Storie originali > Azione
Segui la storia  |       
Autore: fourty_seven    15/06/2014    2 recensioni
Se vi state chiedendo chi io sia... beh lasciate perdere non ne vale la pena. Tuttavia per coloro che sono ugualmente interessati posso dire che sono un ragazzo con dei "problemi".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Sorpresa! Contento di vedermi?”.
“Sarah? Che ci fai...”.
“Che hai all’occhio?”.
“Niente, ho incontrato...”.
“Ma hai l’occhio nero! Hai fatto a botte con qualcuno?”.
“Non ho fatto a botte con nessuno, sta...”.
“Ci devi mettere del ghiaccio subito! Lo vado a prendere”.
“Non ce ne bisogno ci ha già pensato Jason...”.
“Jason!? Che diamine centra Jason?”.
“Niente! Fammi par...”.
“Non avrai fatto a botte con Jason?”.
“No!” urlo esasperato e questo attira l’attenzione del resto della famiglia; infatti mia madre si affaccia dal soggiorno tutta sorridente: “Tesoro! Hai visto chi è venuto a trovarci?” dice, mentre altre due persone escono dalla sala: il padre e la madre di Sarah. Mi salutano, ma io non faccio in tempo a ricambiare perché anche mia madre vede l’occhio nero.
“COSA TI SEI FATTO!” grida mentre mi afferra il volto tra le mani e comincia a studiare il mio occhio da diverse angolazioni; io la allontano e poi mi allontano di un passo da lei e da Sarah.
“Calme! Non...”.
“Non avrai fatto a botte con qualcuno?” chiede anche mia madre.
“NO!” urlo ancora, “No, ho ricevuto una porta in faccia, va bene?” mi invento su momento, “Stavo passeggiando quando ho incontrato Jason, un compagno di corso, mi ha invitato a casa sua e lì accidentalmente ho sbattuto contro la porta di ingresso, tutto qui”. Mi madre annuisce convinta, ma vedo che Sarah non è per nulla persuasa; tuttavia non insiste.
“Okay, se avete finito di parlare di me, mi piacerebbe sapere che ci fai qui” chiedo a Sarah, al che tutti si riscuotono e tornano sorridenti come prima.
“Oh giusto!” esclama mia madre, “Ci hanno appena invitati a cena, non è una bella idea?”.
“È un’ottima idea” ribatto sorridendo.
“Perfetto! Dobbiamo solo aspettare tuo padre, che dovrebbe essere a casa da un momento all’altro. Intanto vai a prepararti” continua mia madre.
“Certo” rispondo mentre entriamo in casa.
 
Un’ora dopo siamo di fronte al solito ristorante, ovvero il posto in cui venivamo sempre a mangiare molti anni fa.
Sarah mi sembra un po’ agitata, o forse è solo nostalgia dei tempi andati, perché continua a guardarsi attorno. Questo posto, a differenza del bar di Bob non è cambiato per nulla e rievoca molti, molti ricordi, soprattutto delle sgridate che ci prendevamo dopo aver combinato qualche disastro.
“Oddio” dice Sarah, poi mi da un pugno sulla spalla.
“Perché!” esclamo guardandola stupito.
“Non te l’ho ancora fatta pagare il bagno nella fontana che mi hai fatto fare!”. Io mi immobilizzo, non capendo che cosa sta dicendo.
“Quando?”.
“Al mio compleanno, undici anni fa, in quella fontana” risponde indicandomi la fontana che si trova al centro del parcheggio.
“Ma che...” poi mi torna in mente l’episodio a cui si riferisce e scoppio a ridere.
“Che stronzo!” dice dandomi un altro pungo sulla spalla.
“Okay, okay, la pianto, ma facevi troppo ridere!”.
Eravamo venuti qui a festeggiare il suo compleanno e, come sempre, finito di mangiare io e lei siamo usciti a giocare nel parcheggio, mentre i nostri chiacchieravano all’interno. Io avevo preso un dolce al gelato, che avevo portato fuori con me per mangiarlo; ad un certo punto Sarah ha chiesto se potevo farglielo assaggiare, le ho risposto con un no secco, facendole anche la linguaccia, lei per ripicca mi ha dato uno spintone a cui ho risposto spingendola a mia volta, purtroppo dietro di lei c’era la fontana e quindi ci è caduta dentro, bagnandosi completamente. Quando è uscita ha cominciato ad urlarmi contro, infuriata nera, e vedendola completamente zuppa, rossa in volto per la rabbia, mi sono messo a ridere, e più gridava più io ridevo; alla fine qualcuno ci ha sentito e sono arrivati i nostri genitori. Ci siamo beccati entrambi un mese di punizione.
Riesco a calmarmi e tornare serio, così raggiungiamo i nostri genitori che nel frattempo sono arrivati all’ingresso.
Mentre camminiamo rimango in silenzio guardando il terreno.
“Perché non dici più nulla? Non sarai agitato?”.
“Agitato? Perché?” chiedo un po’ sorpreso.
“Beh, stai andando a cena con una ragazza; questa cosa fa molto appuntamento romantico” risponde. Io la guardo serio per qualche istante, poi le sorrido: “Ma dai, per...” e mi ritornano in mente le parole di Philip, “Perché dovrei, non è la prima volta che porto fuori a cena una bella ragazza”.
Lei si blocca sul posto e mi fissa sorpresa, io la guardo negli occhi serio e dico: “Ti sto prendendo in giro stupida!” e mi allontano ridacchiando.
 Entro e attraverso il locale, che è già abbastanza affollato, dirigendomi verso il tavolo a cui si sono già seduti i nostri genitori; Sarah mi raggiunge qualche istante dopo: “Sei un’idiota, lo sai?”.
“Per quale motivo, ho solamente citato un mio amico”, mi guarda con un’espressione interrogativa e le rispondo: “Te lo spiego dopo, ora ho fame” e mi siedo al tavolo.
I miei genitori e quelli di Sarah stanno chiacchierando spensierati, è da un po’ di tempo che non li vedevo così rilassati; tranne per qualche sporadica occhiata, non prestano molta attenzione a me. Avevano proprio bisogno di distrarsi un po’.
Io e Sarah ordiniamo gli stessi piatti che prendevamo da piccoli, mangiamo e, come accadeva sempre, finiamo prima degli altri.
“Andiamo a farci un giro?” chiede Sarah, io sorrido: “Certamente”.
Ci alziamo e andiamo verso l’uscita, i nostri genitori non ci prestano molta attenzione, anche se io mi sarei aspettato di sentirci dire di stare attenti alle macchine che entrano nel parcheggio.
Davanti alla porta però un cameriere ci ferma: “Signori, avete qualche problema?”.
Non capisco subito a che cosa si sta riferendo, poi mi rendo conto che stiamo uscendo senza aver pagato; finché eravamo bambini non ci facevano storie, ma ora è diverso.
“No, ci scusi. Siamo con i nostri genitori” e indico il tavolo a cui sono seduti. Non so se lo convinco completamente, ma si allontana.
“Che figuraccia”, io sorrido: “Già. Usciamo prima di farne altre”.
Andiamo a sederci sul bordo della fontana; anche se non è il posto ideale, visto che fa abbastanza freddo e ogni tanto qualche schizzo di acqua gelida ci colpisce.
“Mi racconti la storia che sta dietro la citazione?”.
“Sì, ma non è nulla di che”.
“Fa niente, sono curiosa”.
“Okay. Hai vagamente presente cos’è successo in India al reparto a cui ero stato assegnato?”.
“Sì, più o meno”.
“Perfetto” mi fermo per raccogliere le idee; non ho la minima intenzione di raccontarle esattamente ciò che è successo, non voglio rovinare la serata, “Allora... Niente, semplicemente una sera Philip, uno dei miei compagni, ci ha raccontato che era solito usare quella frase ad ogni nuovo appuntamento”.
“Tutto qui?”; mi stringo nelle spalle: “Ti ho detto che non è nulla di che”. Restiamo seduti ancora per qualche minuto, poi abbiamo entrambi troppo freddo per continuare a stare fuori e decidiamo di rientrare.
Restiamo al ristorante per una mezz’oretta poi ognuno torna a casa propria.
 
“È stata veramente una bella serata” dice mia madre appena entriamo in casa.
“Sì, era da tanto...”, lascio i miei da soli a parlare nell’ingresso e salgo in camera mia.
Mi spoglio e mi stendo sul letto.
Avrei dovuto raccontarle la verità; quello che le ho detto non si può nemmeno considerare una bugia, dato che me lo sono quasi completamente inventato. Forse non ci sono riuscito perché è una delle esperienze che mi hanno segnato di più.
 
 
 
“Era il mio primo appuntamento in assoluto”.
“Il primo?”.
“Sì, lo so dovrei vergognarmi, in sedici anni di vita non avevo ancora invitato una ragazza ad uscire” risponde Philip, Fred annuisce: “Giusto un pochino”.
“Comunque stavo dicendo: era il mio primo appuntamento e me la stavo facendo sotto dalla paura; non ne ho capito ancora ora il motivo, ma la ragazza con cui sarei dovuto uscire era la più ambita della scuola: due anni più vecchia di me e... beh ve la lascio immaginare, tanto non riuscirei mai a descriverla. In realtà l’invito era partito da lei, diciamo che mi aveva fatto capire che avrebbe gradito uscire con me”.
“E così l’hai portata a cena fuori”.
“E in uno dei locali più chic della città!”.
“Però! Questo ti fa guadagnare qualche punto”.
“E questo era un altro motivo che mi preoccupava”.
“Non ti potevi permettere il conto?” Phil lancia un’occhiata assassina a Fred: “Okay, sto zitto”.
“Lei si deve essere accorta che non ero molto tranquillo; infatti mi hai chiesto se fossi agitato e io le ho risposto serio: perché dovrei, non è la prima volta che porto fuori a cena una bella ragazza”, scoppiamo tutti a ridere, immaginandoci la scena.
“E lei ti ha creduto’?”.
“Penso di sì, visto che è uscita con me altre due volte”.
“Poi?”.
“Poi l’ho mollata”.
“Perché?” intervengo sorpreso.
“Ho incontrato mia moglie”.
“Però! Hai avuto una storia sentimentale molto semplice” commenta Fred.
“Non tutti sono dei playboy come te! Comunque io ho raccontato la mia storia, l’ultimo sei tu” dice Philip indicandomi. Io abbasso lo sguardo un po’ imbarazzato; “Coraggio! Non puoi essere peggio di lui!” esclama Fred.
“Purtroppo sì. Non sono tanto spigliato con le ragazze; ho molte amiche, ma sono solo amicizie superficiali. L’ultima vera amica che ho avuto si è trasferita in un’altra città un po’ di anni fa; e per quanto riguarda appuntamenti, non ho mai invitato nessuno fuori a cena, ho portato solamente due ragazze al cinema un paio di volte, ma finiva lì; il giorno dopo eravamo amici come prima”.
“Che delusione” commenta Fred scuotendo la testa.
“La cena” dice una voce alle mie spalle, mi volto e vedo i cacciatori di ritorno con il loro bottino, un po’ magro, ma ce lo faremo bastare.
Quando finisco di mangiare il sole sta cominciando a tramontare, e quindi devo iniziare il mio turno di guardia.
Mi allontano dal fuoco assieme a Philip, anche lui di guardia assieme a me.
“Io mi piazzo fra quelle rocce, tu fa il giro e controlla la parte opposta. Mi raccomando non rimanere fisso in un posto, controlla tutto...” comincia a dire Phil.
“Non ho bisogno delle istruzioni, so come fare” rispondo scocciato.
“Sì, certo, occhi aperti” e va verso il gruppo di rocce che mi ha indicato. Io devio verso destra e vado dalla parte opposta dell’accampamento rispetto a dove si trova lui.
Non mi piace per nulla questo posto, è troppo scoperto, ma nei dintorni non c’era nulla di meglio; questa notte dovremmo prestare più attenzione del solito.
Passeggio lungo metà perimetro dell’accampamento, stando attento a non fare troppo rumore e prestando attenzione ad ogni minimo fruscio che sento.
Non so quanto tempo sia passato di preciso, un paio d’ore sicuramente, dato che almeno qua sotto gli alberi è scesa completamente la notte, quanto improvvisamente sento dei rumori.
Sembrano voci, grida più che altro e devono provenire da una bella distanza dato che non sono molto forti. Comunque corro immediatamente dagli altri per avvisarli, ma quando arrivo accanto al fuoco trovo già tutti in piedi con le armi in pugno; anche loro le hanno sentite.
“Hai visto qualcosa?” chiede George; scuoto la testa.
“Che si fa?” chiede Philip, appena ci raggiunge, “”Restiamo qui sperando che non passino da queste parti?”.
“Andiamo a controllare. Non è da escludere che sia una pattuglia dei nostri in ricognizione” dice Tom, anche se sa che è impossibile.
In silenzio raccogliamo i nostri zaini e cominciamo a camminare verso le voci.
 
L’intensità delle grida continua ad aumentare, ma attorno a noi ci sono solo alberi, nessun segno di presenza umana.
“Solo un gruppo molto numeroso di persone potrebbe fare tutto questo fracasso” commenta George.
Camminiamo ancora per qualche minuto, poi di fronte a noi la giungla comincia ad essere meno buia; proseguiamo per qualche metro e diventa chiaro il fatto che non molto più avanti qualcuno sta illuminando la notte con fari molto potenti.
“Spegnete le torce e proseguite in silenzio” ordina Tom.
Ad un certo punto gli alberi finiscono e riesco a vedere la fonte dei rumori che sentivo.
A qualche centinaio di metri di distanza scorre un fiume, sulla cui sponda è stato costruito un pontile di legno, sul quale al momento si trovano due uomini, che stanno guardando a monte del fiume parlando fra loro; l’area è disseminata di potenti riflettori che illuminano il posto a giorno, è per questo che riesco a vedere i due uomini anche se sono molto lontani; a poca distanza da noi si trova una grossa baracca di legno, da cui provengono delle risate, mentre altre due baracche simili sono più lontane e all’apparenza sembrano vuote. Ma la fonte del frastuono che si sentiva è al centro dello spiazzo, controllata da una decina di guardie armate, si tratta di una moltitudine di persone, almeno un centinaio, tutte donne o bambine.
“Bastardi” sibila Marco fra i denti.
“Mercanti di schiavi” dice George.
“Mercanti di schiavi?” chiedo, sorpreso e scioccato al tempo stesso.
“Quelle donne verranno vendute in occidente come prostitute o per altri incarichi simili” mi risponde.
“Come agiamo?” chiede Philip. Mi volto a guardarlo, “Non ho la minima intenzione di andarmene senza fare nulla” aggiunge.
Sono pienamente d’accordo con lui.
“All’esterno ho contato tredici uomini, presumibilmente lì dentro ce ne sono almeno una ventina” dice Jen.
“Non abbiamo abbastanza munizioni per eliminarli tutti” commenta Fred.
“Io ho ancora una granata” aggiunge Marco.
“Bene” inizia Tom, “Il posto è troppo illuminato, non potremmo agire senza farci scoprire. Quindi ci muoveremo in questo modo: io e il ragazzo ci occuperemo di quelli sul molo, Marco pensa agli uomini nella baracca, voi concentratevi sulle guardie all’esterno, soprattutto controllate prima di agire che le altre due baracche siano vuote”, poi si rivolge a me: “Avremo una sola occasione, un colpo solo. Tu darai il via”, io annuisco abbastanza spaventato, “Perfetto, andiamo” conclude. Lui e George si incamminano verso il molo restando nascosti fra gli alberi, io e Jen li imitiamo dirigendoci però dalla parte opposta. Dopo un centinaio di metri dagli alberi si vede il retro di una delle tre baracche e quindi Jen si ferma di fianco a questa. Io proseguo.
Quando arrivo in posizione, la prima cosa che faccio è cercare tra gli alberi di fronte a me Tom; lo vedo nella penombra, anche lui mi vede e mi fa cenno di agire.
Prendo la pistola e tolgo la sicura; avanzo di un passo per avere una visuale migliore, tanto non c’è pericolo di venire scoperto, dato che i due uomini mi danno le spalle e sono ancora intenti a scrutare il fiume.
Impugno la pistola e distendo le braccia, butto fuori l’aria dai polmoni e premo il grilletto.
Il corpo dell’uomo più vicino si rovescia in avanti, un secondo dopo un altro sparo e anche l’altro uomo cade a terra morto.
Però quello che succede subito dopo è completamente sbagliato.
Mi alzo ed esco dalla vegetazione contemporaneamente a Tom; faccio qualche passo verso le altre guardie, ma mi fermo subito non riuscendo a capire ciò che sta accadendo: vedo uscire di corsa dagli alberi Jen, Marco e gli altri sparando non alle guardie che hanno di fronte, ma alle loro spalle. Mi volto velocemente verso Tom, non sapendo cosa devo fare, e vedo un uomo armato uscire dagli alberi alle sue spalle. Poi tutto diviene buio.
 
Mi risveglio lentamente; un dolore pulsante mi martella la testa talmente forte che faccio persino fatica a pensare. Provo a spostarmi, ma scopro di non potermi muovere; abbasso lo sguardo gemendo per il dolore e scopro di essere legato ad una sedia. Mi guardo attorno e noto altre due persone, anche loro legate ad una sedia.
Ho la vista ancora un po’ annebbiata, quindi non le riconosco subito, ma capisco chi sono solo quando parlano: “Hey kid are you okay?”, Tom.
“Tom dove... dove son... sono?” biascico.
“Hai la pelle dura ragazzo!”, Philip.
“Perché, che ci facciamo qui, e gli altri?”.
“Calma ragazzo, è tutto apposto. Hai preso una botta in testa molto violenta, non ti sforzare, quanto ti sentirai meglio ti spiegherò tutto” e chiudo nuovamente gli occhi.
Quando mi risveglio di nuovo il dolore si è attenuato e sono molto più lucido; nemmeno loro hanno le idee chiare su ciò che è successo, ma a quanto pare altri uomini armati sono arrivati nell’esatto istante in cui facevamo irruzione; hanno colto di sorpresa Philip e gli altri, che stavano per agire costringendoli ad uscire allo scoperto, mentre alcuni di loro hanno attaccato alle spalle me e Tom. Anche loro quando si sono ripresi erano già in questo posto legati alla sedia, quindi non mi sanno dire molto altro.
“Ciò che mi preoccupa è il fatto che non si sia fatto vedere ancora nessuno” conclude Tom.
“Non dovrai restare preoccupato ancora a lungo amico mio”.
La voce che ha appena parlato proviene dalle mie spalle, quindi non vedo a chi appartiene, ma sicuramente posso dire che non è americano, anche se lo parla alla perfezione.
“Nel frattempo spero che apprezzerete la mia ospitalità” dice ancora, poi risuonano dei passi e una figura entra nel mio campo visivo: è una donna,  molto giovane, tratti tipicamente indiani, ma con lunghi capelli biondi raccolti in una treccia. Va verso Tom, si china alle sue spalle, armeggiando con la catena che lo lega alla sedia, la quale dopo qualche si apre e cade a terra. Tom alza gli occhi stupito e, penso, rivolge lo sguardo all’uomo alle mie spalle: “Questo cosa significa”.
“Tengo legati solo gli esseri inferiori che altrimenti si rivolterebbero contro di me, ho fiducia che voi non vi comporterete in modo simile”.
La ragazza slega me, poi va da Philip, in fine esce dalla stanza.
 
Passa diverso tempo, durante il quale nessuno si fa vedere.
So perché ci tengono qui, e sono alquanto spaventato, ma non voglio mostrarlo. All’improvviso si sentono dei rumori da dietro la porta e questa si apre; per un secondo ho la visione di un corridoio illuminato e di due guardie che sorvegliano la nostra stanza, poi la porta si richiude alle spalle della ragazza di prima. Avanza nella stanza con un vassoio in mano; io sono appoggiato alla parete, dalla parte opposta della stanza rispetto alla porta, Tom è accanto a me, Philip, invece, è seduto su una delle tre sedie al centro della stanza, quindi la ragazza va verso di lui. Gli si ferma di fronte e lascia cadere il vassoio, poi lo guarda e lui guarda lei: “Che hai americano? Hai paura?”.
“Perché dovrei, non è la prima volta che porto fuori a cena una bella ragazza” risponde sorridendo, anche lei sorride, poi con un movimento rapido gli tira un pugno in pieno volto facendolo cadere da terra. Gli sorride ancora, poi se ne va.
“Che carattere, sarebbe perfetta per Fred” commenta Phil, massaggiandosi la mascella. Sorridiamo tutti e l’atmosfera si alleggerisce un po’.
Quella ragazza ci porta da mangiare altre tre volte, il quarto pasto ci è offerto direttamente dall’uomo.
Me lo ero immaginato diverso; non so perché ma pensavo che fosse una bestia grande e grossa, capelli e barba lunghi e spettinati, una specie di cavernicolo insomma; invece è completamente l’opposto: non deve avere più di quarant’anni, indossa un vestito elegante, a cui è abbinata una sgargiante cravatta rossa, ha i capelli lunghi, ma sono raccolti molto accuratamente in una coda di cavallo e non ha barba.
Ovviamente non è lui a consegnarci il vassoio ma due guardie, lui rimane sulla soglia, il più possibile lontano da noi. Deve essere passato più di un giorno da quando ci hanno presi e se già prima quanto a igiene personale non eravamo messi bene, chissà ora.
Phil vedendolo si alza in piedi e gli va incontro a braccia aperte, ma immediatamente viene fermato dalle guardie.
“Immagino che sia giunto il momento, giusto?” chiede Philip. L’uomo annuisce sorridendo; invece io non capisco a cosa si riferiscono, o meglio lo capisco ma non ci voglio pensare. Ad un suo cenno le guardie lasciano Philip, che si incammina fuori dalla stanza.
 
Passano tre, quattro, forse cinque ore, poi la porta si riapre e Philip viene lanciato dentro. Immediatamente io e Tom lo prendiamo e lo portiamo in un angolo. È semicosciente, ma sul volto un sorriso di trionfo.
 
Altri sei pasti, due giorni forse, poi l’uomo ritorna.
L’altra volta era sorridente, questa volta è serio, non parla, fa solo cenno alle guardie di prendere Tom e Philip scoppia a ridere: “Cosa credi di fare. Se non sei riuscito a far parlare me, speri di riuscire a far parlare lui?”; a queste parole sul viso dell’uomo spunta un ghigno terribile: “So riconoscere un vero uomo quando ne vedo uno, è per questo che ho intenzione di usare lui” risponde indicando me, poi altre due guardie entrano, vengono verso di me e mi sollevano di peso.
 
 
 
A questo punto mi sveglio. Non mi ero nemmeno accorto di essermi addormentato.
Guardo l’ora, le cinque del mattino; non voglio più addormentarmi, c’è il rischio che l’incubo continui e quella parte non la voglio assolutamente rivivere.
Che posso fare ora?
Esco dal letto e scendo al piano di sotto. Mi siedo sul divano di fronte alla tele; rimango per una decina di minuti immobile a fissare lo schermo spento, poi la accento, tolgo l’audio e rimango seduto a fissare le immagini che si susseguono sulla schermo.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: fourty_seven