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Autore: causticlove_1607    16/06/2014    2 recensioni
"Riprese finite, convention in giro per l'Europa finite. Quel noi che avevamo creato in ben quattro anni; anche quello, finito.
Ed aveva inizio così il periodo "vacanza". Pensare che solo un anno,prima era tutto diverso, pensare che solo due mesi prima lo era. Diverso, come si era trasformato quel tutto. E ora c'era il vuoto, e un bel giro per il mondo per distogliere la mente da quel senso che però non se ne andava. Restava lì, come appeso ad un filo. Le redini delle nostre vite lasciate allo sbaraglio, un continuo vagare, alla ricerca di un senso. Tra il sole dell’estate, e il gelo che si sentiva, dentro.
“fingere nella finzione”, o forse niente è mai stato più vero."
Saalve! Questa è la mia prima storia su Ian e Nina! Ho voluto scrivere di loro due in primis perchè li adoro, e poi perchè spero di rivederli, un giorno, insieme! Buona lettura!
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice Accola, Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Paul Wesley, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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“Ian..”. la sua voce, il mio nome e la sua voce, io, sulle sue labbra. Che intravedevo appena vista la luce fioca che emanava la piccola abatjour che avevo appena acceso all’ingresso. Riuscivo, però, a vedere nella penombra la tensione. La percepivo dal suo stare lì, ferma, tra la porta aperta della camera da letto, la nostra, e me. Che non sapevo cosa fare, cosa  dire. È che non me l’aspettavo, non mi aspettavo di rivederla, non quella sera, e soprattutto non così, e non nella nostra casa, non in quelle circostanze. Pensavo di avere ancora qualche giorno per riuscire a metabolizzare il come e il quando. Così come pensavo di essere pronto, e invece eccomi lì, con lei di fronte a me, e il vuoto completo tra gesti e parole. Tra noi.
«Io..scusa. Pensavo che non ci fossi, io.. Paul mi aveva detto che..» mi ritrovai a dire, stropicciandomi i capelli, più corti dell’ultima volta, per la situazione. E solo quando lei completò, o comunque ripetè la mia frase, piuttosto scocciata, mi resi conto di tutto.
«..Paul!» Se l’intento del nostro amico era metterci in imbarazzo uno di fronte all’altro, c’era riuscito a pieno. Lo maledii mentalmente, anche se ero sicuro che qualunque insulto fosse ben percepibile dalla mia espressione, in quel momento.
«Già, Paul. Ti giuro che non c’entro niente, io..volevo solo..» ma ancora una volta, levandosi però quel velo di indifferenza di dosso, mi precedette.
«..prendere le tue cose, già..» e, cos’era? Dispiaciuta? O era più un “era ora che venissi a riprendertele! Non voglio più avere niente a che fare con te”. Ma dai suoi occhi capii che era la prima. E la domanda sorse spontanea: perché? Insomma, stava con un altro, doveva avermi dimenticato a quel punto..no? e lei capì, capì che avevo capito.
Notai solo in quel momento i suoi occhi, gonfi, e lucidi, le guance sotto leggermente arrossate. Il ché poteva significare una cosa sola: aveva pianto. Aveva pianto, e ora era lì, a parlarmi con quel tono dispiaciuto e ferito. E avrei voluto fare quel passo, quell'unico passo che mi avrebbe avvicinato a lei, azzerando le distanze, così da poterla stringere, ed accarezzare, perché lei era così. Si dimostrava forte, ma era fragile, e indifesa. E io  la volevo solo stretta a me, in quel momento. Ma non potevo, non avrei più potuto, non come quella sera, dopo la festa.  Lei se n'era andata prima, con la scusa del "sono stanca", mentre negli occhi le leggevo le stesse cose che vedevo in quel momento. Rabbia, dolore, amore..o almeno, allora c'era anche quello. E forse era proprio quell'insicurezza ad impedirmi di fare,quel che invece feci, in quella calda notte di maggio.

Incredibile come non sentissi già più mia quella casa, la nostra casa. Incredibile come mi sentissi incredibilmente fuori luogo, davanti a quella porta. Altrettanto incredibile come, invece, mi sentii rimpolpare, non appena misi piede lì dentro. Era buio pesto, senza alcun rumore, solo un silenzio assordante. Lasciai accesa la piccola abatjour sul mobile d'entrata, per farmi spazio velocemente tra le stanze, quasi con l'affanno e il respiro corto, che poteva voler dire solo una cosa: paura. Paura che lei non ci fosse, paura di non poterla più rivedere visto che, come avevo- si, lo ammetto- origliato dalla sua conversazione con Kat, lei sarebbe partita l'indomani, con quella pazza di Jules. Ero fuori dalla nostra, cioè, sua camera da letto, quando qualcuno mi precedette da dentro, ed aprì quella porta. Ed era lei. Aveva ancora indosso quel vestito scuro, scollato sulla schiena. I capelli invece erano sciolti, e il viso, il viso era gonfio di lacrime, col velo di trucco che le rigava il volto. E, non pensai, non pensai a niente, solo al fatto che era colpa mia, e lei aveva bisogno di me. Eliminai le distanze, e l’abbracciai, stringendola forte a me. Iniziai ad accarezzarle i capelli, quando vidi che lei non opponeva resistenza e, anzi, s’era stretta più a me, iniziando a sfogarsi. E, mi sentivo un verme. Perché era colpa mia, quella situazione l’avevo causata io, col mio stupido “ehi, ho trentacinque anni! Sto avendo una crisi di mezz’età, quindi.. O mi sposi, o addio!”, senza lasciarle una scelta plausibile, senza lasciarle quella libertà che la contraddistingueva, nella sua così giovane e piccola età. Aveva tutta la vita davanti, e io avevo provato a toglierle quel che le spettava, di vivere quel che io, tempo prima, avevo già vissuto. E poi c’era la carriera, e io le stavo chiedendo una famiglia, da egoista egocentrico quale ero.
Ripeto: c’era un interminabile  silenzio assordante, acceso dai suoi singhiozzi che tentava di soffocare sulla mia spalla, mentre le mie labbra erano ormai posate sulla sua testa, nel tentativo di calmarla. E sentirla tremare, tra le mie braccia, era la cosa più straziante che potesse mai capitarmi, soprattutto perché tremava a causa mia, e non me lo sarei perdonato. Cosa alquanto più temibile, avevo il terrore che lei non potesse farlo, anche se ne avrebbe avuto tutte le ragioni. Ed era maledettamente difficile stringerla a me, quando non potevo più, quando mi ero tolto quel privilegio, il privilegio di starle accanto. Mi staccai da lei, lentamente, mentre il suo sguardo scivolava a terra, per nascondere la frustrazione di quel momento.
«Nina, io..io non posso, non posso essere egoista con te. Non posso, perché ti amo, e non potrei mai chiederti qualcosa che tu non voglia.. spero solo che un giorno tu possa perdonarmi, e smettere di odiarmi.»
E poi di nuovo quel silenzio, a lacerare ogni speranza. Fino a che, proprio quando ero sul punto di andarmene, tra il suo sguardo basso ad evitare il mio, lei mi bloccò, prendendomi dal braccio, trattenendomi davanti a lei .
« Io non ti odio, Ian. Per quanto voglia farlo, non ci riesco. Avrei tutte le ragioni del mondo per farlo, e ci sono momenti in cui credo di esserci riuscita, di esser riuscita a smettere di pensare a te senza provare quella stretta allo stomaco così dannatamente presente da farmi impazzire..!  Perché tu mi fai impazzire, Ian. Mi stai lontano, mi eviti, ma ..ci sei comunque. Ed  è frustrante, perché quando poi mi sei vicino, sembri lontano anni luce, oppure sembra che niente sia cambiato.. come adesso..!  Tu sei qui.» faceva piccoli passi avanti e indietro, passandosi più volte la mano tra le onde dei capelli, lo faceva sempre quando era nervosa, o sotto pressione, o semplicemente se stessa. Poi si fermò di colpo, e mi guardò, dritto negli occhi. E mi sentii morire.
« Perché sei qui, Ian?» sembrava una supplica, un bisogno di sapere. Ed ovviamente la risposta era facile, ed una sola. E lei la sapeva. Ma aveva bisogno di sentirla, aveva bisogno di sentirmelo dire. Perché era così, perché era da sempre stato così. Perché ci amavamo, e non riuscivamo a fare altrimenti. E in un modo o nell’altro il nostro amore faceva soffrire qualcuno. I primi erano stati Megan e Julian, i nostri rispettivi ex.
E ora toccava a noi.
 
Ero davanti a quell’armadio aperto da circa venti minuti buoni, e non riuscivo a fare nient’altro che fissare un punto non ben definito di quel legno tinto di grigio scuro. Perché lei era nella stanza accanto, e io  non riuscivo a pensare a nient’altro. Soprattutto perché lei era nella stanza accanto, e aveva reagito come aveva reagito.
Scossi la testa, cercando di concentrarmi sull’unico, ma non per forza vero, motivo per cui ero ritornato lì, e iniziai a riempire la borsa che tenevo in mano.
Perché forse ci speravo, speravo di trovarla in casa, speravo di aprire quella porta, e trovarmi catapultato in un tempo in cui un “noi” esisteva ancora. Al tempo in cui io non avevo ancora rovinato tutto.
Sentii il silenzio dovuto alla fine del programma di cucina che Nina stava guardando, propagarsi tutt’intorno. E poi dei passi sempre più vicini, il cuore in gola.
« Hai quasi fatto? Sono molto stanca..» bene. Una Nina fredda, sulla soglia della camera da letto, con la mano puntata sul suo fianco. Feci cenno di sì con la testa, per poi chiudere prima la zip del borsone, e poi le ante dell’armadio. Feci per uscire da lì, ma nel passarle accanto, sentii qualcosa di strano. Quella sensazione che non mi aveva mai abbandonato, nonostante tutto. Nonostante lei fosse, ormai, di un altro.  La mia mano scivolò, come spinta da una molla, all’altezza del suo viso, pronto ad accarezzarlo. E la vidi trattenere il fiato,  mordicchiandosi il labbro inferiore, senza però dare alcun cenno di volermi fermare. Cosa che, però, feci io. Feci ricadere il braccio lungo il mio fianco, cercando di nascondere il totale disprezzo per quel momento dietro un sorriso accennato, per poi passare oltre, dicendole:
«Buonanotte, Nina, e..scusa per l’intrusione.»
Un idiota, ecco cos’ero.
 
 
Nina’ s pov
 
Ero seduta sul divano a guardare non so quale programma alla tv. La verità era che non riuscivo a prestare attenzione a nient’altro che non fosse Ian Somerhalder, e caso vuole che in quel momento si trovasse proprio nella stanza accanto, o meglio nella nostra, cioè, mia camera da letto. E, per di più, stava portando via le sue cose, quindi..di bene in meglio, ecco.
Avrei solo voluto che niente di tutto questo fosse mai successo, che lui non dovesse venire a recuperare i suoi vestiti, che lui non fosse lì per quello.
Avrei voluto solo fosse tutto più semplice, come l’ultima volta. Ma forse fu quella a rendere, ora, tutto più difficile.
 
«Perché sei qui, Ian?»sapevo la risposta, ce l’avevamo scritta entrambi sul viso, negli occhi, nei gesti. Ma volevo lo dicesse, volevo capisse che sarebbe sempre stato così, perché da sempre era stato così. Da quando, il giorno dei provini, ferma al distributore di caffè, i suoi occhi azzurri incontrarono i miei; da quando poi, conoscendoci dopo aver ottenuto le parti,  ci odiammo, per poi diventare amici, cercando di convincerci di essere solo quello, finendo per tradire noi stessi per molto tempo, fino a che non trovammo il coraggio per affrontare tutto quanto. La rottura con Megan e Julian, e la realtà in cui eravamo incappati, quel “noi” che c’era sempre stato.
«Perché, dannazione, ti amo, Nina.»allargò le braccia lui, con tono esasperato. E, quelle due parole, quelle due semplici parole. Iniziai a sorridere e a piangere insieme, come fosse la prima volta, o forse, nel nostro caso, l’ultima. E non mi resi conto di niente. Sentii solo le sue mani  prendermi il viso, e le sue labbra ad adagiarsi sulle mie, per poi farsi più decise, ed instaurare un contatto più emotivo, fatto di rabbia, rancore,e  amore. Mi appesi al suo collo, mentre incollava i nostri corpi, stretti l’uno all’altro , ad accarezzarsi. Passai le mani tra i suoi capelli, corvini, mentre mi sussurrava quel che avevo bisogno di sentire, all’orecchio, quelle due minuscole parole, mentre lasciava sulla pelle il suo profumo, come a dirmi che sarebbe sempre rimasto con me, così.
 
 
Il tempo passava, e lui era ancora là dentro. Così mi alzai, per andare a vedere, dopo aver spento la tv. E lui era ancora lì, e stava riempiendo quel dannato borsone blu, come i suoi occhi. E lo faceva con una tale convinzione e determinazione da fare male. Mi faceva male vederlo scivolare via, così, con l’unico appiglio rimastomi. Forse fu sicuramente per quello che fui fredda, quando gli chiesi se aveva finito. Lui, di tutta risposta, accennò ad un “sì” con il capo, per chiudere borsa, e poi l’armadio..chiudendo quindi..il tutto. Fu nel momento in cui mi passò accanto, per uscire dalla stanza, che sentii quel tutto di nuovo lì. Ian era fermo, davanti a me, vicinissimo, e sembrava volesse accarezzarmi il viso, come faceva sempre. Come FACEVA, appunto. E, sperai, sperai che lo facesse, almeno un’ultima volta. Così come sperai che ritraesse la mano, perché avrebbe fatto più male, una volta varcata la soglia per andarsene via. Ma sentivo ormai la sua pelle sulla mia, quella sensazione di sicurezza e amore che solo lui riusciva a dare con un unico gesto. La sua mano era talmente vicina, che quasi mi sembrava già lì, ferma sulla mia guancia, per poi girarsi sul dorso, ed accarezzarmi fino al mento, che avrebbe poi preso tra pollice e indice per avvicinare le mie labbra alle sue. Come  faceva sempre. Ma non in quel momento. Fece ricadere il braccio rialzato lungo il suo fianco, per poi sorridermi, amaramente, e dirmi:
« Buonanotte, Nina, e..scusa per l’intrusione.»
E io rimasi lì, ferma, immobile, incapace di dire o fare niente. Solo quando vidi la sua figura oltrepassare la porta, qualcosa si mosse, ed io con quella. Corsi quasi, fermandolo in tempo prima che si chiudesse la porta alle spalle, gridando quasi:
«No, Ian! Aspetta!» e fu quel suo sguardo, quel suo sguardo sorpreso a destabilizzarmi. C’era di tutto in quegli occhi, dalla delusione ad uno sprazzo di speranza. E ora volevano sapere, chiedevano bramosi: “perché?”
Già, perché, Nina? Perché devi sempre complicare le cose più di quanto non lo siano già?!
Eravamo ancora fermi su quella porta; io chiudevo e riaprivo la bocca, senza trovare qualcosa da dire. Poi lui “salvò” la situazione, impersonando un sorriso molto alla Damon, ossia tra il malizioso e lo strafottente, per poi dire, scherzando:
«Fammi capire: prima mi cacci fuori e poi vuoi che resti? Indecisa cronica, eh, Dobrev!» ma sapevo che, tra quelle parole, dietro il sorriso sghembo e il tono impostato, c’era molto di più. C’era quella verità che ci aveva sempre accompagnato, quel non volersi lasciare, ma il non poter stare insieme. Quando si dice “tenere il piede in due staffe”, insomma. E, è ridicolo, ma era oggettivamente così: il suo piede sinistro dentro, il mio fuori; il suo piede destro fuori, e il mio dentro. Ed eravamo lì, uno di fronte all’altro, a metà tra la nostra cosa, e il resto che in quel caso corrispondeva al pianerottolo di quell’ultimo piano.
Lasciai definitivamente la vena ironica, quando chiesi, timorosa per la risposta che avrebbe potuto darmi:
«E’ solo che.. cosa succederà? Intendo, quando praticamente ci rivedremo tutti i giorni, inevitabilmente..sarà sempre..così? Che cosa ci succederà, Ian?»ed era quasi disperazione, quella. Perché non ci potevo credere, non ci volevo credere. Perché non riuscivo a pensare tutto era e sarebbe cambiato ancora, che noi saremmo cambiati ancora, che niente sarebbe stato più come prima. Lo vidi abbassare lo sguardo, facendolo poi scivolare verso l’ascensore, solo per evitare il mio, per riagganciarvisi e dire, a voce poco percettibile e provata:
«Io..non lo so, Nina. Non lo so cosa succederà, non lo so cosa faremo o come ci comporteremo..vorrei solo non doverlo sapere, non doverci pensare..vorrei…Non vorrei tutto questo, dannazione.» poi chiuse gli occhi, per qualche secondo, probabilmente per calmarsi, mentre le sue esatte parole riflettevano i miei pensieri, perfettamente. Non avrei voluto niente di tutto quello.
Quando mi guardò di nuovo, c’era un velo di affrantezza nel suo sguardo, quasi come mi stesse supplicando:
«Non chiedermi di rimanere tuo amico Nina, perché..non lo sopporterei. E, lo sai. Non possiamo essere amici. Non potremmo mai..essere amici.»
“Non potremmo mai essere amici.”
 
 
Eravamo da qualche giorno sul set. Non avevamo ancora iniziato a girare, e non l’avremmo fatto fino a fine mese. Ma Julie e Kevin ci avevano convocato comunque tutti lì per “conoscerci tutti in questa nuova, grande famiglia!”
E, all’inizio ero entusiasta dell’idea, ma non quando conobbi personalmente quel ragazzo che vidi il giorno dei provini, quel-non lo nascondo- bel ragazzo dagli occhi di ghiaccio e i capelli scuri. Si chiamava Ian Somerhalder e, bhe, sarebbe stato co-protagonista insieme a me e Paul Wesley. Che dire, Paul era molto simpatico, e faceva dell’ironia la sua carta vincente, ed aveva due occhi verdissimi da tenerti lì, incollata, qualsiasi cosa dicesse. Era presuntuoso- tipico degli attori abbastanza conosciuti- , ma non come lo era Ian. Lui faceva del suo bell’aspetto un vanto senza scrupoli e, ne aveva tutte le ragioni, per carità, ma poteva diventare estremamente fastidioso, soprattutto perché faceva il cascamorto con qualsiasi essere di genere femminili trovasse nelle vicinanze. Era determinato a far cadere ai suoi piedi ogni componente dello staff, a partire da Malese, Kat, e infine Candice, che però lo liquidò quasi subito:
«Scusa, mi son sempre piaciuti i biondi.»per poi lasciarlo lì, con un sorrisetto quasi deluso, che si spostava a seguire la bionda, da lontano, che stava venendo da me.
«Credo che non dormirà la notte per il tuo rifiuto.»commentai io, ironicamente, mentre la ragazza che stavo, sempre di più, considerando come un’amica si sedeva al mio fianco, su quelle sedie alte e nere, di tela, tipiche dei registi.
«Oh, bhe..io dormirò sonni tranquilli, invece!»scherzò, lei, facendo ridere entrambe. Fu nel mentre che Ian, che sembrava stesse venendo da noi, si fermò pochissimi metri più a destra per abbracciare una ragazza che non avevo mai visto prima, con una chioma dorata e liscia, e dei piccolissimi occhi verdi. E in quell’abbraccio, sopra la spalla della ragazza, si rivolse a noi, più precisamente a Candice, facendole l’occhiolino, e scherzando ancora:
«Sai, anch’io preferisco le bionde!» poi s’avvicinò, solo dopo aver intrecciato la mano di lei con la sua. E un colpo partì dentro, una cosa come, BUM. E poi il niente. I suoi occhi che mi guardavano per qualche secondo, nell’avvicinarsi; BUM.
«Ragazze, lei è Megan, la mia fidanzata.» wow. Dire che ero sorpresa, sbalordita, sbigottita.. era dir poco. Fu lei a porgerci la mano, sorridente, ed entrambe la stringemmo, io con un sorriso tirato, Candice invece con il suo solito sorriso smagliante e contagioso.
«Oh, ma allora non sei proprio così un caso disperato, Som!» aggiunse Candice, alzandosi, e colpendo con un finto pugno la spalla di Ian, che ridacchio.
«Ehi, sono un uomo, che ci posso fare!» ribattè lui, mentre Candice prendeva sottobraccio quella Megan e la trascinava a destra e a manca, con la sua solita esuberanza. Tipico della mia amica.
Mi ritrovai quindi sola, con Ian, fidanzato, a ridere.
«Wow, Somerhalder fidanzato. Mi hai stupita!»dissi, rompendo il ghiaccio, e facendo quindi sì che lui si voltasse verso di me.
«Sai, Dobrev, ci sono molte cose che non sai di me e che potrebbero stupirti ancora di più..» disse lui, alzando contemporaneamente un sopracciglio e un lato della bocca, in sorriso sghembo e, sì, provocante.
«Come ad esempio il fatto che la tua frase non aveva un doppio senso?»ribattei io, sarcastica, mentre lui prendeva il posto di Candice sulla sedia. E, quella vicinanza. Cavolo –BUM.
«Bhè, no, così chiedi troppo!»rispose lui, mettendo le mani avanti, ridacchiando. Poi continuò, più serio, guardando davanti a sé un punto indefinito.
«Sai, non sempre così. Intendo, con le ragazze. Insomma, io scherzo, è il mio modo di farlo, di rapportarmi con  una persona, di prenderci confidenza.. Ma con te è diverso.» Nina, respira – BUM.
«Non riesco a parlarti o anche solo a starti accanto senza pensare a niente che non sia: Wow, cavolo!»no, ok, cioè..scusa?! Lo vidi poi scuotere la testa, e alzarsi, per poi sorridermi mentre s’allontanava, dicendo:
«Meglio che recuperi Megan dalle grinfie della bionda, o mi ritroverò una Barbie in miniatura al loro ritorno!»
***
Passarono i giorni, le settimane, e imparammo a conoscerci più o meno tutti. Uscivamo molto spesso, quasi ogni sera, per andare in un locale in centro, piuttosto appartato.
Quella sera, la sera prima dell’inizio delle riprese, Candice mi aveva convinto ad indossare il vestito corto nero che avevamo comprato la settimana prima. Non ero mai stata una molta attenta alla moda, né tantomeno all’estetica visto che, crescendo con un fratello più grande, Alex, da piccola ero più propensa allo sport che alle Barbie, ecco.
Arrivammo al locale con qualche minuto di ritardo; infatti Paul, Matt e Ian erano già dentro, al solito posto. Michael e Zack erano invece impegnati con le rispettive fidanzate quella sera, ergo mancavano solo più Kat, Sara e Steven per essere al completo. Quindi, dai, non eravamo poi così in ritardo.
«Oh, finalmente! Credevamo di aver dato ora e giorno sbagliato a tutti!» esordì Matt, baciando prima Candice e poi me sulla guancia. Lo stesso fece Paul, mentre Ian erano impegnato in non so quale telefonata, e ci salutò con un semplice gesto della mano, per poi alzarsi, e allontanarsi dal gruppo, probabilmente per parlare con più tranquillità. Da quella nostra chiacchierata sul set, le cose erano cambiate, intendo, da quel giorno che aveva portato Megan lì. Non lo vedevo più come un cascamorto, e anzi, iniziavo davvero a legarmi a lui. “Sì, certo Dobrev. Non è mica per quello che ti ha detto, che sei ‘diversa’, seguito da quel ‘Wow, cavolo!’, figuriamoci.” E, bhè, quando la tua vocina interiore ha stramaledettamente ragione, son guai, guai seri!
Sia io che Candice seguimmo Ian con lo sguardo, a qualche metro più in là, mentre gesticolava con veemenza, e parlava animatamente, anzi, probabilmente gridava anche, per quanto possibile. Ci girammo poi con sguardo interrogativo verso i due, al nostro stesso tavolo, e fu Matt a rispondere ai nostri dubbi:
«E’ da quando siamo arrivati che sta a sbraitare con quella..!» come con “quella”? Megan? E la mia domanda inespressa arrivò al mio interlocutore, che annuì esasperato.
«Quindi..prepariamo le bottiglie per dopo! Credo proprio abbia bisogno di bere, molto!»aggiunse, Matt, richiamando con un gesto della mano l’attenzione del cameriere, il quale prese le ordinazioni dei nostri drink.
Fu quando poi arrivarano Kat e Steven- Sara era dovuta tornare a casa per un imprevisto- e quando Ian non era ancora tornato e, anzi, era uscito sul retro, che decisi di seguirlo, incitata anche dai presenti, con tanto di “Sì, Nina. È meglio se vai tu, che sei l’unica che riesce a farlo ragionare.” Ed era vero. Avevamo legato talmente tanto in quell’ultimo periodo da sembrare in uno stato di simbiosi, a volte, come se pensassimo e provassimo le stesse identiche cose.
Lo trovai fuori, seduto su un muretto, con il cellulare chiuso di fianco, ed una sigaretta tra le labbra. Cercai di richiamare la sua attenzione con un “Ehi”, e ci riuscii. Lui volse appena il capo, per poi spostare il cellulare nella sua tasca, e lasciarmi il posto perché mi sedessi. E così feci. Ma a quel punto non sapevo che dire. La sua mascella serrata e il suo continuo tirare nervosamente il tabacco non erano d’aiuto, e una mia qualsiasi parola poteva mandarlo ancora di più in bestia.
Ma “risolse” lui, iniziando a parlare.
«Sai, è gelosa. Dice che tra me e te c’è qualcosa.»disse, amaramente, mentre sfregava i residui di cenere dal mozzicone ormai ridotto a un minuscolo centimetro. E lo guardai, sbalordita, capendo che stava facendo sul serio, e fu allora che mi alzai, stizzita, alzando nervosamente la voce, gesticolando e scuotendo la testa:
«Cosa??! Come..cioè, noi..no! come può pensare che noi..? insomma..siamo solo amici, cavolo!» e poi il silenzio, il suo silenzio. Il suo non guardarmi. Era impassibile, come non ci fossi. Poi, d’un tratto, abbassò il capo, giocando ancora con quel mozzicone, tra le sue dita.
«Noi non potremmo mai essere amici, Nina.» e a quel punto s’alzò, spiazzandomi letteralmente.
«Che..che cosa stai dicendo, Ian? Megan..insomma, non può essere arrivata a tanto! »mi uscì, flebilmente, in un sussurro, prima che lui mi lasciasse lì, sola. E si voltò, un’ultima volta, per ripercorrere i passi verso me, e fermarmisi di fronte, ad un soffio.
«Megan non c’entra niente, sono io! Noi due non possiamo essere amici. Ci ho provato, giuro. Ma non ci riesco, Nina! Nessun uomo riesce ad essere amico di una donna che trova fantastica, simpatica, completamente fuori di testa e.. bellissima! Io non ci riesco.» si portò una mano tra i capelli, dandomi il profilo, per poi lasciar ricadere in modo esasperato il braccio lungo il fianco, tornando a guardarmi. E io..non sapevo che dire. Solo un’ora prima avevo salutato Julian con il solito “ti amo”, ormai diventato una prassi, quasi fosse d’obbligo, quasi fosse una stupida e noiosa abitudine.
E poi c’era Megan. Lui stava con Megan.
E noi non potevamo essere amici.
 
Le parole mi uscirono troppo in fretta, non riuscii a fermarle. Ormai era troppo tardi, o forse era solo il momento giusto.
«Neanche io voglio esserti amica, Ian.»
 
 
 
 
***
SPAZIO AUTORE.
Ok, faccio schifo. È più di un mese che non pubblico, e mi dispiace veramente un sacco, davvero!
Ma ora che la scuola è finita, cercherò di scrivere di più e, poco ma sicuro, pubblicherò molto più spessoJ
Bhe, non so bene come funzionino queste cose, ma credo di dover ringraziare che legge, chi recensisce e, niente, spero che continuerete a leggere, e a recensire!:)
Fatemi sapere!:)
  
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