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Autore: Asu_chan    14/08/2008    3 recensioni
Sei anni. Poteva ricordare solo una mano che si avvicinava avvolta dal buio, come in un incubo. Una mano che la afferrava e la strappava dalla sua casa, o da qualsiasi altro luogo in cui si trovasse.
Solo quella mano spesso tornava nei suoi sogni affollati di cose buie e spaventose.
Nient’altro.
E’ ancora così buio.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lenalee Lee, Yu Kanda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Violet



L’avevano presa quando aveva solo sei anni. Poteva ricordare una mano che si avvicinava avvolta dal buio, come in un incubo. Una mano che la afferrava e la strappava dalla sua casa, o da qualsiasi altro luogo in cui si trovasse.
Solo quella mano spesso tornava nei suoi sogni affollati di cose buie e spaventose.
Nient’altro.



E’ ancora così buio.
La bambina cadde in ginocchio, stringendo i capelli lunghi fra le dita.
Mi fanno male le gambe. Perché non mi lasciano in pace?
Piangeva stringendo sempre più forte le mani contro la testa.
Lasciatemi tornare a casa. Questa non è casa mia! Lasciatemi andare via!
All’improvviso urlò, piegandosi su se stessa, rannicchiandosi il più possibile.
Due persone la sentirono, scossero la testa sospirando irritati.
Senza nemmeno parlare la sollevarono, afferrandola per le braccia.
No! NO!!
Lei gridava disperatamente, senza smettere di piangere, ma loro non facevano caso a nessuna delle due cose.
La trascinarono fino all’infermeria, come sempre.
Dove, come al solito, sarebbe stata legata.
E, come ogni volta, si sarebbe addormentata dopo una buona dose di tranquillanti.

Ancora addormentata l’avevano caricata sulla barca, e poi sul treno. Lì aveva cominciato a svegliarsi.
Si guardava attorno ancora stordita dai farmaci, riuscendo a malapena a mettere a fuoco le figure. Sapeva in ogni caso che accanto a lei c’erano due persone vestite di bianco, con quelle croci sulla divisa.
Una la portava anche lei, lo sapeva anche se non avrebbe voluto.
Le infilarono in mano una cartella, fingendo di non ricordare che non avrebbe capito le cose scritte all’interno.
Si limitarono a rivolgerle un’occhiata indifferente, e sbrigarono la faccenda con poche parole.
“Ci sono degli Akuma. Sai cosa fare” e nient’altro fino alla fine del viaggio.
Lei aveva ancora un po’ sonno, sicuramente per colpa dei calmanti, ma non aveva la minima intenzione di chiudere di nuovo gli occhi. Si sforzò quindi di restare sveglia, e presto arrivarono a una stazione.
Successivamente, seguì i due uomini mentre cercavano l’obiettivo della loro missione. Lei semplicemente camminava dietro di loro, guardando le punte delle scarpe nere che spuntavano da sotto il vestito. Erano lucide, come il metallo. Terribilmente pesanti.
Le odiava.
Poi, ad un certo punto, sentì dei rumori. Pelle strappata, suoni metallici.
Quando alzò gli occhi, vuoti, incontrò quelli altrettanto vaghi di una macchina con una stella nera sulla fronte.
Lei restava a fissarli, mentre i due uomini vestiti di bianco si nascondevano e la lasciavano lì da sola.
Erano entrambe bambole. Lei una bambola umana costretta ad obbedire a persone che l’avevano portata via da quello che restava della sua famiglia, senza darle in cambio niente. L’altra una macchina creata da una tragedia e due anime ingannate, tradite dal suo stesso costruttore.
Le scarpette nere ai suoi piedi si attivarono, dandole quella spiacevole sensazione di qualcosa che incatenava le sue gambe.
Vide l’Akuma puntare le armi su di lei, ma ancora non si era mossa.
“Che diavolo fai? Attaccalo!”
Uno di quei due codardi glielo aveva appena ordinato.
Due uomini adulti che si fanno proteggere da una bambina…
Scattò in avanti, poi in alto. L’Akuma seguì i suoi movimenti finché la bambina non tornò verso il suolo, quasi precipitando, distruggendolo.
Che cosa orribile…
I due uomini uscirono dai loro nascondigli, e ripresero l’investigazione. La bambina li fissò solo un istante, prima di tornare a guardare la luce azzurra sparire da attorno alle sue caviglie.

Scalciava e si agitava con tutte le sue forze. Delle persone le erano attorno e gridavano qualcosa, ma lei urlava più forte. E piangeva in preda alla disperazione, ma nessuno le dava ascolto.
Normalmente la sgridavano, le gridavano, ordinavano di smettere. Poi la prendevano e le bloccavano le braccia e le gambe. Qualcuno si preoccupava anche di toglierle i Dark Boots prima che attivasse l’Innocence. Non sarebbe stata la prima volta.
Una persona era in piedi poco distante, a dare tutti gli ordini. La terrorizzava la sua sola presenza.
Poi, sempre tenendola ferma mentre lei cercava di liberarsi inutilmente, tiravano fuori uno di quei medicinali.
Vedeva la punta dell’ago luccicare, e strillava più forte. Ma, poco dopo il pizzicorio della sottile punta metallica nella pelle, cominciava a sentirsi stanca.
Era anche per questo che li odiava. Tutto iniziò a girare e la testa sembrava pesante. Sentiva il braccio bruciare, e poi quasi bruscamente chiudeva gli occhi e non sapeva più nulla.

Apriva lentamente gli occhi, molto confusa, ogni volta che lo facevano. Sapeva che ogni volta si sarebbe risvegliata in infermeria, ma non riusciva a realizzarlo quando alla fine si ritrovava lì.
Cercò di alzarsi, ma le braccia non potevano muoversi. Come tutto il resto del corpo.
L’avevano legata. Non che la cosa la sorprendesse.
Però era così ingiusto e incomprensibile.
Lasciatemi andare a casa, vi scongiuro..
Non riusciva nemmeno a parlare. E una figura scura si stava avvicinando. Doveva dire qualcosa, così magari l’avrebbe sentita e avrebbe assecondato il suo desiderio. Ma poi si ricordava che ogni volta che diceva qualcosa di simile riceveva una sola risposta.
“Tu sei una preziosa Esorcista”
Una preziosa… Esorcista…
Un’anziana infermiera si accostò al suo letto, guardandola preoccupata.
“Come ti senti, Lenalee?”
La voce risuonava quasi come un eco distante.
“Se ti senti meglio, puoi anche alzarti. Devi mangiare qualcosa, ma poi potrai uscire da qui. Va a…”
…uscire?
Gli occhi della bambina si riempirono di lacrime.
Posso… uscire?
La donna assunse un’espressione addolorata, accorgendosi che la piccola l’aveva fraintesa.
“Puoi uscire dall’infermeria, e fare una bella passeggiata. Ne hai bisogno…”
Lei non disse nulla, lasciando scivolare le lacrime che ormai erano già affiorate, senza lasciare che altre le seguissero. Si limitò a spostare lo sguardo sul soffitto, mentre l’infermiera cominciava a slegarla.
“Adesso ti slego, Lenalee. Mi raccomando… Ti prego, Lenalee, non metterti ad urlare. Non ti agitare, e non cercare di scappare, o mi costringeranno a legarti di nuovo. Ora… come ti senti? Riesci ad alzarti?”
Le sue parole premurose non la raggiungevano, se non distrattamente. Con le sue mani sicure la aiutò ad alzarsi a sedere sul letto, e a portare le gambe di lato. La aiutò a scendere e la sorrese per un momento, mentre la piccola recuperava il suo equilibrio.
Poi la portava vicino a un paio di scarpette bianche e gliele faceva indossare.
“Così non ti farai male. Non è sicuro camminare a piedi nudi, potresti farti male. Queste servono a proteggere i tuoi piedi.” la donna parlava come se un argomento qualunque le bastasse, per non sprofondare nel silenzio tormentato della bambina.
Lei fissò le scarpe bianche con una smorfia che riuscì a mascherare appena in tempo, poi lasciò che due infermieri la accompagnassero fuori.
Camminava senza preoccuparsi di dove stava andando, e di tanto in tanto i due dovevano prenderla per un braccio e costringerla a girare in un altro corridoio.
Lei non badava minimamente alla strada, guardava solo quelle scarpette bianche, a cui non era abituata. Da una parte le preferiva alle nere, dall’altra proprio perché non erano quelle non le sopportava.

Per una volta era riuscita a scappare da quelle persone che la seguivano ovunque. Quei lunghi mantelli neri, incappucciati, come fanatici di una setta segreta desiderosi solo di portarla in sacrificio al loro Dio.
Oscillò vistosamente da una parte, accostandosi al muro. Lo sfiorò con la mano, recuperando l’equilibrio, e proseguì a passo incerto. Ogni tanto vedeva tutto vibrare davanti ai suoi occhi, poi rimetteva a fuoco la scena e si ritrovava appoggiata al muro. Altre volte in ginocchio, o stesa a terra, senza ricordarsi quando era caduta.
Le gambe semplicemente non la volevano sorreggere, certe volte. Le sentiva tremare anche in quel momento, e si accasciò a terra priva di forze.
Cominciò a piangere, prima silenziosamente. In alcuni momenti le sembrava di piangere per giorni senza mai fermarsi. Probabilmente uno di quei giorni si sarebbe seccata, per tutte quelle lacrime sprecate.
Strinse una gamba al corpo quando riprese a tremare, spaventandola.
Non smettete… Non smettete… di funzionare…
Se le sue gambe l’avessero tradita, le avrebbero fatto quegli esperimenti. L’avrebbero costretta con la forza a riuscire ad utilizzare l’Innocence.
Tutto il corpo le tremava violentemente.
I caduti… I caduti…
Strinse forte le dita tra i capelli, scivolando in avanti. Sentiva le guance umide e le lacrime pizzicarle fastidiosamente gli occhi e il viso mentre scendevano. Le faceva male la gola, perché gridava e implorava sempre.
Una preziosa Esorcista… Una preziosa... Esorcista…
Rimase molto tempo stesa sul pavimento di pietra. Almeno, a lei sembrò un’infinità di tempo, ma probabilmente non fu poi tanto, altrimenti loro l’avrebbero già trovata.
Si rialzò in piedi, a fatica. Le girava la testa, pensava ancora a quegli esperimenti. Pensava all’Innocence, alle sue gambe, alla sua famiglia.
Se solo non fossi compatibile non sarei qui… Se solo le mie gambe non potessero sfruttare l’Innocence non sarei qui…
Barcollò leggermente fino alla finestra, e un vento sottile la colpì in pieno viso, quasi risvegliandola. Aprì gli occhi, ferita dalla luce intensa del sole. Sì sentiva ancora male. Malissimo.
La odia… Odio quest’Innocence… Odio queste gambe… Odio questo posto…
La testa stava tornando pesante, e chiuse di nuovo gli occhi. Sentiva qualcosa agitarsi dentro di lei, qualcosa di troppo fastidioso per tenerlo dentro. Avrebbe voluto vomitare sperando di liberarsene, ma sapeva non sarebbe bastato. Aveva messo le radici in tutto il suo corpo, e sembrava pulsare, tirandola dall’interno, lacerandola.
Nii-san…
Ricominciò a piangere, sempre più incontrollatamente. Urlò, anche, e si sporse in avanti. Tra le lacrime non vedeva nemmeno quello che c’era attorno a lei, non vedeva il bordo della finestra, non vedeva il cielo o le nuvole. Non vedeva la foresta che inghiottiva la base del palazzo.
Sentiva solo l’aria muoverle i capelli fastidiosamente.
Poi all’improvviso due braccia la afferrarono, tirandola via dalla finestra poco prima che perdesse l’equilibrio.
Strillò, dibattendosi. Con tutta al sua voce, nonostante le bruciasse la gola, anche quando la sentiva ormai in fiamme. Non c’erano nemmeno parole tra le sue grida, solo disperazione. Si agitava senza sosta, muovendo le braccia e le gambe. Anche quando una mano le chiuse la bocca, continuò a scalciare, cercando di liberarsi.
“Smettila di urlare! Smettila, o ti troveranno!!”
A malapena sentì che qualcuno le urlava questo nell’orecchio. Non voleva sentire, non voleva vedere nulla. E la presa su di lei non voleva allentarsi. Un braccio stringeva le sue al corpo, impedendole in parte di muoversi.
Quando si sentì troppo esausta smise di gridare. Solo perché non riusciva più a farlo, ma dentro di se avrebbe voluto urlare e dibattersi come un pesce appena pescato ancora per ore.
Poi finalmente le sembrò di riconoscere qualcosa.
“Sei calma adesso?”
Respirava ancora a scatti, sentendosi quasi incapace di prendere aria per bene. Il suo piccolo corpo era scosso da ognuno di quei respiri, ma a poco a poco si stavano placando.
“Se sei calma ti lascio, ok?”
Infine riconobbe la voce. Deglutì con difficoltà, sentendo la gola secca e bruciante. Annuì leggermente, e si voltò appena per poter spostare gli occhi sul volto corrucciato di Kanda.
Lui allentò un po’ la stretta, senza lasciarla del tutto, mentre lei si aggrappava al suo braccio, perché troppo debole per reggersi da sola.
Smise di tremare quasi del tutto, e ascigò il viso con una manica. Il giapponese la guardava pensieroso, lanciando di tanto in tanto delle occhiate attente al corridoio.
La piccola si accorse solo in quel momento che non era nella stessa stanza di prima. Era stretta e buia, senza finestre. Quasi un ripostiglio, con uno spiraglio di luce che entrava dalla porta e da cui si vedeva un pezzetto di corridoio. Quella striscia chiara passava proprio tra loro due.
“Dove sono?”
Lo domandò piano, con poca voce tremante.
“Che diavolo stavi facendo?”
Kanda la fissò insistentemente, sembrava infastidito o arrabbiato per qualcosa.
Lei ignorò la sua domanda, e chiese ancora.
“Perché mi hai portato qui?”
Si guardò di nuovo attorno, non riuscendo a distinguere nulla nel buio.
Lui rimase un po’ in silenzio, poi sospirò seccato.
“Perché ti stanno cercando, stupida. E tu ti sei messa a gridare proprio quando erano vicini”
Le rispose con freddezza, con irritazione. Si era abituata a quel tono, e sotto sotto non lo trovava più così ostile. “Che cosa stavi facendo?”
Per la seconda volta ignorò la sua domanda, con gli occhi fissi sullo spicchio di luce, temendo che da un momento all’altro spuntassero quegli esseri incappucciati.
“Che cos’hai fatto alle gambe?” disse, notando che tremavano.
Lenalee mormorò un “niente” poco convincente.
“Sei ferita…”
Di nuovo non mostrò di averlo sentito e si limitò a stringersi su stessa, premendosi le braccia contro il corpo.
Kanda sospirò ancora, con irritazione. Spinse la testa un po’ all’indietro. Nella totale oscurità, l’espressione del suo viso cambiò leggermente, ma lei non poteva vederla. Lo stacco tra il buio e la sottile linea illuminata era troppo netto.
Sentiva però il suo sguardo, che la fissava preoccupato. Lei si girò dall’altra parte, di nuovo verso la porta, scattando in piedi terrorizzata e ritirandosi nell’ombra vicino al giapponese appena sentì un rumore di passi lungo il corridoio.



…Casa… Fatemi… tornare a casa…





-La tua casa è qui. Scusami se ci ho messo tanto.-

Sono tornato.





* - * - *
Forse ci sono degli errori per quanto riguarda il passato di Lena... E' lo stesso, non posso ricordarmi tutto, ma a me sembra a posto... *si guarda attorno preoccupata*
   
 
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