Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! ZEXAL
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Autore: KH4    16/06/2014    3 recensioni
Non aveva mai avuto nessuno a cui donare un sentimento che rasentasse l’amore o l’amicizia. Era sempre stata sola, crudelmente lasciata in balia di un mondo che non aveva occhi o preghiere da rivolgere a quelli come lei. I volti dei genitori erano illusioni in mezzo a una nebbia di fumo e cenere divampanti più delle fiamme che coloravano il cielo di rosso e nero durante le guerre. Ridicolo come le fosse stato rubato anche il tempo per provare dolore, piangere lacrime sul volto sporco di terra o di scoprire che cosa si provasse a essere un guscio svuotato d’ogni vitalità, ma affondare le mani nella miseria e nella cruda realtà insegnava a chiunque, anche a una bambina che dovrebbe vivere di balocchi anziché di sofferenze, che nulla esisteva in eterno. Men che meno la vita.
 
Personaggi: Lilium/Vector.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bekuta/Vector, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Lost Memories.
Empty Ensign.
 
 
Vector…Vector…!
 
Si svegliò di soprassalto, rischiando di scivolare dal trono dominante l’intera sala.
Le dita grigie affondarono le lunghe unghie aguzze nei bracciali adamantini crepandone la superficie liscia e rossastra. Ansimando profondamente, Vector annaspò l’aria col corpo scosso da sussulti, velato di un sudore simile a una leggera patina fredda carica di umidità.
 
Era accaduto un’altra volta. Un’altra fottuta e maledetta volta.

Ringhiò, gli occhi affilati con le pupille ridotte a due puntini in mezzo a un bianco dilatato ed enormemente grato per la totale solitudine. Le parole scivolarono via incomprensibili, rantolanti e più confuse di quanto già non lo fossero state nelle volte precedenti.
 
Aveva sognato ancora. Cosa gli era sfuggito al destarsi – come sempre -, cosparsosi di ombre che avevano oscurato ciò che da tempo non era più tanto propenso a considerare il frutto di una sciocca illusione. Odiava essere preso in giro o raggirato dalla sua stessa mente, non avere il controllo e vivere col dubbio a frantumargli la sfrontata sicurezza che lo faceva sedere su quel trono impreziosito come unico degno di tale onore, ma qualunque cosa fossero quei dannati incubi sembravano non volerlo farlo avvicinare alla verità. Stava accadendo troppo spesso e avendo attribuito ciò alla schifosa debolezza dell’involucro umano da lui usato per confondersi fra le file nemiche, aveva pensato bene di rifugiarsi nel solo posto dove fosse pienamente libero da ogni costrizione fisica.
 
Respirando a fondo, sciolse la tensione dei muscoli, tornando ad appoggiarsi allo schienale del trono e a rimirarne compiaciuto le punte e i decori di liscio rubino che riflettevano sfavillanti il suo profilo.
 
Magnifico, perfetto. Un simbolo di potere assoluto colmo di grandezza Bariana.
E molto presto sarebbe stato completamente suo.
 
Quella landa rossa e desolata, l’attuale titolo di Imperatore… Briciole in confronto all’ascesa che lo avrebbe fatto rinascere come Dio dell’intero firmamento. Condividerle con altri quattro Bariani era necessario, fastidioso, ma anche incredibilmente divertente per quanto i suoi “Compagni” fossero dei completi idioti.
 
Alit e Gilag erano l’equivalente di un paio di marionette facilmente giostrabili, da cui aspettarsi di tutto tranne che una dose consistente di sale in zucca. Mizael era una sfida continua, abile e di animo suscettibile, con l’ardente desiderio di infliggergli una sonora punizione per il suo Modus Operandi. Una pedina da tenere costantemente d’occhio come Durbe. Con entrambi doveva usare i guanti di velluto, il loro intuito poteva portarli a dubitare delle sue parole, a spezzare il già sottilissimo rapporto di interazione che li vedeva combattere insieme per Barian, cosa a cui doveva fare attenzione in particolar modo con il secondo.
 
Rilassatosi, accarezzò uno dei braccioli del trono, grattandone i contorni con la punta delle unghie e avvertendo l’irregolarità ruvida delle crepe bianche da lui causate. Un danno  riparabile, fortunatamente.
Sì, quel trono, quello splendido e immenso trono superiore a tutto e a tutti era suo, solo suo, come presto lo sarebbe stato l’intero Cosmo che già avvertiva dimenarsi fra le sue dita. Doveva solo pazientare un altro po’ e…
 
Vector…VECTOR!
 
 
Nella penombra scarlatta della sala rimbombarono un improvviso gemito strozzato e il cozzare osseo al suolo di un paio di ginocchia.
 
- Argh..! Che diavolo…Ancora?!? –
 
Vector picchiò la fronte contro il pavimento, infilandosi gli artigli nella capigliatura argentata e affondandoli nella tenera pelle sottostante fino a sporcarle di sangue. Il colpo era arrivato senza preavviso, di spalle, intenso come una sferzata d’ascia al centro del cranio.

- Ci stai prendendo gusto, eh? – Sibilò rantolante, accartocciato a terra con i polmoni raggrinziti e il ghigno largamente sadico a mettere in mostra la bianca chiostra di denti – Stavolta non hai neppure aspettato che mi addormentassi..! –
 
Le ali d’onice si raddrizzarono fino alle punte, percorse da un secco scricchiolio che arrivò vicino a romperne le ossa roventi. Un impatto intenso che, giunto al culmine, annullò la forma Bariana del più meschino degli Imperatori, guadagnandosi da quest’ultimo un'ulteriore ondata di astio.
 
Ci stava impazzendo dietro, letteralmente, dalla prima volta che la sensazione di venir meno e le fitte alla testa lo avevano pervaso senza una ragione apparentemente plausibile, alimentandone il potere corrotto. Non poteva socchiudere le palpebre o rilassare i fasci muscolari senza che quell’agglomerato indefinito di voci e paesaggi dal profumo inafferrabile gli tartassasse il senno per poi risputarlo fuori con solo una lunga scia di confusione a testimoniarne il passaggio.
Un miracolo che la sua lucidità non ne avesse ancora risentito, perdere la concentrazione e il sangue freddo per ordire tutte le macchinazioni messe in moto avrebbe rappresentato un serio problema, non ora che era riuscito a insinuarsi così bene negli affetti dei suoi avversari da ottenerne la completa fiducia.
Ma quella faccenda aveva superato i limiti consentiti già da troppo, permetterle di avanzare ancora avrebbe potuto condurla facilmente ad assorbire qualcosa di troppo vitale per Vector: percepirne il lento concretizzarsi a discapito del suo contatto con la realtà era già di suo inammissibile.

- Lo so che ci sei… -, ringhiò fuori di sé, guardando un punto indistinto della sala, gli occhi pieni di furente follia stufa di essere presa in giro – Ti ho visto…FATTI VEDERE!!! –
 
Il pavimento e le colonne sanguigne tremarono a quell’urlo carico di potere Bariano che si riversò contro la loro superficie incrinandola rovinosamente. L’aura, di un sporco viola frastagliato da saette incontrollabili, giunse sino alle viscere del palazzo facendole stridere come fossero state vive, culminando poi verso il cielo in una pioggia di luci incolori che fece infrangere contro il pavimento della sala alcuni dei cristalli riempienti il soffitto appuntito. I cocci brillarono al ristabilirsi della quiete, puntini luminosi in un mare scarlatto identico all’orizzonte austero di Barian. Un altro sfogo del genere avrebbe ridotto il pianeta a una misera manciata di polvere sabbiosa, ma a Vector non sarebbe importato poi così tanto. Tutto purché quel maledetto pulsare, quell’ombra che lo ossessionava e che sapeva essere ancora lì – magari a ridere proprio di lui -, cessasse definitivamente di esistere.

- Che cosa stai combinando? –
 
Un nuovo guizzo di pura follia scintillante accecò l’Imperatore al sentirsi chiamare in un momento tanto precario. Dei passi leggeri avanzarono scricchiolanti sopra il manto vetroso disperso sul pavimento, fino a fermarsi in fondo alla scalinata, costringendolo a fare del suo meglio per appianare la nausea e il ribollo acido provocategli per la sgradevole visita.
 
Durbe. E nella sua forma umana, per giunta.
Quale modo migliore per giocarsi definitivamente l’ultima briciola di pazienza se non con l’essere da cui più doveva guardarsi le spalle?

- Vector. – Il nuovo arrivato lo inchiodò al trono, senza timore di una possibile ripercussione da parte del Bariano dagli occhi viola, che digrignò la bocca in una smorfia disgustata al sentir pronunciare il suo nome da quella voce costantemente pacata e attenta che non lasciava mai niente al caso.
- Niente -, sibilò lui, sbrigativo, evitando di guardarlo in faccia – Non sto combinando proprio niente. -
- La scossa di poco prima dice l’esatto contrario -, replicò, incrociando le braccia - Stai bene?
- Tsk! Non dovrei esserlo? – Sorrise sprezzante.
- Non saprei, visto e considerato che dovresti essere sulla Terra e non qui -, gli rispose eloquente il ragazzo, sistemandosi con la punta dell’indice gli occhiali – Inoltre, qualunque essere di sana mente non arriverebbe mai a distruggere qualcosa a lui utile senza una buona ragione, quindi, a meno che tu non abbia deciso di fare un favore al Mondo Astrale… -
- Sei venuto realmente a verificare come sto oppure la tua era solo una scusa per arrovellarmi i nervi? – Lo stroncò di netto Vector.
 
La parlantina del terzo Imperatore era un altro motivo per cui la sua magistrale nonchalance cedesse il passo all’irresistibile voglia di strappargli la lingua.
 
Vector si rialzò debolmente, giusto per lasciarsi cadere sul trono con mollezza e appoggiare la nuca contro il freddo schienale cristallino. Durbe era ancora lì, ai piedi delle scale, a osservarlo con quelle schifose e ambigue iridi argentate colme di incorruttibile bagliore non conoscenti quel riposo che invece il manipolatore voleva godersi in santa pace. Non lo sopportava e il desiderio di cavargli gli occhi con le dita per l’insolenza con la quale osava fronteggiarlo cresceva di secondo in secondo. Sarebbe stato il primo a sparire, subito prima di Mizael: era quello che più gli suscitava irritazione, che non cedeva d’innanzi alla sua estrema noncuranza per i suoi compagni feriti, alle provocazioni o ai subdoli inganni che invece lui amava quanto se stesso e protraeva senza il minimo rimorso di coscienza.
 
Troppo fine, troppo nobile d’animo per schernire gli alleati o colpire gli avversari dove più avrebbero sanguinato, impeccabile in ogni sua movenza quel tanto che bastava da segnare un netto confine dal marciume che sommergeva quanto rimaneva del cuore avvelenato di Vector….

- Allora? Che devi dirmi? – Incalzò impaziente quest’ultimo, accavallando le gambe e appoggiando la guancia contro le nocche della mano.
 
Durbe non reagì, non subito, prendendosi altri attimi per guardarlo dritto in faccia e leggervi qualcosa che costrinse l’Imperatore a corrugare la fronte.

- Pensavo lo avessi percepito anche tu -, proruppe poi col mento abbassato – Sia io che Mizael ce ne siamo accorti da tempo, ma pensavamo fosse un errore. –
- Che cosa? – Quello strano discorso non gli piacque per niente.
- Il richiamo di Barian -, lo delucidò l’argenteo – Quando un’anima di questo mondo rinasce a nuova vita, Barian e chiunque vi sia legato lo avvertono distintamente, come fosse parte integrante del loro essere, anche se la vita in questione ancora non ha preso piena coscienza di sé o della sua reale natura. Come è successo a noi, adesso si sta verificando per qualcun altro. -
- Ma che diavolo vai a blaterare?! – Si alterò Vector – Gli unici Bariani qui siamo noi cinque, non ce ne sono mai stati…! –
 
Si bloccò ad un passo dalla fine con il fiato morto in gola.
No, era impossibile. Non poteva trattarsi di Lui, non ancora, si rifiutò categoricamente anche solo di immaginarlo…!
 
Eppure il volto di Durbe non tradiva la serietà riflessa dalla fiera postura, quella minuscola speranza segretamente covata e che non lasciava spazio ad alcun tipo di sbaglio a cui Vector potesse solidamente aggrapparsi. Dal profondo baratro nero dove aveva relegato tutti i ricordi inerenti a quel viso odiato, la rabbia emerse lenta e corroborante, intensa e luminosa più di quand’era stata forgiata e aveva trovato in quell’essere un avversario troppo potente perché potesse assoggettarlo ai suoi piani o batterlo senza infimi mezzucci.

- Nash. – Il nome scivolò caldo e rantolante dalle labbra dell’Imperatore come tutte le volte che si era ritrovato faccia a faccia con lui senza riuscire ad avere la meglio. Una sensazione che non avrebbe mai più pensato di provare e di cui era stato ben felice di disfarsi.
- Non ne sono sicuro, ma è molto probabile -, asserì Durbe, incrociando le braccia.
 
In realtà, poche erano le incertezze sul fatto che potesse trattarsi di qualcun altro; lo sguardo assorto, perso fra le frastagliature del pavimento rossastro, la diceva lunga sull’antica devozione che ancora batteva incessante nel suo cuore di cavaliere, ma per Vector quella scoperta rasentava soltanto una minaccia capacissima di mandare all’aria tutti i suoi piani. Solo l’intero Universo era stato testimone d’ogni suo singolo e insano sforzo per spedire il più potente dei Sette Bariani all’Inferno insieme all’altezzosa sorella Merag, di tutti gli inganni orditi per distruggere quei gelidi occhi blu, scuri e più profondi di qualsiasi abisso marino mai esistito.
Mai un giorno lo avevano temuto. Mai un giorno gli avevano riconosciuto la giusta superiorità. E adesso, proprio quando pensava di poter ottenere quanto gli spettava di diritto, quello aveva il coraggio di presentarsi e rovinargli i piani?!? Oh, no, non glielo avrebbe permesso, non questa volta….
 
Quel trono, Barian, il Mondo Astrale…
Non glieli avrebbe fatti sfiorare neppure col pensiero. Erano suoi.
Nash era tornato? Non era un problema. Se ne era disfatto una volta, poteva farlo ancora, forse divertendosi più della volta precedente, stavolta premurandosi di dilaniarne l’anima in così tanti brandelli da renderla incomponibile. Sopportarne la vicinanza era sempre stata una tortura, il suo legame fraterno con Merag ne accresceva tuttora l’iracondia.
 
La complicità che li univa indissolubilmente, gli sguardi fugaci…
Sempre insieme, mai separati, l’uno lo scudo e la spada dell’altra…
Amore. Intenso e inscalfibile. Un’inesauribile fonte di malsana acredine che sempre gli era esplosa in petto con sapore nostalgico, come se anche lui avesse goduto di un simile beneficio; ma allo sconcertante tepore scaturito da tanta familiarità subentrava quasi subito il Dolore, quella lenta e splendida agonia amara dalle radici affondanti in un rancore di cieca natura che ne inaridiva inconsapevolmente l’anima persa. Amplificava il vuoto nascosto sotto la sua pelle cinerea con palpito tremante, quasi intenzionato a ridurlo gradualmente a un guscio vuoto per il continuo svuotarlo e riempirlo febbricitatamene.
 
Erano un avvertimento? Un modo originale del suo subconscio per avvisarlo dell’imminente pericolo? Non erano domande a cui Vector avesse dedicato chissà quale attenzione; la testa adesso gli doleva troppo.
 
Vector…
 
Il suo nome, di nuovo. Pronunciato da una voce morbida e gentile, felice. La stessa udita tante volte e di cui finalmente riuscì a catturarne il timbro.
 
 Va tutto bene, tesoro. Va tutto bene…
 Dormi, adesso. Ci sono qua io a proteggerti.
 
Nessuna fitta a comprimergli il cervello o vampata ad appesantirgli il corpo già prosciugato. Una frescura, un placido contatto fra pelli che gli accarezzò la fronte dolcemente, scostandogli la frangia con dita vellutate. Il dolore fece spazio a cotanta gentilezza con riverente timore, appianandosi senza lottare o interferire quando Vector dischiuse lentamente le palpebre e colse con flebile sgomento quell’alone scuro e ondeggiante che lo aveva ossessionato fino a quell’istante sostare al suo fianco.
Era sempre stato ovunque a lui: alle spalle, nell’eco del vento, astratto e troppo veloce perché riuscisse a cogliere qualcosa di più che un’inutile scia nera. Candido, per come l’impressione di riuscire a scorgere un sorriso in mezzo a tanto buio dissipasse ogni altra ombra presente e lo facesse sentire addirittura protetto. Mai gli si era avvicinato tanto, rivoltosi a lui con parole che ne liquidassero l’aspra spietatezza, ma quando provò a sfiorarla, un’altra fitta alla testa lo colpì duramente e la punta delle sue dita rimase sospesa a mezz’aria a toccare il vuoto.
 
- Ah…E’ così, eh…? – La mano tesa si chiuse in un pugno molle, che gli ricadde in grembo malamente.
- Vector? –
 
Durbe si fece attento, insospettito dall’insolito comportamento del compagno che sembrava essersi perso chissà dove. L’imprevedibilità era una di quelle armi a doppio taglio difficili da controllare, la sottile linea che divideva la vittoria dalla sconfitta dipendeva unicamente da quanto bravi si era a bilanciarne gli effetti. Che Vector ne disponesse in quantità eccessive glielo aveva sempre riconosciuto, ciascuno di loro era unico nel suo genere proprio per l’essere padrone di una prerogativa che ne esprimesse al meglio il carattere. E fu il suo stesso raziocinio, quel riflettere a sangue freddo anche davanti all’evidente pericolo, a suggerirgli di stare in allerta.
 
Da quel che alle sue orecchie suonò con un singhiozzo smorzato, nacque una risata sommessa che echeggiò per tutta la sala con acuto divertimento.
 
- E’ ridicolo -, lo sentì dire sommessamente, gli occhi coperti dal palmo della mano – Davvero ridicolo… - 
- E adesso che ti è preso, si può sapere? -
 
Vector non gli rispose, continuando a ridacchiare col cranio prossimo ad aprirsi in due metà perfette e l’animo incapace di concepire il richiamo del suo stesso senno. Si stava sbriciolando senza che se ne rendesse conto, sprofondando nell’oceanico oblio dove presto anche quell’ultimo istinto di autoconservazione sarebbe stato messo a tacere. Non si accorgeva di essere alla stregua di una bambola rotta ostinata a muoversi con fili non suoi, non lo avrebbe mai realizzato, ma cosa gliene sarebbe importato, in fondo?
 
Lui sarebbe diventato un Dio.
 
Il suo recitare una goffa innocenza, il rancore per Nash, i tradimenti, i dolori perpetrati, quella voce…
Sarebbero svaniti, si ripeteva, cancellati senza che le conseguenze sortissero su di lui un qualche effetto nocivo. La testa poteva martellargli quanto voleva, riempirlo di insensate visioni e stuzzicare quante più volte la sua già precaria pazienza: non era reale, non era vero, quel sentimento opposto alla follia che invece lo travolgeva a ogni nuova ondata e sarebbe passato.
 
Presto o tardi, si sarebbe arreso di sua spontanea volontà, ne era certo, ma non perché stanco di essere ignorato. Semplicemente perché non avrebbe più trovato alcuno straccio di umanità da salvare in quel Vessillo Vuoto che Vector non sapeva di stare diventando.
 
 
 

Note di fine capitolo.
Ed ecco il finale. E’ stata lunga, per motivi personali e indecisioni che mi hanno portato a riscrivere quasi completamente il capitolo perché decisa a farlo unicamente su Vector, con la presenza dell’ombra di Lilium a ossessionarlo (e Durbe nei panni del testimone della sua follia); spero di aver azzeccato un po’ il suo carattere, so poco niente su di lui, ma devo dire di essere soddisfatta del risultato. I malvagi hanno e avranno sempre più fascino dei buoni, a prescindere che siano sexy o degli schizzati manipolatori che fingono di essere dei teneri fessacchiotti. Prima di lasciarvi definitivamente, voglio solo precisare un paio di cosette:
Primo: questa mini-raccolta è una sorta di missing moments che non si lega in alcun modo alla storia di Nefertiti97: il mio è stato un semplice regalo. Ho preso giusto un paio di informazioni scritte nei suoi capitoli, ma i momenti scritti qui sono di mia invenzione .
Secondo: l’ho detto non so quante volte ma lo ripeto, ho sempre chiesto il permesso all’autrice di poter pubblicare questi capitoli in segno di rispetto, che qui ringrazio nuovamente e faccio i complimenti per come sta sviluppando “Il riflesso delle Tenebre” .
Terzo: conosco a grandi linee la storia di Yu-Gi-Oh Zexal e quindi i particolari su come Shark fosse Nash e sia passato dalla parte dei Bariani, qui io l’ho creata in base alla mia immaginazione.
Quarto: spero non ci siano errori, che tutti e tre i capitoli siano stati di vostro sincero gradimento e ringrazio lettori e recensori per aver messo nei preferiti, nelle seguite o nelle ricordate questa storia o anche soltanto per averla letta. Auguro una buona estate a tutti quanti!!!
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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