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Autore: Ciajka    14/06/2014    3 recensioni
AU dove i personaggi di Sherlock sono uniti alla mitologia nordica.
John è un umano. Sherlock è un Dio.
Sono entrambi uniti da un patto infrangibile. La vita di John ora è completamente nelle mani della spietata divinità.
O, almeno, questo era il piano iniziale di Sherlock.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Lo sai che non potrai più tornare indietro?” disse la figura incappucciata, con un tono falsamente mieloso.

“Sì. Fallo.” ordinò John.

Non aspettò oltre. Allungò il braccio verso la spalla destra dell'ex guaritore, fino a toccarlo.

Il dolore fu improvviso e allucinante. Sentì la carne bruciare come se fosse stata immersa nella lava. Non riuscì a non emettere un urlo strozzato di dolore e a non chiudere gli occhi. La sua mente non riusciva a rimanere lucida a tale tortura: ogni fibra del suo corpo sembrava voler prendere fuoco allo stesso istante.

Finché tutto scomparve, così come era apparso, senza preavviso e di punto in bianco. John si ritrovò ad avere il fiato corto, la testa sgombra da qualsiasi pensiero e le gambe che quasi non riuscivano più a reggerlo in piedi.

Si rese conto che la spalla destra non era più leggera come prima: ora c'era un peso, attaccato ad essa, che la rendeva più pesante.

Quando lo vide sentì il cuore accelerare di colpo.

“Il mio braccio!” esclamò quasi con le lacrime agli occhi, muovendo l'arto con circospezione, come se fosse di cera “E la mia mano!”

Il suo cuore si gonfiò e la vista gli si appannò per qualche secondo dalla felicità.

Provò a chiudere e riaprire il pugno, poi a muovere le dita in sincronia.

Non riusciva a non staccare gli occhi da quella visione che aveva così tanto desiderato in quei mesi.

Quando finalmente decise di spostare gli occhi verso il Dio, lo trovò con in mano una piccola fiala di vetro, il cui trasparente interno vorticava come un fluido denso sotto una fonte di calore.

“La tua anima.” spiegò la figura, la cui voce vibrava per l'emozione “La tua piena, limpida e virtuosa anima.”

L'entusiasmo di John scemò all'istante, per far spazio alla preoccupazione.

“La terrò con cura.” continuò il Dio, vedendo l'espressione del mortale.

“Prima che te ne vada” iniziò John con tono autoritario “posso sapere il tuo nome?”

Il Dio rimase immobile, senza muovere un muscolo.

“Vorrei saperlo.” continuò l'umano.

“Per quale motivo? Per pregarmi? Per offrirmi sacrifici? No, non mi interessano.”

“Un Dio a cui non interessano i riti? Che razza di-”

“Nessun umano pronuncerà il mio nome! Questo è il mio volere!” tuonò, facendo tremare ogni oggetto all'interno della stanza.

John decise di non aggiungere altro: non voleva adirarlo maggiormente, tenendo conto che era lui ora a possedere la sua anima.

Il Dio proferì con tono più calmo e carezzevole: “Ti do un consiglio, John Watson: vivi ogni giorno come se fosse l'ultimo. Non farti mancare assolutamente nulla.”

John non fece in tempo di dire una sola sillaba perché la figura davanti a sé era già scomparsa, svanita come se non fosse mai stata lì.

 

 

Non seppe quanto tempo rimase immobile a fissare spaesato lo spazio vuoto che prima era occupato dal Dio.

Strinse i pugni. Ora poteva permettersi di vivere di nuovo. Probabilmente si sarebbe arruolato: il campo di battaglia gli era mancato fin troppo.

Spalancò la porta dell'abitazione e si riversò in strada con il cuore che batteva come un tamburo. Non si era reso conto di come quella giornata di sole fosse meravigliosa, di come la luce rendeva ogni particolare squillante e allegro.

Non gli importava se la sua anima ora era in mano degli Dei. A questo particolare avrebbe pensato in seguito, ora voleva solamente gustarsi il momento di felicità.

Ritornò al mercato, dove ritrovò Michael Stratford intento a parlare del più e del meno con il venditore di spezie.

“Michael!” gli gridò, pieno di gioia “Ti offro un lauto pranzo alla taverna! Gli Dei mi hanno ascoltato!” e gli mostrò il braccio destro.

Inutile dire che la bocca dell'amico si spalancò dalla sorpresa, passando dall'incredulità alla paura, per poi finire nella più completa euforia.

“Mio caro amico! Questo è un miracolo!” esclamò Michael, poi si rivolse al venditore, che guardava la scena di sottecchi “Signor Fillan siamo al cospetto di un uomo miracolato dagli Dei! Neanche un giro di clessidra fa quel braccio era monco!”

Lo speziale sgranò gli occhi e con voce rotta disse: “Non mi state prendendo per i fondelli?”

“Assolutamente no, signore!” esclamò John con un sorriso sincero.

Michael diede una pacca amichevole alla spalla del biondo, dicendo: “Comunque accetto il tuo invito! Bisogna assolutamente festeggiare!”

Poi aggiunse ridendo: “Ma prima dovresti rendere il tuo aspetto più presentabile, sembri uno straccione!”

John rise di rimando: “Hai ragione, hai decisamente ragione!”

 

 

 

Le pesanti tende di stoffa verde bloccavano quasi completamente il passaggio dei raggi del sole, rendendo l'ambiente decisamente tetro e quasi claustrofobico.

Il soffitto dipinto quasi non si scorgeva per la luce soffusa. Quattro alte colonne di pietra, intagliate simulando dei rampicanti, racchiudevano la stanza nei quattro lati.

C'erano diversi oggetti di varia natura sparsi in tutto l'ambiente, sia nei ripiani attaccati alle fredde pareti di pietra sia alla rinfusa sul pavimento. La maggior parte di questi erano libri, con spesse rilegature in pelle, il cui interno celavano caratteri che nessun essere umano aveva mai visto.

In disparte si trovava un tavolo completamente sgombro da qualsiasi oggetto se non di una fiala contenente uno strano liquido denso. L'essere dalle sembianze umane seduto di fronte ad essa fissava quel vorticare incessante quasi rapito.

Indossava ancora il suo lungo mantello nero, ma questa volta non c'era un cappuccio che copriva il suo viso. I riccioli neri scendevano morbidamente tra i suoi zigomi spigolosi. Le sue iridi, completamente bianche, sembravano risplendere in quella penombra.

Non riuscì a non trattenere un sorriso divertito.

In quel momento entrò nella stanza un altro individuo, spalancando la porta di legno con decisione. Aveva una corporatura piuttosto robusta, eppure i suoi movimenti impostati ma fluidi gli conferivano una maestosa eleganza.

I suoi occhi, anch'essi del color della neve appena caduta, scintillavano di collera.

“Sapevo di trovarti qui.” disse la robusta figura, con tono di rimprovero.

Non ricevette nessuna risposta. L'altro sembrava ignorarlo completamente.

Continuò, sforzando gli occhi per vedere in quella oscurità: “Diamine, sembra di essere negli inferi! Inoltre il disordine di questa topaia sembra volermi attaccare da un momento all'altro!”

Dopo aver detto questo, alzò una mano e, contemporaneamente, ogni tenda si spostò lasciando finalmente riversare nella stanza l'accecante luce del sole.

“Era veramente necessario?” domandò il Dio con i capelli corvini, in tono glaciale.

“Sono preoccupato per la tua salute, Sherlock. Sei sempre chiuso in questo buco e non ti preoccupi minimamente di quel che succede al di fuori di esso.”

Si massaggiò le tempie e continuò, sempre con tono di rimprovero misto a rassegnazione: “Tanto per informazione: manca davvero poco all'inizio della guerra tra Dei e esseri infernali. Entrambi le parti aspettano la scintilla decisiva.”

“Noioso.” commentò il Dio chiamato Sherlock.

L'altro personaggio roteò gli occhi, con la pazienza agli sgoccioli. Poi focalizzò il suo sguardo sulla fiala posta sopra il tavolo.

“Ne hai presa un'altra. Di chi è l'anima questa volta? Un cieco, un lebbroso, una ragazzina innamorata?” non riuscì a trattenere la sua disapprovazione.

“Un guaritore che ha perso il braccio in battaglia, in realtà.” rispose con un ghigno di soddisfazione.

“Lo sai che non approvo il tuo comportamento.”

“Sai quanto me ne importa della tua approvazione.”

“Dovresti invece, sapendo il ruolo che possiedo in questo palazzo!” tuonò la figura.

Sherlock fece un sorriso sprezzante prima di commentare: “Non avresti mai il coraggio di farmi alcun che, fratello caro.”

Sentendo quel commento, il maestoso Dio si ritrovò a sospirare esausto. Aveva ragione.

“Qualcosa dovrei fare invece. Collezionare anime non è un comportamento da Dio.”

Il moro dalla pelle perlacea ridacchiò sommessamente.

Il fratello continuò,con una nota di sarcasmo: “Invece di salvare gli esseri umani più infelici, dovresti preoccuparti a creare dei seguaci. Lo sai che le preghiere aiutano ad ampliare i poteri di un Dio.”

Il moro sorrise beffardo: “Intendi quei mortali che hanno come unico scopo quello di assillare la mente di un Dio con richieste inutili? Preferisco che nessuno sappia chi sono, rispetto ad avere la testa ingombrata da miliardi di voci insopportabili.”

Il Dio lo guardò di sottecchi, prima di commentare: “Per questo ci presentiamo agli umani con nomi fittizi, per non essere completamente assaliti dalle loro voci. Solo quando vogliamo sentirle ci raggiungono nitidamente.”

“Lo sai meglio di me che alla fine il nome fittizio diventa parte del tuo essere e le voci ti raggiungono in qualunque caso.”

Il fratello gli tenne testa con decisione: “Si possono costruire barriere o filtri mentali.”

“E questo comporta ad isolare una parte della propria mente. Cosa che trovo abominevole!”

A sentire questo commento, l'altro esclamò esasperato: “Quante volte devo dirtelo, Sherlock? Siamo Dei! È questo che facciamo, anche a scapito di avere il mal di testa a fine giornata!”

“Mycroft!” tuonò con rabbia il moro “O preferisci l'appellativo Forseti? Sai benissimo che anche se faccio parte degli Dei non vorrò mai essere come loro!”

Il fratello lo guardò con faccia greve, poi con tono sfinito sospirò: “Non potevi essere più chiaro.”

Si avviò così verso l'uscita della stanza, ma a qualche centimetro dalla porta si rigirò verso il fratello e gli domandò: “Come la ucciderai, la tua ultima vittima? Con il tuo solito modo sadico e spietato?”

Sherlock alzò enigmaticamente le spalle: “Come se te ne importasse qualcosa.”

Il Dio conosciuto come Forseti rimase per qualche secondo ad osservare la fiala di vetro contenente l'anima di John. “Effettivamente non molto.”

L'altro gli ordinò con un cenno di uscire, cosa che Mycroft eseguì senza aspettare oltre.

 

 

Il protagonista principale che si aggirava per le vie del villaggio era sicuramente il silenzio. Ormai lo squillante sole del pomeriggio aveva lasciato il proprio posto ad un timido spicchio di luna crescente. Buona parte degli abitanti si era rintanata nelle loro abitazioni, mentre la rimanente si trovava tutta all'interno della taverna. Le sguaiate risa provenienti dalla sala della locanda erano di contrasto alla quiete dell'esterno.

Qualcuno iniziò ad intonare una canzone sconcia, la quale trovò immediatamente consenso da una dozzina di uomini ubriachi, che si aggiunsero al coro.

In un tavolo in disparte erano seduti John Watson e Michael Stratford, intenti a tracannare più bevande alcoliche possibili.

“La tua anima?” esclamò Michael, appena John gli raccontò per filo e per segno quello che gli era accaduto.

“Esatto.” rispose John, con le gote arrossate per l'alcol.

“Non credo sia stata una buona idea. Potrebbe renderti suo schiavo e farti fare cose orribili.” continuò l'uomo cicciottello.

John alzò le spalle. “Per ora non si è ancora fatto vivo. Poi non puoi obbligare una persona a fare cose solo perché hai la sua anima.”

“Ti ammazzerà.” constatò l'amico con il terrore negli occhi.

“Che faccia pure.” rispose schiettamente John, anche se in cuor suo sapeva che non lo voleva affatto. Ora che aveva di nuovo un futuro da poter compiere, il pensiero di morire gli dava piuttosto fastidio.

Micheal si lasciò sfuggire una grassa risata, per poi aggiungere: “John Watson, se non crepi per le mani di un Dio, creperai per la tua spavalderia! Ti auguro di vivere con questo spirito fino a cento anni!” e alzò il boccale che aveva in mano.

John alzò il suo con un sorriso, prima di svuotarlo completamente dal liquido che conteneva.

 

 

 

Sherlock osservava la scena all'interno della taverna con un ghigno divertito stampato in faccia.

Si trovava ancora nella sua stanza ma, grazie ad una bacinella d'acqua mistica, riusciva a seguire tutte le mosse del mortale. La superficie perfettamente immobile del liquido stava riflettendo l'immagine del guaritore nell'intento di ordinare un'altra bevanda.

Gli stava concedendo i giusti festeggiamenti, in modo che l'indomani li avrebbe rimpianti come non mai.

Ancora non aveva deciso come avrebbe ucciso John Watson.

Fiamme? Sì, poteva andare. Era da un po' che non vedeva della carne mortale bruciare fino a diventare cenere.

L'anima che gli aveva donato sarebbe rimasta per sempre nella sua fiala, intrappolata per sempre, insieme a migliaia di altre anime di miserabili, senza la possibilità di raggiungere il Valhalla e neppure il freddo Helheim.

Gli umani erano tutti così stupidi. Non si accontentavano mai di quello che possedevano, volevano sempre di più, di più, di più. Assillare gli Dei e sperare nei miracoli più assurdi: questa era la loro inutile natura.

Quanto lo disgustavano.

Improvvisamente l'immagine si sbiadì fino a scomparire, cosa che turbò non da poco il Dio. Non aveva ancora ordinato all'acqua mistica di smettere di spiare la vita di quell'umano.

Poi il dolore alla testa arrivò.

Gli mancò il fiato.

Cosa stava accadendo?

Prima di cadere a terra lanciò un'occhiata alla bacinella.

Quello che vide lo fece rabbrividire.

I suoi occhi, riflessi dalla superficie, si stavano colorando di un leggero azzurro chiaro.

Prima di svenire, la consapevolezza di quello che gli stava succedendo lo fece tremare.

Non aveva idea di come, ma stava diventando umano.

  
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