutto di un pensiero uscito involontariamente.
Faccio finta di non sentire, ma il cuore mi scoppia, voglio tanto bene ad Alessandro e prima di trovare la mia strada, devo rimetterlo sulla sua, costi quel che costi.
Rido io questa volta e mi alzo, gli tendo la mano e lui l'afferra, iniziamo a correre giù dalla collina e ci ritroviamo davanti all'autostrada.
Alzo il dito e indico l'orizzonte, il sole sta tramontando, ma come spesso accade, non mi accorgo della luna che cresce dietro di me.
-Un giorno sarò lì.- dico e alzo il dito al cielo, indicando le poche nuvole che mi stanno abbandonando a loro volta.
Ale stringe la mia mano e tira fuori una nuova canna, a lui non piace volare, deve viaggiare, e se ne va di nuovo, lontano da me.

  
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