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Autore: Iaiasdream    16/06/2014    2 recensioni
IN REVISIONE
I sogni, chi può vivere senza? Non riesco proprio ad immaginarmelo. Possono essere: dolci, lugubri, nascondigli per i tuoi più profondi pensieri, ma fanno sempre parte di te, rappresentano l’io di una persona, e anche se non si vuole credere, loro sono inevitabili... rieccolo lì, il mio passato. Arciere che scocca la freccia nel mio punto debole: l’inconscio. Di sicuro è lui che lo manovra. Lui, con quegli occhi taglienti e beffardi, con quel sorriso strafottente, disegnati su un viso irresistibilmente affascinante, è ritornato repentinamente a invadere la mia vita, lui artefice della sofferenza che mi aveva imprigionato per un po’ di tempo. Perché stava ricomparendo senza alcun pudore? Perché ricordarlo in quegli atteggiamenti? Che cosa vuole da me dopo tutti questi anni, che non sono molti ma, ancora oggi mi sembrano un’eternità?
Genere: Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A quel punto... mi sarei fermato '
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46° capitolo: UN BAMBINO MISTERIOSO
 
 



Castiel rimane con il cellulare in mano, dopo aver chiuso la chiamata che, dalla sua espressione, non promette nulla di buono.
Si alza mettendosi in piedi, scopettandosi i pantaloni per liberarli dalla sabbia. Mi alzo anch’io, chiedendogli che cosa sta succedendo. Lui non mi rivolge lo sguardo e si incupisce ancora di più mentre guarda l’orizzonte.
<< Castiel? >>
<< Vieni con me >> m’interrompe afferrandomi la mano e tirandomi a se.
<< Dove? >> chiedo incuriosita, bloccando i suoi passi e non accennando i miei.
<< Seguimi >> risponde fissandomi duramente e continuando a tirarmi. Mi lascio trascinare, silenziosamente, non voglio irritarlo ancora di più, anche se la curiosità mi sta facendo sua succube.
Dopo qualche minuto di cammino, ci ritroviamo di fronte il cancello di casa sua. Entriamo nel giardino, e subito Demon gli salta addosso, Cass non lo pensa e lo ammonisce con un “a cuccia”, continuando il suo cammino deciso, verso la porta di entrata.
Demon non contento, si mette dietro di me ringhiando. “Possibile che questo cagnaccio non riesce ancora a sopportarmi?” mi chiedo mentre allungo il passo avvicinandomi di più a Castiel e afferrandogli il lembo della sua maglia con l’altra mano.
Fortunatamente, entro in casa prima che l’ossessiva voglia di sbranarmi, da parte del “caro” cagnaccio, diventi reale.
Arrivati nel soggiorno, Castiel mi lascia finalmente la mano, ma non si gira a guardarmi, ne mi spiega cosa sta succedendo, anzi, mi lascia sola, salendo velocemente le scale.
Rimango allibita dal suo modo di fare. Minuti prima stavamo amoreggiando e adesso fa finta che io non ci sia.
Decido di seguirlo al piano di sopra, e percorrendo il lungo corridoio, guardo nelle stanze per trovarlo. Sento dei rumori provenire dalla sua stanza. Alzo il passo per raggiungerla.
Quello che vedo, non appena entro, mi inizia a preoccupare. Castiel sta preparando le valige.
<< Castiel, che fai? >> chiedo cercando di tenere ferma la voce.
<< Non lo vedi? >>
<< Spiegami. Chi ti ha chiamato, perché stai facendo le valige? Cosa sta succedendo? >>
<< Ti basterebbe se ti chiedessi soltanto di venire con me? >>
<< Ma dove? E perché? >> ribatto iniziando a innervosirmi << ti ricordo che per le tue manie di parlare a codice, siamo stati lontani per tre anni >>
<< Non lo so >>
<< Cosa? >>
<< Non so perché devo partire… al telefono era mia madre, mi ha detto di prendere Erich dal collegio e di andare a casa loro. Il perché, non lo so. Ma da come ha parlato, deve essere successo qualcosa di alquanto preoccupante >>.
Rimango in silenzio, cercando di ideare qualche motivazione nella mia mente, ma niente, non so proprio cosa sta succedendo. D’istinto mi avvicino al suo letto, e mi accingo ad aiutarlo a preparargli la valigia, mettendo le maglie in modo più ordinato possibile.
Castiel mi afferra la mano, ci guardiamo negli occhi, io con fare interrogativo e lui con tenerezza.
<< Verrai con me, vero? >> mi chiede quasi con supplica. Annuisco sorridendo, ma non riesco a rivelargli che mi sto sentendo il cuore riempirsi di ansia e angoscia.
 
 
È passato un quarto d’ora da che Castiel mi ha lasciata in macchina ad aspettare la sua uscita dal collegio in compagnia di suo fratello.
Con il braccio appoggiato allo sportello, e la guancia sul dorso della mano, guardo il cellulare aspettando il messaggio di risposta da parte di zia Michelle.
Quando sono andata a casa per preparare la mia valigia, non l’ho trovata, dato che a quell’ora era ancora a lavoro. Così, mi sono limitata a mandarle un messaggio. Non ho voluto chiedere a Castiel di passare dal Cosplay, perché ho visto la sua impazienza nel partire.
L’aria nell’auto si sta facendo davvero pesante, potrei dare la colpa al caldo, ma non è solo quello. Anche se il colore scuro della carrozzeria, attira su di se i bollenti raggi del sole, rendendo l’interno un forno, so che quella dominante pesantezza, non è altro che la mia ansia e agitazione.
Trasalisco sentendo il cellulare vibrare, apro subito il messaggio e leggo la risposta di mia zia.
“Buona luna di miele anticipata, allora”
<< Ma che caspita ha scritto? >> mormoro guardando irritata lo schermo. Ma, tu dimmi se questa non è proprio una risposta del… oh! Veramente, molte volte mia zia mi fa davvero ribollire il sangue dall’irritazione. Io le scrivo che sto partendo con Castiel per far visita ai suoi genitori e lei che cosa mi risponde? Dev’essere impazzita.
Sbuffo infastidita scorrendo con il pollice lo schermo e facendo fuoriuscire tutta la conversazione con Michelle. Mi fermo a una nuvoletta prima della sua risposta. È il mio messaggio inviato, lo rileggo così, distrattamente. Qualcosa, l’ultima frase, cattura la mia attenzione, rileggo lentamente.
<< Rea, sei proprio una stupida pervertita! >> esclamo arrossendo e muovendo il pollice in modo impazzito sul touch-screen. Ecco perché mi ha risposto in questo modo, l’increscioso sbaglio, è stato il mio.
Il mio messaggio, che avrebbe dovuto contenere le seguenti parole: “Zia, sto partendo con Castiel, stiamo andando a trovare i suoi genitori”; per qualche perverso motivo che si è disegnato nella mia mente, ho scritto: “Zia, sto partendo con Castiel, stiamo andando a fare l’amore”.
CHE VERGOGNA!!!
Poggio il cellulare sulle gambe, coprendomi il viso con le mani, e sbattendo i piedi sul tappetino della macchina. Ma come ho potuto pensare e scrivere una cosa del genere? Ma che diavolo mi sta succedendo?
Mi dondolo a destra e sinistra senza distogliere le mani dal viso, anzi, lo affondo di più in esse.
<< Che cavolo stai facendo? >> è la voce di Castiel ad interrompere il mio atteggiamento da demente. Trasalisco divaricando l’indice e il medio, per liberare la mia visuale, mi volto a sinistra e la prima cosa che vedo è il visino di un bambino dai capelli scuri, che mi guarda scettico. Castiel, al suo fianco, si è curvato verso il finestrino e mi fissa con le sopracciglia corrugate. Libero subito il mio viso dalle mani e le unisco nascondendole fra le gambe. Affondo il collo nelle spalle e cerco di sorridere in maniera che mi possa far sembrare una persona assolutamente normale, almeno davanti a quella creaturina, che sicuramente mi avrà presa per una pazza imbecille.
<< N-niente… ho caldo >> rispondo con un tremolante sorriso.
Cass si distacca dallo sportello e tirando leggermente il braccio di suo fratello, lo fa sedere sui sedili posteriori dell’auto.
Mi volto per guardare bene il bambino, somiglia molto a Castiel, specialmente il taglio degli occhi. Non appena mi volge anch’esso lo sguardo, gli sorrido mormorando un simpatico “Ciao”. Il bambino mi fissa per qualche secondo, poi facendo una smorfia, da farlo sembrare quasi scocciato, volge lo sguardo verso il finestrino sibilando << Idiota >>
Un gelidissimo vento mi ghiaccia l’espressione. “Mi ha chiamata idiota?... eccome se l’ha fatto”. Questo bambino, è peggio di suo fratello!
<< Cos’hai? >> chiede Castiel. Lo guardo smarrita.
<< Nulla >> esclamo volgendo la testa irritata e appoggiandomi allo schienale, incrociando le braccia al petto.
Partiamo, in silenzio, e questo, ci accompagna per tutto il tragitto. Scocciata guardo fuori dal finestrino il veloce scorrere della strada. Mi sento gli occhi appesantirsi dal sonno, ma non voglio addormentarmi. Ad un tratto sento la mano afferrata da quella di Castiel, lo guardo, mi sta sorridendo. Poi afferra teneramente la mia testa e mi curva per farmela appoggiare sulla sua spalla. Mi concedo sorridendo, accarezzandogli l’omero con le guance. Lui mi stampa un bacio sulla fronte. Quanto lo adoro quando fa così.
Mi addormento all’istante, senza pensare più a niente e sentendomi protetta dal suo travolgente calore. A destarmi, è un forte dolore alla testa, e quando riattivo i sensi, mi accorgo che qualcuno da dietro mi sta tirando un ciocca di capelli.
<< Ahia! >> urlo addrizzandomi e toccandomi istintivamente il punto dolente.
<< Svegliati idiota! >> esclama la voce dietro di me. Mi giro di scatto incrociando i famigliari occhi beffardi del fratellino del mio ragazzo.
<< Ma che… >> balbetto senza finire la frase. Fissando la sua strafottente espressione, sono stra-convinta che questo moccioso mi farà perdere presto la pazienza. “ma è sicuro di non essere il figlio di Castiel?!”.
A proposito di Castiel, finalmente mi sono accorta che il sedile dov’era seduto è vuoto, mi guardo in giro, e mi rendo conto che ci troviamo in un vasto giardino ben curato, dominato da una maestosa e moderna villa, dalla quale esce Castiel avvicinandosi velocemente alla macchina. Senza farmelo dire, scendo dall’auto e appoggio le braccia alla capote, sorridendogli.
<< Usciamo le valige >> mi dice imitando il mio sorriso.
<< è questa la casa dei tuoi genitori? >>
<< Sì >> risponde lui recandosi al bagagliaio per aprirlo << Scendi Erich >> aggiunge, rivolgendosi al fratello. Quest’ultimo non risponde, ma vedendo come ha aperto lo sportello e il modo con cui l’ha richiuso, capisco al volo che è infastidito.
Mi avvicino a Castiel aiutandolo con le valige, lui mi dice di prendere quella di Erich, che è molto più leggera delle altre e si accinge a raggiungere la porta di entrata. Lo seguo, mantenendo la valigetta del bambino, ma non appena lo guardo per invitarlo gentilmente a seguirmi, lui si distacca dalla macchina sbuffando e con fare brusco mi toglie dalla mano la sua valigia, mantenendola a fatica con due mani e zoppicando verso la porta.
<< Ma che gli prende? >> mormoro spazientita. Davvero, sono convinta che questa permanenza, dall’indefinito tempo, mi farà stressare in un solo battito di ciglia.
Sospiro cercando di scrollare di dosso quella famigliare pesantezza che mi ha seguita durante il viaggio, poi, raccogliendo tutta la forza possibile, mi reco alla porta di entrata della villa, con un “permesso”, non ascoltato da nessuno mi ritrovo nel vasto salone, arredato in maniera impeccabile, della casa dei genitori di Castiel.
Rimango lì ferma, aspettando che un qualsiasi cristiano, abitante di questo maestoso palazzo, si accorga di me, e mi faccia accomodare. Purtroppo un c’è nessuno, e nell’aria non echeggia alcun rumore.
Dopo alcuni minuti, sento già le gambe intorpidirsi. “Possibile che Castiel si sia dimenticato di me? Non vedo neanche quel moccioso!”.
Sento un rumore, e ad un tratto da dietro una porta sbuca una paffutella cameriera, un po’ anziana, che si avvicina a me con un sorriso.
<< Signorina Rea… >> mi chiama.
<< Sì? >> chiedo speranzosa.
<< Il signorino Castiel mi ha chiesto di portarla in camera sua, mi segua per favore >>
“Finalmente”. Seguo la donna, con la pianta dei piedi che urla dal dolore. Salgo la lunga scalinata, appoggiandomi alla ringhiera in legno lucidato. Arrivate al piano superiore, fra me e la cameriera, quella a sembrare un’anziana che si avvicina alla decrepitazione, sembro io, ché ho il fiatone dopo aver salito quella decina di scale. La cameriera, si volta continuando a sorridermi, e su quell’espressione, noto una leggera beffa.
“Giuro che se continua a sorridermi in questo modo, non rispondo più delle mie azioni!”
Percorrendo, dietro di questa, il lungo e decorato corridoio, passo affianco ad una porta semi aperta, e sento un lieve mugugno provenire dietro di essa. Mi fermo, avvicinandomi incuriosita, e senza aprirla, sbircio all’interno, accorgendomi che quel mugugno si fa sempre più udibile trasformandosi in lamento dovuto al pianto.
Con l’occhio che sbircia, cerco di trovare la persona da cui proviene quel rumore, e lo trovo subito. Ai piedi del letto, seduto per terra, con le gambe avvolte dalle braccia e la fronte appoggiata sulle ginocchia, il piccolo Erich sta piangendo. Lo guardo, intenerita, e il cuore mi si riempie di tristezza nel vederlo così. Dimentico subito le parole che mi ha detto e come mi ha trattata, e una irrefrenabile voglia di stringerlo fra le mie braccia, coccolarlo e sussurrargli << Non piangere, piccolino >> invade il mio istinto.
Mi accingo ad entrare e saziare il mio volere, ma qualcosa mi ferma, sono delle urla che provengono in fondo al corridoio. Vedo il bambino stringersi su se stesso, portare le mani alle orecchie, e soffocando il suo inspiegabile pianto.
   
 
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