Fanfic su artisti musicali > Avenged Sevenfold
Segui la storia  |       
Autore: Shikayuki    14/06/2014    4 recensioni
Dal Cap 1
Mi arresi e uscii allo scoperto, fronteggiando un paio di occhi verde smeraldo incastonati in un volto delicato dalla pelle pallida e le labbra sanguigne e piene.
Il suo sorriso si spense:-Oh mio dio, ma tu sei…-
-Vuoi diventare turnista della nostra band?- non le diedi il tempo di chiacchiere inutili, avevo deciso, e quando Synyster Gates decide nessuno puo’ discutere.
*I capitoli da 1 a 6 sono in revisione, ma non verranno apportate modifiche alla struttura della storia*
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

The wedding.




*ROXY’S POV*
I giorni passarono in fretta e ormai, dell’eccitazione iniziale non era rimasto più nulla. Ero sempre stata una ragazza con uno spirito d’adattamento incredibile, infatti mi ero già abituata ai miei nuovi ritmi e di questo ne erano stupiti tutti: non riuscivano a capacitarsi di come, in quei pochi mesi, ero passata da insegnante di musica a rock star senza battere ciglio e scompormi più di tanto.
La vita sul tour bus era tranquilla e se evitavo Valary tutto filava a meraviglia, anche se dal giorno della strana situazione nel back stage evitavo anche di rimanere da sola con Brian. Non sapevo neanche il perché, ma il mio sesto senso mi diceva che era giusto così.
Sedevo spesso con la mia fedele acustica in grembo sulla poltroncina vicino al vetro più grande del tourbus e strimpellavo sovrappensiero mentre vedevo chilometri e chilometri di paesaggi sfilarmi davanti agli occhi, incuranti del nostro passaggio. In quei momenti solo Arin si azzardava a distrarmi, sedendosi accanto a me, iniziando a battere spesso e volentieri con le bacchette su tutte le superfici libere che gli capitavano a tiro, cercando di tenere il ritmo che le mie mani dettavano inconsapevoli. Finivamo sempre per suonare qualche nuova melodia e in quei momenti tutto il tourbus si fermava, con il fiato sospeso, ad ascoltare la musica che nasceva semplicemente dalle emozioni del momento. Ogni tanto Matt appuntava qualcosa su degli spartiti e poi ce lo faceva rivedere, aggiungendoci qui e lì qualche spunto per il testo. In quei momenti, l’unico che faceva finta di ignorarci era Brian, anche se ogni tanto, con la coda dell’occhio, lo vedevo fissarci con una strana espressione in viso che non riuscivo a decifrare.
Brian.
Ogni volta che pensavo a lui sentimenti contrastanti si affollavano nel mio cuore. Passavo dall’ammirazione, alla rabbia per il fatto che non lo capivo a fondo, alla preoccupazione perché lo vedevo spegnersi sempre più e all’amarezza, perché non sapevo come aiutarlo. Infine c’era un po’ di tristezza, dovuta al fatto che non era più l’uomo che conoscevo io.
Sospirai poggiando la chitarra di fianco a me. Arin quel pomeriggio aveva preferito restare steso sul divano in disparte ad ascoltarmi, con gli occhi chiusi e la brezza che entrava dal finestrino leggermente aperto del bus a scompigliargli i capelli. Sembrava così rilassato, che pensai si fosse addormentato, così mi alzai e mi diressi in cucina per prendere qualcosa di fresco bare, cercando di fare il meno rumore possibile.
-Come mai ti sei fermata?-
Sobbalzai sentendo la voce del ragazzo dietro di me, mi aveva spaventata.
-Scemo, mi ha spaventata!- gli tirai una pacca che voleva sembrare di rimprovero su un braccio, che lui cerco di parare ridendo sonoramente, per poi sorridergli a mia volta –Avevo sete e fa decisamente troppo caldo in questo angolo di mondo per i miei gusti!-
Stavamo attraversando l’Arizona, direzione Las Vegas, dopo esserci esibiti ad Oklahoma City. Dato che dopo Las Vegas avremmo avuto alcuni giorni di pausa, per poi esibirci a Los Angeles e riprendere il tour, avevamo deciso di andare comunque in bus e fare un salto al Grand Canyon, tipo mini gita scolastica. Colti dall’entusiasmo avevamo anche fatto il pieno di schifezze, film da vedere e altre cretinate simili per rendere il tutto più simile a un’allegra scampagnata.
-Non essere esagerata, secondo me sei solo un po’ stanca dato che non riposi mai!- rispose lui, prendendo a sua volta qualcosa di fresco da bere.
-Uhm… forse hai ragione, ma non amo molto riposarmi: avrò tempo di farlo quando sarò qualche metro sotto terra!-
-Oggi il tuo ottimismo è paragonabile a quello di Gates… fuggi finché sei in tempo!- disse lui, inorridendo per finta, facendomi scoppiare in una sonora risata.
-Prima o poi la finirete di complottare alle mie spalle voi due?-
Beccati in pieno da Brian, che a quanto pare era resuscitato dal suo riposino pomeridiano ed aveva avuto a sua volta voglia di un qualcosa di fresco da bere.
Aveva usato un tono allegro e ci sorrideva, così scoppiammo a ridere anche noi, per poi sederci tutti insieme sui divanetti e iniziare a chiacchierare allegramente, con le nostre birre ghiacciate ben salde. Cercavo di evitare Brian, ma solo quando eravamo soli, altrimenti adoravo passare del tempo con lui.
Mentre eravamo persi in un’accesa discussione su alcune delle nuove band che avevamo incrociato in giro per il tour, fummo interrotti dal mio telefono, che prese a squillare diffondendo le acute note iniziali di Afterlife per tutto l’abitacolo. Mi affrettai a rispondere, senza neanche vedere chi fosse, mentre Brian scuoteva come sempre la testa alla suoneria del mio cellulare e Arin che rideva della scenetta: rimanevo sempre e comunque una delle loro fan più accanite dopotutto.
-Pronto?-
-Roxy, tesoro come va?-
La voce tranquilla e allegra di mia madre mi arrivò leggermente disturbata dall’altoparlante, ma nonostante tutto mi aprii in un sorriso enorme come se lei avesse potuto vedermi.
-Tutto bene, Ma’ e voi? Che si dice ad LA?- mia nonna materna era di origini italiane, ed aveva tirato su mia madre all’italiana, così usavo chiamarla Ma’, diminutivo di mamma.
-Tutto bene tesoro, sicuramente qui non è niente di emozionante rispetto alla vita che conduci adesso!-
-Ma che dici Ma’! Alla fine qui non è niente di così speciale, è il mio lavoro.-
Sapevo che i ragazzi mi stavano ascoltando, in fondo sperare in un po’ di privacy in un tourbus era pura utopia, così li osservavo con la coda dell’occhio, facendo finta di guardare fuori dal finestrino.
Sentii mia madre sospirare.
-Tesoro, ti scioglierai mai? Sei sempre troppo seria, è ora che inizi a prendere la vita con un po’ più di leggerezza…-
-Lo so Ma’, ma sai anche come sono fatta…- non volevo dire troppo davanti a loro e mia madre, forse attraverso i suoi superpoteri da genitore, capì.
-Non puoi parlare, vero tesoro?-
-Vero…-
-Beh, allora lasciamo perdere questi discorsi e parliamo di cose più piacevoli!- disse allegra e potei quasi immaginarla, seduta sulla poltroncina accanto al telefono, con i disordinati ricci neri striati di grigio, la matita per disegnare dietro l’orecchio e un sorriso da eterna ragazzina stampato in faccia.
Mia madre dimostrava molto meno di suoi cinquant’anni, era sempre stata una ragazzina sia dentro che fuori, e più che una madre la consideravo la mia migliore amica, o la sorella maggiore che non avevo. Era un’artista, proprio come me, solo che la sua arte si trasmetteva attraverso le immagini e non attraverso le note. Avevo sempre invidiato il suo talento nel disegnare, dipingere e affini, così come lei sospirava ogni volta che mi vedeva suonare, avrebbe sempre voluto imparare a suonare qualche strumento, ma non si sentiva molto portata.
-Certo, di cosa vuoi parlare?-
-Ricordi vero, che settimana prossima si sposa tuo cugino?-
Oddio, lo avevo totalmente, completamente dimenticato. Scattai nel panico più totale e afferrai il calendario che tenevamo appeso sul frigo, dove erano segnate tutte le date e tutte le pause, iniziando febbrilmente a scorrerlo con lo sguardo. Ero in ansia, ma poi i miei occhi lessero proprio quello che mi serviva e tirai un sospiro di sollievo: il matrimonio cadeva proprio in un paio di giorni di pausa in cui ero a LA.
-Ma’, ho appena passato un paio di minuti di panico, ma calendario alla mano posso assicurarti che ci sarò!- -Bene! Julianne ci sarebbe rimasta malissimo se non saresti potuta venire, visto tutto l’impegno che hai messo nell’aiutarla ad organizzare il matrimonio.-
-Dai Ma’, non me lo sarei perso per nulla al mondo! Sarei venuta a tutti i costi pur di vederla incedere per la navata, mentre Travis avrebbe avuto la faccia da triglia! Con quelle foto potrò ricattarlo a vita!- risi al solo pensiero e mia madre si unì a me.
Io e Travis, mio cugino, eravamo gli ultimi arrivati in famiglia e passavamo tutti i pranzi e le feste a fare un’arte, schiamazzando e litigando per finta. Ricordo ancora quando eravamo piccoli e mia zia, madre di Travis e sorella di mio padre, ci divideva afferrandoci per le orecchie e urlandoci contro isterica, ricordandoci che none eravamo dei selvaggi. Bei tempi.
-Bene, per il vestito e tutto mi sembra che sei apposto no?-
-Sisi, tutto apposto… credo anche che Elianne sia disponibile ad acconciarmi e truccarmi, dovesse gironzolare qualche paparazzo…- rabbrividii al solo pensiero. Me l’ero sempre cavata bene con i paparazzi, ma comunque mi mettevano ansia con la loro sola presenza. Avevo anche smesso di comprare le riviste che prendevo di solito pur di non vedermi spuntare tra qualche articolo.
-Verrai accompagnata?-
La domanda a bruciapelo di mia madre mi riscosse dai miei pensieri.
-Accompagnata?- ripetei senza capire.
-Massì, dai, accompagnata da un ragazzo!-
-Accompagnata da un ragazzo?- ripetei di nuovo, pensando che in quel momento avevo di sicuro un’espressione assurda.
-Certo che da un ragazzo, amenochè hai cambiato tendenze negli ultimi mesi, mi risulta che stavi uscendo con un bel ragazzo prima di entrare nei Sevenfold!- disse con fare cospiratorio.
Avvampai. Mi ero completamente dimenticata di Daniel, in fondo ci ero uscita solo un paio di volte e conoscendolo meglio, alla fine non era tutto questo granché, certo, era bellissimo tanto che faceva il modello, ma nella vita conta di più quello che si è dentro, piuttosto del proprio aspetto esteriore, almeno secondo me.
-Ah si, Daniel…-
Vidi Brian ed Arin irrigidirsi all’improvviso e farsi più attenti alla conversazione.
-Daniel, ecco come si chiama quel bel biondino!- disse mia madre finalmente illuminata.
-Beh, ecco, non lo sento da un po’…-
-Che peccato cara, speravo quasi di vederti al braccio di qualche bel cavaliere…-
Mamma non avrebbe mai insistito così tanto, così capii che tra le righe stava cercando di suggerirmi qualcosa. Se lo diceva così vagamente significava che c’era papà in ascolto che non doveva capire nulla, così ci pensai un attimo e subito mi fu tutto più chiaro. Mamma in realtà voleva solo proteggermi da mia zia, che aveva la strana sindrome del Dottor Stranamore, ovvero tentava di accoppiare chiunque le capitasse sotto tiro ed io, perennemente single, ero il suo bersaglio preferito. Avevo collezionato miliardi di figuracce quando in estate la andavo a trovare e a casa c’era sempre qualche buon ipotetico partito capitato lì per “puro caso” e smanioso di fare la mia conoscenza. Ero fregata.
-Mamma, trovami una soluzione!- lasciai trapelare tutta la mia disperazione in quelle poche parole, e poi quando la chiamavo mamma era davvero grave.
-Non lo so tesoro, non ho idee!- fece lei sconsolata, conscia che avevo capito tutto.
Passammo qualche secondo in silenzio, poi a mia madre venne l’illuminazione divina.
-E se portassi qualche tuo compagno di band?-
-Ma’, sei geniale!- mi entusiasmai subito, ma così come era venuto l’entusiasmo si spense.
Matt sposato con figli, Johnny felicemente sposato, Brian pseudo-sposato e pseudo-libero ma da evitare e… Arin!
-Ma’, ti richiamo, ti faccio sapere!-
-Certo tesoro, io intanto prego per te! Un bacio!- e riattaccò.
Presi qualche secondo per organizzarmi il discorso e poi mi voltai, stampandomi in faccia il sorriso più ruffiano che riuscii a trovare.
I ragazzi mi guardavano terrorizzati, sapevano che quando facevo così volevo qualcosa, in genere trascinarli in qualche museo o negozio di libri, ma questa volta avrebbero potuto immaginarlo neanche lontanamente. -Arin, ho bisogno di te!- dissi disperata gettandomi al suo collo.
-Hey, che succede?- era leggermente preoccupato adesso che avevo cambiato atteggiamento e potevo sentire anche lo sguardo di Brian sulla mia schiena.
-Ecco, vedi…- gli spiegai tutta la situazione, cercando di trattenere il panico che sentivo crescermi dentro -… quindi se tu potessi accompagnarmi, mi salveresti dalle grinfie malefiche di mia zia, che sicuramente avrà invitato qualche antico parente o amico di famiglia che guarda caso è in cerca di moglie.-
Conclusi sconsolata e con lo sguardo basso, aspettando la sua risposta.
Inaspettatamente Brian e Arin iniziarono entrambi a ridere sguaiati, per poi iniziare a prendermi in giro senza ritegno. Ci rimasi male e offesa mi alzai, raccogliendo la chitarra e dirigendomi a passo di marcia verso la mia cuccetta, evitando Matt e Johnny, che svegliati dal fracasso che avevano fatto quei due nel deridermi adesso ascoltavano la mia triste storia da Brian, che continuava a sghignazzare come un idiota.
Furente stavo per mettere la mano sulla maniglia della porticina che portava al ‘piano superiore’, quando mi sentii afferrare la mano. Mi voltai inviperita, ma mi trovai davanti Arin che mi guardava serio ma con un sorriso felice sulle labbra.
-Certo che ti accompagno, scema!-
A quelle parole mi sentii davvero felice e gli saltai addosso abbracciandolo. Lui ricambiò l’abbraccio stringendomi forte e lì, contro il suo petto, potevo sentire il suo cuore che batteva, di un ritmo tutto suo. Nella mia testa non eravamo più sul tourbus, ma su un palco, lui alla batteria dietro di me e io alla chitarra, solo noi due, ad andare a ritmo senza sbagliare una nota.

*ARIN’S POV*
Il concerto di Los Angeles di due giorni prima era stato uno spettacolo, ma l’ansia di suonare nella propria città non era nulla in confronto all’ansia che provavo per quel giorno.
Avevo accettato di accompagnare Roxy al matrimonio, e lo avevo fatto solo per vederla felice, non pensando a tutte le implicazioni che ciò avrebbe portato come conoscere tutta la famiglia al completo di Roxy, stare tutto il giorno sotto ai riflettori ed essere bombardato di domande da chiunque. Mi sentivo già stressato.
Aggiustai la cravatta sottile nera e sistemai la camicia per poi indossare il gilet. Niente giacca, preferivo così. Diedi una sistemata ai capelli per poi dare un ultimo sguardo al mio riflesso nello specchio. Mi aprii in un sorriso cercando di rilassarmi e senza continuare a pensarci troppo recuperai le chiavi della macchina e mi diressi a casa di Roxy. Per l’occasione, invece della solita macchina che usavo per gli spostamenti di tutti i giorni, avevo deciso di tirare fuori la mia Camaro nera. Era la prima cosa che mi ero comprato con i primi soldi guadagnati con gli Avenged, il sogno di una vita che si realizzava.
Arrivai da Roxy in perfetto orario e citofonai. Mi rispose Alice, che prontamente mi aprì per poi accogliermi in casa, erano secoli che non la vedevo.
-Arin, quanto tempo! Come va?- chiese felice facendomi accomodare.
-Hey Ali, ti trovo in splendida forma! Tutto bene grazie, non ci lamentiamo… a te come va invece?-
-Mah, la solita, di sicuro non giro il mondo con una band di folli, no?-
Scoppiammo entrambi a ridere, ma fummo interrotti dalla voce di Roxy.
-Arin, scusami, ma ci vorranno ancora un paio di minuti!-
Sorrisi sentendo il suo tono dispiaciuto e mi affrettai a tranquillizzarla.
-Tranquilla Rox, siamo in perfetto orario, quindi fai con comodo!-
-Perfetto!-
Dal tono che aveva usato potevo quasi immaginarla rilassarsi e magari aprirsi in un sorriso, avevo imparato a conoscerla così bene in quei pochi mesi, che ero stupito da me stesso.
Ripresi la conversazione con Alice e parlammo del più e del meno, finché la ragazza, che da dove era seduta riusciva a vedere il corridoio alle mie spalle che portava alle camere, tacque fissando un punto dietro di me. Incuriosito mi voltai anch’io e rimasi di stucco.
Davanti a me avevo Roxy, ma non era la ragazza che conoscevo io. Io conoscevo una Roxy un po’ eccentrica, vestita sempre particolare ma comunque sobria, che attirava l’attenzione solo al secondo sguardo, mentre questa qui era una bomba. Non era una bella definizione, ma con il cervello in tilt non riuscivo a ragionare decentemente.
La ragazza che mi sorrideva dalla porta della sua camera poteva tranquillamente essere una modella da copertina, con i capelli neri raccolti in un’acconciatura morbida ad incorniciarle il viso dagli zigomi definiti e risaltarle gli occhi truccati da gatta. Il vestito da sirena le stava un incanto, sposandosi a meraviglia con la sua carnagione chiara e stando in tinta con gli occhi, mentre i sandali argentati e brillanti la slanciavano, regalandole dieci centimetri in più.
Ero senza fiato e non riuscivo a trovare le parole. Dopo quel momento di silenzio Roxy iniziò a sorridere imbarazzata, mentre io cominciavo a pensare che forse la mia faccia da triglia lessa non mi stava aiutando affatto.
Cercai di riprendere il controllo dei miei muscoli facciali e facendo ancora di più la figura dell’idiota mi lascia scappare un: -Sei bellissima.-
Sorrise imbarazzata, per poi alzare lo sguardo, arrossire un poco e ringraziarmi.
Mi riscossi dallo stato di trance e mi affrettai a recuperare il suo bouquet dal divano. Ero andato a ritirarlo io perché tanto il fioraio era di strada e lei tra estetiste, trucco e parrucco non aveva avuto tempo.
Lo prese ringraziandomi e si mise in posa, mentre Alice le scattava una foto ricordo.
Vederla lì mi fece pensare che la sposa aveva sbagliato a chiederle di farle da damigella: sarebbe stata sicuramente oscurata dalla bellezza di Roxy.
Alice ci costrinse a farci anche qualche foto insieme, stile mamma-nella-sera-del-ballo-scolastico, e poi ci lasciò finalmente andare. Ci sorridemmo ancora imbarazzati e poi finalmente ci avviammo.
Roxy rimase incantata dalla mia macchina e vi si accomodò dentro con gli occhi che le brillavano dall’emozione, mentre io le chiudevo la portiera. Fortunatamente l’imbarazzo scivolò via pian piano e iniziammo a parlare di nuovo come nostro solito, senza imbarazzi o cose di sorta. Mi fece delle domande sulla macchina, svelandomi che anche lei aveva sempre avuto un debole per questo tipo di macchine, per poi abbassare la voce e sussurrare un qualcosa velocemente.
-Stai benissimo così.-
Non feci neanche a tempo ad udire quelle parole che lei era già diventata rossa come un pomodoro ed aveva preso a torturare il bouquet che teneva in grembo.
-Se continui così resterai con in mano solo un gambo di rosa!- le dissi dolcemente –E grazie, ma al tuo fianco sparirò sicuramente…-
Avevo parlato sinceramente e lei arrossì ancora di più, distogliendo lo sguardo per poi puntarlo ovunque ma non verso di me.
Finalmente arrivammo a destinazione e dopo aver parcheggiato, l’aiutai a scendere, prendendola poi sotto braccio per aiutarla a camminare meglio con quei tacchi assassini sul vialetto di ciottoli della chiesa.
Arrivati all’ingresso dovemmo separarci, perché lei doveva aspettare la sposa per poi portarle il velo, ma prima di dividerci ci guardammo un attimo e proprio in quel momento un flash ci accecò. Mi guardai intorno spaesato e lo stesso fece Roxy, ma tirammo un sospiro di sollievo quando ci accorgemmo che a scattare la foto era stato il fotografo del matrimonio.
-Scusate ragazzi, ma meritavate proprio una bella foto, un amore giovane e bello come il vostro andava immortalato!- ci disse quello ammiccando.
Subito io e Roxy arrossimmo, iniziando a balbettare insieme.
-No, ha frainteso…-
-No, noi non siamo…-
Quello ci guardò un attimo senza capire, poi fece spallucce e se ne andò, andando ad importunare qualcun altro, in attesa dell’arrivo della sposa.
-Beh, almeno mia zia crederà che siamo davvero fidanzati e mi lascerà perdere, no?- sorrise Roxy cercando di alleggerire l’atmosfera.
-Già, almeno ti lascerà in pace!- sdrammatizzai anch’io, ma qualcosa non andava dentro al mio petto.
-Allora adesso ci salutiamo, ci vediamo dopo…- disse staccandosi da me.
-Si, a dopo…- riluttante la lasciai andare e mi incamminai all’interno della chiesa antica e semibuia, cercando il mio posto a sedere, non prima però di averle lanciato un ultimo sguardo.
Era fuori, nella luce, incorniciata dal portone scuro della chiesa abbellito da fiori, una visione e tale fu anche quando la vidi entrare dietro alla sposa, con un enorme sorriso sul volto, sinceramente felice per i futuri sposi.
Assistetti alla cerimonia ma non riuscii a toglierle gli occhi di dosso.
L’avevo notata già dalla prima volta che l’avevo vista, per quel corridoio della scuola, mentre infuriata inveiva contro Matt. L’avevo presa in simpatia mentre leggermente affannata dopo la sua performance dava del filo da torcere al grande Synyster Gates e poi mi era piaciuta sempre di più, man mano che passavo del tempo con lei ed imparavo a vedere e riconoscere tutte le sue mille sfaccettature.
Avevo sempre pensato di provare ammirazione e simpatia nei suoi confronti, in fondo eravamo le new entry in quella grande famiglia stabile da anni e come in un tacito accordo avevamo deciso di farci forza a vicenda, sostenendoci tra di noi per cercare di non affondare in quel caos che erano gli Avenged Sevenfold. In quella chiesa però, capii che forse c’era dell’altro.
Conoscevo bene il battito del mio cuore e l’avevo sempre trovato un battito regolare, come in una canzone jazz, ma ultimamente, quando lei mi stava accanto e mi sorrideva complice o semplicemente mi guardava, il mio cuore partiva e mi sembrava di nuovo di essere sul palco a suonare quelle folli canzoni scritte dal genio di Jimmy. Il ritmo diventava talmente tanto veloce e frenetico che mi chiedevo come nessun altro all’infuori di me riuscisse a sentirlo.
Quando l’avevo sentita parlare al telefono con la madre (si, stavo origliando spudoratamente) avevo capito subito la situazione, ma ero straconvinto che lo avrebbe chiesto a Brian, così mi ero stupito non poco quando invece era venuta da me, ad implorarmi con gli occhi lucidi e quindi ancora più belli e teneri. Avevo visto l’occhiataccia che mi aveva lanciato il chitarrista quando avevo accettato e lei mi si era buttata tra le braccia felice. Tra le mie braccia e non tra le sue.
Sapevo di scherzare con il fuoco mettendomi contro Brian, ma Roxy riusciva a riaccendere in me emozioni che credevo morte e sepolte da quando avevo trovato la mia ormai ex fidanzata storica a letto con il mio migliore amico, e Brian non avrebbe vinto, non questa volta.
-Arin, ci sei?-
La funzione era finita e Roxy era venuta a recuperarmi trovandomi immerso nei miei pensieri. Mi affrettai a sorriderle e prendendola sotto braccio uscimmo dalla chiesa, posizionandoci davanti alla porta con i sacchettini di riso in mano in attesa che uscissero gli sposi per bersagliarli.
Di fianco a me Roxy mi sorrise, strizzando appena gli occhi verdi sotto i fastidiosi raggi del sole ed io non potei non pensare di nuovo a quanto fosse perfetta.

-E così tu saresti il batterista della band nella quale suona Roxy, giusto?- mi chiese la zia di Roxy squadrandomi da capo a piedi neanche fossi una bestia in vendita ad una fiera.
-Si signora, suono nella band da un paio d’anni ormai…-
-Quindi sei bravo?- chiese quella insistente.
-Zia, lascialo perdere e fagli godere il pranzo!- Roxy, sull’orlo della disperazione, redarguì la zia.
-Ma cara, non sto chiedendo nulla di male, e poi dovrebbe essere abituato a queste domande, no?-
-Abituatissimo signora, non si preoccupi.- risposi cortese, cercando di ignorare quell’ essere che mi si era accollato.
Da dietro la sua schiena Roxy mi guardò dispiaciuta e mimò un ‘mi dispiace’ silenzioso. Le sorrisi di rimando per farle capire che andava tutto bene e tornai a concentrarmi sul fastidioso essere, meglio conosciuto come zia rompiballe della povera Roxy.
Fortunatamente fummo salvati dagli sposi che, facendo il giro dei tavoli per accertarsi che andasse tutto per il meglio, approdarono finalmente anche al nostro.
La sposa era davvero carina, anche se era un po’ alternativa con i capelli rasati da un lato e il tatuaggio sul polso, mentre lo sposo urlava ribellione da tutti i pori con gli orecchini e i tatuaggi che gli ricoprivano le braccia, lasciate scoperte dalla camicia con le maniche arrotolate una volta finita la funzione. Insieme facevano proprio una bella coppia.
Si fermarono a chiacchierare con noi, presentandosi e facendomi qualche domanda non troppo invadente, fino a quando lo sposo si complimentò con me per la nostra musica, chiedendomi da fare da portavoce con il resto della band. Gli sorrisi grato e gli feci di nuovo le congratulazioni.
Gli sposi stavano per andare verso un altro tavolo, quando l’ ‘amabile’ madre dello sposo torno a romperci le scatole.
-Perché non suonate qualcosa? In fondo gli strumenti ci sono!- disse indicando il fondo vuoto dell’enorme sala da pranzo, dove stavano allestendo la pista da ballo e la zona per la band.
Scambiai uno sguardo veloce con Roxy, che mi sembrava alquanto infastidita, così senza farmi notare le appoggiai una mano sulla schiena, facendole capire che aveva tutto il mio appoggio. Si voltò di nuovo verso di me sorridendomi.
-Allora, che ne pensi?-
-Dai, per un fan come tuo cugino e per la sua splendida moglie si potrebbe pure fare, no?-
Sorrise felice del mio assenso, così mi prese per mano e mi trascinò sulla piattaforma della band.
-Se proprio dobbiamo, facciamo una grande spettacolo, no?- disse, iniziando ad armeggiare con la chitarra, prestatagli dal chitarrista della band ingaggiata per il matrimonio, e sistemandosi l’asta del microfono.
-Beh, se sono capace di suonare al Rock Am Ring, figurati se mi spavento di suonare davanti a duecento persone… facciamo ballare anche le vecchiette Rox!-
-Ci sto!-
Sistemammo tutto quello che ci serviva, declinammo l’offerta del bassista e del chitarrista della band di farci da spalle, e iniziammo la magia.
-Hey voi, lasciate le forchette e venite sotto al palco, il delirio vi aspetta!- urlò Roxy nel microfono –Guest star della serata il mitico Arin Iljeay, batterista degli Avenged Svenfold!-
Mi introdusse e io salutai producendomi in un minuscolo assolo di batteria. Tutti ci guardavano curiosi e pieni di attesa. Roxy stava per iniziare senza presentarsi, così presi io la parola.
-E sempre dagli Avenged Sevenfold, Roxy, la chitarra più veloce del mondo!- urlai, per poi usare un tono cospiratorio –Ma non ditelo a Gates, sennò poi chi se lo sente!-
Roxy che prima mi guardava confusa adesso si aprì in un sorriso e facendo uno screamo da paura, diede il via definitivo.
-ARE YOU READY TO ROCK’&’ROLL TONIGHT?-



*Schecter's corner*

E così, in un attimo di respiro dagli esami (in realtà pseudo-attimo di respiro) e a -5 dal concerto di Roma dei ragazzi... HERE I AM AGAIN!!!
Mi era mancato Efp dato che ho avuto il tempo solo di rapide comparsate e mi eravate mancate voi irriducibili, sempre pronte qui per me, sapete?♥
Bene, detto questo, passiamo alla discussione sul capitolo!^^ Niente POV di Brian questa volta, perché ho voluto inserire *rullo di tamburi* il fatidico punto di vista di Arin! *lo so che lo stavate aspettando con ansia, non negate u.u* Ho giustamente ritirato fuori la questione del matrimonio, accennata nell'ormai quinto capitolo! Beh, chissà a cosa porterà questo episodio? Continuate a pazientare e sopportare i miei tempi da Testudo graeca (è il nome specifico di una tartaruga di terra, abbiate pietà sono reduce dall'esame di zoologia XD) e lo scoprirete, anche perché *coff-coff* devo dire che la trama mi sta sfuggendo di mano e il corso della storia potrebbe cambiare molto, quindi STAY TUNED!
Okay, come al sempre spendo due doverose righe per voi che ci siete sempre che siete il mio ossigeno e anche per ringraziare tutti glia altri timidoni che ci sono, ma si vedono solo ;) Vi voglio bene!♥

A presto,
Schecter

P.S. non so se avete notato, ma sto cercando di fare capitoli più lunghi, fatemi sapere se l'idea vi piace o meno, e fatemi sapere anche se vi piace l'impaginazione e tutto il resto!XD

P.P.S. sto iniziando ad elaborare la OS con i MyChem, grazie per i voti ♥

  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Avenged Sevenfold / Vai alla pagina dell'autore: Shikayuki