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Autore: _RockEver_    16/06/2014    3 recensioni
Mi chiamo Nick Dawson. Ho 32 anni e sono nato a Chicago, nello stato dell’Illinois. Mia moglie si chiama Genna e stiamo per avere un figlio. Oggi ho visto mia moglie morire diciassette volte.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia non è stata scritta a fini di lucro. È un'opera di fantasia nata dalla mia mente contorta. Le citazioni sotto riportate non mi appartengono. Qualsiasi riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale. 
Enjoy ;)












Mi chiamo Nick Dawson. Ho 32 anni e sono nato a Chicago, nello stato dell’Illinois. Mia moglie si chiama Genna e stiamo per avere un figlio.


- Credo che sia una splendida idea, Nick! – dice Genna, accompagnando la frase con un ampio gesto del braccio.

Stiamo passeggiando mano nella mano davanti ad un ristorante a conduzione familiare, “Mary’s & Sons”. Sulla parete c’è una locandina del concerto di un gruppo folk locale: “Questa sera alle 20:30 da Mary’s & Sons non perdetevi i Soundsbeat!” diceva.

- Quel corso di aggiornamento a Washington è l’occasione migliore che potesse capitarti! Insisto perché tu ci vada, tanto non partorirò per i prossimi tre mesi…

Non so se partire lasciando mia moglie incinta di cinque mesi sia una buona idea, potrebbe capitarle qualsiasi cosa mentre sono via.

- Ma amore non posso lasciarti da sola! E se succedesse qualcosa?
- Santo cielo Nick! Cosa vuoi che succeda?

La conduco ad una panchina distante pochi metri per farla riposare un po’, non prima di averle dato un bacio su quei capelli perennemente ricci e ribelli che amo da impazzire. 
Mentre aiuto Genna a sedersi mi si avvicina un ragazzo, credo uno studente universitario. Ha in mano un libro di ingegneria e una tracolla blu.

- Chiedo scusa, – mi dice – saprebbe indicarmi come raggiungere Portland Avenue?
- Certo. Segui questa strada, dopodiché svolta due volte a destra e una a sinistra. C’è una grande fontana con una statua, non puoi sbagliare.

Il giovane ringrazia con un sorriso e si avvia . Ha uno strano accento, probabilmente è russo.
- Agh! – geme Genna  fermanfosi di colpo, portandosi una mano al ventre e piegando un po’ il busto. 
E’ esattamente di questo che parlavo prima.

- Il piccolo Benjamin è un po’ irrequieto oggi…

Restiamo un po' in silenzio mentre la fitta alla sua pancia diminuisce.

- Ehi Nick, guarda! Quella nuvola sembra il fungo cucito sulla borsa della signora Brown! – esclama improvvisamente mia moglie, scoppiano a ridere poco dopo. La signora Brown era la nostra vicina quando vivevamo ancora a Chicago, prima di trasferirci qui a Manhattan. Mi manca quella vecchia arcigna e stramba, mi auguro che sia ancora in salute.

Ci sono alcune persone nei paraggi. Mi metto ad osservarle per un po’. Mi piace osservare la gente, ma Genna lo ritiene inquietante.
Nel giardino della casa di fronte alla panchina dove Genna riposa ci sono due bambini, un maschio e una femmina, che stanno giocando a palla mentre una donna, probabilmente la madre, porta loro la merenda.
Una coppia di anziani che passeggia si è fermata ad osservare un aereo che vola basso sopra le nostre teste.
Inveisce proprio accanto a noi un uomo di colore con un maglione giallo, leggendo un articolo da un giornale che tiene in mano: - Dannati repubblicani, manderanno il paese allo sfracelo!
Infine una ragazza perde la presa sul guinzaglio del suo cane e questo sfreccia verso mia moglie, reclamando un po’ di coccole.
Amo questo giornate tranquille, la primavera mi infonde serenità.

Improvvisamente il cellulare di Genna squilla.

- Oh, è Vincent. Quella sanguisuga vuole che gli scriva l’articolo. Scusa amore, devo rispondere.

La aiuto ad alzarsi e riprendiamo a camminare verso casa. Guardo l’orologio e sono le 12:53, direi che ora di pranzo.
La voce al telefono è particolarmente accesa… Quel dannato uomo mi porterà via la moglie purchè gli scriva i suoi maledetti articoli.
Un’improvvisa folata di vento primaverile strappa il giornale dalle mani del vecchio con il maglione giallo e lo fa svolazzare davanti al mio naso, e la palla del bambino finisce sull’albero.
Un foglietto di carta portato dal vento trova un ostacolo alla sua traiettoria sulla mia gamba. Lascio la mano di mia moglie e mi soffermo per raccoglierlo. C’è una scritta all’interno, ma è in una grafia illeggibile.

In un secondo sento la voce di Genna cessare e contemporaneamente un colpo fortissimo, come il suono di un pezzo di metallo scagliato contro un muro.

Da quel momento tutto diventa confuso. 

Gli unici rumori sono i clacson impazziti e le grida.
Poi c’è il sangue. Tanto sangue.
C’è il furgone bianco macchiato di rosso sul parabrezza e sulla fiancata.
C’è la folla raccolta attorno ad un drappo rosso gettato sul cemento.
No.
Non è un drappo. E’ sangue.
E al centro c’è mia moglie. 
O almeno, quello che resta di mia moglie.
Ci sono le mie gambe che tremano e il mio corpo immobile.
C’è l’uomo con il berretto verde che scende dal furgone e si avvicina al cadavere massacrato.
Poi più nulla.
Poi è come se si riavvolge una videocassetta. E’ come se si ripercorre una strada già percorsa. Come se il passato ridiventasse presente.

E sono di nuovo di fronte al “Mary’s & Sons”. E mia moglie mi tiene per mano.



Mi chiamo Nick Dawson. Ho 32 anni e sono nato a Chicago, nello stato dell’Illinois. Mia moglie si chiama Genna e stiamo per avere un figlio. Mia moglie è appena morta davanti ai miei occhi.




- Credo che sia una splendida idea, Nick!
Sono ancora qui. 
Ho immaginato tutto? Non è possibile.
Forse sto sognando. Che sogno dannatamente realistico.
Gemma è morta. L’ho vista cazzo! E’ successo meno di un minuto fa davanti ai miei occhi! Non può essere vero, lei ora è qui dannazione! E mi sta parlando!

- C-cosa?- riesco a balbettare. Cosa significa tutto questo?
Quel corso d’aggiornamento a Washington… E’ l’occasione migliore che potesse capitarti! Insisto…-
- No! No!

Non è possibile. Non può essere vero! Ho già vissuto  tutto questo! E’ già successo!
E mia moglie e mio figlio erano senza vita sull’asfalto.
Faccio alcuni passi indietro prendendomi la testa tra le mani.
Ora Genna mi sta guardando con le sopracciglia aggrottate.

- Nick si può sapere cosa ti prende? – mi chiede allungando un braccio verso di me.
- T-tu sei morta! Ti ho appena vista morire! N-non è possibile…

      Gli angoli della sua bocca si sollevano in un sorriso che tradisce perplessità.

- Ma che dici? Non sono morta, guardami. Sono qui.
- Chiedo scusa, saprebbe indicarmi come raggiungere Portland Avenue? – domanda un ragazzo con una tracolla blu.
- Tu… tu… voi…- indietreggio ancora, mentre il giovane mi lancia uno sguardo torvo e mormora qualcosa allontanandosi in fretta.
- Nick ora mi stai facendo preoccupare Agh! – quella che credo sia mia moglie si piega col busto per un’improvvisa fitta al ventre.
- Il piccolo Benjamin è un po’ irrequieto oggi – mormora sorridendo.
 
    Questo è assurdo! Quella non può essere mia moglie! Tutto questo l’ho già visto! L’ho  fottutamente già visto!

- Dannati repubblicani, manderanno il paese allo sfracelo!

Mi volto di scatto e il vecchio con il maglione giallo ha ancora in mano il suo giornale.
Sono tutti lì: i due bambini con la madre, la coppia di anziani, la ragazza e il suo cane che corre verso di noi.
Il cellulare di mia moglie squilla. So che è Vincent che la chiama per l’articolo, ma lei non risponde questa volta. Ha altro a cui pensare.
Non capisco. Perché? Perché è tutto come prima? Perché tutto deve ripetersi?
Che diavolo è successo? Non sono pazzo.
So di non essere pazzo. Sono un professore e insegno fisica, so che tutto questo è assurdo.
Non sono pazzo.
Il giornale sfugge dalle mani dell’uomo di colore e vola di fronte a me. Un’altra volta.
La palla del bambino finisce sull’albero. Un’altra volta.

- Nick, amore, che ti prende? Sei sbiancato di colpo.

Non posso stare qui, devo scappare.
E’ come se le gambe si muovessero da sole. 
Corro e attraverso la strada, notando due parole scritte col gesso sul cemento. La grafia è ancora illeggibile.

- Nick! Asp…-

Poi l’impatto.
Mi volto di scatto e lei è ancora. Sull’asfalto ricoperto si sangue.
E l’uomo dal berretto verde scende ancora una volta dal camion per avvicinarsi al corpo.
Cado in ginocchio con la testa fra le mani, urlo il nome di Genna, e il nastro si riavvolge.



 Mi chiamo Nick Dawson. Ho 32 anni e sono nato a Chicago, nello stato dell’Illinois. Mia moglie si chiama Genna e stiamo per avere un figlio. Ho visto mia moglie morire due volte.


- Credo che sia una splendida idea, Nick! – esclama entusiasta Genna, ancora una volta.

Oddio. Ancora. 

- Il corso di aggiornamento a Washington è l’occasione migliore che potesse capitarmi. Insiti perché ci vada perché non partorirai per i prossimi tre mesi. E’ questo che volevi dirmi? – le dico sprezzante. Questa battuta non è nuova. Vorrei tanto sapere che diavolo sta succedendo.
- M-ma – il viso di mia moglie è sbiancato in un secondo – come diamine lo sai? Leggi nel pensiero? – mi chiede lasciandomi velocemente la mano e facendo un passo indietro.
- Se te lo dicessi mi prenderesti per pazzo – le rispondo, e così decido di allontanarmi per un po’ per pensare a questa assurda situazione. 
- Nick! Ehi, dove pensi di andare? – mia moglie mi afferra per un braccio.
- Genna, tesoro, – le dico con quanta più gentilezza mi è possibile – ho bisogno di pensare. Ti chiedo per favore di stare accanto a me e fare silenzio, abbi fiducia.
- O-ok… Ma sappi che ti comporti in modo molto strano…
- Lo so.. – guardo verso il cielo – Ehi, quella nuvola assomiglia al fungo sulla borsa della signora Brown, vero?

    Ora l’ho spaventata, mi guarda in modo torvo, ma credo si fidi di quel che le ho detto, infatti mi tiene ancora per mano.

     Calmo Nick. C’è sicuramente una spiegazione scientifica a tutto ciò. Non sei pazzo. E non puoi star immaginando tutto.  Magari è qualche strana coincidenza? No, raramente l'universo è cosi pigro [1].
  Ma che cazzo di spiegazione c’è in tutto questo? Un buco nero? Una frattura nel continuum spazio-temporale? 
Sono capitato in uno dei libri di Stephen Hawking? 
E’ interessante la mia voglia di fare umorismo dopo aver visto mia moglie e mio figlio morire due volte. Forse sono davvero impazzito. 
 
“Mary’s & Sons”…
Perché il nome mi è nuovo? 
L’ho visto anche le altre due volte, ma c’è qualcosa di strano… 
Mentre mi cerco di capire cosa ci sia che non vada qualcuno interrompe il filo dei miei pensieri…

- Chiedo scusa, saprebbe indicarmi come raggiungere…-
- Portland Avenue – dico di getto, interrompendo il giovane ragazzo dall’accento strano.
- S-sì…C-come fa lei a saperlo? – mi dice spaventato.
- Spiacente, non so come arrivarci – esordisco in modo sbrigativo.

Il ragazzo si allontana abbastanza in fretta, voltandosi più volte per fissarmi con la coda dell’occhio. Anche mia moglie accanto a me mi fissa spaventata.

- Ma come diavolo fai? 
- Non lo so, Genna.


Perché l’ho fatto? Perché non ho detto a quel ragazzo come arrivare a quella strada?
Non è vero che non sap…
Improvvisamente tutto diventa chiaro. L’anomalia del “Mary’s & Sons” mi appare così lapalissiana, così scontata, eppure così celata.
Io non so come arrivare a Portland Avenue. Non ne ho la minima idea perche io non ho la minima idea di dove mi trovo. Questa strada mi è sconosciuta. 
Non ho mai visto il “Mary’s & Sons” in vita mia.
E, ora che ci penso non so nemmeno come siamo finiti qui. Non ricordo dove eravamo prima di questo momento. Il momento più lontano nel tempo a cui la mia mente arrivi è quello in cui mia moglie si complimenta con me per il corso d’aggiornamento a Washington.
Cosa c’è stato prima?

- Agh! Il piccolo Benjamin è un po’ irrequieto oggi…- 

Aiuto Genna a sollevare il busto. E’ stanca, vorrebbe andare a casa. Ma dov’è casa nostra?

- Dannati repubblicani, manderanno il paese allo sfracelo! – commenta velenoso il tipo dal maglione giallo.

La coppia di anziani passeggia tranquilla contemplando l’aereo, ignari del mio dramma interiore.
I due bambini giocano tranquilli, e la ragazza cerca di riprendere il suo cane corso verso di noi.

Perché è tutto così identico? Ogni dettaglio, ogni sensazione, ogni suono…

Mia moglie risponde al telefono stavolta, e sia allontana per non disturbarmi.
Il vento aumenta improvvisamente la sua forza, strappando il giornale dalle mani del vecchio.

No.
Non di nuovo.

Genna sta attraversando la strada e vedo il camion arrivare a tutta velocità.

      -    Genna nooo! – urlo con quanto più fiato i miei polmoni riescano ad emettere. 

Corro più veloce che posso e la tiro via dal marciapiede appena in tempo, prima che il camion la prendesse in pieno.
Lei crolla sull’erba, fortunatamente, di schiena.
Il suo cellulare di infrange a terra con un tonfo secco, andando in frantumi.
L’ho salvata. Ora è cambiato tutto.

- Nick…-
- Attenzione!
- Oh mio dio!

Le urla delle persone accanto a noi sono accompagnate da un rumore terrificante e da un bagliore improvviso che proviene dall’alto.
Alzo lo sguardo.
Il cielo è azzurro, le poche candide nuvole assumono una forma innaturale. Si muovono velocemente, troppo velocemente. Credo stiano formando una scritta. Impossibile.

Tuttavia la mia vista ora è rapita da un bagliore accecante nel cielo. Un’espolosione enorme, fiamme rosse, gialle, con striature di nero si espandono a velocità allarmante. 
Quelli che mi sembrano gabbiani scendono in picchiata verso di noi.
Troppo tardi mi accorgo che quelli sono tutt’altro che gabbiani, bensì parti dell’aereo in fiamme che precipitano al suolo.

E troppo tardi urlo a Genna di spostarsi, perché un pezzo di lamiera le è precipitato addosso.




 Mi chiamo Nick Dawson. Ho 32 anni e sono nato a Chicago, nello stato dell’Illinois. Mia moglie si chiama Genna e stiamo per avere un figlio. Ho visto mia moglie morire tre volte.




- Credo che sia una splendida idea, Nick!
- No! Basta, dannazione! – urlo gettandomi a terra in ginocchio. Genna si spaventa.
- Nick! Che hai? – mi chiede inginocchiandosi un po’ goffamente accanto a me.
- Io ti avevo salvata, cazzo! Ti avevo salvata! Perché continui a morire!? Perché maledizione! – urlo ancora più forte, facendo sussultare tutti quelli nei paraggi: i bambino con la madre, il vecchio con il giornale, la coppia di anziani, mia moglie.

Il ragazzo universitario che stava venendo a chiedermi indicazioni si blocca di colpo, sbattendo continuamente le palpebre quando si accorge che lo sto fissando.

- Di che cosa parli? Chi continua a morire? – domanda preoccupata Genna.

Ignoro volontariamente la sua domanda. Risponderle sarebbe inutile dal momento che non riesco a rispondere nemmeno a me stesso. Piuttosto torno a rivolgere la mia attenzione al ragazzo russo.

- Tu! Vieni qui!

Il ragazzo scappa spaventato. Immagino di essermi rivolto a lui nel modo sbagliato.
Lo inseguo ordinandogli di fermarsi. Genna implora di fermarmi, ma non posso.

Lo raggiungo e lo faccio voltare con la forza.

- Vuoi sapere dove si trova Portland Avenue? Eh? Perché continui a chiedermelo?! Perché tutto questo continua a succedere! Che diavolo sei? Un ologramma della mia mente? Un’anomalia dello spazio-tempo? Cosa?! Rispondimi maledizione! – urlo fuori di me, scuotendolo per le spalle mentre lui cerca di liberarsi mormorando qualcosa.
- Nick! Santo cielo che stai facendo? – Genna mi ha raggiunto. Mi tira per le braccia e la mia presa sul ragazzo si allenta. Questo lascia cadere il suo libro di ingegneria a terra e scappa terrorizzato.
- Ma che diavolo ti prende?! Sei impazzito! Cosa credevi di fare a quel povero ragazzo? – mi prende il viso tra le mani e mi guarda con quegli occhi verdi che riescono sempre a penetrare la mia anima. Ma non questa volta.

Mi chino per raccogliere il libro del giovane e lo sfoglio. 
Sulle pagine non c’è scritta una parola..

- Vuoi avere quanto meno la decenza di rispondermi? Eh? – urla spazientita.
- Le pagine sono bianche. Guarda! Com’è possibile? "Meccanica dei materiali". Che senso ha un libro di ingegneria senza parole?
- Io… io non lo so. Agh! Il piccolo Benjamin è un po’ irrequieto oggi.

Faccio un sospiro profondo. Le domande mi fluttuano come un fiume in piena nella testa. Sono un uomo che sogna di essere un automa o un automa che sogna di essere un uomo? [2] Non lo so più.

- Che sta succedendo Genna, mh? – le sussurro accarezzandole una guancia. 

Lei mi guarda intensamente, ma non dice nulla.

- Dannati repubblicani, manderanno il paese allo sfracelo! 
- Ehi! – urlo avvicinandomi all’uomo di colore.

L’uomo si riscuote dai suoi pensieri mi presta attenzione nel momento in cui mi avvicino a lui. 

- C’è qualche problema? 
- Lei è di queste parti? Saprebbe indicarmi cosa c’è in quella strada? – gli domando indicando una traversa alla mia destra. 
- Mh… Non saprei… Non so cosa ci faccio qui, in effetti.

Credo che in questo momento un sorriso ebete mi sia spuntato sul viso.

- Grazie! Grazie! – dico correndo di nuovo verso il ristorante con Genna a pochi passi da me.
- Cosa hai scoperto? – chiede mia moglie con un pizzico di sarcasmo nella voce.

A quanto pare io non ho la più pallida idea di dove mi trovi. Ma a quanto pare non lo sa neanche quell’uomo. E non ci ha nemmeno fatto caso più di tanto, quindi è chiaro che c’è una certa qual cosa che provoca uno stato di strana amnesia. Tra tutte le idee che mi ronzano per la testa una continua a torturarmi.

- Non mi aspetto che tu lo capisca, Genna, perché non lo capisco nemmeno io… Credo che tutti noi ci troviamo in una specie di gabbia mentale… C’è qualcosa, qualcosa che devo fare per fermare tutto questo, per permettere al mondo di tornare a girare nel verso giusto.
- Non… Nick non capisco…
- Lo so amore, lo so – le dico dandole un leggero bacio sulle labbra.

Guardo l’orologio. Sono le 12:51. E’ ora di andarsene da qui.

- Vieni Genna.
- Dove andiamo?
- In un posto dove non dovrò guardarti morire.

Il suo cellulare squilla, ma le ordino di non rispondere.La conduco per mano sul retro del ristorante, nel vicolo in cui vengono scaricati i rifiuti. Mi viene naturale guardare il cielo, aspettandomi da un momento all’altro di vedere un aereo esplodere. Ciò che non mi aspetto di vedere sono però le centinaia di foglie che, mosse dal vento, creano volteggiando quelle che mi sembrano essere lettere. Tuttavia non riesco a scorgerne una parola di senso compiuto. Sono talmente preso con lo sguardo rivolto verso l’alto da non accorgermi dell’uomo con il berretto verde che si avvicina velocemente verso di noi. Faccio appena in tempo ad abbassare lo sguardo per vedere quel tipo uscire una pistola dalla tasca interna del cappotto e conficcare un proiettile nella fronte di Genna.
Perché?
Perché continui a morire davanti a me?  Non può essere solo un sogno.
I sogni sembrano reali fin quando ci siamo dentro. Solo quando ci svegliamo ci rendiamo conto che c’era qualcosa di strano. [3]
 




 Mi chiamo Nick Dawson. Ho 32 anni e sono nato a Chicago, nello stato dell’Illinois. Mia moglie si chiama Genna e stiamo per avere un figlio. Ho visto mia moglie morire tredici volte.





- Credo che sia una splendida idea, Nick!

Sono stanco.
Mi fa male la testa.
Mi fa male il cuore.
Ho visto la donna che amo morire in ogni modo possibile, e  quasi sempre ad opera di un uomo con il berretto verde. E’ assurdamente innaturale.
Morta di aborto. Morta folgorata. Morta d’infarto. Morta. Morta.
Eppure più viva che mai.
Solo il suo sorriso riesce a scaldarmi un po’ adesso, prima di ricordarmi che morirà presto ancora una volta, e poi ancora, e poi di nuovo.
Non so cosa devo fare. Non ho più la forza di pensare. Vorrei poter morire anche io. Voglio che…
Smetta.
Non riesco più a guardare queste persone. 
Sono stufo del ragazzo che chiede di Portland Avenue, delle risate dei due bambini, della stupida vivacità della coppia di anziani, di quel dannato cane che è sempre tra i piedi.
Basta.

- Tesoro, va tutto bene? – chiede Genna preoccupata.

Resta con me. Ti prego, resta con me.

- No, non va tutto bene.

Mi si avvicina un ragazzo.

- Chiedo scusa, saprebbe indica…-
- Sparisci! – urlo fuori di me, guadagnandomi il suo sguardo terrorizzato e l’espressione stupefatta di mia moglie.
- Ma dico sei impazzito!
- Mi sono davvero rotto le palle di tutto questo, Genna!
- Di tutto cosa?!
- Dannati repubblicani, manderanno il paese al…-
- Lei manderà me allo sfracelo se non la smette di ripeterlo! – urlo ancora una volta, stavolta all’uomo col maglione giallo.
- Come ha fatto a sapere…-

Mando semplicemente al diavolo l’uomo e trascino mia moglie all’interno del ristorante, stranamente deserto, dopo averla aiutata a riprendersi dalla fitta alla pancia, seguita sempre dalla solita battuta.
Prendiamo un tavolo in fondo al locale e restiamo tutti e due in silenzio. La tensione tra noi è tangibile e imbarazzante. Nessuno di noi sa cosa dire anche se credo di sapere tutte le domande che mia moglie vorrebbe farmi. Restiamo così per qualche minuto, fino a quando un cameriere viene a chiederci di ordinare. Senza guardarlo, lancio un'occhiata a Genna: sono le 12:51, immagino che lei abbia fame. Ordina solo un piatto di ragù, e restiamo ancora in silenzio. 
Ho notato che  tutte le volte Genna muore alle 12:53. 
Potrebbe essere una coincidenza, ma le coincidenze non esistono. Nel film preferito di mia moglie il protagonista dice: la coincidenza non ha madre [4].
Perché proprio le 12:53?
Arriva il piatto ordinato da mia moglie.

  -     Buon appetito - mormora un po' ironica mandando giù la prima forchettata. 

Mi accorgo solo ora che il cameriere ha lasciato quello che sembra essere uno scontrino sul tavolo, proprio accanto a me. Vi è stampato qualcosa sopra, ma l'inchiostro sbavato non permette di capire altro. Mi giro a guardarlo ma vedo solo un cappellino verde sulla testa di un uomo che si allontanata.
Non faccio in tempo a continuare il filo dei miei pensieri che mia moglie getta la forchetta sul tavolo e  si porta le mani alla gola emettendo strani rantoli. Non ci vuole molto tempo prima che io capisca che il cibo le è andato di traverso. Mia alzo immediatamente dalla sedia e la raggiungo cercando di calmarla. Ogni mio sforzo si vanifica nel momento in cui lei si getta a terra in preda alle convulsioni. Praticarle la manovra di Heimlich  ora che è a terra sarebbe impossibile.
È difficile spiegare com'è vedere la persona che ami morire per più di una volta. Credo che sia come vederla morire una volta sola, con l'unica differenza che lo shock non ti impedisce di agire, non ti intorpidisce i muscoli e non ti inibisce le facoltà mentali. Tuttavia rimane il senso di impotenza, di sopraffazione, di diabolica rabbia che ti portano sulla soglia della follia. 
È questo che provai vedendola morire ancora una volta.




Mi chiamo Nick Dawson. Ho 32 anni e sono nato a Chicago, nello stato dell’Illinois. Mia moglie si chiama Genna e stiamo per avere un figlio. Ho visto mia moglie morire sedici volte.



  -     Credo che sia una splendida idea Nick!
  -     Mio Dio...

Giuro di non farcela più. 

  -     Sì! Quel corso di aggiornamento a Washington è la cos a migliore che potesse capitarti! 

Se vuoteró il sacco finirà tutto?

  -     Genna, amore, siediti su quella panchina con me, dobbiamo parlare.  

Ci dirigiamo velocemente alla panchina vicina e l'aiuto a sedersi.

  -     È qualcosa di grave? Vuoi... Vuoi lasciarmi?
  -     No! - Cristo, come può pensare una cosa del genere! - No! Ovvio che non voglio lasciarti! Io ti amo. 

La sento tirare un sospiro di sollievo.

  -     Anche io ti amo - sussurra con una dolcezza che mi fa venire i brividi. 

Guardando quegli occhi verdi,  così vivi, così sorridenti, non posso fare a meno di pensare a quando finirà questa faccenda. Genna sarà viva oppure no? Cosa ne sarà della mia vita se lei morirà? Se loro moriranno? Io che ho tanto voluto essere padre, essere marito, e nonno. Cosa farò?

  -     Ehm, amore, di cosa volevi parlarmi?
  -     Genna, amore mio. Io so che ciò che sto per dirti è assurdo, me ne rendo conto. Ti chiedo solo, in nome dell'amore che dici di provare per me, di credermi. Abbi fiducia in me. Non sono pazzo. E ciò che sto per dirti è solo la verità.  
  -     O-ok, te lo giuro.
  -     Bene. C'è... qualcosa... qualcosa che fisicamente non riesco a spiegarli che mi ha fatto rivivere sedici volte la stessa scena. E alla fine di ogni scena tu... tu muori. Ti ho vista morire  sedici volte on ogni modo possibile, e non ce la faccio più. Ogni volta... Ogni dannata volta che provavo a salvarti c'era sempre qualche altro dannato scherzo del destino pronto dietro l'angolo che ti strappava ancora da me. E io non capisco cosa fare per fermare tutto questo. Non lo so. 

Genna mi guarda con uno sguardo nervoso, teso, agitato. Non mi crede, e non la biasimo. Ma intendo dimostrarle di avere ragione. 

  -     Nick... È... È assurdo tutto ciò che mi stai dicendo. Io ho fiducia in te e sono convinta che  credi in quello che dici, ma... non ha senso...
  -     Intendo dimostrati di aver ragione - Sollevo lo sguardo verso il cielo e le prendo la mano - Scommetto che stai pensando che quella nuvola somigli al fungo cucito sulla borsa della signora Brown. 

Sorrido guardando la sua bocca spalancarsi per la sorpresa.

  -     M-ma come... -
  -     E non è tutto. Quel ragazzo laggiù è uno studente di ingegneria, ha un accento russo e sta venendo da noi a chiederci dove trovi Portland Avenue. 
Dopo aver dato informazioni fasulle al giovane e aver incrementato ancora di più lo stupore di mia moglie, continuai.

  -     Attenta alla fitta.
  -     Agh! Il piccolo B...
  -     Benjamin è un po' irrequieto oggi - conclusi la frase di mia moglie, mentre lei era rimasta immobile con una mano sul ventre a fissarmi sbigottita.
  -     Oh mio Dio.
  -     E guarda, quell'uomo laggiù con il maglione giallo sta per imprecare contro i repubblicani.
  -     Dannati repubblicani, manderanno il paese allo sfracelo!
  
Non potei impedirmi un sorriso sbilenco guardando l'uomo, e pochi secondi dopo riposai lo sguardo su Genna. Lei si passò una mano sul viso e cercò di trovare le parole più adatte.

  -    Nick...
  - Ora mi credi?
  -     S-sì... Credo di sì.
  -     Bene. Vieni, non è sicuro stare qui. 

La aiuto ad alzarsi e insieme entriamo nel "Mary's & Sons". Prendiamo un tavolo in fondo e continuiamo a parlare indisturbati rifiutandoci di ordinare per il momento.

  -     Quindi io morirò anche stavolta come sono morta le altre sedici?
  -     Credo di sì... Ma non preoccuparti, in genere non hai mai sofferto molto. E poi non so quante altre dozzine di volte questa storia continuerà a succedere.  
Lei si accarezza il ventre sorridendo.

  -     Non ho mai pensato a come sarei morta...
  -     Io riuscirò a trovare il modo di salvarti. Solo che non so cosa devo fare. Ho provato di tutto ma niente ha funzionato. E sono sempre qui. - dico di più a me stesso che a lei.
  -     Magari non hai ancora scoperto cosa devi fare.
  -     Anche questo è possibile. 

Non avevo mai considerato questa ipotesi. Magari non è lei che devo salvare. Ma allora cosa? 
Noto su un tavolo vicino a me dei foglietti sparsi.  Mi avvicino per prenderne uno e scopro che sono delle locandine del gruppo folk che avrebbe suonato nel locale. Torno al mio posto e prendo una penna scrivendo qualcosa sul retro del foglio, tanto per ricordarmi di non essere pazzo.

  -     Come pensi  sia possibile tutto questo? - chiede intanto Genna.
  -     Ho pensato a qualcosa di fisico, come una anomalia nello spazio- tempo, ma mi tendo conto che è altamente improbabile.
  -     Beh, una volta eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, non può che essere la verità [5]. 

Il suo telefono squilla.

  -     Oh, non rispondere. È Vincent che ti chiede dell'articolo.
  -     Ah. Beh, se sto per morire quel bastardo può andare al diavolo. 

Guardo l'orologio: 12:50. Non c'è molto tempo. Fuori dal vetro della finestra vedo gli alberi mossi dal vento e il giornale dell'uomo di colore si ferma sul vetro proprio davanti a noi.
 Allora ecco che le vedo.
Nel frontespizio si leggono distintamente due parole, quelle che per tutto questo tempo non sono riuscito a leggere.
Metto il foglietto nella tasca dei pantaloni e mi alzo di scatto dalla sedia avvicinandomi a mia moglie. La bacio velocemente sulle labbra sussurandole che amo lei e Benjamin e corro fuori. Genna rimane seduta al nostro tavolo, e scoppia a piangere accarezzandosi la pancia.
Una volta fuori dal ristorante afferro il giornale. Le due parole del frontespizio, quelle che mi hanno tormentato così a lungo, ora sono lì. Semplici, banali.

"Lasciami andare".

Ma non sono tanto quelle parole a farmi girare improvvisamente la testa quanto l'articolo  che c'è sotto.
E, finalmente, tutto diventa chiaro. 
La brutale evidenza dei fatti che ora affiorano alla mia mente, la sconcertante realtà che mi era sempre stata sotto il naso ora mi corrobora dentro. La forza della mia distruzione interiore è pari solo all'onda d'urto dell'esplosione del ristorante alle  mie spalle.
Volo in avanti, credo di essermi rotto un polso, ma non mi interessa.
Forse i decibel dell'esplosione mi hanno distrutto i timpani, ma non mi interessa.
Ho perso ancora una volta mia moglie, ma ora so quello che devo fare.

                                                                                                      ~~~
  
" 15 aprile 2007 - Manhattan, New York. Terribile è l'incidente accaduto questa mattina nei pressi di Central Park. Un furgone bianco guidato da un uomo di quarant'anni, probabilmente ubriaco, si è schiantato contro un SUV nero guidato da una giovane coppia in dolce attesa. Non sono chiare le dinamiche dell'incidente e le condizioni di vita dei due giovani, identificati come Nick e Genna Dawson, sono incerte. L'autista dell'altra vettura, George Powers, è invece deceduto sul colpo, per via del ritorno di fiamma del furgone. Nell'incidente hanno perso la vita per una funesta coincidenza di eventi anche altre persone: Rose McGrath con i sui due bambini Louise ed Harry; l'anziana coppia Francis e Clara Stoner; un membro della giunta comunale, Billie Whitmore; la giovane Sarah Gruber con il suo cane; infine un laureando in ingegneria, Nikolaj Shostakovich [6].
Il 22 aprile si terrà una commemorazione a Central Park per ricordare le vittime e il tragico destino che le ha viste scomparire così precocemente."



                                                                                                     ~~~



  -     Credo sia una splendida idea Nick ! - dice Genna con entusiasmo. È felice. È così che voglio ricordarmela.
 E finalmente so quello che devo fare. Capisco il significato di quelle due parole. Capisco tutto.
La prendo per mano e continuiamo camminare davanti al ristorante.
  -     Quel corso di aggiornamento a Washington è l'occasione migliore che potesse capitarti! Insisto perche tutti ci vada, tanto non partorirò per i prossimi tre mesi...
  -     Se ti fa piacere lo farò, amore mio.
  -     Sono così felice per te, tesoro.
  
Si solleva sulle punte e mi dona un bacio. Non l'ho fatto fino ad ora, ma mi viene da piangere. La verità fa male. Devono essermi scese delle lacrime , perché Genna se n'è accorta.

  -     Nick va tutto bene? Stai piangendo?
  -     No - mormoro velocemente asciugandmi le guance con la manica e dandole un bacio - No, va tutto bene, stai tranquilla. Vieni, siediti un po'. 
  
Ci sediamo alla solita panchina e mi fermo qualche minuto a osservarla. È così bella.

 -  Chiedo scusa, -dice il giovane Nikolaj avvicinandosi a noi - saprebbe  indicarmi come raggiungere Portland Avenue?
  -     Mi dispiace, amico mio, non sono di queste parti - gli rispondo con il sorriso sulle labbra.
  -     Oh, non fa niente. Grazie lo stesso e buona giornata! - dice infine rispondendo al sorriso e avviandosi. 
  -     Agh! - urla mia moglie improvvisamente - Il piccolo Benjamin è un po' irrequieto oggi. 

La guardo con tenerezza accarezzando le il punto che le faceva male.

  -  Sono sicuro che diventerà bellissimo e dolce come te.
  -     E brillante come te!  

Ci baciamo un'altra volta.  Devo approfittarne prima che sia troppo tardi.

  -     Dannati repubblicani, manderanno il paese allo sfracelo!
  -     Sai, non dovrebbe agitarsi tanto... - sussurro a Genna che non riesce a trattenere una risatina divertita - La vita è troppo breve per sprecarla nell'odio.
  -     Vero! Dovremo insegnarlo a Benjamin quando sarà più grande.  

Il cane di Sarah sia allontana dalla padrona e corre verso mia moglie. Genna si piega e gli gratta la testa.  La coppia felice di anziani si ferma ad indicare il volo dell'aereo.
È quasi ora.

  -     Genna, amore... 

Il suo cellulare squilla proprio in quel dannato momento. Lei lo esce dalla tasca e controlla di chi si tratta.

  -     Oh, è Vincent. Quella sangui...
  -     Non rispondere.
  -     Ma è per lavo...
  -     Genna, ti prego. Devo dirti una cosa.
  -      O-ok... - rimette il cellulare in tasca e mi stringe la mano.
  -     Tu ti fidi di me? - le chiedo accarezzando le il viso.
  -     Certo.
  -     Allora vieni con me. 

Ci alziamo e ci dirigiamo verso la strada. Intanto la consueta folata di vento solleva le foglie, fa volare il giornale dalle mani dell'uomo di colore e fa finire la palla del piccolo Harry  sull'albero. Afferrò il giornale e lo restituisco al signor Whitmore, che mi ringrazia affabilmente.
Dopo aver fatto passare il furgone che la prima volta aveva ucciso mia moglie, attraverso ma la strada per raggiungere la casa della signora Rose McGrath.
Lascio per un attimo la mano di Genna e mi sollevo per recuperare la palla del bambino.

 -  Ecco qui piccolo - mi inginocchio dando la palla ad Harry.
  -     Grazie signore! 
  -     Di niente ometto - gli dico scompigliandogli i capelli con una mano. 

La signora McGrath ci ringrazia per aver aiutato il figlio e ci allontaniamo.

  -     Sei stato gentile ad aiutare quel bambino.
  -     Ho immaginato che fosse Benjamin... 

La faccio fermare al centro della strada. Lei non sembra sorpresa, o spaventata, o preoccupata.

  -     Genna, se tu sapessi che ti rimane qualche minuto da vivere, che faresti?
  
Sembra pensarci un po' su.

  -     Mh.. probabilmente chiamerei mio fratello, gli direi che mi dispiace di essermi allontanata da  lui, e gli direi che sono fiera di lui. Poi il resto del tempo lo passerei con te, perché ti amo.
  -     Anche io ti amo piccola. Tu e Benjamin mi avete cambiato la vita, mi avete fatto diventare un uomo. Grazie. Grazie davvero. 

Da destra e da sinistra vedo un furgone bianco e un SUV nero avvicinarsi. Mi viene da piangere, e questa volta non provo a fermare le lacrime.

  -     Allora ce l'hai fatta. - sussurra Genna abbracciandomi.
  -     A fare cosa? - le chiedo stringendola forte.
  -     A lasciarmi andare. Ce l'hai fatta. Bravo, sono orgogliosa di te, amore mio... 

Credo che il suicida mentre appoggia alla tempia la canna della pistola provi per ciò che succederà l'attimo seguente quello che in quel momento provai io: un sentimento di curiosità [7].


Ricorso di non aver mai provato un tale sentimento di pace come ne provai in quel momento. 
Il calore del corpo di Genna scomparve ma mi sentii come avvolto da una tiepida coperta. Tutto divenne bianco, un bianco luminoso, caldo, tranquillo. 
Pace.
Tutto ciò che avevo desiderato era tutto intorno a me. 
Ricordo di aver pensato che quello doveva essere il pardiso: silenzioso, governato da nient'altro che la pace dei sensi assoluta.

Poi però qualcosa cambiò.
Sentii una specie di ticchettio, un vociare confuso, e la luce divenne più forte, per poi focalizzarsi tutta in punto davanti a me. Assunse luminosità morta, artificiale.
Il vociare divenne chiaro, riuscii a sentire distintamente voci di uomini e donne diverse, miste di esultanza e fretta e agitazione.
Splancai gli occhi e sollevati busto, ricordando, ancora una volta, ogni cosa.


                                                                                                         ~~~


Ero in macchina con Genna. Ci stavamo dirigendo a casa, dopo aver fatto visita a un amico di famiglia. Ricordo di essermi fermato ad un semaforo e su un palo avevo visto la locandina che diceva: " Questa sera alle 20:30 da Mary’s & Sons non perdetevi i Soundsbeat!".
Ho pensato che forse sarebbe stato carino se ci fossimo andati. 
Mia moglie era accanto a me e mi stava parlando del mio lavoro.
  -     Credo che sia una splendida idea Nick! - e dopo un po' aveva aggiunto - Quel corso di aggiornamento a Washington è l'occasione migliore che potesse capitarti! Insisto perché tutti ci vada, tanto non partorirò per i prossimi tre mesi.
  -     Ma amore non posso lasciarti sola! E se succedesse qualcosa? - le avevo chiesto, non mi andava affatto di lasciarla sola dato che era incinta.
  -     Santo cielo Nick! Che vuoi che succeda?
  Nel frattempo un ragazzo si era avvicinato al nostro SUV  e io avevo abbassato il finestrino.
  -     Chiedo scusa, potrebbe indicarmi come raggiungere Portland Avenue? - aveva uno strano accento. Probabilmente russo.
  -     Certo. Segui questa strada, dopodiché svolta due volte a destra e una a sinistra. C’è una grande fontana con una statua, non puoi sbagliare.
  Il ragazzo aveva ringraziato ed era andato via.
  -     Agh! Il piccolo Benjamin è un po' irrequieto oggi.- aveva mormorato con voce flebile Genna, e io avevo appoggiato la mia mano sulla sula pancia per sentire la vita che cresceva dentro di lei.
      Il semaforo non ne voleva proprio sapere di tornare a essere verde, così avevo deciso di passare il mio tempo a osservare il mondo fuori dalla mia automobile.
Due anziani che stavano attraversando col verde si erano fermati qualche momento ad osservare un aereo in volo; una ragazza passeggiava con il suo cane al guinzaglio mentre un uomo di colore che leggeva un giornale inveiva contro i repubblicani.
  -     Dannati repubblicani, - diceva - manderanno il paese allo sfracelo!
 Una donna in un giardino stava portando la colazione ai suoi figli che giocavano con una palla.
Mi volta i verso mia moglie nel sentire la sua suoneria.
  -     Oh, è Vincent. Quella sanguisuga vuole che gli scriva l'articolo. Scusa amore, devo rispondere.
 Odio quel Vincent. Ha sempre provato a portarmi via la moglie. Ma si  deve solo azzardare a mettere un dito su di lei.
Fuori il vento si era alzato e la palla del bambino finì in mezzo alla strada. La madre, che aveva l'altra bambina in braccio, rincorse il piccolo per cercare di impedirgli di attraversare la strada. Fin quando il semaforo è verde non c'è problema, mi dissi. Al signore con il maglione giallo sfuggì di mano il giornale e fluttuò davanti al parabrezza. La ragazza lasciò andare per sbaglio il guinzaglio del cane e questo si mise a correre impazzito per la strada. 
Dal nulla un furgone bianco sbucò da dietro l'angolo in controsenso e si avvicinò a tutta velocità , nella nostra corsia, verso di noi. 
Poi accadde tutto in un secondo.
Il furgone in folle corsa travolse tutto ciò che incontrò sulla sua strada: la coppia di anziani, il ragazzo che mi aveva chiesto indicazioni, la madre con i due bambini, la ragazza con il cane, l'uomo di colore...
Genna lasciò cadere il cellulare e urlò.
Tre furono le ultime cose che vidi: l'uomo con il berretto verde alla guida del furgone, il ritorno di fiamma della sua vettura e l'ora sull'orologio accanto al contachilometri: le 12:53. 


                                                                                                           ~~~


Mi svegliai dal coma sei mesi dopo. Mi svegliai aiutato da mia moglie, ne sono sicuro.
Genna, invece, non si svegliò, così come Benjamin non venne mai alla luce.

Un giorno, mentre ero seduto sul mio letto d'ospedale, con il viavai di medici fuori dalla porta, ripensai al sogno che avevo fatto durante il coma, se si può definire sogno e se io ho il diritto di definirlo in qualche modo.
Presi il cellulare dalla busta degli effetti personali lasciati da un'infermiera sul tavolino accanto al letto e composi il numero di mio cognato, il fratello di Genna.

  -     Nick?! Oh santo Dio, ti sei svegliato! Mio Dio non sai quanto sono felice di sentirti, vecchio mio!
  -     Ciao John, anche io sono felice di sentirti.
  -     Come ti senti? 

John era famoso per le domande stupide.

  -     Come uno che si è svegliato da un coma. 

Lui rimase in silenzio per qualche secondo, poi sentii un tremolio nella sua voce.

  -     Nick... Mi dispiace tanto per Genna e Benjamin. Mi dispiace tanto... - disse prima si scoppiare in lacrime. Odio quando le persone piangono.
  -     Lo so, John... Senti, ho chiamato per dirti una cosa che Genna mi ha detto prima di... scomparire. 

Lui aveva smesso per un po' di singhiozzare.

  -     Ha detto che le dispiace di essersi allontanata da te.. E ha detto che è assolutamente fiera di te, di cosa sei diventato.
  -     Grazie. Grazie Nick per avermelo detto. Non sai quanto mi fai sentire meglio così. - aveva ripreso a piangere, ma stavolta riuscivo a scorgere il sorriso sulle sue labbra nel suo pianto- Ascolta, tra dieci minuti sono in ospedale con te, amico mio! - e mise giù.
  
Guardando meglio tra gli effetti personali notai un foglio spiegazzato.
Credetti di avere un infarto.
Era la locandina che mi ero messo in tasca nel mio pseudo-sogno.
La girai e lessi la frase che avevo scritto.

" Mi chiamo Nick Dawson. Ho 32 anni e sono nato a Chicago, nello stato dell’Illinois. Mia moglie si chiama Genna e stiamo per avere un figlio. Oggi ho visto mia moglie morire diciassette volte"

Qualsiasi cosa sia successa durante quel coma , Genna era davvero con me.
Non so spiegarmi cosa sia successo, come sia successo e perché.
È qualcosa che esula dalle mie competenze, dalle mie capacità di comprensione, da ciò in cui credo e in cui non credo.
Io non riuscirò mai a sapere la verità riguardo a quel luogo, ma lei sì.
È solo grazie a lei se io ora sono qui. È grazie a lei che ho capito che la vita continua e che l'amore non si ferma se una persona è lontana o non c'è più. E non riuscirò mai a dirle quanto le sono grato per avermi insegnato questo.
E a te, Benjamin, anche se non diventerò mai padre, anche se non ti stringerò mai tra le braccia, non ti insegnerò mai ad andare in bici, nè ti curerò mai un ginocchio sbucciato, anche se non ti vedrò crescere, laurearti, sposarti, sappi, dal più profondo del mio cuore, che io ti amo.




  _________
[1]: cit. Sherlock in "Sherlock" serie tre episodio due.
[2]: cit. Render in "Il signore dei sogni" di R. Zelazny.
[3]: cit. Dom Cobb in "Inception" diretto da Christopher Nolan.
[4]: cit: V in "V per Vendetta" diretto da James McTeigue.
[5]: da "Le correnti dello spazio" di I. Asimov.
[6]: piccolo omaggio al genio musicale russo Dimitri Shostakovic, autore di uno dei miei pezzi classici preferiti: Jazz Suite, waltz 2, parte 6/8.
[7]: da "La macchina del tempo" di H. G. Wells.

Note dell'autrice.
Buonsalve a tutti :) 
Se siete giunti fin qui ancora sani di mente, le mie congratulazioni!
Dunque, parliamo un po' della storia...
Mi è venuta in mente una sera in cui non  riuscivo a prendere sonno ( le idee più importanti mi vengono sempre in quel magico momento prima di addormentarmi), ma ad essere sinceri l'ispirazione è venuta guardando "Source Code" di Duncan Jones. Confesso che l'idea si è un po' distaccata dal progetto originale, in cui avrei inserito teorie fisiche su universi paralleli, supersimmetrie, entropia e taaaanta meravigliosa fisica che ci avrebbe fatto rin******re tutti, quindi ho optato per il piano B XD
Per quanto riguarda... Ehm... La tristezza della storia, per così dire, non preoccupatevi. Come dicono due persone che mi conoscono bene " non mi smentisco mai" -.-
Non sono una  grandissima fan della  narrazione in prima persona, ma dopo aver  letto vari libri così mi sono ricreduta. E poi credo che in questa storia la prima persona riesca a esprimere meglio le emozioni del protagonista.
La scelta di usare il tempo passato al momento del risveglio di Nick è voluta: simboleggia come lui consideri il suo presente e la sua realtà il "sogno", non il risveglio.
Quanto a voi, vi ringrazio con tutto il mio cuore  per aver letto questa storia e per averla (maybe) gradita.
Grazie a tutti coloro che recensiranno o inseriranno tra preferite / da ricordare. :)
Buona vita a tutti, con affetto
__RockEver_
  
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