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Autore: SparklingLetters    17/06/2014    1 recensioni
[Stable Queen]
Regina non ha vita facile, tra il complicato rapporto con la madre e l’isolamento dal resto del mondo. Poi, un giorno, fa amicizia con un ragazzino di nome Daniel…
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cora, Daniel, Henry (Padre), Regina Mills
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note dell’Autrice: A tutti voi che seguite dall’inizio o che vi siete aggiunti solo recentemente – grazie per leggere! Abbiamo raggiunto una svolta più cupa della storia.
TRIGGER WARNING: morte.






Capitolo 12
The Place of No Return

Il giorno seguente, il fiasco del ballo grava pesantemente sul cuore di Regina. Lei si sveglia alle prime luci ma tiene gli occhi saldamente serrati nella speranza di evitare questo nuovo giorno il più a lungo possibile; non è pronta per un altro sfogo dell’ira della mamma. Mentre rotola sul fianco per nascondere il viso dalla luce del sole che sorge, urta il libro che le è caduto dalle mani durante la notte. Sull’equitazione. Senza dubbio la cosa migliore del giorno precedente, ed è tutto grazie a Daniel. Regina lo guarda di traverso, ancora riluttante a svegliarsi completamente ma comunque sorridendo alla vista dell’enorme tomo. Che il principe James si tenga i suoi aghi ingioiellati e i suoi telai da cucito, e gli ospiti tutti i loro abbigliamenti costosamente sfarzosi; Daniel le ha dato qualcosa che è veramente suo, perché lui la conosce, e ci tiene. Cosa importano tutti i doni dispendiosi se sono solo fredde cortesie?
Solo allora lei realizza un’altra cosa riguardo il regalo di Daniel. I libri sono costosi. Forse non per i principi, che dilapidano denaro in tiare lussuose e non sentono mai la mancanza di un soldo, ma per uno stalliere, un libro come quello che lei sta sbirciando è un’impresa stravagante. Lui deve aver risparmiato per secoli. Tutt’a un tratto lei non ha più voglia di ritardare il giorno.
Regina scalcia via le coperte ed esce in fretta dal suo letto caldo. Spalanca la finestra, come si è abituata a fare d’estate. Una folata di vento freddo la colpisce forte in faccia, e lei fa forza sulla finestra per chiuderla di nuovo. Afferra d’impulso un mantello da un gancio e lo getta sul letto così da non dimenticarlo più avanti, e rovista in un cesto alla ricerca di un paio di calze e di un abito caldo.
Daniel sarà già alzato, riflette mentre esce furtivamente dalla porta sul retro. I domestici sono già impegnati, certo, ma i suoi genitori sono sicuramente profondamente addormentati. Lei va dritta alle stalle.
«Daniel?» chiama dalla porta. «Edric?» Non c’è risposta all’infuori del nitrito di una coppia di cavalli. Lei riconosce il proprio in un battito di cuore. «Buon giorno, Ronzinante» dice e corre avanti per dargli un abbraccio affettuoso. Guardandosi attorno, nota un’altra cosa strana – non solo Daniel non è lì ma tutto il lavoro del mattino sembra essere già stato fatto. «Persino Daniel non si sveglia così presto» si rivolge a Ronzinante. «Mi chiedo quando fosse qui, e perché la fretta?» Ronzinante la guarda seriamente e strofina il muso contro le sue mani. «Non importa». Lei gli sorride. «Lo scoprirò per conto mio».
La casetta è ad una distanza abbastanza breve da essere attraversata rapidamente. Il sole è appena sbucato dall’orizzonte quando lei bussa alla porta. Aspetta una risposta ma non ne arriva nessuna, così spinge la porta cautamente, chiedendosi se questa volta può aprirla senza che cigoli. Salta fuori che può, e lei si congratula con se stessa per la propria impresa. La stanza sembra vuota. Il letto enorme che una volta è stato sistemato temporaneamente lì nel corso della malattia di Edric è stato ovviamente fatto tornare nell’altra stanza, e al suo posto c’è un tavolo grossolanamente inciso e tre sedie.
«Ehi?» sussurra lei istintivamente.
«Regina». La voce, poco più di un gracidio, viene da un angolo accanto alla finestra. La sorprende per una frazione di secondo. È lo stesso angolo in cui lei e Daniel sono stati seduti in una notte cruciale, dando medicine a suo padre e parlandosi l’un l’altra dei propri genitori. Una figura scura è seduta su una sedia vicino alla finestra, intenta a fissare in lontananza.
«Daniel!» Lui non si muove, non gira nemmeno la testa per guardarla. «Non mi hai vista arrivare?»
«Sì… sì, ti ho vista». La risposta arriva dopo un po’ e apparentemente da una grande e spaventosa profondità.
Allora perché non ha risposto quando lei ha bussato? Non sembra neanche volerla vedere. Quella fredda accoglienza taglia profondamente. «Volevo ringraziarti per il libro» dice comunque lei alla schiena di Daniel. «È senza dubbio la cosa migliore di ieri. Daniel, ho avuto una giornata orribile, non puoi neanche immaginare che scocciatura è stata questo ballo… Perché non dici niente?» Non c’è proprio risposta; è come se Daniel non avesse neanche sentito. La faccia di Regina brucia. «Vuoi che me ne vada?»
«No. Non andare. Per favore».
Finalmente Daniel si gira. Un raggio di luce cade proprio sul suo viso, tracciando i suoi lineamenti affilati e chiari; gli occhi vuoti, le labbra morsicate, le guance incavate. C’è una floscezza nelle sue spalle che Regina non ha mai visto, e i suoi capelli sono spettinati. Un brivido corre lungo la spina dorsale di Regina. Lei si precipita su Daniel, lo afferra per le spalle, e lo guarda dritto in faccia.
«Daniel, cosa c’è che non va? Cos’è successo? Sei malato?»
Le labbra di Daniel si piegano in una smorfia contorta, poiché niente è mai stato più diverso da un sorriso. «No, Regina, non si tratta di me» dice lui quietamente, e finalmente i suoi occhi recuperano un po’ di concentrazione mentre ricambia seriamente il suo sguardo. «Si tratta di mio padre».
Per un po’, Regina rimane senza parole. Vuole obiettare, vuole dirgli che è solo un’altra ricaduta come quelle di prima, che lei prenderà più zafferano o qualsiasi altra cosa di cui Edric possa aver bisogno per ristabilirsi velocemente. Ma proprio allora, guardando dritto in quegli occhi, sa che niente di questo ha più importanza.
«È…» inizia con voce tremula e lascia la domanda ad aleggiare nell’aria.
«Non ancora». Lui scuote la testa. «Ma… potrebbe succedere da un momento all’altro».
«Daniel…» Lei esala un respiro. I suoi occhi pizzicano molto. Sii forte per lui adesso, le dice una voce interiore, nel modo in cui lui è sempre stato forte per te. Lei caccia indietro le lacrime e inghiottisce l’amarezza che le si sta raccogliendo in gola.
«Il dottore… è dentro con lui – per togliere il peggio del dolore. Mi lascerà parlare di nuovo con lui più tardi se il papà… se se la sente». Lui la fissa negli occhi come se stesse cercando una risposta a una qualche domanda misteriosa conosciuta soltanto – o forse nemmeno – da lui. I suoi occhi sono asciutti; lei può vedere che sta cercando di essere forte. Forse non dovrebbe.
«Io rimango qui» gli dice, senza mai rompere il contatto visivo, come se stesse parlando ad un bambino piccolo. «Starò qui tutto il tempo, va bene?»
Daniel appoggia le mani su quelle di lei mentre ancora giacciono sulle sue spalle, e le stringe leggermente.
«Va bene» mormora. Per la sorpresa di lei, si alza e prende una sedia per lei, sistemandola direttamente di fianco alla sua accanto alla finestra. Sembra un po’ più calmo quando torna a sedersi vicino a lei.
«Mi dispiace per il ballo» dice dopo un momento di silenzio. Regina si sente incredibilmente sciocca.
«Non è importante» dice miseramente. «Non avrei dovuto dire niente, sono stata stupida ad essermi lamentata di uno sciocco ballo quando tu…»
«Non lo sapevi» la interrompe lui, «e non sei stupida. Inoltre, penso… preferirei comunque parlare di qualcos’altro invece che di papà per un momento».
Quella sembra una buona idea. Eppure lei non può semplicemente spingersi a preoccuparsi di qualcosa di blasé come un ballo in un momento come questo. Fortunatamente, non deve cercare a lungo un argomento più adeguato.
«Non del ballo» gli dice. «Ma parliamo del libro. Ho solo guardato la copertina» ammette, «ma sembra proprio meraviglioso. Proprio il genere di regalo per me. Quindi… grazie». Sorride cautamente – un sorriso sembra inappropriato nel presente contesto eppure necessario in relazione al libro,
Sorprendentemente, Daniel sorride di rimando – solo un sorriso piccolo, certo, ma comunque un vero sorriso. «Sapevo che lo avresti amato. Aspetta di iniziare a leggerlo veramente – le immagini sono bellissime, e chiunque lo abbia scritto era un maestro nel suo mestiere. Vedrai».
Lei annuisce, e una debole eco di felicità volteggia nel suo stomaco a dispetto della tetra situazione. Eppure – osa chiederglielo, o lui lo troverà insultante?
«Daniel, è il regalo più meraviglioso in assoluto, ma voglio che tu capisca… Non ha importanza quello che mi dai, lo apprezzerò sempre. Non deve essere nulla di grosso». Lo guarda nervosamente in attesa della sua reazione.
Il suo viso si oscura un po’ e all’inizio lui non dice nulla. Poi, per il sollievo di Regina, il cipiglio si solleva dalla sua fronte, anche se la sua replica rimane solenne. «So che sei benintenzionata. Ma non preoccuparti per me; mi prenderò cura di me stesso».
Lei lo scruta ansiosamente. Daniel continua con maggior urgenza: «Tu sei mia amica e te lo meriti. Tutto quel che voglio sapere è che ti porta gioia».
Il cuore di lei manca un battito alle sue parole. Nessuno mi ha mai detto niente di simile finora. Come in replica al pensiero inespresso, Daniel le prende la mano e la stringe. Lei combatte di nuovo le lacrime, e alla fine riesce a dire: «È così. Sarà così. Io… ti ringrazio».
Per un po’ questo è tutto ciò che deve essere detto.
È Daniel che alla fine spezza di nuovo il silenzio: «Andremo presto a cavalcare, non è vero?» La tristezza è tornata ad insinuarsi nella sua voce.
«Certo» concorda lei, chiedendosi perché lui debba anche solo porre una simile domanda, e decidendo che è probabilmente per spingere i pensieri più cupi fuori dalla sua mente. Così lei si sforza di continuare la conversazione, o almeno l’illusione di essa. «Ronzinante ti saluta. L’ho visto alle stalle prima di venire».
Daniel è proprio sul punto di parlare quando un rumore forte e sordo lo interruppe dalla stanza vicina – come se qualcosa fosse caduto sul pavimento. Gli occhi di entrambi schizzano automaticamente alla porta ma essa rimane chiusa. Regina guarda Daniel furtivamente. Lui fissa immobile la porta con un’espressione vacante sul volto – la stessa che indossava quando lei è arrivata. Lei non pensa che ci saranno altre conversazioni casuali, non ce ne sarà nemmeno l’illusione.
«Daniel?» Almeno adesso la sua voce viene registrata e lui si gira per guardarla. Scuote la testa miseramente e mima una parola silenziosa che lei legge come “scusa”. «Va bene. Starò semplicemente seduta con te, d’accordo?»

Il tempo procede lentamente con insopportabile immobilità. Daniel fissa fuori dalla finestra senza batter ciglio per il resto della mattina. Non potrebbe dire cosa c’è all’esterno nemmeno se la sua vita dipendesse da questo. Regina siede vicino a lui proprio come ha promesso, tenendolo per mano. Nessuno di loro due cerca di forzare una conversazione. Dopo quel primo rumore, niente sembra muoversi nella stanza accanto a loro.
Regina passa dallo sbirciare fuori dalla finestra al contemplare il contenuto della stanza. Per lo più, però, continua a lanciare occhiate al viso di Daniel, cercando un’emozione, un mutamento d’espressione, o persino un cambiamento di posizione. Ogni volta che guarda, la stanza sembra esattamente la stessa di prima: gli scaffali con la scorta di cibo ed erbe e utensili di cucina, il tavolo grezzo e le sedie, il caminetto con il fuoco quasi spento. Ogni volta che guarda, il viso di Daniel sembra lo stesso di prima: vacante, distante, e torturato. Le sembra che il tempo debba essersi congelato nella casetta. Solo fuori scorre e porta cambiamento: il cielo è diventato scuro, per esempio, e l’erba è costantemente arruffata dal vento. Regina rabbrividisce. Ci vuole un po’ prima che si renda conto che è una risposta al caminetto che si raffredda più che la memoria del vento mattutino che si alza. Si chiede se anche Daniel abbia freddo, e se sarebbe imbarazzante alzarsi per fare un fuoco appropriato. In qualche modo sembra triviale, e lei rimane seduta, lievemente vergognosa.
Il padre di Daniel sta morendo, pensa. Edric sta morendo. Rigira timorosamente quell’idea ancora e ancora, esaminandola da ogni lato, e lentamente la lascia penetrare. Sembra così assurdo, così incredibile. Eppure incombe sopra di loro proprio ora, e Daniel dice che è una cosa certa, e non solo lei gli crede ma ne sente anche la verità nello stomaco. Era così gentile con me, sempre, e mi ha aiutata quando volevo cavalcare, e mi ha aiutata a guarire dopo la mia malattia. Vorrei poterlo aiutare, ora. Vorrei poter aiutare Daniel. Cosa farà quando suo padre non ci sarà più? Nonostante tutti i loro difetti e i loro problemi, Regina non riesce a immaginare cosa farebbe senza i suoi genitori – entrambi. E Daniel ha già perso sua madre e la sua sorellina, gli è rimasto solo suo padre. Gli occhi di lei si riempiono di lacrime al pensiero. Non devo, si dice. Non devo piangere, devo essere qui per Daniel. Non piangerò. E di sicuro non ho freddo.
«Regina…?» Lei trasale lievemente, tanto inaspettato arriva il sussurro di lui.
«Sì?»
«Faresti qualcosa per me?» Lui si ferma bruscamente.
«Sì, naturalmente, è per questo che sono qui. Dimmi solo cosa devo fare».
«No, dimenticalo. Non posso, non è giusto».
«Cosa non è giusto? Daniel, per favore, dimmelo. Cosa vorresti che io facessi?»
«È solo… i cavalli. Sono a posto per quanto riguarda il cibo ma l’acqua deve essere cambiata, io ho…»
«Lo farò io» lo interrompe lei.
«È il mio lavoro» dice lui miseramente.
«Lo farò io» ripete semplicemente lei mentre indossa il proprio mantello.
«È pesante, non dovresti…»
Regina pesta un piede in modo impaziente. «Daniel, smettila adesso. Ho detto che l’avrei fatto, e lo farò. Tu rimani qui, tornerò subito».
«Ho solo pensato, perché… be’, non voglio lasciarlo qui nel caso che lui… nel caso succeda qualcosa mentre sono via».
«Lo so» risponde lei piano. «Va bene, davvero, posso occuparmene. Tornerò presto».

Corre lungo tutta la strada per le stalle per essere più veloce possibile. Per la sua esasperazione, il secchio non è accanto al pozzo. Lei si precipita dentro per cercarlo, o trovarne un altro da usare, e per la sua sorpresa, va letteralmente a sbattere contro il papà.
«Papà! Cosa ci fai qui?»
«Io? Cosa ci fai tu qui? Non dovresti essere a casa del tuo amico?» Sconcertata, Regina alza lo sguardo su di lui in modo inquisitorio. C’è un brillio divertito negli occhi del papà, ma per il resto il suo volto è desolato.
«Quindi sai di Edric?»
«Certo, tesoro. Ho mandato a chiamare il dottore questa notte. Mi ha detto che non c’era più niente che si potesse fare. Il giovane Daniel era già qui al lavoro stamattina prima che potessi sollevarlo dai suoi incarichi. Almeno il cambio dell’acqua è un compito di cui ho pensato di potermi occupare da solo».
«Lo dirò a Daniel» dice Regina con gratitudine e gli dà un rapido abbraccio. Aggrotta la fronte quando lo lascia. «Ma per quanto riguarda la mamma?»
Il papà sospira. «Non lo sa. Fin quando tutto sembra curato all’apparenza non ha ragione di interessarsene o, effettivamente, di venire e guardare. Daniel dovrà comunque riprendersi fin troppo velocemente perché non sarò in grado di nascondere la sua assenza per più di un giorno o due al massimo».
È tremendamente poco, protesta interiormente lei. Ma il papà ha già fatto più di quanto ci si sarebbe potuto aspettare da lui. La gentilezza è nella sua natura, lei lo sa, ma così è la paura della mamma. Lui dovrà coprire anche lei come Daniel una volta che la mamma avrà notato la sua assenza, cosa che deve già esser successa.
Lei ricorda di avere un posto dove essere. «Ora vado. Daniel ha bisogno di me. Grazie, papà».

Quando Regina spalanca in fretta la porta della casetta, tutto sembra uguale a prima che lei se ne andasse. Solo ad una seconda occhiata lei nota le fiamme che scoppiettano allegramente nel caminetto. Dunque Daniel lo ha notato, e si è preso il disturbo di rimediare. È un buon segno, giusto? Ansimando leggermente, lei chiude la porta dietro di sé.
«Grazie, Regina» mormora Daniel dal suo posto vicino alla finestra.
«È tutto a posto» replica lei mentre si tira via il mantello e lo lancia sullo schienale della sedia. «Mio padre era già lì, ha detto che hai il giorno libero, non devi preoccuparti dei cavalli».
«È gentile da parte sua. E tua. Lo apprezzo».
«Quindi… non c’è stato niente di nuovo, vero?» domanda lei cautamente, sedendosi accanto a lui.
«Niente di niente».
Proprio mentre lei cerca la mano di Daniel, la porta dell’altra stanza si apre. Regina salta in piedi, e Daniel si svincola dalla sedia così bruscamente da farla cadere con fracasso.
Il dottore sembra familiare, e Regina realizza che è lo stesso che si è preso cura di lei tanto tempo fa quand’era malata. Sembra persino più vecchio e più avvizzito di allora, i suoi capelli più lunghi ma più radi, e il suo viso una ruga su ruga. Le sue mani sono sorprendentemente ferma però, nota lei – la candela che regge brilla di un arancione fermo, brillante. «Ah, signorina Mills», lui inclina curiosamente la testa, quindi annuisce lentamente. «Molto bene». Si gira verso Daniel. Entrambi pendono dalle sue labbra, pieni di ansia. «Daniel. Sai che oggi porto solo cattive notizie. Il momento è arrivato. L’effetto del papavero sta svanendo, e tuo padre si sta svegliando. Adesso puoi parlare con lui».
Daniel si lecca le labbra e annuisce, ma le sue gambe rifiutano di muoversi. Fa per parlare, ma le parole lo abbandonano numerose volte. Alla fine ottiene un rauco: «È così?»
Il dottore annuisce. «Sì. È così».
Regina allunga la mano per la spalla di Daniel ma dura poco; Daniel è finalmente riuscito a far sì che le sue gambe muovano il primo passo verso la stanza, e il secondo dopo questo, e non si ferma né esita mai prima di scomparire oltre la porta. Il dottore la chiude quietamente e si muove verso il tavolo. Mette giù la candela e prende una sedia con difficoltà – la sua altra mano è occupata a stringere un bastone per supportarlo.
«Perché non ti unisci a me, signorina Mills. Potrebbe essere una lunga attesa, o una molto breve – ma ahimè, sembrerà interminabile in entrambi i casi».
Solo allora lei realizza di avere ancora il braccio teso e la bocca aperta. Lo abbassa con un sospiro pesante. Le sue gambe sembrano traballanti lungo la strada verso il tavolo, e lei si lascia cadere sulla sedia come un sacco di patate.
«È bello vedere che siete stata bene, signorina Mills, anche se l’occasione è ovviamente la più sfortunata».
Regina annuisce, ma le parole sembrano averle a stento raggiunto il cervello. Per qualche ragione tutto sembra indistinto, come se il mondo fosse racchiuso in una nuvola scura e pesante di una catastrofe materializzata. Lei fissa gli occhi sul vecchio di fronte a lei e sussurra: «Lui… lui sta davvero per morire?»
L’uomo la indaga curiosamente prima di replicare gentilmente ma con franchezza. «Sì, bambina».
La sua rassegnazione la costerna ancor più delle sue parole, e la riempie di un genere di rabbia: «Non c’è niente che potete fare? Proprio niente? Com’è possibile?» I suoi occhi concludono ciò che le sue parole non hanno espresso: un’accusa silenziosa, una protesta contro l’inevitabile.
«Possiamo fare solo così tanto. Questa è la maledizione della nostra professione. Alcuni si possono guarire, sì, e questa è una meraviglia oltre ogni meraviglia… Eppure aver visto tanti morire…»
La mitezza della sua risposta la sorprende. Lo guarda attentamente, e non vede più un saggio, ma un uomo ordinario, indebolito dall’età e dal peso della sua professione. La sua rabbia evapora, e l’empatia prende il suo posto, e poi un’improvvisa ondata di paura.
«La morte è un mostro» sussurra, «un mostro che gioisce nel lasciar soffrire le persone quando i loro amati svaniscono lentamente, quando forse sarebbe più gentile prenderli in un colpo senza avvertimento. È l’unico mostro che dovremmo temere, peggiore di tutti i draghi del mondo».
Il dottore sorride mestamente. «È sia vero che falso. La morte è una dea a due facce, che offre dolore con una mano e sollievo con l’altra».
Regina scuote la testa vigorosamente. Non ha senso, semplicemente. Si asciuga il viso con una manica – quando è iniziato il fiume di lacrime?
«Piangi, bambina» dice l’uomo con una voce asciutta ed esausta, «per i morti. Ma poi ricorda i vivi».

Il tempo passa in silenzio. Né il dottore né Regina dicono una parola. Il giorno si è trasformato in notte attorno a loro, senza che l’abbiano notato. Un gufo chiurla. La porta si apre. Daniel esce vacillando, pallido come un fantasma. Sia Regina che il dottore lo fissano intensamente.
«Se n’è… andato».
Regina scoppia di nuovo in lacrime. Si alza e corre verso Daniel. Gli occhi di lui non sono a fuoco e lui cammina come se fosse in un sogno. Piangendo quietamente, lei mette un braccio attorno alle sue spalle e lo guida gentilmente ma risolutamente verso la sedia che ha appena lasciato libera. Per allora il dottore si è alzato in piedi, anche se con molta più difficoltà. Dà una pacca a Daniel sulla spalla.
«Me ne occuperò io da qui. Piangilo, ragazzo». Rivolge un ultimo sguardo a Regina e si trascina oltre la porta.
Sono di nuovo soli.
Daniel siede al tavolo proprio come è atterrato, come se la sua anima se ne fosse andata col defunto. Sentendosi perfettamente inutile, Regina si siede accanto a lui e prende le sue mani nelle proprie. Lui emette un piccolo sospiro al tocco ma rimane distante. Lei cerca febbrilmente delle parole di incoraggiamento, ma le poche che le vengono in mente sembrano vuote e prive di significato ancor prima che lei le esprima.
«Daniel…» sussurra. Niente di più. Continua a strofinare le sue mani nelle proprie, come se potesse trasmettere un po’ di vita nel suo essere esamine. Il vuoto nei suoi occhi la spaventa.
«Daniel» implora.
Non c’è assolutamente alcuna reazione. Lui non sembra nemmeno batter ciglio. La gola di Regina si stringe alla vista di lui – così completamente perso, così desolato. È ancora lui?
«Daniel, ti prego!» grida e lo scuote.
Finalmente, lui la guarda. Anche se i suoi occhi gridano di dolore, lei sospira di sollievo – lui è ancora lì, c’è della vita dietro tutto quel dolore e quella tristezza. Lui apre la bocca… poi la richiude, scuotendo la testa.
«Non puoi…» dice lei. «Lo capisco. Sarò qui quando ci riuscirai. Solo, per favore… non tornare di nuovo in quel posto».
Per un momento lui sembra sorpreso. Un lampo di riconoscimento appare momentaneamente sul suo viso, e lui le rivolge il più piccolo dei cenni del capo. Mentre i suoi occhi seguono il movimento, si fermano sulle loro mani, entrambe le sue strette in quelle di lei, e prima che uno di loro sappia come, si ritrovano in un saldo abbraccio, con le teste che poggiano sulla spalla dell’altro.
Un bel po’ di tempo più tardi, la mezzanotte nera li trova proprio così, con Regina che disegna motivi confortanti sulla schiena di Daniel con la propria mano, e lui che respira persino in modo più calmo il lieve aroma dei suoi capelli.
«Se n’è andato» sussurra nella spalla di lei. «Scomparso, e non scomparso. Sarà ancora con me tutti i giorni. I cavalli erano la sua vita, ed io. Be’, sentirò la sua presenza ogni giorno». La sua voce è rauca ma di nuovo piana.
Regina tira su col naso ed annuisce. «La sentirai. E anch’io lo ricorderò. Mi ha dato la mia prima lezione di equitazione, e mi ha insegnato delle anime dei cavalli, e come le nostre possano connettersi con loro; come potrei dimenticarmene? Gli somigli molto. Era orgoglioso di te, ne sono sicura».
Lui si ritrae da lei e la guarda negli occhi, e… sorride.












NdT:
Se necessitate coccole e/o fazzoletti, sono pronta a fornirveli.
Incredibile ma vero, sono riuscita a tradurre questo capitolo in tempo… Vedremo se riuscirò ad essere puntuale anche la prossima settimana (ne dubito molto, però, visti gli esami ODDIO CHE ANSIA).
A martedì prossimo (se tutto va bene), bellissimi!
  
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