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Autore: hollien    15/06/2014    4 recensioni
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Hanamichi Sakuragi lavora come cameriere in un bar nel centro della prefettura di Kanagawa insieme al suo inseparabile migliore amico, Yohei Mito.
Il Monkey’s room, questo è il nome del bar, è gestito dai genitori di Yohei, i quali hanno voluto offrire un posto ad Hanamichi in modo da poterlo aiutare a sostenere le spese per poter continuare a frequentare l’accademia di belle arti. Nonostante la sua vita sia stata caratterizzata da un periodo oscuro di cui tutt’ora non va fiero, Hanamichi cerca di lasciarsi alle spalle le sue brutte esperienze passate rifugiandosi nell’arte, nel lavoro e nel presunto amore che ha per la sorella minore di un suo collega ed amico: Haruko Akagi. Quello che non sa è che tanto altro l’aspetta, primo tra tutti un individuo, o meglio, la narcolessia fatta persona, dal carattere gelido ed intrattabile che gli procurerà non pochi problemi.  
[Slam Dunk - HanaRuHana, Altri pairing]
Il rating potrebbe alzarsi nel corso della storia!
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa, Yohei Mito
Note: AU, Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Scleri pre-capitolo: Ebbene rieccoci di nuovo miei piccoli pargoli della foresta, la vostra pazzoide Ollie è tornata ad irrompere nelle vostre vite per cambiarvele in modo radicale.
Datemi tregua, devo sempre dire qualche cavolata prima di iniziare, mi fa sentire a mio agio. (?) Cooomunque, senza dilungarmi troppo perché mi rendo conto che è dura stare a leggere i miei scleri, appunto, volevo solo dirvi che questo capitolo, a differenza dei due precedenti, non vedrà come protagonista Hanamichi e l’allegra compagnia, bensì…sta a voi scoprirlo tra due secondi. x°° Non capiterà molto spesso presumo, perciò godetevelo finché potete. (y)
Volevo ringraziare moltissimo chi ha recensito il chapter scorso! Tra un paio di giorni mi ritaglierò un po’ di tempo (sperando che il tirocinio non mi porti via la vita) e vi risponderò, lo prometto!
Ringrazio inoltre chi ha inserito la mia storia tra le preferite, le seguite e le ricordate. Spero di avere anche un vostro parere prima o poi, ne sarei davvero lieta.
Detto questo vi abbandono per andare a cenarrrre, vi auguro una buona lettura sperando che lo sia!
Disclaimer: I personaggi di Slam Dunk non mi appartengono, ma se mi appartenessero Hanamichi, Kaede, Sendo, Yohei e Mitsui farebbero parte del mio harem personale. UHUHUHUHUH.

 
 
 
 
 
 
Monkey’s room

Chapter 3: Di set fotografici e la brutta abitudine di non bussare
 
 
 
 
 
«Grazie per il lavoro svolto oggi! Impeccabile, sublime!»
Il direttore Suwamura, i cuoricini che gli facevano da sfondo talmente era soddisfatto del servizio fotografico appena concluso, gli si era avvicinato con gli occhi colmi di ammirazione, stringendo la mano del giovane modello nella propria, riferendogli che non appena avesse avuto la possibilità si sarebbe prenotato per averlo di nuovo a posare per uno dei suoi servizi; voleva assolutamente inserirlo nella copertina del prossimo mese del Suwa Magazine.
«In confronto al mio compagno non sono nulla. Glielo posso assicurare, Suwamura-san.» 
L'uomo scosse la testa grattandosi la folta barbetta. «Ne dubito, e anche se fosse apprezzo molto di più chi non snobba il proprio lavoro e si presenta in orario.»
A quel punto non avrebbe potuto più ribattere, ma si affidò alle sue capacità per convincere il direttore a ricredersi sulle parole così astiose nei confronti del suo amico.
«Non snobba il suo lavoro, ha solo avuto dei contrattempi. Le assicuro che se gli darà una seconda possibilità non la deluderà.»
Persuadere la gente era una delle sue abilità migliori, soprattutto se a giocare su questa leva ci inseriva anche un sorriso rassicurante e, perché no, anche seducente per chi voleva vederlo - e Suwamura-san lo vedeva eccome, tuttavia abboccò comunque al suo tranello, consapevole di starci cadendo in pieno.
Allargò le narici, i pugni stretti per trattenersi dall'urlare come una ragazzina davanti al suo idolo dalla bellezza paradisiaca. A quarant'anni non poteva permettersi certi sfizi.
«Come posso non fidarmi di te, Sendo-kun? Se mi prometti che poserai di nuovo per il prossimo catalogo non mi resta che accettare.»
Sendo appoggiò la mano libera sul petto nudo, all'altezza del cuore. «Glielo posso garantire. Mantengo sempre fede ai miei impegni.»
Suwamura rischiò di andare in iperventilazione talmente l'aria si era fatta calda - o forse era lui ad andare in fiamme? -, per questo intervenì la sua assistente Saki a riportarlo sulla terra con un pizzicotto sulla guancia, facendolo inchinare ed inchinandosi in egual modo in segno di ringraziamento.
«Spero che voglia valutare seriamente la nostra proposta, Sendo-san; ne saremo davvero grati. Ora, se ci vuole scusare, dobbiamo proprio andare, ci aspetta un altro servizio tra mezz'ora.»
Akira annuì benevolo. «Non si preoccupi. Come dicevo a Suwamura-san, avete la mia parola.»
La ragazza arrossì lievemente. «La ringrazio.»
Se ne andarono cinque minuti dopo aver smontato tutto nell’area ovest del sesto piano, portando via telecamere, modelle che avevano fatto supporto nel cast e computer sui quali avevano lavorato per creare gli effetti necessari sullo sfondo neutro.
Aveva aspettato fino all’ultimo, poi, dopo aver indossato l’accappatoio consegnato da uno dei ragazzi dello staff, prese in mano la borraccia che aveva abbandonato sul pavimento pulito durante la pausa dalle riprese. Ne bevve un lungo sorso, percependo l’acqua scorrere lungo la trachea, che rinfrescò a dovere il corpo muscoloso ed imperlato da un lieve strato di sudore.
Dopo un’ora di non-stop a dover posare in posizioni scomode per minuti che sembravano non passare mai se lo meritava eccome: nessuno avrebbe potuto dire l’incontrario.
Stava per appoggiare il contenitore semi-vuoto nuovamente a terra quando una voce conosciuta lo intimò a non provarci neanche se ciò gli avesse concesso due settimane di vacanze ai Caraibi.
«Lo sai a chi tocca poi a pulire la tua sporcizia, Akira
Sendo si voltò in maniera meccanica verso la ragazza minuta dietro di lui, rischiando una risata per spezzare la tensione. Quando c’era lei nei dintorni non si poteva mai stare tranquilli.
«Ayako-chan, qual buon vento ti porta da queste parti?»
Quest’ultima snudò i denti in un sorriso malvagio che avrebbe messo paura anche ad un grizzly a digiuno da due giorni.
«Lo sai che Kaede doveva partecipare a questo servizio fotografico, vero?»
Sendo deglutì faticosamente: lo sapeva più che bene che Rukawa avrebbe dovuto prendere parte insieme a lui al set per riuscire a garantirsi un posto in prima pagina sul Suwa Magazine nel prossimo mensile, tuttavia, quando quella mattina aveva ricevuto un suo messaggio con scritto in modo pressoché minatorio “io non vengo, prova a dire qualcosa ad Ayako ed io ti uccido”, non aveva saputo ribattere.
In ogni caso, parlare con Kaede o parlare con un muro era la stessa identica cosa. Non lo avrebbe ascoltato se avesse provato a fargli cambiare idea, e anche se avesse provato a chiamarlo, molto probabilmente, gli avrebbe riattaccato il telefono in faccia.
«Allora?»
Il moro, alto quasi il doppio di lei, abbassò la testa a punta. «Lo so.»
«Ed immagino che tu sapessi che non aveva intenzione di venire. Dimmi di no se sbaglio.»
Sendo si grattò la nuca, sapendo che la sua morte sarebbe arrivata tra breve. «Anche se avessi provato a fermarlo non avrei ottenuto niente, lo sappiamo com’è fatto.»
Ad Ayako sfuggì un ringhio basso. «Non mi importa. Adesso lo chiami e non me ne frega quante volte dovrai farlo prima che ti risponda. Fagli capire che se non si fa trovare qui tra dieci minuti finirà molto male per le sue ossa.»
Detto quello se ne andò, lasciando dietro di sé una scia di fuoco talmente era infuriata e che, neanche a dirlo, attirò l’attenzione dello staff presente sul piano. Uno alla volta, tutti cominciarono ad intrufolarsi in ogni rifugio possibile per salvarsi dalla sua ira. Incrociare la sua strada o cercare di avere una conversazione civile con lei in certi momenti voleva dire andare incontro al suicidio.
Sendo, resosi conto di esser impossibilitato dal rifiutare la richiesta della sua amica di infanzia, si diresse verso il camerino con passi pesanti per poter recuperare il suo telefono e contattare immediatamente Kaede.
Sapeva bene che se Ayako faceva così non era tanto per la paura di esser licenziata, ma perché voleva che Rukawa si mettesse nell’ordine delle idee che non poteva permettersi di prendere sotto gamba tutto quello che non gli andava a genio; e non aveva torto.
Solo che Ayako reagiva in un modo, ovvero arrabbiarsi e costringerlo in ogni maniera a farlo lavorare come si doveva; lui, al contrario, ci provava solo una volta a farlo ragionare, dopodiché abbandonava la presa perché sapeva quali sarebbero state le conseguenze nei suoi confronti.
Una volta giunto nel camerino e recuperato l’aggeggio tecnologico sul comodino, compose il numero di Rukawa pregando che gli rispondesse, se non al primo, almeno al secondo tentativo.
Rispose al quarto, e non chiuse la telefonata come aveva creduto che avrebbe fatto sin dall’inizio.
«Akira?», chiese il suo interlocutore, il tono imparziale che lo accompagnava come al solito.
Sendo si abbandonò sulla poltroncina di pelle nera, rincuorato dal fatto che anche quella volta sarebbe sfuggito dalle grinfie della temibile manager.
«Sono io Kaede caro. Dove sei di bello?»  
Riuscì a percepire l’irritazione che la domanda gli procurò nonostante non si trovassero faccia a faccia.
«Sono al bar della scorsa volta, non rompere anche tu come Ayako
“Allora non mi sbagliavo”, pensò simultaneo testa a punta, ricordando di aver intravisto un certo interesse nelle iridi cristallo del suo amico, soprattutto quando era apparso il cameriere dai buffi capelli rossi che lo aveva denominato porcospino.
Si abbandonò ad una risata – sarebbe stato strano l’incontrario – cominciando a delineare dei cerchi immaginari per aria con le dita.
«Ti stai divertendo?»
Ricevette una risposta monosillabica.
«Sei riuscito a sfuggire ad altri assalti?»
«Mh.»
Si domandò come.
«Non vorrei distruggere la tua felicità ma Ayako mi ha incaricato di dirti che se non sei qui tra dieci minuti ti farà morire nelle più atroci sofferenze.»
Ci fu un momento di silenzio. Forse aveva compreso che la situazione si stava tramutando in qualcosa di più grave di quanto pensasse.
«Se non lo fai per lei fallo per me. Come potrei vivere sapendo che tu non ci sarai più?», interrogò con tono appositamente ruffiano, strusciando la guancia sullo schermo del telefono neanche fosse un gatto, «neh, Kaede?~»
Un grugnito.
«Adesso arrivo. Smettila di fare il bambino, Sendo
Interruppe la telefonata di botto, lasciando dietro di sé un Akira con l’amaro in bocca.
Proprio quando aveva deciso di giocare un po’ con lui a farlo arrabbiare doveva riattaccare? 
L’unica soddisfazione la trovò nel fatto che lo avesse chiamato per cognome, e quando lo chiamava per cognome voleva dire che era sul punto di incazzarsi.
Alcuni avrebbero potuto pensare che era un masochista se il suo obiettivo era quello di stuzzicare i nervi di Kaede Rukawa, ma non lo era, nossignore; gli piaceva solamente sfidare l’espressività del suo amico, ed era una cosa che amava fare da quando si erano conosciuti durante il secondo anno delle scuole medie.
Rukawa, al contrario di ciò che si potesse pensare, non era sempre stato così apatico: c’era stato un certo avvenimento che lo aveva fatto cambiare in maniera radicale, e Sendo sapeva bene quale fosse stato questo fatto.
Ricordarlo ora, però, non gli sembrava il momento più opportuno – in realtà non lo era mai, ma, inevitabilmente, quando capitava che gli venisse in mente l’immagine di Kaede, gli era impossibile non farvi riferimento anche solo per un breve attimo.
Appoggiò nuovamente il cellulare al suo posto originario, deciso ad andare a farsi una doccia come già aveva previsto prima della fine delle riprese: ora che aveva sistemato la questione con Rukawa e che era fuori pericolo dalla furia di Ayako, poteva tranquillamente buttarsi sotto lo scroscio d’acqua fredda, liberandosi del sudore che ancora percepiva prepotente lungo l’ampia schiena.
Una volta alzatosi, si disfò dapprima dell’accappatoio, gettandolo malamente sulla poltrona su cui era rimasto seduto fino a qualche istante prima, poi dei vari bracciali e collane che era stato costretto ad indossare per il set fotografico.
Stava per sfilarsi anche gli slip aderenti neri quando fece il suo ingresso come un uragano una nuova presenza, nonché suo manager, con in mano la temibile tabella rossa dei suoi impegni.
Non doveva essersi accorto subito che era praticamente nudo perché solo quando aguzzò per bene la vista e notò che Sendo aveva le mutande ad altezza ginocchia, le sue guance diventarono rosse come pomodori maturi, la suddetta tabella gli arrivò in fronte, e in più gli trapanò i timpani con un esclamazione quale: “dannato maniaco, vestiti!”
Ci volle qualche minuto prima che la situazione si placasse e che Koshino si desse una calmata: si era lasciato prendere dal panico del momento senza provare a capire per quale motivo Sendo fosse quasi completamente svestito davanti alla porta del camerino.
«Tutto bene…?», interrogò sinceramente dispiaciuto – Koshino e il dispiacere non erano due parole che andavano molto d’accordo tra loro, ma per quella volta Hiroaki si costrinse a provare tale emozione sconosciuta - una volta che Akira era riuscito a rinfilarsi gli slip più un vestiario decente e che ebbe recuperato del ghiaccio da mettere sulla parte lesa dal piccolo frigo all’angolo della stanza.
Quest’ultimo confermò alzando il pollice. «Spero che non diventi un bernoccolo o sarebbe un bel problema.»
«Accidenti», mormorò Hiroaki, seduto sulla poltrona precedentemente occupata dal modello, in preda ai sensi di colpa, conscio di aver fatto un danno non da poco. «Sono il tuo manager. Il mio lavoro è evitare che tu ti faccia del male e merda, sono io a procurartelo!»
Sendo, come da consuetudine, cercò di rassicurare il ragazzo, dandogli una leggera pacca sulla spalla. «Poteva finire molto peggio. L’abbiamo preso in tempo perciò dubito che si trasformi in qualcosa di peggio di un livido.»
Koshino lo fulminò con lo sguardo. «I tuoi giochetti non funzionano con me, perciò non cercare di pulirmi la coscienza con una delle tue frasi ad effetto.»
Il più alto incurvò un sopracciglio, non capendo a cosa stesse alludendo. «Frasi ad effetto?»
«Esatto», confermò il manager incrociando le braccia la petto, come se ciò gli conferisse un’aria più risoluta. «Sempre con quel sorriso dipinto sul volto, le parole rassicuranti, l’espressione bonaria e—»
«Devi osservarmi parecchio per notare tutte queste caratteristiche su di me.»
Il colore bordeaux che assunse il volto di Koshino fino alla punta delle orecchie confermò la teoria di Sendo che, qualche domanda sulla sessualità di Hiroaki, se l’era già fatta in passato.
Non poteva negare di non essersi mai accorto di certi sguardi languidi che gli lanciava, soprattutto durante i reportage fotografici in cui metteva in mostra il corpo tonico nella sua interezza.
Se lo disgustasse ricevere certe attenzioni da parte di un individuo del suo stesso sesso? Assolutamente no.
Anche se fosse stato etero fino al midollo – e non lo era - le sue idee sarebbero rimaste invariate.
Chi era lui per giudicare i gusti personali di una persona? Chi, poi, aveva prestabilito che l’amore tra due uomini o tra due donne fosse sbagliato?
Si sarebbe potuto aprire un discorso che avrebbe dato seguito ad altri mille punti di domanda che avrebbero generato, a loro volta, solamente altri quesiti e nessuna risposta; per questo l’idea di Sendo era quella del: “vivi e lascia vivere”, altrimenti non sarebbe venuto a capo di tanti altri interrogativi che gli ronzavano per la testa.
«S-sono il tuo manager da quasi un anno», ribatté Koshino con qualche esitazione, cercando di darsi un contegno e ritornare ad avere un colorito che non sfiorasse tonalità violacee. «Credo che sia ovvio che di certe cose me ne accorga.»
Sendo sorrise, colpito da quel comportamento così insolito dell’altro. Era quasi…tenero?
«Infatti stavo scherzando prima, l’hai presa troppo sul serio.»
A Koshino servì qualche istante prima di realizzare cosa avesse appena detto. Quando comprese si diede mentalmente dello stupido, rendendosi conto di esser scattato per un insinuazione che non aveva alcun fine.
In fondo si stava parlando di Akira Sendo, colui che non aveva mai fini maliziosi neanche quando si trattavano certi discorsi e che non farebbe male ad una mosca neanche se gli toccassero sua sorel—scherzava, se qualcuno avesse sfiorato anche solo con un dito sua sorella Hiyori, nel cento per cento dei casi, si sarebbe ritrovato senza palle.
Sbuffò, emettendo un grugnito di disapprovazione. «Evita allora. Non mi piacciono le prese per il culo.»
Sendo si sciolse in una piccola risata, alzando la mano disoccupata per scusarsi. «Gumen gumen, ammetto le mie colpe.»
Dopo vari battibecchi e rispostine tranquille da parte di Akira, quest’ultimo si ricordò che cosa avesse voluto chiedere ad Hiroaki sin dal primo momento in cui era irrotto nel camerino senza bussare.
«Per quale motivo sei venuto qui? Mi avevi detto che saresti stato impegnato tutto il giorno.»
Koshino batté le palpebre, perplesso: «L’ho detto?»
Sendo si grattò il capo, sperando che la sua testa non gli stesse facendo brutti scherzi. «Da quel che ricordo sì, mi pareva fosse oggi. Per questo non mi sono premurato di chiudere la porta a chiave.»
«Devo essermi sbagliato», rilanciò l’altro, passandosi una mano tra i folti capelli scuri. «Il matrimonio di mio fratello è la settimana prossima…»
«Keisuke si sposa?!», domandò sconcertato Sendo strabuzzando gli occhi, il tono di voce sempre pacato improvvisamente più alto del normale. «Non sapevo nemmeno fosse fidanzato!»
Koshino digrignò i denti, battendo innervosito un piede per terra. A quanto pareva non doveva esser molto lieto di quell’evento.
«Si sposa con una rincoglionita figlia di papà, per questo non mi va di urlarlo in giro. Io me ne sto buono ma al primo passo falso la mia cara e futura cognata finisce giù dalla finestra.»
Da quell’affermazione, Sendo capì solo una cosa: «Sono contento di non essere al suo posto.»
Hiroaki inarcò un sopracciglio, incredulo che proprio lui avesse detto una cosa del genere.
«Parli tu. Voglio vedere che cosa farai quando tua sorella ti dirà che si sposa.»
A quelle parole, le labbra di Sendo si fecero sottili, gli occhi impastati da una quasi incoglibile sfumatura negativa, per niente da lui.
«Hiyori non si sposerà e nemmeno si troverà il ragazzo, problema risolto.»
Koshino sbuffò, i gomiti appoggiati sui braccioli della poltrona. «Non puoi decidere per il suo futuro, lo sai anche tu.»
«Non m’importa.»
«Dovrebbe.»
Akira lo zittì con un movimento del palmo della mano, consapevole che se avessero continuato a discuterne avrebbe finito per litigare senza volerlo davvero, come succedeva spesso con Kaede quando, chissà per quale motivo, tiravano in ballo il discorso.
Lo sapeva bene anche lui che avrebbe dovuto disfarsi di quel complesso di fratello maggiore che lo accompagnava sin da quando era nata la sua dolce sorellina, tuttavia anche solo il pensiero di dover condividere Hiyori – che aveva quindici anni, ma nella sua testa ne aveva ancora sei – con qualcun altro, gli faceva ribollire il sangue nelle vene e la mente gli appannava, rendendolo incapace di ragionare in maniera matura; regrediva allo stadio di un ragazzino viziato.
Koshino, malgrado Sendo lo avesse indirettamente pregato di non accennare più a niente che riguardasse Hiyori, continuò per la sua strada, domandandogli: «Ti piacerebbe se qualcuno ti impedisse di frequentare chi vorresti? Non cominceresti ad odiare questa persona?»
Akira iniziò a credere di esser caduto in un’altra dimensione dove Hiroaki si stava improvvisando il suo psicologo personale oltre che il suo manager, pronto ad aiutarlo a superare il suo ‘problema’.
Peccato che non ce ne fosse bisogno: non era così accecato dal suo complesso da non capire quali conseguenze avrebbe portato il suo essere troppo attaccato ad Hiyori, fino al punto di impedirle di uscire con chi volesse, se avesse continuato verso quella direzione.
Fissò perciò Koshino, facendo riaffiorare il sorriso che caratterizzava il suo volto. «Non mi piacerebbe, tuttavia anche se non mi permettessero di frequentare la persona che vorrei il problema non si porrebbe, non per me.»
Hiroaki sussultò, non capendo che diavolo volesse significare quell’affermazione. Era come se stesse dicendo – e sperava di averla colta male - che per lui non c’erano possibilità di trovare qualcuno.
«Spiegati meglio, Akira» sbottò squadrandolo, la fronte aggrottata. «Pensi forse che non ci sia nessuno là fuori per te?», il tono di voce leggermente incrinato non sfuggì alle orecchie di Sendo, tuttavia non poté fare niente per evitarlo. «Se è questo il tuo pensiero mi autorizzo a picchiarti.»
Akira scosse la testa, fermando sul nascere la rabbia crescente di Hiroaki, comprendendo le motivazioni per cui stava perdendo le staffe.
Avrebbe voluto scusarsi, ma sicuramente avrebbe peggiorato la situazione, facendolo passare per il povero ragazzo rifiutato e ferendo profondamente il suo forte orgoglio.
«Non dico che non ci sia nessuno», gli assicurò, smontando pezzo per pezzo il suo malumore, «solo che per ora non sono interessato a trovarmi qualcuno.»
Si era costretto a mentire anche se odiava farlo, ma si poteva dire che la sua fosse una bugia bianca, una di quelle che ti salvano dal rovinare qualcosa che potresti perdere e che ritieni importante.
Koshino, fortunatamente per lui, non si accorse della menzogna, lasciandosi andare un breve sbuffo. «Molto bene. Allora ritiro la mia proposta di pestarti», lo informò, la voce tornata a farsi decisa.
«Meno male» ridacchiò Sendo, tirando un sospiro di sollievo, indicandosi la fronte. «Credo che questo sia già abbastanza.»
Hiroaki arricciò le labbra. «Un po’ di fard e vedrai che si risolve tutto», o almeno sperava, «comunque, ritornando al discorso originale, ero venuto qui solo per consegnarti la scheda dei tuoi prossimi set fotografici; ultimamente sei piuttosto richiesto.» Fece cenno con la testa verso il foglio abbandonato sul tavolo in legno massello, come invito a darci un’occhiata. «La prossima settimana non hai un attimo di sosta a parte la domenica.»
Sendo mascherò un verso di disapprovazione con un colpo di tosse, incapace di mostrare un’emozione che fosse propensa alla negatività.
Se fosse mai arrivato il giorno in cui si lamenterà o, peggio, arrabbierà, il mondo, di sicuro, entrerà nel caos più totale, perché un Akira Sendo senza un sorriso o senza il suo immancabile buon umore non è un Akira Sendo.
«Se non amassi il mio lavoro sarebbe davvero una tortura», disse mentre guardava sulla scheda quanti impegni avesse. Se aveva il tempo per respirare era già tanto. «Il direttore Suwamura vuole che posi di nuovi per la sua rivista, non so se ti hanno informato.»
«Lo so», grugnì l’altro, visibilmente irritato. «Quel vecchio pervertito proprio non lo riesco a vedere. Appena vede un culo si mette a sbavare come un cane in calore.»
Sendo, nonostante la poca finezza utilizzata da Koshino nei confronti di una persona che, nel campo della moda, contava non poco, ridacchiò, non aspettandosi nulla di diverso.
«Ho notato un certo entusiasmo, in effetti», ricordò, andandosi ad appoggiare contro la parete bianca per sostenere il corpo provato dalla stanchezza.
«Se vedo che prova ad allungare le mani giuro che gliele taglio», gli assicurò, i tratti del volto che non lasciavano trasparire altro che serietà.
Akira gongolò appena. «Grazie Hiro-chan
Un sussulto.
«Non chiamarmi Hiro-chan!»
«Perché no? Ti calza a pennello.»
«Assolutamente no», ruggì il più basso, combattendo l’imbarazzo.
Sendo, malgrado si fosse appena spalmato sul muro, si staccò da quest’ultimo per avvicinarsi a Koshino, scompigliandogli i capelli scuri con innocenza.
«Io invece credo proprio di sì. Quando non sei arrabbiato hai proprio il viso da ragazzino tenero, Hiro-chan.»
Hiroaki, questa volta, non ebbe la forza di controbattere, troppo preso dal nodo che gli si era creato in gola nel momento in cui aveva sentito il tocco di Sendo su di sé.
Quando Akira si accorse di aver osato più del dovuto era già ormai troppo tardi: Koshino aveva alzato leggermente la testa, gli occhi scuri illuminati da una piccola speranza, le labbra socchiuse e le guance che si stavano facendo, man mano, sempre più tendenti al rosso; sembrava volesse dir qualcosa, o meglio, voler fare qualcosa.
Non poteva permetterglielo per una questione di giustizia, e Sendo, sfortunatamente o fortunatamente, dipendeva da che prospettiva la si voleva guardare, era il ragazzo più leale quando si trattava dei sentimenti altrui.
Mai e poi mai si sarebbe permesso di scherzarvi sopra come un burattinaio che muove i fili del gioco.
«Kosh-», provò a dire, ma nel mentre stava per farlo ecco che si spalancò, per la seconda volta di fila in quella giornata, la porta del camerino, introducendo una nuova figura che, al presentarsi di quella scena, rimase fermo come una statuina all’entrata.
Sendo voltò la testa repentinamente, distanziandosi da Hiroaki con un piccolo balzo all’indietro, domandando, non appena riconobbe l’identità del nuovo arrivato, un «Kaede?» inaspettatamente tranquillo.
Koshino, diversamente da lui, si irrigidì, guardando il nuovo arrivato in cagnesco.
Kaede Rukawa era in piedi sullo stipite della porta, l’espressione di uno che aveva appena corso chilometri e chilometri senza mai fermarsi - in sostanza la stanchezza era parte integrante dei tratti del suo viso, nulla di diverso dal solito.
«No, il fantasma formaggino» ironizzò, incastrando successivamente il proprio sguardo con quello di Koshino, scorgendovi l’immancabile risentimento che nutriva nei suoi confronti.
«Rukawa», ringhiò il manager, stringendo i braccioli della poltrona per placare il suo spirito bollente.
Kaede alzò leggermente il capo, rispondendo a quell’occhiata di sfida con una smorfia indolore.
«Hn, ciao», fece con tono di sufficienza, partecipando attivamente all’accrescimento di irritazione nell’animo di Hiroaki.
Comprendeva fino ad un certo punto l’ostilità di Koshino, tuttavia non gli interessava minimamente che cosa pensasse e gliene importava ancor meno dei suoi problemi di cuore: se aveva qualche conto in sospeso con Akira doveva prendersela con lui e smetterla di fare il sostenuto.
«Ce l’hai fatta» commentò sorpreso il più alto dei tre, investendo l’atmosfera tesa con la sua voce allegra, riscaldandola. «Quando nomino Ayako scatti subito come un soldatino, eh?»
Kaede grugnì, il cipiglio marcato. «Ci tengo alla mia testa, tutto qui.»
«Senza quella non saresti qui» asserì Koshino, approfittandone per lanciare una delle sue frecciatine poco simpatiche.
«Come se m’importasse di lavorare qui o meno», replicò l’altro, zittendo quella provocazione sul nascere. «Avrei sicuramente trovato qualcos’altro al contrario tuo.»
Quell’affermazione ferì profondamente l’orgoglio del manager, tant’è che si preparò ad inveire contro di lui con un vocabolario non propriamente consono, ma proprio mentre stava per aprire bocca venne fermato da Sendo, che si infiltrò in quella “conversazione” con un: «Koshino, ti dispiacerebbe lasciarmi da solo con Kaede?»
Hiroaki voltò subito il capo ad indirizzo di Sendo quando udì quella richiesta, rifilandogli uno sguardo adirato.
Perché diamine doveva sempre schierarsi dalla sua parte invece di appoggiarlo ogni tanto?
«Per favore» insistette, cercando di risolvere la faccenda nel modo più democratico possibile, senza spargimenti di sangue.
Hiroaki poteva anche essere una testa dura, ma non era un’idiota, e soprattutto sapeva quando era il momento di smetterla di insistere perché ne sarebbe uscito vinto in ogni caso.
Si alzò dalla poltrona, facendola stridere sul pavimento apposta per far comprendere il suo disappunto nel doversene andare, soffrendo in silenzio; dopotutto era abituato ad esser messo da parte da Akira quando in ballo c’era Rukawa.
«Vado», sentenziò brusco, incamminandosi verso la porta, evitando di toccare il ragazzo con l’aria da zombie, neanche vi fosse la possibilità che gli potesse attaccare la peste. «Riguardati la scheda, se manchi anche solo ad un impegno perderai il tuo bel faccino».
Alle orecchie di Sendo risultò molto come una minaccia più che un consiglio dato dal suo manager, preoccupato che una sola assenza avrebbe potuto intaccare la sua carriera.
«Certo» disse solo, salutandolo prima che potesse scomparire dalla sua vista; non gli sfuggì però l’occhiataccia che riservò a Rukawa, che ribatté, a sua volta, ad armi pari, senza proferire una parola in più.
Quando Koshino fu completamente fuori dal suo radar e si chiuse la porta alle spalle – sperando di beccare Kaede, magari -, sbuffò pesantemente, scrocchiandosi l’osso del collo.
Era la giornata internazionale del: “Facciamo dannare Akira Sendo?” No perché a quel punto era l’unica soluzione che gli veniva in mente.
«Cosa c’è?» domandò Rukawa, l’aria seccata.
Punta a spilli inarcò un sopracciglio. «Ci dev’essere qualcosa?»
Kaede alzò gli occhi al cielo. «Hai appena mandato via il tuo amichetto, ci sarà pure un motivo.»
«Per evitare che vi scannaste» asserì immediato, massaggiandosi le tempie. «L’ultima cosa che desideravo era uno scontro. Sono troppo stanco per sostenerlo.»
«Hn, come se mi abbassassi a certi livelli» replicò l’altro, il tono scalfito da una nota di nervosismo.
Sendo sospirò per la seconda volta. «Stava per aggredirti, e non penso che tu te ne saresti rimasto buono.»
«Allora non mi conosci abbastanza» sibilò Rukawa, pronto a fare retro-front verso il suo, di camerino. Era lì da quanto? Cinque minuti? E già lo stava infastidendo con le sue premure, se così si potevano definire.
Akira si arrese, e non perché sapeva che Kaede l’avrebbe sempre vinta contro di lui – se c’era persona che sapeva tenergli testa era indubbiamente se stesso -, ma perché non era suo desiderio addentrarsi in una discussione che non aveva nemmeno motivi per sorgere.
«Non facciamola più grande di quel che è» disse, scrollando le spalle. «In realtà spero solo che si acquietino le acque tra voi due.»
«Non sono io ad avere un problema con lui», mugugnò Rukawa, facendo lo scarica badile.
Kaede aveva ragione.
Non aveva colpe, anzi, se fosse stato per lui avrebbe bellamente ignorato Koshino, come faceva con la maggior parte della gente che lo circondava.
Kaede era così, o lo si amava o lo si odiava nel suo carattere freddo, distaccato, indifferente, ma non per questo disonesto e una compagnia spiacevole.
Sendo, la sua scelta, l’aveva già fatta; non c’era bisogno di specificare quale fosse stata.
Annuì alla fine, deciso a mettere da parte il discorso. Le cose si sarebbero potute risolvere solo con il passare del tempo, o almeno sperava.
«Chiudiamo la parentesi ed apriamone un’altra…» fece, con enorme “felicità” di Rukawa che già aveva alzato le iridi blu al cielo. «Te ne sei tornato al bar dell’ultima volta senza di me.» Più che un’accusa sembrava una constatazione. Lo si poteva capire dal sorriso che era riaffiorato sul suo volto. «E poi mi spieghi quel giaccone da detective?»
Kaede si guardò. Si era dimenticato di toglierlo al contrario di tutto il resto.
«Hn, copertura» grugnì seccato, senza sprecare troppe parole, «e poi mi trovavo da quelle parti e ci sono entrato.»
Sendo ridacchiò appena, pensando che mai avrebbe ammesso che lo aveva colpito. Dopotutto erano davvero poche le cose che piacevano a Kaede e che si guadagnavano il suo interesse.
«Che hai preso?» domandò curioso.
«Latte e brioche».
«Buoni?»
«Hn, abbastanza».
Ed ecco che arrivò a chiedere ciò che gli interessava davvero.
«C’era il cameriere dai capelli rossi?»
Rukawa lo fissò, non capendo cosa ci fosse sotto. Nel dubbio rispose ugualmente.
«E’ venuto al mio tavolo», affermò con noncuranza, muovendosi verso la porta. «E’ più fastidioso di quanto pensassi.»
«Asp- dove vai?» chiese immediato Akira, non capendo perché si stesse avvicinando all’uscita, senza permettergli di saperne di più.
«Sono stanco», si grattò la nuca alla base del collo, «e tu mi stai facendo parlare troppo.»
Sendo lo guardò per un attimo sbigottito, dopodiché scoppiò in una fragorosa risata, tenendosi addirittura lo stomaco talmente cominciarono a dolergli gli addominali scolpiti.
«Che ti ridi?» sbottò Rukawa, regalandogli una delle sue occhiate glaciali nel tentativo di farlo smettere. Era irritante come riuscisse ad esser sempre di buon umore.
«No scusa», disse tra una risata e l’altra, asciugandosi quell’unica lacrima che solcava l’occhio sinistro. «Lo so che non parli molto, ma sentirti dire veramente che ti stufi a parlare? E’ la prima volta che te lo sento dire in sette anni che ci conosciamo.»
«Hn» sillabò unicamente, tornando a mostrare la solita espressione amorfa. Con Sendo le occhiatacce o le frasi pungenti non funzionavano.
Arrabbiarsi non era proprio da lui, ma c’era stata una volta, anche per Akira, in cui aveva perso la pazienza e...
Scosse immediatamente la testa, respingendo quel ricordo scomodo dalla sua mente.
«Vado da Ayako» annunciò, sapendo a prescindere che si sarebbe beccato una bella strigliata dalla sua amica d’infanzia, rimettendoci qualche ossa.
Non essendo uno che amava perdere tempo preferiva molto di più la teoria “meglio finirla subito” che aspettare e scappare prima di esser acciuffato e fatto a pezzi.
Sendo levò il pollice verso l’alto, le risa ormai quasi completamente sparite. Dopo due minuti buoni era riuscito a darsi un contegno.
«Vieni a pranzo da me?» chiese prima che potesse abbandonarlo, le labbra scoperte in un sorriso.
Kaede ci pensò giusto il tempo di un respiro, poi annuì. La prospettiva di arrivare a casa e doversi mettere a preparare qualcosa non lo allettava per niente: nonostante fosse un ottimo cuoco non aveva né la forza né la voglia di cucinare.      
«Ti aspetto solito posto, okay?»
«Hn», rispose monosillabico, agitando una mano per salutarlo. Prima di andarsene, però, si voltò, dandogli un consiglio che gli veniva dal…cuore? «Vedi di non illudere la gente.»
Quando Akira capì il senso di quella frase e a che cosa Kaede stesse alludendo fu troppo tardi per ribattere; sembrava lo facessero tutti apposta ad andarsene prima che avesse la possibilità di giustificarsi solo per non dargli la soddisfazione di avere ragione una volta tanto.
Ridacchiò improvvisamente tra sé e sé, senza alcun motivo particolare, chiudendo la porta a chiave per esser sicuro che nessuno entrasse più – visto che quel giorno sembrava che tutti avessero urgenza di parlargli -, spogliandosi e buttandosi sotto il getto d’acqua fredda, lavando via sudore, stanchezza e stress.
Si domandava perché Kaede gli desse certi consigli quando sapeva meglio di lui che Koshino sarebbe rimasto sempre un amico e niente di più, almeno finché i suoi sentimenti sarebbero rimasti invariati.
Dopotutto lui…
Si diede l’ultima sciacquata veloce ed uscì dal box-doccia, prese un asciugamano e se lo legò alla vita, dopodiché si posizionò davanti allo specchio, osservando i capelli sempre a punta abbandonati sulla fronte e le goccioline d’acqua scendere dalla base collo, per poi disperdersi tra le curve perfette dei suoi muscoli.
Non sapeva perché ma improvvisamente gli ritornò in mente il cameriere di quel bar, il Monkey’s Room, ricordando come Kaede lo avesse osservato una volta che era comparso in mezzo a tutte quelle ragazze, trovando il coraggio di affrontarle nonostante la forte possibilità che queste lo assalissero e gliene dessero di santa ragione.   
«Voglio sapere qualcosa in più su di lui», parlò ad alta voce, dandosi una veloce ravvivata alla capigliatura mora bagnata. «Chi attira l’interesse di Kaede merita sempre la mia attenzione.»
 
 
 
 
 
 
 
  

 
   
 
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