Serie TV > Grey's Anatomy
Segui la storia  |       
Autore: Herm735    17/06/2014    10 recensioni
Raccolta di One-Shot per provare a dimostrare che, in qualsiasi modo, in qualsiasi mondo, Callie e Arizona si sarebbero trovate. L'ambientazione cambia di capitolo in capitolo, in epoche diverse, luoghi diversi, con una sola costante: il loro amore. Almeno, è così che mi piace pensarla...
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
A chi ancora segue questa raccolta: vi ringrazio per la pazienza e spero di non deludervi. Un abbraccio.

Avvertimenti: AU; leggermente OOC



La nostra prima nemesi


Entrai a scuola, anche quella mattina accompagnata dalle mie due migliori amiche, Addison Montgomery e Teddy Altman.
Eravamo le ragazze più popolari del liceo, tutti ci rispettavano e le cose andavano alla grande per tutte noi. Teddy era fidanzata con Mark Sloan, il capitano della squadra di football, mentre Addison era fidanzata con Alex Karev, il capitano della squadra di basket. Ed io, beh, per me solo il meglio.
“Buongiorno, come stai?”
“Bene” risposi distrattamente, aprendo l'armadietto. “Ti spiace reggere un attimo la mia borsa?” gli domandai.
“Amore, sai che farei qualsiasi cosa per te” rispose con un sorriso affascinante.
Due sospiri sognanti arrivarono dalle due ragazze alle nostre spalle. Io mi sporsi, baciandolo sulle labbra.
“Sei quasi troppo perfetto per essere vero, Derek.”
“Tu sei troppo perfetta per essere vera, infatti ho sempre paura di svegliarmi da un momento all'altro.”
Mi sorrise, io ricambiai chiudendo l'armadietto dopo aver preso i libri che mi servivano e cercando di riprendere la mia borsa.
“Ti accompagno in classe” si offrì, insistendo per portare sia la borsa che i libri al posto mio.
Derek Shepherd, un anno più grande di noi e capitano della squadra di baseball della scuola, presidente del club di dibattito e eletto per tre anni consecutivi mister capelli perfetti e sorriso smagliante alle assemblee scolastiche.
Il ragazzo d'oro della scuola, nonché del paese in cui abitavamo, a diciotto anni era già il partito perfetto che tutte le madri avrebbero voluto far sposare alle loro figlie.
Derek Shepherd era la perfezione.
Entrammo in aula, vedendo Alex e Mark tirarsi un libro da una parte all'altra dell'aula, mentre una delle ragazze tentava di riprenderselo. Era una nullità, la prendevano sempre in giro. Io, personalmente, non la sopportavo. Quei suoi modi di fare da saputella mi davano sui nervi. Il suo nome era Mandy Bailey o qualcosa del genere. Era insopportabile. Ma neanche lontanamente quanto lo era la sua migliore amica. Entrò in classe subito dopo di noi, passandoci vicino.
“Perdente” Addison fece finta di tossire, mormorando la parola quando lei ci passò accanto e facendo scoppiare tutti in una fragorosa risata.
La campanella suonò in quel momento.
“Devo andare in classe” mi disse Derek. “Ci vediamo dopo le lezioni.”
“Certo” gli sorrisi, lasciando che mi baciasse sulla guancia.
“Ciao, Arizona.”
Lo guardai andar via e poi mi voltai di nuovo verso i due ragazzi che si stavano lanciando il libro da una parte all'altra.
“Ehi, è suonata la campanella” li avvertii. “Andate in classe, o vi beccherete un altro richiamo” gli ricordai, vedendoli uscire dalla classe dopo aver gettato quel libro dentro un secchio della spazzatura. Anche loro erano un anno più grandi di noi, ma per niente maturi, a differenza di Derek.
Guardai in direzione della ragazza che Addison aveva preso in giro.
Callie Torres era un anno più piccola di noi e frequentava già le nostre classi, era nel club degli scacchi della scuola, campionessa dello Stato della Florida per due anni consecutivi, faceva parte del glee club della scuola, dove di solito rimaneva nell'ombra, ed organizzava lo spettacolo teatrale per cui aiutava a cucire i costumi e basta. Inoltre, aveva dei seri problemi di autostima.
Calliope Torres era l'antipodo di Derek Shepherd.
“Perdente non ci si avvicina nemmeno.”

Era appena finito l'intervallo quando entrai in bagno. Uscì da una delle cabine proprio mentre io entravo dalla porta principale. Ci fermammo e ci scambiammo uno sguardo.
“Togliti di mezzo.”
Lei scrollò le spalle con una risata amara.
“Non mi pare che ti stia bloccando la strada. Ma se proprio devi fumare, almeno fallo nel bagno vicino alla finestra.”
Si avvicinò ad uno dei lavandini.
“Adesso hai anche il coraggio di rispondermi?” chiesi, tirando fuori una sigaretta ed accendendomela proprio lì davanti ai suoi occhi.
“Tu non sei nessuno” mi disse, voltandosi nella mia direzione.
“Oh, per favore. Sei tu la nullità. La tua vita è inutile. Sai, ci sono dei giorni che penso che essere come te sarebbe più facile. Almeno non dovrei impegnarmi per mantenere una vita sociale.”
“Non hai idea di quanto sia difficile essere me” rispose con tono duro. “Magari la mia vita fosse come la tua. La cosa più difficile che hai mai dovuto fare è stata probabilmente riempire una domanda di ammissione ad un corso estivo di preparazione ad un college che comunque tuo padre pagherà per ammetterti.”
“Qual'è stata la cosa più difficile che hai fatto tu? Risolvere un esercizio di matematica particolarmente complicato? Tu non hai idea di quanto sia difficile la vita reale.”
“La cosa più difficile che ho dovuto fare” ripeté con tono duro. “Vaffanculo, Arizona.”
“Callie...”
“No, tu puoi vivere la tua bella vita da principessina con le tue amiche e i loro ragazzi senza cervello. Ma non dirmi che la mia vita è più facile della tua, perché tutto quello che avevo me lo hai portato via.”
“Beh, è arrivata la Santa della situazione, non è vero?” domandai, sentendo a quel punto la rabbia iniziare a salire. Perché? Beh, perché la rabbia era più semplice del dolore. “Sono io che ho dovuto tenere il tuo segreto per tutto questo tempo, spera solo che un giorno non mi venga voglia di cantare, o potrei iniziare a dire cose interessanti.”
“Beh” ritorse con una risata amara. “Anche io.”
Uscì dal bagno, sbattendosi la porta alle spalle.

Quando quella sera arrivai a casa lanciai un'occhiata verso destra. Era in giardino, le cuffie alle orecchie. La vedevo spesso mettersi lì con le cuffie, forse perché non sentire era più facile. Sapevo che sua madre e suo padre erano soliti urlare parecchio, quindi uscire e staccare da tutto doveva essere più facile.
Certo, io non lo avrei fatto, ma lei non aveva mai avuto la forza di fare un bel niente.
Era una persona debole e forse la cosa più difficile che avesse mai dovuto affrontare non era stata un esercizio di matematica, ma non aveva una vita difficile. Era solo una persona debole.
Entrai in casa, salendo in camera mia. Dopo cena, mi soffermai ad osservare la luce proveniente dalla finestra opposta alla mia. Camera sua.
“Se avesse la mia vita anche solo per un secondo, capirebbe” mormorai, alzando gli occhi al cielo della stupidità di quella tizia. “Come può pensare che la sua vita sia peggiore della mia? Infondo non è mica lei che ha avuto l'incidente. Capisco che i suoi genitori che urlano possano darle fastidio, ma se avesse la mia vita per un giorno, si renderebbe conto che è assurdo dire che la sua è più difficile. Che idiota” mormorai a me stessa ancora una volta, mentre spegnevo la luce e mi infilavo sotto le coperte.
Quello che non sapevo era che in quella stanza di rimpetto alla mia, lei stava pensando la stessa identica cosa nello stesso identico momento.

Sentii l'allarme suonare alla mia sinistra. Perché diamine era a sinistra? Di solito lo tenevo sul comodino a destra del letto. Un momento. Io non avevo un comodino a sinistra.
Aprii gli occhi, guardandomi intorno.
Ok, quindi la sera prima ero ubriaca, ovviamente, perché ovunque avessi dormito, non era camera mia.
Eppure, quel posto aveva una strana familiarità.
Casa di Derek? Addison? Teddy?
Mi guardai attorno per diversi istanti, con aria spaesata. Poi riconobbi il luogo in cui mi trovavo e scattai in piedi.
“Ew” guardai quello che stavo indossando. Biancheria ed una maglietta sbracciata. “Non può davvero essere successo.”
Guardai il letto sfatto e non vidi i miei vestiti da nessuna parte.
“Quanto dovevo essere ubriaca per essere andata a letto con Callie Torres?” mi chiesi, tornando a guardare ciò che stavo indossando.
Fu allora che me ne resi conto.
“Un momento, ma...” dagli slip bianchi che stavo indossando partivano due lunghe gambe slanciate ed ambrate, abbronzate al punto giusto per essere del colore perfetto.
C'era solo un problema, quindi. Io non mi abbronzavo. Mai.
Guardai i miei fianchi femminili, le curve di un corpo che decisamente non era il mio. A meno che, ovviamente, il mio seno non fosse cresciuto di una taglia in una sola notte.
Corsi davanti allo specchio di quella camera e quello che vidi mi costrinse a lanciare un grido che superava la barriera del suono.
Lunghi capelli neri scendevano sulle mie spalle, due occhi marroni fissavano dentro i miei dal riflesso dello specchio, da un corpo che decisamente non era il mio.
“Non è possibile” mormorai. “Forse sono ancora ubriaca. Che diamine ho fatto ieri sera?”
Ci pensai. Ero tornata a casa da scuola, avevo cenato e poi ero andata a letto, tutto qui. Non avevo bevuto, né fumato erba, né assunto qualcosa che potesse spingermi e guardare dentro uno specchio e vedermi fissare da Calliope Torres.
Afferrai dei vestiti a caso dall'armadio, gli unici decenti che possedeva, indossando l'unico paio di scarpe a portata di mano e percorsi le scale in fretta e furia.
Sentii la signora Torres urlarmi dietro di fare colazione prima di andare via, ma non le detti ascolto, marciando verso la casa accanto a quella. A metà strada, la vidi venirmi incontro.
Cioè, mi vidi venirmi incontro.
“Non è assolutamente possibile che questo stia succedendo a me” mormorai, squadrandola. “Non è possibile” ripetei a voce più alta.
“Restituiscimi immediatamente indietro il mio corpo” mi urlò contro. “Non so che hai fatto e non mi interessa, rimetti subito a posto le cose!”
“Pensi che sia colpa mia?” le chiesi, sgranando gli occhi. “Certo, perché è ovvio che io vorrei trovarmi dentro questo...” guardai in basso, squadrandomi. “Sai una cosa? Potrebbe non essermi andata eccessivamente male” alzai lo sguardo, sorridendo.
Lei mi stava fulminando con lo sguardo.
“Cosa?” scrollai le spalle. “Hai delle belle tette.”
Lei mi colpì su una spalla.
“Questo è proprio il motivo per cui le rivoglio indietro, tu che dici?” domandò come se fossi stupida, alzando gli occhi al cielo.
“Ok, beh, se sapessi come fare a far tornare le cose alla normalità, lo farei. Tu che dici?” presi in giro il suo tono di voce.
“Senti, dobbiamo mantenere la calma. Non dare di matto.”
“Oh, certo, giusto. In fondo, perché dovremmo dare di matto? Sei solo dentro il mio corpo” le feci notare.
“Se diciamo a qualcuno quello che è successo ci sbattono dentro un manicomio e gettano via la chiave, quindi sì. Io direi che dobbiamo elaborare un piano temporaneo finché non riusciamo a far tornare le cose alla normalità” ritorse. “A meno che tu non preferisca andartene in prigione, ma io non ci vengo, quindi scordati che sostenga la tua versione, se decidi di parlarne a qualcuno.”
Io sospirai, allargando le braccia e lasciandole ricadere lungo i miei fianchi.
“E va bene. Parliamo di questa tua brillante idea mentre andiamo a scuola. Possiamo prendere la mia macchina, per una volta ti darò un passaggio.”
Lei mi rivolse un sorrisetto. “Vuoi dire che io posso prendere la mia macchina e dare un passaggio a te, principessina.”
Mi fece l'occhiolino, prima di tornare dentro casa mia.
“Non posso picchiarla” ricordai a me stessa. “Potrei farmi venire un livido, poi sarei costretta a metterci chili di fondotinta sopra.”

Vederla al volante della mia automobile mi stava facendo saltare i nervi. Nessuno poteva guidare quella macchina tranne me.
“Regola numero uno, dobbiamo fingere al meglio che tutto sia normale” mi fece sapere. “Questo significa che se ti metti ad urlare davanti a tutti quanto sono secchiona, io metto in giro la voce che sei stata a letto con tutta la squadra di football.”
“Come se qualcuno potrebbe credere a te” la sfidai.
“Lo faranno, se quando lo dico ho il tuo aspetto.”
Mi morsi un labbro per non replicare. Scacco matto.
“Va bene. Niente passi falsi. Ma neanche tu fare passi falsi, d'accordo?”
Lei scrollò le spalle. “Farò del mio meglio.”
“Regola numero due, io scelgo i tuoi vestiti a partire da domani” ordinai. “Quella maglietta abbinata a quelle scarpe” le informai “rovineranno la mia reputazione.”
Lei rise di me, scuotendo la testa.
“Perché no. Scegli i miei vestiti, sai quanto mi importa.”
“Regola numero tre, non dire o fare niente che io non farei o direi.”
“Vale anche per te” mi informò, posteggiando davanti scuola. “E, ti prego, mentre sei nel mio corpo, non andare a letto con nessuno.”
“Vale anche per te. Cioè, se vuoi dare una toccatina fai pure” le dissi, indicando il suo corpo. “Ma non andare a letto con nessuno.”
Lei aprì la bocca guardandomi come se fossi impazzita.
“Ok, primo” alzò una mano nella mia direzione, facendo la sua migliore faccia a metà tra il confuso, il disgustato e il perplesso, senza dire una parola. “Secondo, io Derek Shepherd non lo bacio. Che schifo.”
“Non devi baciarlo, infatti. Si chiama tradimento” la informai. “E comunque, è il ragazzo più bello della scuola, che c'è che non va in te?” scherzai.
Lei abbassò lo sguardo, scrollando le spalle.
“Penso che tu sappia cosa c'è che non va in me. Non avresti smesso di parlarmi altrimenti.”
“Callie...”
“Meglio che tu vada. Io vengo tra qualche secondo, meglio che non ci vedano entrare insieme o potrebbe spargersi qualche voce strana, a scuola.”

Stava piangendo contro la mia spalla. Aveva quattordici anni quando era successo.
Come si poteva superare qualcosa del genere?
Come ci si poteva, soprattutto, riuscire alla nostra età?
Non era pronta.
Nessuno lo sarebbe mai stato.
Era entrata in camera mia e mi aveva detto soltanto:
“Mia sorella ha avuto un incidente d'auto.”
Ed io l'avevo tenuta mentre piangeva.
Ero la sua migliore amica, che altro avrei dovuto fare, se non quello?
Eppure, c'era altro.
Avevo paura che se ne stesse accorgendo, perché a volte mi guardava in modo strano, come se sapesse che avevo un segreto.
Non potevo più starle accanto senza dire niente, ma non potevo neanche raccontarle di quel mio tremendo segreto.
Non si poteva.
Una cosa come quella, in un paese piccolo come il nostro, non si poteva dire e basta.
Era una di quelle cose che andavano seppellite dentro il proprio cuore e soffocate, una di quelle cose da sotterrare.
Come una mina inesplosa.
La verità sarebbe rimasta dentro di me, sepolta, nascosta, taciuta.
Ma c'è un problema con le mine.
Prima o poi, anche quelle sepolte bene, tendono a saltare in aria.


“Callie.”
Aprii l'armadietto, per fortuna sapevo quale era il suo, e presi i libri per le classi della giornata. Per fortuna erano le stesse che avevo io.
“Callie, ci sei?”
Mi resi conto solo in quel momento che stava dicendo a me.
Giusto, pensai. Oggi tu sei lei.
“Aria” sorrisi, abbassando lo sguardo per incontrare il suo. “Come stai?”
“Tutto ok” scrollò le spalle. “Come mai non sei venuta con me e papà?”
“Oh, mi dispiace. Mi ha accompagnato una mia amica” inventai su due piedi. “Mi sono dimenticata di avvertirti, scusami.”
“Non fa niente. Mamma mi ha detto che eri già andata via, dopo che sono scesa al piano terra” mi sorrise. “Ci vediamo stasera a casa.”
“D'accordo. E scusami ancora.”
“Dai, non c'è problema” mi sorrise. “L'importante è che tu sia a scuola” scherzò. “Non vorrei che ti perdessi per sbaglio una lezione di storia medioevale.”
Risi della sua battuta, guardandola andare via, spingendo la sedia a rotelle su cui era seduta.
La vita era ingiusta.
Un incidente, in un secondo, cambia tutto il resto della tua vita.
No, la vita di Calliope non era affatto una vita semplice. Forse avevo giudicato troppo in fretta.
“Ehi, senti” mormorò avvicinandomisi. “Devi dire al tuo fidanzato di mollarmi un secondo, ok? Mi segue ovunque” si guardò attorno come se si aspettasse di vederlo sbucare da un momento all'altro dietro di sé.
Ridendo, chiusi l'armadietto e mi voltai verso di lei.
“Che ti aspettavi? Siamo la coppia più popolare del liceo. Se non stessimo sempre insieme, la gente inizierebbe a farsi seriamente due domande a riguardo entro i primi due minuti.”
“Beh, sì, ma io non lo sopporto. Cioè, bello quanto ti pare, ma deve sempre starti appiccicato? Con il braccio attorno alle spalle e l'aria spavalda? Io mi sentirei soffocata.”
“Andiamo, non farla più tragica di quello che è” risi di nuovo, mentre ci avvicinavamo alla nostra prima classe.
“Ok, ma se prova a baciarmi che faccio?”
Alzai gli occhi al cielo, vedendolo avvicinarsi a noi.
“Non ci proverà” mormorai.
“Ma se ci prova?” sussurrò di rimando.
“Non lo farà” ripetei, sospirando. “Ok, sistemo io questa cosa prima che tu faccia capire a tutti che dentro quel corpo favoloso non ci sono io. Andiamo” le dissi, indicandole un'aula che di solito rimaneva vuota. “Fagli cenno di seguirci lì dentro.”
Lei fece come le avevo chiesto, in modo molto meno sottile di come avrei fatto io, ma d'altra parte non è che potevo pretendere più di tanto.
Era pur sempre Callie Torres con cui avevo a che fare.
Quando entrò, un paio di secondi dopo di noi, io mi ero seduta sulla cattedra e lei sulla sedia di un banco della prima fila.
Derek guardò con aria confusa prima me e poi lei.
“Che sta succedendo?” le chiese.
“Arizona mi ha detto la verità” gli dissi, spiazzandolo non poco.
Gli occhi di Callie – cioè i miei – si ingrandirono quasi fino all'inverosimile.
Lui si voltò di nuovo verso di lei, che fu veloce a fingere un'espressione neutra. Si schiarì la voce, fingendo sicurezza.
“Già. L'ho fatto. Le ho detto tutto quanto.”
Lui si voltò di nuovo verso di me.
Vidi Callie, dietro le sue spalle, guardarmi con la fronte corrugata, scuotendo la testa, quasi nel panico.
“Quindi le cose stanno così” continuai, guardando Derek. “Non potete più fare finta di baciarvi davanti a tutti” gli comunicai. “Vi potete tenere per mano e continuare a fare finta di stare insieme, ma niente baci.”
La mascella di Callie – cioè, la mia...quello che era – toccò quasi terra.
Lui mi guardò con aria divertita, poi si voltò.
“Callie Torres?” chiese, ridendo. “Davvero? Ecco perché per due anni non mi hai voluto dire la ragazza per cui avevi una cotta. Avrei dovuto capirlo, però. Le fissavi sempre il sedere quando ci passava accanto in corridoio.”
“Non lo facevo” protestai, incredula che se ne fosse accorto.
Lui si voltò verso di me, la fronte corrugata.
“Voglio dire, lei non lo faceva” mi corressi, distogliendo lo sguardo.
Si voltò ancora una volta verso Callie – cioè me...lasciamo stare – e rise di nuovo.
“Beh, ok. Allora vi lascio, immagino che vorrete un po' di tempo da sole prima delle lezioni” con un'ultima risata, se ne andò, scuotendo la testa.
Appena la porta di fu chiusa, lei scoppiò a ridere.
“Lui era la tua barba?” chiese incredula. “Derek? Derek Shepherd è la tua barba?”
“Che c'è di strano?”
“Che di solito i ragazzi che vengono usati per copertura dalle ragazze popolari e belle come te, glielo lasciando fare perché sono bruttini o poco popolari, oppure, hanno bisogno di una copertura anche loro.”
Si accorse del mio sorrisetto, immagino, perché lo capì all'istante.
“No” mi guardò, incredula. “Sul serio?”
“Jackson Avery. Gli ho sempre detto che, secondo me, sono una coppia molto carina.”
Lei tornò seria, riflettendo su quello che era appena successo.
“Quindi a te piacciono le ragazze” osservò in tono neutro.
Io sospirai, alzandomi dalla cattedra.
“Forse.”
Lei nascose un sorrisetto.
“E mi guardi il sedere quando cammino” osservò. “Quindi mi trovi attraente?”
“Diciamo solo” anche io feci del mio meglio per nascondere un sorriso, indietreggiando verso la porta dell'aula. “Tu potrai non dare una toccatina” feci un gesto in direzione del mio corpo, dentro cui al momento c'era lei. “Ma io quasi sicuramente ci farò un pensierino” conclusi, indicando il suo, dentro cui c'ero io.

Quando entrai in classe, pochi istanti dopo, Teddy mi buttò i libri a terra.
Io la guardai negli occhi, l'aria di sfida, mentre lei mi osservava con aria beffarda.
“Hai tre secondi di tempo per raccogliere i miei libri da terra, prima che racconti all'intera scuola come è andata davvero la tua prima volta, invece della versione in cui Mark Sloan è il ragazzo migliore della storia dell'Universo. Ma, ehi, scommetto che la versione in cui Addison accende candele alla vaniglia in tutta la stanza piacerebbe a molte più persone.”
La vidi fissarmi con un'espressione a metà tra lo stupito e lo spaventato.
“Uno. Due.”
Si abbassò, raccogliendo i miei libri e porgendomeli indietro.
“Ti ringrazio” le dissi, prendendoli ed avvicinandomi al mio posto.
Quando pochi istanti dopo Callie entrò in classe, vidi Teddy avvicinarsi a lei a passo di marcia, chiedendo probabilmente spiegazioni sul perché quella cosa, che sapevo solo io, era arrivata fino alle orecchie di Callie Torres.
“Cosa?” quasi urlò, facendo voltare metà della classe verso di lei.
Risi della sua bassissima discrezione, vedendola guardare nella mia direzione. Si scusò con la bionda, marciando verso di me.
“In piedi” mi disse a denti stretti.
“Sissignora” sorrisi, alzandomi e fronteggiandola.
Senza aggiungere una parola, si voltò, facendosi seguire in corridoio.
“Che fine ha fatto 'comportiamoci come farebbe l'altra'?” chiese, visibilmente poco contenta del mio comportamento.
Scrollai le spalle, sorridendole.
“Devi imparare a farti valere, ti sto dando una mano.”
“Raccontando storie che io non dovrei conoscere?” chiese, incredula. “La tua migliore amica pensa che tu abbia raccontato a mezza scuola del fatto che la sua prima volta è stata con una ragazza, spiegami come quello è successo!”
“Calmati, ok?” mormorai, cercando di farle abbassare la voce. “Nessuno mi ha sentito. Spiegale che ho origliato una conversazione mentre eri al telefono con lei.”
“Vuoi dire che io ho origliato, mentre tu eri al telefono con lei.”
“Quello che è.”
Lei sospirò, rimanendo in silenzio per qualche secondo, fissandomi con aria seria.
“Addison e Teddy?” si decise a chiedere. “Sul serio?”
“Già. Io le chiamo Teddison.”
“Non dirmi che Mark e Alex...”
“No, loro sono solo molto felici di beccarsi la popolarità che viene dal frequentare gente come Teddy ed Addison.”
Sospirò, passandosi una mano sul viso.
“Non so quanti altri segreti posso sopportare, prima che mi esploda il cervello.”
“Preparati” la avvertii. “Perché se devi stare nel mio corpo ancora a lungo” la informai “ce ne saranno molti altri nel prossimo futuro.”
“Forse dovremmo aggiornarci. Ne sono successe di cose in due anni. Se diciamo qualcosa di sbagliato o se non sappiamo qualcosa che dovremmo, sarebbe sospetto.”
“E allora? Nessuno potrebbe mai arrivare ad indovinare quello che ci sta succedendo” le dissi, scrollando le spalle. “Ci vediamo dopo le lezioni. Devi riportarmi a casa.”
“Ok. Ehi, aspetta, la gente ti vedrà con me. Questo sarebbe male per la tua reputazione” mi fece notare.
“Non mi interessa. A casa in autobus non ci torno, poco ma sicuro.”

“Sei stata strana oggi.”
“Cosa?” risposi distrattamente, voltandomi verso la ragazza alla mia destra.
“Sei distratta, non hai preso appunti, non mi stai ascoltando. Che c'è che non va in te?”
Cercai di pensare a come avrebbe risposto Callie ad una domanda del genere. Poi mi venne in mente un modo per eludere la domanda. Infondo, si supponeva che Miranda Bailey fosse la mia migliore – nonché unica – amica, giusto?
“Penso che tu sappia cosa c'è che non va in me” ripetei le parole che Callie aveva detto a me quella mattina.
“Callie” sospirò, scuotendo la testa e prendendomi una mano con la sua. “Per la milionesima volta, non c'è niente di sbagliato, in te” sussurrò. “Devi smettere di pensare che ci sia qualcosa che non va in quello che sei.”
Un attimo, stava sul serio dicendo quello che pensavo stesse dicendo?
“Certo, magari ho pensato che fossi un pochino matta quando mi hai detto chi era la persona che ti piaceva. E con 'un pochino matta' intendo che ho pensato che fossi una pazza furiosa. Ma il fatto che tu sia attratta dalle ragazze...”
“Che cosa?” alzai la voce, facendo voltare tutta la classe nella mia direzione. Per fortuna il professore dell'ora successiva non era ancora arrivato.
“Si può sapere che ti prende oggi, Callie? Sapevi che io ho pensato che fossi pazza fin dalla prima volta che mi hai detto di esserti presa una cotta per Arizona Robbins.”
“Che cosa?” parlai ancora più forte della prima volta, vedendo Addison alzarsi e venire nella mia direzione.
Vano fu il debole tentativo di Teddy di fermarla.
“Che hai oggi, Torres? Sei più fastidiosa del solito” mi disse.
Io la ignorai, continuando a fissare la Bailey con aria perplessa.
“Da quanto tempo va avanti questa cosa?” domandai.
“Non lo so. Un anno, forse?” mi chiese, guardandomi come se mi stesse crescendo un'altra testa sulla spalla sinistra.
“Pronto? Mi hai sentito, perdente?”
“Un anno? Cavolo. Come ho fatto a non rendermene conto per un intero anno?” domandai, scuotendo la testa. Poi mi resi conto della sua espressione. “Voglio dire lei. Come ha fatto lei a non rendersene conto?”
“Forse perché è così presa da se stessa e da Derek capelli-perfetti Shepherd che non sa nemmeno più la capitale dello Stato in cui viviamo?”
“Ehi, sono proprio qui davanti a voi” Addison cercò di attirare la nostra attenzione.
“Ok, per tua informazione, so benissimo che la capitale è Tallahassee. Sono più intelligente di quello che voi secchioni sembrate pensare.”
“Io stavo parlando della Robbins.”
Osservai il suo sguardo sbigottito.
“Giusto” mormorai. “Comunque, un anno è un sacco di tempo.”
Ah! Parlavo io, che da quando avevo quattordici anni, per tre interi anni, non avevo mai avuto un solo pensiero che non ruotasse intorno a lei.
“Puoi smetterla di ignorarmi? Sono proprio davanti a te, perdente.”
Sospirando feci cenno a Miranda di aspettare un secondo, voltandomi verso Addison.
“Senti, mettiamo subito le cose in chiaro, regina della Passivo-Aggressività. Il fatto che tu abbia smesso di parlarmi solo perché lo ha fatto Arizona, non ti rende migliore di lei e non ti dà il diritto di prendermi in giro. Perché quindi tu e la tua fidanzata non provate a crescere e lasciate in pace me e Miranda, che stavamo cercando di avere una conversazione adulta? Ti ringrazio.”
Mi voltai verso una Bailey sempre più stupefatta dal mio comportamento.
“Allora” le dissi. “Dove eravamo?”

Mi sentii afferrare per un braccio e trascinare dentro uno dei bagni.
“Che stai facendo?”
“No, tu che stai facendo” mi disse, sbattendosi la porta alle spalle.
“Non so di cosa stai parlando.”
“Senti, a me non importa se distruggi tutte le tue amicizie, ma sappi che non è me che Addison e Teddy odieranno, ma te. Perché, fosse l'ultima cosa che faccio, Arizona, mi riprenderò il mio corpo e la mia vita.”
“Credi che io non lo voglia?”
“E allora perché stai approfittando di questa situazione per distruggere la tua vita?” urlò contro di me.
“Perché così sarò libera” risposi, alzando la voce a mia volta. “Libera dal dover essere popolare, dal dover tenere per mano Derek, dal dover fingere di non essere chi sono. Sarò libera da questa vita che non voglio vivere” conclusi, rendendomi conto troppo tardi di quanto le avevo appena lasciato capire su di me.
Dopo che le parole fecero presa, strinse le mie mani tra le sue.
“Non ti serve distruggere la tua popolarità per essere te stessa. Puoi essere chiunque tu voglia, Arizona.”
“Beh, io non so chi voglio essere. Ma, chiunque sia, non sono ancora quella persona.”
“E allora fai tutto ciò che puoi per diventarla” mi disse pacatamente.
Sospirando, mi allontanai da lei.
“Andiamo, non vedo l'ora che questa giornata finisca. In teoria, domani dovremmo risvegliarci nei nostri corpi, se le cose vanno come in 'Freaky Friday' e tutto questo sarà solo un brutto, orribile ricordo.”
“Già. Un ricordo che ci costerà un sacco di soldi spesi in anni ed anni di psicoterapia” concordò, aprendo la porta per me.

Me ne stavo in camera di Callie, cercando di non badare alle urla.
Avevo finalmente capito perché se ne andava via e si metteva le cuffie.
Non era così facile come sembrava, riuscire ad ignorare le liti.
Sentii bussare alla porta di camera mia. Cioè sua. Quello che era.
“Avanti.”
“Ehi” Aria entrò, richiudendosi la porta alle spalle e poi avvicinando la sedia a rotelle al letto su cui ero sdraiata. “Stasera non sembra che smetteranno di urlare” osservò, con la voce triste, distogliendo lo sguardo.
“Cerca di non ascoltarli” le dissi, tirandomi a sedere.
“Un po' difficile, visto il tono di voce che stanno usando.”
“Ma tu non badare a quello che dicono, fai finta che stiano litigando su come ordinare la pizza o qualcosa del genere” le consigliai.
“Callie, litigano sempre per le stesse cose. I soldi per le mie spese mediche, i soldi per i lavori che hanno dovuto fare a casa perché io potessi muovermi, i soldi del divorzio” elencò, sospirando alla fine.
“Divorzio?” domandai, corrugando la fronte.
“Già. Te lo sei dimenticata? Sei stata tu a dirmelo, dopo aver origliato quella conversazione qualcosa come tre mesi fa. A questo punto non so quando succederà, visto che non si sono ancora decisi a parlarcene, ma lo faranno a giorni, presumo, a meno che non ci abbiano ripensato. Credo che papà se ne andrà di casa, ma potrebbe anche essere mamma, invece. Non riesce neanche più a guardarmi negli occhi da quando è successo.”
“Aria...sai che non è vero. I nostri genitori ti vogliono molto bene, farebbero qualsiasi cosa per te.”
“Forse. Ma tu sei l'unica persona che mi tratta ancora come prima.”
Io fui colta in contropiede. Di solito Callie era una persona particolarmente delicata e comprensiva per quel tipo di cose, ma nessuno sarebbe stato in grado di trattarla esattamente come faceva prima, eccetto forse, appunto, soltanto Callie.
“Sei mia sorella. Questo non cambierà mai.”
“Lo so” mi sorrise. “Me lo ripeti tutto il tempo. Sono felice che l'incidente non ci abbia divise, anche se, sai...ho sempre pensato che fosse colpa mia.”
“L'incidente?” chiesi, confusa. “Ma se non stavi nemmeno guidando tu.”
“No, non quello” rise appena. “Intendevo Arizona. Ne abbiamo parlato e so che non mi incolpi, ma devi ammettere che il tempismo è parecchio strano. Il giorno prima è la tua migliore amica e quando io smetto di camminare, lei, improvvisamente, smette di parlarti. La coincidenza del secolo, no?”
“Aria, non dirlo neanche per scherzo” la guardai con aria seria. “Arizona non ha smesso di parlarmi per colpa del tuo incidente, non farebbe mai una cosa del genere. Quello che c'era tra noi” tentai di spiegare “è complicato. Arizona voleva che io fossi qualcuno che non potevo essere, e questo alla fine ci ha allontanate.”
“Chi voleva che fossi?”
Scrollai le spalle, alzando gli occhi al cielo, immaginandomi Callie a rispondere a quella stessa domanda.
“Qualcuno popolare. Con vestiti di marca e borse firmate e scarpe col tacco. Senti, Arizona non conta più niente per me, ormai.”
“Sì, certo” rise di quello che avevo appena detto. “Per questo finiamo a parlare di lei tutte le sere. Lascia stare, Callie. Sai che a me non devi mentire. Io so quanto ti manca, tutti lo sanno. Si vede anche da chilometri di distanza.”
Rimasi spiazzata da quella frase, ma cercai di nasconderlo come meglio potevo.
Calliope apparentemente non era l'unica che stava riportando alla luce segreti che dovevano essere seppelliti.

“Mamma” attirai l'attenzione della signora Torres.
“Dimmi, tesoro” rispose distrattamente.
“Posso andare a dormire a casa di Arizona, stasera?”
Le avevo ripetuto al telefono un miliardo di volte che era una pessima idea, ma lei aveva insistito che era meglio stare nella stessa stanza, per sicurezza. Non voleva che la sua anima finisse per sbaglio nel corpo di qualcun altro mentre cercava di tornare dentro il suo.
“Arizona Robbins?” domandò lei, alzando gli occhi e fissandoli nei miei.
“Quante persone che si chiamano Arizona conosciamo?” scherzai, vedendo però i suoi occhi seri continuare a fissarmi. “Sì, mamma. Arizona Robbins.”
“Sono almeno due anni che non vai più da lei, pensavo aveste smesso di frequentarvi.”
“Già. Ma dobbiamo parlare di...di questo progetto per la scuola, quindi pensavamo che così è più comodo. Allora, posso andare?”
Scrollò le spalle. “Certo. Ti serve che ti aiuti a portare la tua roba da lei?”
“No, ho solo uno zaino, e a dire la verità è già pronto” sorrisi, sporgendomi in corridoio per prendere lo zaino ed uscendo di casa subito dopo averla salutata frettolosamente.
Quando entrai in casa mia, la prima impressione fu strana. Come se quel posto non mi fosse del tutto familiare.
“Callie” mia madre mi sorrise. “Siamo felici di averti con noi, stasera. Arizona ci ha detto che rimarrai a dormire. Era un bel po' di tempo che non venivi più qui da noi.”
Accennai un sorriso un po' forzato. “Era un bel po' che Arizona non mi invitava più. Ma adesso che lo ha fatto, non ho trovato un motivo per dire di no.”
Dopo averla salutata, salii verso la camera da letto in cui quella mattina avrei dovuto svegliarmi.
“Ciao” la salutai, chiudendomi la porta alle spalle. “Che stai facendo?”
“Cerco su internet informazioni su situazioni simili alla nostra.”
“Ah, adesso stai anche usando il mio computer, vedo.”
“Tranquilla, non ho toccato la tua preziosissima cartella con il materiale porno. È ancora tutto salvato sul tuo desktop.”
Io risi, lasciandomi cadere sul letto. “Puoi guardarlo se vuoi, basta che dopo non lo cancelli” le comunicai, togliendomi le scarpe.
“Qui non c'è niente di utile. Sono tutti o pazzi o ciarlatani.”
“Mi fa piacere. Noi in quale categoria rientriamo?” domandai, sedendomi di nuovo.
“Pazze, presumo, visto che non stiamo cercando di vendere niente a nessuno con questa storia, ma siamo seriamente convinte che stia succedendo.”
Risi, alzandomi in piedi. “Beh, è stata una giornata piena di emozioni ed io sono esausta, quindi me ne andrò a letto.”
Mi sfilai la maglietta, sentendola alzarsi di scatto dalla sedia.
“Che stai facendo?”
“Mi metto il pigiama” risposi, corrugando la fronte.
“Beh, vai in bagno a metterti il pigiama.”
“Calliope” risi della sua affermazione “è il tuo corpo” le feci notare. “Sarebbe inutile andarmi a cambiare in bagno, non è niente che non hai visto un migliaio di volte.”
Inspirò ed espirò lentamente. “Suppongo che tu abbia ragione. Andiamo a letto, allora.”
Fece il giro, mettendosi dall'altra parte del letto e prendendo il mio pigiama, cambiandosi a sua volta.
Quando ci sdraiammo dentro lo stesso letto, al buio, improvvisamente quell'idea del pigiama party non sembrava più così brillante.
“Vorrei davvero poter riavere indietro il mio corpo in questo momento” mormorai, forse sperando che non riuscisse a sentirmi.
“Perché proprio in questo momento?”
“Perché sei sdraiata accanto a me, dentro il mio letto e potrebbe essere l'unica volta che mi succede, ed io non posso vederti, posso solo vedere me stessa. Questa storia inizia ad essere davvero irritante.”
Lei rise, senza rispondere.
“Riavremo i nostri corpi indietro presto” mi disse, cercando di tranquillizzarmi.
Ma, se riavere indietro il mio corpo significava tornare a vivere la mia vita lontano da lei, quell'idea faceva tutto tranne che tranquillizzarmi, in quel momento.

“Ok, quindi la giornata di ieri poteva andare meglio” le dissi, guardando fuori dal finestrino.
“Decisamente. Ma non ci hanno scoperte, che è già qualcosa.”
“Sì, ma Teddy ed Addison hanno dei grossi sospetti sul fatto che qualcosa stia succedendo” le feci notare.
“Vero” concesse. “Ma, guarda il lato positivo, la buona notizia è che non indovineranno mai e poi mai di cosa si tratta.”
Stavamo andando a scuola. Svegliarci e scoprire di non essere ritornate normali non ci era piaciuto, ma ce ne eravamo dovute fare una ragione.
Estrassi un pacchetto di sigarette dal mio zaino, sigarette che ero stata costretta a rubare del mio stesso armadietto, e me ne misi una tra le lebbra, cercando l'accendino.
Lei la afferrò prontamente, aprendo il finestrino e gettandola fuori dall'auto.
“Ehi, stavo per fumarla quella” le feci notare.
“Già. Con le mie labbra e i miei polmoni. Ti ringrazio, ma non voglio un tumore alla bocca prima dei trent'anni, quindi niente sigarette finché non sei di nuovo nel tuo corpo.”
“Questo è assurdo” alzai la mano in cui stavo ancora tenendo il pacchetto quasi intatto.
Lei lo afferrò, gettando anche quello fuori dalla macchina, proprio come aveva fatto con la prima sigaretta.
“No. Fumare è assurdo. Quindi te lo ripeto, niente sigarette.”
Sospirai, lasciandomi cadere indietro sul sedile.
“Qualcuno mi uccida, non voglio vivere dentro questo corpo neanche un istante di più” mormorai, fingendo tono disperato.
“Signore e signori, Arizona Robbins. La Regina del Dramma” sussurrò, sorridendo.
“Ti ho sentita” le feci notare, incrociando le braccia al petto. “Calliope?”
“Sì?”
Continuai a guardare altrove.
“Eri la mia migliore amica.”
“Lo so” il tono era dolce, sicuro.
“Lo sei stata per anni ed anni, da quando ci hanno messo nella stessa classe alle elementari.”
“Lo so” rispose, il tono era diventato nostalgico e forse un po' sognante.
“E poi ho smesso di parlarti di punto in bianco senza motivo.”
“Lo so” adesso il tono aveva una nota triste, quasi arresa.
“Ma non ho smesso di parlarti perché tua sorella non può più camminare.”
“Lo so” ed ora, invece, il tono era tranquillizzante.
“Ho smesso di parlarti perché qualsiasi cosa tu stessi facendo, o dicendo, o pensando, ovunque fossimo, in qualunque momento del giorno, tutto quello a cui riuscivo a pensare ogni volta che ti vedevo, era baciarti.”
Quello la fece tacere a lungo.
“Questo non lo sapevo.”
“Ora lo sai.”
“Arizona, tu lo sai che per me era lo stesso, vero?”
“No” sospirai “non lo sapevo. Ma l'ho capito, adesso.”
“Pensi che riusciremo a sistemare le cose?”
Non capii se si stava riferendo allo scambio di corpi o al fatto che io e lei fingevamo di odiarci per non ammettere che ci piacevamo, ma in entrambi i casi, c'era una sola risposta che potevo darle in quel momento per riuscire a tranquillizzarla.
“Certo. In qualche modo faremo.”

Quando arrivammo a scuola, la prima cosa che mi venne in mente appena vidi lo striscione appeso all'entrata fu un'imprecazione.
“Devo andarci con Derek, non è vero?” domandò con triste rassegnazione, quando vide il mio sguardo posarsi sullo striscione del ballo d'inverno.
“Non devi fare niente, Calliope. La gente può pensare quello che vuole” scrollai le spalle, cercando di tenere a mente che volevo che quello che pensavano di me cambiasse.
Tuttavia, non ero preparata per quello che successe a quel punto.
“Ciao” mi si avvicinò mentre stavo prendendo alcuni libri dal mio armadietto. “Come stai?”
“Tutto ok, tu?” chiesi, cercando disperatamente di ricordarmi il nome del piccolo nerd che mi aveva appena rivolto la parola.
“Tutto a posto” mi sorrise. “Senti, volevo chiederti una cosa, in realtà. Pensavo che magari potremmo andare al ballo insieme.”
Io, dopo essermi chiesta per ben tre volte se per caso stesse scherzando o mi stesse prendendo in giro, scoppiai a ridere.
“Tu vuoi venire al ballo con me? Tu?” continuai a ridere.
Volevo scuotere il piccoletto per le spalle e chiedergli se per caso era cieco. Callie Torres era sexy in maniera allucinate e lui, lui sembrava un folletto.
“Callie sta scherzando” intervenne la ragazza con il mio corpo, avvicinandosi a noi. “Intende che sei suo amico, non riesce a immaginarvi come una coppia. Vero, Callie?”
“Questo è esattamente quello che intendevo” cercai di non scoppiare di nuovo a ridere, mantenendo un'espressione quasi seria. “Siamo amici. Credevo che tu pensassi la stessa cosa.”
Mi afferrò per un braccio, tirandomi in direzione dei bagni.
“Allora, vuoi spiegarmi che ti è preso?”
Scoppiai a ridere appena fummo sole.
“Ma lo hai visto? Quel tipo pensava di poter venire al ballo insieme a te. Insomma, sono sicura che è un tipo fantastico, ma tu sei così fuori dalla sua portata che è ridicolo.”
“Arizona.”
“No, sul serio. Tu sei bella, chiunque potrebbe dirtelo. E il folletto di cui non riesco a ricordare il nome, non lo è.”
Lei inspirò, sospirando subito dopo.
“George. E ti sarei grata se trattassi meglio i miei amici. A differenza tua, vorrei ancora averne qualcuno quando questa storia finisce.”
Cercò di mantenere un'espressione seria, ma potevo vedere che era divertita.
“Andiamo, so che le mie battute ti fanno impazzire” le sorrisi, muovendo le sopracciglia in modo suggestivo. “Ti dico io che possiamo fare” proposi. “Andiamo al ballo insieme. È semplice in realtà.”
Corrugò la fronte.
“Questo come può aiutarci a non farci scoprire?”
“Non ne ho idea. In nessun modo, credo. Il ballo è tra due giorni, spero di aver riavuto il mio corpo, per allora.”
“Quindi perché dovremmo andarci insieme?” domandò, ancora confusa.
Scrollai le spalle. “Perché, come ho detto, tu sei bellissima. Ed io non voglio andarci con Derek o chiunque altro, io voglio andarci con te.”
Continuò a guardami, perplessa.
La campanella la distrasse dalla nostra discussione.
“Ci vediamo dopo le lezioni, ok?” domandò, indietreggiando verso la porta.
“Calliope, no, aspetta.”
Lei si voltò, senza darmi modo di spiegare.
“Accidenti” mormorai una volta rimasta sola.
Avevo di nuovo rovinato tutto e non sapevo neanche cosa avevo fatto di male, quella volta.

Riuscii a trovarla durante la pausa pranzo, entrai in fila dietro di lei.
“Mi dispiace per quello che ho fatto” le comunicai. “Mi dispiace per quello che ho detto sul fatto che la tua vita è più semplice della mia, perché non era vero. E mi dispiace per come mi sono comportata dopo l'incidente di Aria.”
Lei non si voltò.
“Arizona...”
“No, ho capito. Sono stata un'idiota, ma se non mi dai mai una seconda occasione, non posso rimediare e non posso farti sapere quanto mi dispiace.”
Lei rise della logica assurda delle mie argomentazioni.
“Una seconda occasione” le dissi. “Solo una. Se brucio anche questa, non dovrai vedermi mai più, te lo prometto.”
“D'accordo” concesse con un sospiro. “Andiamo al ballo insieme.”

Quando sentii la porta aprirsi cercai di rimanere immobile e fare meno rumore possibile. Non potevo assolutamente farmi beccare in un bagno a fumare nel corpo di Callie. Soprattutto, non da Callie.
“Allora, stasera andiamo a quella festa in piscina?”
“Certo, perché no. Arizona?”
“Ehm, suppongo di sì.”
Ci fu un attimo di silenzio. “Che ti prende, di solito sei a favore delle feste.”
“Domani abbiamo scuola” fece notare lei, facendomi venire voglia di colpirmi la fronte con una mano. “Quindi anche meglio” aggiunse, probabilmente rendendosi conto che quello che aveva appena detto non suonava come qualcosa che avrei detto io.
“Ora ti riconosco” sentii la voce di Addison accompagnata dalla risata di Teddy.
“Dove avete detto che è questo posto?” domandò Callie.
“Casa di Derek? Non ti ricordi improvvisamente più dove è la casa del tuo ragazzo?”
Io, senza aspettare che rispondesse, uscii dalla cabina. Lei mi rivolse uno sguardo truce.
“Stavi fumando?” chiese dopo aver sentito l'odore che avevo addosso.
Mi avvicinai ad uno dei lavandini e, dopo essermi lavata le mani, le rivolsi un sorrisetto beffardo.
“Giuro che ti ucciderò.”
“Perché? Sei gelosa che abbia rubato la tua cabina?” le sorrisi di nuovo beffardamente.
“Giuro che appena riavrò indietro il mio corpo, ti farò passare la voglia di sorridere prendendoti a schiaffi.”
Io risposi semplicemente sorridendo, indietreggiando fino alla porta, dopo aver lanciato un'occhiata in direzione delle altre due ragazze, entrambe avevano un'espressione perplessa.
Percorsi il corridoio dopo aver visto la Bailey e la raggiunsi davanti al suo armadietto.
“Ehi, spero che tu sia in vena di festeggiamenti. Stasera andiamo ad una festa.”

“Questa è una pessima idea. Te l'ho detto fin dal primo momento e te lo ripeto adesso. È una pessima, pessima idea.”
Mi limitai a sorriderle e ad aprire la portiera dell'automobile, scendendo e richiudendola alle mie spalle. Feci il giro dell'auto e mi fermai davanti a lei, aprendo la portiera posteriore e guardandola con sopracciglio alzato.
“Non mi metterò in costume, se è quello che stai aspettando che faccia. E scommetto che neanche tu avrai il coraggio di andare fino in fondo con il tuo piano.”
Ok, quindi forse imbucarsi ad una festa in piscina con il corpo di qualcun altro non era stata la migliore idea. Ma il fatto che quello fosse il corpo di Calliope, rendeva il tutto molto più divertente. Sorrisi alla Bailey, richiudendo la portiera ed incamminandomi verso il retro della casa. Ero avvantaggiata dal fatto che ero stata lì un milione di volte, quindi sapevo perfettamente come fare per arrivare alla piscina senza essere notata.
Quando entrammo, ad attenderci trovammo musica a tutto volume ed una trentina di invitati, tutti del nostro liceo.
La individuai immediatamente tra la folla e mi avvicinai a lei con passo sicuro. La Bailey si affrettò a seguirmi, cercando inutilmente di fermarmi. Non aveva ben chiaro il significato di tutta quella storia, evidentemente. Eravamo lì proprio perché potessimo farci notare, mantenere un profilo basso non avrebbe aiutato la nostra causa.
“Dobbiamo parlare“ le dissi, raggiungendola. Lanciai un'occhiata al ragazzo al suo fianco. “Da sole.”
Lei, vedendomi, sgranò gli occhi. Il ragazzo al suo fianco mi lanciò un'occhiata, ma si allontanò di qualche metro senza opporre resistenza. Sapeva che ero in grado di badare a me stessa.
Lei era chiaramente sorpresa dalla mia presenza. Eppure sapeva che sarei stata lì, visto che mi ero presentata a casa sua - cioè mia - per aiutarla a scegliere cosa mettersi. Doveva per forza aver intuito che avevo intenzione di presentarmi lì anche io, ed ormai si era sicuramente abituata all'idea che stessi cercando di sabotare la mia stessa vita sociale. Perché? Beh, quello non lo sapevo nemmeno io. O meglio, stavo ancora cercando di negarlo a me stessa.
“Che diavolo ci fai qui? Sei per caso impazzita? Io non mi sono mai presentata ad una di queste feste in tre anni, non pensi che farlo adesso potrebbe dare qualche indizio ad Addison e Teddy che sta succedendo qualcosa? Te lo ripeto, per me sarà tutto finito quando ci scambieremo di nuovo i corpi, ma tu dovrai convivere con quello che stai facendo alle tue migliori amiche per il resto della tua vita. È la tua vita, la tua popolarità, quindi attenta. Quello che hai costruito in anni, potrebbe essere distrutto nel giro di pochi secondi.”
“Non hai ancora capito? È proprio quello che sto cercando di fare.”
“Ma perché?” domandò incredula.
Scrollai le spalle. “Ho capito recentemente che la popolarità non ha senso. Non mi ha permesso di fare ciò che volevo, mi ha solo impedito di fare qualcosa che la gente non avrebbe approvato. Quando sarò di nuovo nell'ombra potrò finalmente essere me stessa. Sarò libera” sussurrai.
Lei scosse la testa. “Beh, non sarò io a darti questa libertà. Non sarà con me dentro il tuo corpo che riuscirai a distruggere te stessa. Non ti lascerò la possibilità di incolparmi per quello che ti stai facendo, se vuoi riprenderti la tua vita fallo dopo che io mi sarò ripresa il mio corpo.”
Risi delle sue parole, una risata leggermente amara, non potevo credere che non avesse ancora capito. Avrei facilmente potuto ricattarla e farle fare quello che volevo, come avevo fatto con Teddy, Addison, Alex, Mark e Derek, ma sapevo che lei non se lo meritava. Non volevo farlo. Non con lei. “Non sono riuscita a trovare un vestito decente. Hai solo felpe e jeans larghi, nell'armadio.”
Lei aggrottò le sopracciglia e scosse la testa, confusa dal cambio repentino di argomento.
“E allora?”
“In più, non hai un costume da bagno.”
“Ho un sacco di costumi, viviamo a Miami, se te lo fossi scordato” mi fece notare. “Ed io faccio surf, quindi certo che ho un costume.”
“Lasciami riformulare. Non hai un bikini adatto ad una festa in piscina. Ho dovuto rubare uno dei miei stessi costumi quando sono venuta a casa tua – cioè, mia – oggi pomeriggio.”
La vidi sbiancare, una cosa che mi capitava di tanto in tanto quando non mi sentivo molto bene.
“Non puoi farlo” mormorò.
“Stai a vedere” le sorrisi, voltandomi verso la Bailey. “Miranda, puoi farmi un favore?”
Lei si avvicinò, annuendo, guardandosi intorno. Eravamo intruse, molti sguardi erano concentrati su di noi.
“Certo, dimmi.”
“Puoi reggermi questa?” dopo aver domandato, mi sfilai la felpa che stavo indossano, passandogliela. Lei la prese, cercando di non apparire troppo sbigottita riguardo quello che stavo facendo. Mi sganciai i jeans.
“Arizona, smettila” si avvicinò di un passo, entrando nel mio spazio personale.
“Perché? Vuoi farlo tu?” domandai, sussurrando a mia volta.
Credo che fu in quel momento che lo capì. Mentre facevo scorrere i pantaloni lungo le sue – mie...quello che era – meravigliose gambe e mi toglievo le scarpe che stavo indossando.
Capì che non stavo facendo tutto quello per sabotare la mia vita, e che in realtà stavo cercando di salvare quello della mia popolarità che potevo salvare. Quello che stavo cercando di fare, era darne una parte a lei.
Andare in giro con i ragazzi giusti al liceo, ti rende popolare.
Lo avevo imparato presto e ora stavo cercando di aiutare la ragazza che un tempo era stata la mia migliore amica ad avere una parte del mio potere per farmi perdonare tutte le stronzate che avevo fatto.
Passai i jeans alla Bailey, sorridendole.
“Vuoi provare a prendermi?” domandai, indietreggiando verso la piscina ed entrando in acqua.
Lei, dopo essesi tolta il pareo che le avevo fatto indossare, mi seguì immediatamente.
“Smettila” mi ordinò, avvicinandosi.
Io le sorrisi, i gomiti appoggiati a bordo piscina.
“Obbligami.”
“Non costringermi a farlo.”
“Non ci riusciresti.”
Lei si avvicinò di un passo ancora, ripetendo quello che le avevo detto io poco prima.
“Stai a vedere.”
Fece di nuovo un passo indietro e si assicurò di parlare a voce abbastanza alta.
“Vattene dalla mia festa, in questo preciso istante, o giuro che ti porto fuori io.”
“Non mi risulta essere la tua festa, in realtà. Questa non è casa tua o sbaglio?”
“Casa di Derek è come se fosse casa mia. Non se se lo hai sentito, visto che vivi in una caverna sulla cime di una montagna e scendi tra la gente solo per andare a scuola e fare provviste, ma io e lui siamo una coppia.”
“Vuoi che me ne vada? Costringimi” ripetei ancora una volta, sorridendole.
Lei mi afferrò per un braccio, tirandomi verso la scaletta. Mi divincolai dalla sua presa, guardandola con aria di sfida. Alzò il tono di voce, assicurandosi che ci sentissero.
“Ascoltami bene, piccolo scherzo della natura” mi disse, squadrandomi “forse non ti rendi conto in cosa ti stai immischiando, ma lascia che te lo spieghi. Se pensi di avere anche solo una possibilità di rovinare la mia vita, ti sbagli di grosso.”
“Sto solo cercando di pareggiare i conti.”
“E questo che significa?”
“Lo sai che significa. Non riesco più a guardarti in faccia, da quando hai rovinato la mia. Tutti i nostri amici sapevano quello che avevi fatto, quindi li hai obbligati a smettere di parlarmi, non è vero? Sei la persona più egoista ed egocentrica che io abbia mai conosciuto, sei cattiva con le persone che ti vogliono bene e non ti meriti niente. Tu rovini tutto quello che ti sta accanto, anche le cose più belle. E hai rovinato me.”
“Non cercare di dare la colpa a me, per quello” rispose, alzando la voce. “Ti sei rovinata da sola, e lo sai benissimo. Sei uno scherzo, sei una debole. Potevi avere tutto ed invece hai scelto di perdere tutti i tuoi amici solo perché così potevi essere te stessa. Beh, indovina un po'? A nessuno piace la persona che sei. E a nessuno potrà piacere mai.”
Buffo come entrambe eravamo molto più brave ad insultare noi stesse che l'altra. Per un sacco di tempo ci eravamo evitate perché non sopportavamo di urlarci contro, ma all'improvviso, quando eravamo sia sul lato del mittente che del ricevente, avevamo un sacco di cose da rimproverare a noi stesse.
I nostri più grandi nemici, eravamo noi.
Noi stesse eravamo la nostra rispettiva nemesi.
“Senti chi parla. Io sono intelligente e ho del talento, cosa che non si può dire per te. Cos'è che hai tu, esattamente?” risi, guardandomi attorno, verso la piccola folla che ci fissava. “Un fidanzato che non ti ama, degli amici che ti detestano e che fingono di sopportarti solo per non farsi dare il tormento e due migliori amiche che riescono a malapena a tollerare la tua presenza, ultimamente, perché le hai obbligate entrambe ad avere relazioni che non volevano solo perché così tu non saresti stata l'unica a non poter avere quello che voleva davvero.”
“Sempre meglio di te, che non hai amici affatto.”
Io ero la nemesi di me stessa. E lei era la sua.
“Sei stata un bravo burattinaio. Hai tenuto in mano i fili per anni e comandato tutti a bacchetta, ma neanche Mangiafuoco può rimanere sulla cresta dell'onda in eterno. È il momento di farti da parte e crescere, smetterla con le finzioni ed essere chi sei. Una nullità.”
“Ha parlato il niente fatto persona. Scommetto che la maggior parte delle persone a questa festa non conoscono il tuo nome. Tu non sei nessuno, non sei niente.”
Io mi sollevai sulle braccia, sedendomi sul bordo della piscina e poi alzandomi in piedi. Lei mi seguì velocemente, afferrandomi un braccio per impedirmi di andarmene.
“Ecco, brava. Fai quello per cui sei portata. Scappa. Come hai sempre fatto. Non sei mai stata capace di lottare neanche per le cose più importanti della tua vita. Tu lasci che la vita ti accada, senza mai fare niente perché possa succedere qualcosa che desideri davvero.”
“Per cose dovrei lottare? Per te? Per un'amicizia che neanche esiste più? Ti prego. Sei patetica, adesso.”
“Sai qual'è la verità? Tu non ti meriti di avermi al tuo fianco. Tu non ti meriti niente. E tutti sanno che hai avuto una cotta per me per tipo un secolo. Se preferisci raccontare la versione secondo cui mi sono allontanata da te perché sono snob, fai pure. Ma questa è la verità. Tu sei uno scherzo della natura.”
Ok, la ragazza davanti a me – che in quel momento aveva la mia faccia – stava insultando una delle pochissime persone al mondo di cui mi era mai fregato qualcosa. Non potevo permetterlo.
Mi districai con un gesto secco dalla sua presa sul mio braccio.
“Hai vinto, me ne sto andando. Così puoi andare a tradire il tuo ragazzo scopandoti la metà della squadra di baseball che non ti sei ancora fatta. So che sei a buon punto, quella di football e quella di basket sono al completo, giusto? Perfino i fidanzati delle tue due migliori amiche.”
Quanto doveva essere arrabbiata una persona per arrivare letteralmente a schiaffeggiare se stessa?
La risposta credo sia 'dannatamente arrabbiata' o qualcosa del genere.
Tutti rimasero in silenzio. La mia faccia voltata di lato ed il suono di quello schiaffo che ancora sembrava riecheggiare nell'aria.
Feci un passo avanti, sempre con la testa voltata di lato.
Potevo sentire gli occhi di tutti su di me, che aspettavano di vedere la mia reazione.
Appoggiai delicatamente le mani sulle sue spalle, spingendola dentro la piscina senza neanche guardarla – o meglio, guardarmi – in faccia. Poi, afferrando le mie scarpette da terra ed i miei vestiti dalla Bailey, me ne andai.

Uscii dal bagno, tentando di asciugarmi i capelli bagnati con un asciugamano. Mi paralizzai quando la vidi seduta sul mio...suo letto.
“Mia madre mi ha fatto entrare.”
Annuii, scrollando le spalle e sedendomi vicino a lei.
“Stai bene?”
“No. Mi si è spezzato il cuore.”
“Mi dispiace” mormorò, chiudendo gli occhi.
“Non per quello che hai detto tu. Era come” mi strinsi nelle spalle. “Era come se, una volta iniziato, non riuscissi a smettere di parlare. È venuto tutto fuori in un secondo, non sono neanche riuscita a rendermi conto di metà delle cose che stavo dicendo, nemmeno sapevo di pensarle metà di quelle cose, ma è così.”
“No, Arizona, non essere ridicola.”
“Non lo sono, è la verità. Ho giocato con la vita di persone che non se lo meritavano, non ho mai detto ad Addison e Teddy che, se non avessi avuto loro, non sarei sopravvissuta questi due anni. E non ho mai detto a te che il motivo per cui ho fatto questo enorme, gigantesco casino, è che avevo così paura di trovarmi a vivere improvvisamente senza di te, che allontanarmi è stato più facile.”
Sentii una sua mano sulla mia guancia farmi alzare il viso verso di lei.
“Se me lo avessi detto, se lo avessi saputo, sai che avrei provato a cancellare le tue paure. Ho sempre pensato che tu fossi l'unica persona al mondo che avrebbe potuto cancellare le mie.”
“Mi manchi tutto il tempo” mormorai. “Tu non hai idea di quanto vali, Calliope, non hai idea di quanto significhi per me e non hai idea di quello che farei per poterti riavere indietro adesso che ho capito che non riesco a stare bene così. Camminerei attraverso il fuoco, se servisse a farti tornare da me.”
“Ma io sono qui” mi fece notare. “Sono qui, insicurezze e tutto il resto. Quello che ho detto stasera, tu sai che l'ho sempre pensato. Di non meritarti, di non essere abbastanza, di non essere...niente. Ma sono comunque qui.”
“Tu non potresti mai essere niente. Tu vali il mondo, per me.”
Lei mi guardò negli occhi per un istante e poi, sospirando, chiuse i suoi. Si avvicinò di qualche centimetro e lo feci anche io. Ma poi si fermò e scoppiò a ridere.
“Non ci riesco. Non posso baciare me stessa.”
Arricciai il naso. “Hai ragione. È troppo strano.”
Così ci sdraiammo sul suo letto e parlammo per tutta la notte delle frasi che avevamo urlato l'una contro l'altra, scacciando via, una ad una, le nostre rispettive paure.

Mi svegliai, la mattina dopo, accorgendomi che ci eravamo addormentate tenendoci per mano. La guardai per un secondo e poi guardai me allo specchio.
Se fossi stata nel corpo giusto, in quel momento, l'avrei svegliata e l'avrei baciata fino a farla smettere di respirare.
Invece, la svegliai toccandole le spalla ed avvicinandomi per parlare piano.
“Calliope, dobbiamo andare a scuola.”
Aprì gli occhi lentamente, cercando i miei. Sentii una morsa allo stomaco.
“Guardare dentro i tuoi occhi è la cosa che mi sta mancando di più” sussurrai, cercando di non suonare troppo spezzata.
Quando arrivammo a scuola, entrambe con la mia macchina e lei al volante, io scesi per prima e mi avviai verso l'armadietto. Lei mi seguì due secondi dopo, entrando e dirigendosi verso il suo.
Feci appena in tempo ad estrarre uno dei libri quando qualcuno chiuse l'anta dell'armadietto al posto mio, facendola sbattere.
“Ho sentito che hai avuto un piccolo scontro con la mia ragazza, ieri sera.”
“Stanne fuori” gli risposi, aprendo di nuovo l'armadietto e prendendo un altro libro. Lui lo richiuse, di nuovo, con forza.
“Ti stai mettendo nei guai, Callie” mi disse piano, guardandosi attorno. “Arizona non perdona facilmente. Non ha mai perdonato Addison e Teddy perché possono stare con la persona che vogliono, almeno dietro una porta chiusa a chiave. E, per lo stesso motivo, non hai mai perdonato me.”
Sospirando, scossi la testa.
“Sei un amico troppo buono, Derek. E lei lo sa. Ti ha perdonato, non che ce ne fosse bisogno o che avesse il diritto di essere arrabbiata. Ma ha sempre pensato che il senso di colpa fosse l'unico motivo per cui tu, Addison e Teddy le state accanto. È il momento di voltarle le spalle e fare ciò che vuoi. Se ti vuole bene davvero, capirà. Altrimenti, la sua opinione non conta. Cercate solo di non abbandonarla del tutto.”
Lui scosse la testa, confuso. “Non potremmo mai. Arizona è amata. Nessuno è al suo fianco perché ha pietà di lei, soprattutto non io. E se non lo sa, allora stiamo sbagliando qualcosa.”
“Non lo sa” confermai, guardandolo con serietà. “Non lo ha mai saputo. Se pensava di potervi avere come amici anche senza ricattarvi, sarebbe venuta allo scoperto un sacco di tempo fa. Non è la popolarità quello che vuole e non è la perderla la cosa che teme. Ha paura che perdendola perderà anche voi. Ha paura di rimanere da sola.”
“Lei non è mai stata sola” mormorò. “Credi che non lo sapessimo? Noi tre lo abbiamo sempre saputo, Callie. Vediamo come la guardi. Quando qualcuno ama una persona come tu ami lei, ti lascia un segno. Qualcosa di profondo, di indelebile. Tu l'hai amata e questo in lei è qualcosa che non se ne andrà mai.”
Scossi la testa. “Ho paura di averla persa. Ho paura di aver perso tutti voi” la voce mi tremò, non riuscii ad evitarlo.
Per un secondo, un secondo solo, mi scordai di essere nel corpo di Callie.
Chiusi gli occhi, ritrovandomi avvolta nelle braccia di Derek il secondo successivo.
“Siamo stati orribili con te, questi due anni. Ma le cose cambieranno, da adesso in poi. Devi sapere che tu non sei da sola. E mi assicurerò che anche Arizona riceva lo stesso messaggio.”
Io ricambiai l'abbraccio, non sapendo cosa dire o fare, limitandomi a seppellire le mie paure, spacciandole per quelle di qualcun altro.

Il viaggio in macchina fu silenzioso, finché si fermò nel vialetto ed aspettò che dicessi qualcosa. “Credo di aver finalmente perdonato me stessa” mi voltai verso di lei. “Beh, non del tutto. Diciamo che è un inizio” continuai. “Ci sto provando, ecco.”
“Ci sto provando anche io.”
“Ma possiamo” esitai, cercando le parole giuste “provarci insieme?”
“Intendi, se possiamo provare, nel frattempo, a stare insieme?”
“Beh, io” scrollai le spalle. “Sì. Voglio...Vorrei stare con te. Credo di averlo reso abbastanza chiaro in questi tre giorni” rilasciai una piccola risata.
Guardai in basso, sperando di non aver peggiorato le cose. Sentii una mano appoggiarsi sulla mia e mi voltai, vedendola sorridere.
“Mi avrai al tuo fianco fin quando mi vorrai” mormorò.
Inspirai, cercando di calmare il battito impazzito del mio cuore.
“Non ho mai voluto baciarti come adesso. Ed io voglio baciarti tutto il tempo.”
La sua risata cristallina, finalmente, riuscì a calmarmi.
“Possiamo vederci dopo cena? Voglio portarti in un posto.”
“Certo” acconsentii immediatamente.

Rimanemmo a lungo in silenzio, senza dire una parola.
Non c'era bisogno di dire niente.
Avevamo capito che ciò che stavamo combattendo era dentro di noi. Affrontarlo insieme sarebbe stato più facile.
Le nostre mani erano intrecciate, sull'erba tra di noi.
“È bellissimo.”
“È uno dei pochi posti di Miami da cui si vede il cielo stellato.”
Sospirai, rafforzando la presa sulla sua mano. “Esprimeresti un desiderio se adesso vedessi una stella cadente?”
“Sì, credo che lo farei” rispose con una risata.
“E cosa chiederesti?”
“Non posso dirtelo. Non si avvererebbe.”
“Ma se non me lo dici, come posso fare in modo che tutti i tuoi desideri diventino realtà?”

Quando aprii gli occhi di nuovo, era quasi l'alba.
“Oh, cavolo. Calliope mi ucciderà se le faccio fare tardi a scuola” mormorai tra me e me, appoggiando una mano sulla spalla della ragazza al mio fianco, scuotendola delicatamente. “Ehi, Calliope, è mattina. Dobbiamo andare, siamo in ritardo sul coprifuoco di circa otto ore” le feci notare.
Lei aprì gli occhi per un istante, poi li richiuse ed infine sorrise.
“Possiamo saltare la scuola, per un giorno.”
Corrugai la fronte, sicura di aver sentito male.
“Stai scherzando? Cosa ti fa dire una cosa del genere?”
Lei, senza rispondere, aprì di nuovo gli occhi. Sorrise di nuovo. Poi, senza aggiungere neanche una parola, si avvicinò, baciandomi sulle labbra delicatamente.
Era il nostro primo bacio.
Fui paralizzata da quella sensazione. Perfino quando si allontanò, mi rimase un senso di totale leggerezza.
Riaprii gli occhi, perdendomi nel marrone dei suoi. Solo allora me ne resi conto.
“Non sei più dentro il mio corpo.”
“Infatti” rispose, con l'ennesima risata. Poi mi baciò di nuovo, velocemente. “Ed il desiderio che ho espresso si è avverato. Due volte” aggiunse. Mi baciò ancora, sempre in modo casto e veloce. “Ora tre” continuò a contare, baciandomi a stampo ancora una volta. “Quattro.”
Risi, alzandomi in piedi e porgendole la mia mano.
“Stiamo comunque andando a scuola, perché mi rifiuto di iniziare ad essere una cattiva influenza su di te già da adesso.”

Mi avvicinai a lei, che stava guardando qualcosa sul suo cellulare.
“Sono venuta a chiamarti, ma tua madre mi ha detto che eri già venuta a scuola” le dissi, guardando altrove.
“Ah, sì. Di solito vengo con Aria.”
“Già” risi brevemente, pensando che era buffo a quanto velocemente le cose stavano tornando come erano state fino a tre giorni prima.
Chiuse lentamente l'armadietto e rimanemmo in silenzio per diversi istanti.
“Allora, siamo ancora d'accordo per stasera?” mi decisi a chiedere.
“Se non hai cambiato idea.”
“Se tu non hai cambiato idea” ritorsi con un sorriso un po' forzato.
“Ehi, Arizona” mi sentii chiamare dall'altra parte del corridoio.
Lei scosse la testa. “Vai” mi sorrise. “Non preoccuparti. Ci vediamo stasera.”
“Otto e mezza, davanti casa tua” le sorrisi ancora una volta, poi mi allontanai, in direzione di Addison e Teddy.
“Hai visto?” chiese la rossa, un sorriso a trentadue denti.
Dei palloncini erano incastrati nell'anta del mio armadietto, un biglietto sporgeva tra le fessure. Mi avvicinai a passo spedito, staccando i palloncini e chiudendoceli dentro, aprendo il biglietto e leggendolo velocemente, fino alla firma di Derek. Poi alzai gli occhi.
“Non voglio più farlo. Non posso più fingere di non essere qualcuno che sono, mi dispiace. Questa storia è durata anche troppo a lungo, vi ho forzato a nascondervi ed è stato un gesto imperdonabile, quindi voglio scusarmi con voi. Ma non abbiamo bisogno della popolarità.”
Loro mi guardarono, confuse. Poi si scambiarono un'occhiata strana.
“Verrò al ballo con una ragazza, stasera. E forse dovreste farlo anche voi. Pensateci, ok? Quando sarete pronte, io sarò lì per voi. E spero che voi sarete lì per me, stasera.”
Senza aggiungere altro strappai il biglietto di Derek, incamminandomi verso la classe lo gettai nel primo cestino che vidi.

Scesi le scale con le scarpe in mano, per non fare rumore.
“Mamma, c'è il ballo della scuola, stasera.”
Lei era in cucina, con le spalle verso la porta.
“Lo so, tesoro. Hai sentito papà, ok? Massimo all'una e Derek deve scendere quando ti viene a prendere.”
“Mamma, non ci sto andando con Derek.”
Lei si voltò, vedendomi sulla soglia della cucina, un vestito celeste chiaro addosso ed i sandali con tacco tra le mani. Feci qualche passo dentro la stanza.
“Cosa? Come mai?”
“Tu lo sapevi, vero? Che io e lui non eravamo...” cercai di spiegarmi “...una vera coppia?”
Lei sospirò, avvicinandosi.
“Diciamo che avevo i miei sospetti, non vi ho mai visto comportarvi come una coppia, neanche una volta. Ma sono tua madre. Chi si comporta da coppia davanti a sua madre?”
“Qualcuno che è innamorato?” domandai, fissando il pavimento.
Lei sospirò di nuovo, prendendomi le mani tra le sue.
“È passato molto tempo. Tuo padre ti ha visto essere infelice per due anni ed ogni giorno ha desiderato potersi rimangiare quello che ti aveva detto.”
“So quello che ne pensa, ma io non posso cambiare quello che sono. Ci ho provato, davvero, per due anni non ho fatto altro che provare ad essere qualcuno che non sono. Ma non ci sono riuscita.”
“Sei ancora la stessa persona.”
Mi voltai di scatto verso la voce sulla soglia.
“La stessa persona che eri due anni fa. E cinque anni fa. E dieci, quindici. Diciassette. Sei la stessa persona che eri il giorno in cui sei nata, Arizona. Mi dispiace non averlo capito quando hai provato a spiegarmelo due anni fa.”
Scossi la testa, deglutendo. “Mi dispiace.”
“Non deve” si mosse nella mia direzione. “Da quel giorno, non è passato un solo istante in cui non mi sia pentito di quello che ho detto. Avrei voluto fare la cosa giusta, venire da te e avere il coraggio di rimangiarmi quelle parole.”
Non sei mia figlia. Questo non è il modo in cui ho cresciuto mia figlia.
“Ma due settimane dopo avevi smesso di parlare con Callie e ti eri trovata un ragazzo. Pensavo che avessi cambiato idea. Ma ora ho capito, so che non è qualcosa su cui si può cambiare idea.”
“Papà...”
“Avremo tempo per parlare” mi disse. “Ma non puoi fare tardi stasera. Mi è sembrato di capire che una ragazza ti sta aspettando.”
Mi baciò sulla testa, rivolgendomi un sorriso sincero che mi scaldò il cuore.
“Il coprifuoco rimane all'una, Arizona. E quando vai a prenderla usa le buone maniere che io e tua madre ti abbiamo insegnato e non azzardarti a suonare il clacson, ma scendi dall'auto e bussa alla porta.”
Annuii, le lacrime agli occhi. Lui, senza aggiungere altro, mi abbracciò.

Bussai alla porta, sentendomi il cuore in gola e lo stomaco sotto ai piedi.
“Arizona, entra” ad aprire la porta fu la signora Torres, un sorriso sulle labbra.
“Buonasera, signora Torres” la salutai, accettando l'invito.
“Quando Callie mi ha trascinato per negozi a cercare un vestito, oggi pomeriggio, non potevo credere che si fosse decisa ad andare al ballo. Non che non sia convinta che mia figlia potrebbe trovarsi un appuntamento ad occhi chiusi, ma alla vostra età non è facile. Ricordo che anche io avevo avuto difficoltà a trovare un accompagnatore.”
Sentii un tuffo al cuore. Che avrei dovuto dire? Quale era il mio ruolo, quella sera? Ero la sua autista? Sua amica? Deglutii.
“Per fortuna lei ha te. Qualcuno che conosciamo e di cui ci fidiamo. Il ragazzo nuovo di Aria ha fatto venire un infarto a Carlos, almeno tu non hai tatuaggi ovunque.”
“Signora Torres, non so cosa le ha detto Callie di preciso...”
“Sai, quando due anni fa avete smesso di parlarvi, così, di punto in bianco...” mi sorrise, scrollando appena le spalle. “Sembrava una rottura. Sembrava che vi steste lasciando. Così, dopo un po' di tempo, quando avevo capito che non avreste fatto pace tanto presto, mi sono decisa a chiederlo, senza giri di parole. Lei mi ha guardato come un piccolo cerbiatto abbagliato dai fari di un'auto. Pensava che mi sarei arrabbiata, si era preparata alle urla, mie e di suo padre, perché ci era così abituata a quel punto.”
Mi limitai a guardarla, senza dire niente.
“Io e suo padre le abbiamo detto che, quando litighiamo, non è mai su di loro. Litighiamo per i soldi e per il lavoro, a volte. Ma l'amore non è mai stato un problema. Io e Carlos amiamo Callie e Aria in un modo che niente potrebbe mai cambiare.”
“Signora Torres...”
“A casa per l'una. E niente alcolici” mi fece un occhiolino, prima di incamminarsi verso il piano superiore per dire a sua figlia di scendere.
I membri della famiglia Torres avevano la capacità di confondermi come nessun altro.
“Arizona” il signor Torres entrò nell'ingresso, sorridendo. “Callie ha detto che saresti stata qui alle otto e mezza. Sei qualche minuto in anticipo.”
“Lo so, ma non volevo farla aspettare.”
Lui mi sorrise, mettendosi le mani in tasca.
Quando la vidi scendere le scale, rimasi paralizzata. Senza parole e senza fiato.
Era bella, ma lei era bella sempre.
Però mi colpì così, all'improvviso, che lei aveva accettato di stare con me. Si era messa un vestito, decisamente un cambiamento drastico, ed aveva deciso di darmi una seconda occasione.
Ed io la amavo per quello.
Io la amavo e basta.
La amavo.
Lo capii in quell'istante, all'improvviso. Eppure, in qualche modo, lo avevo sempre saputo.

“Sono felice di poter finalmente vedere di nuovo il tuo corpo da questa prospettiva” scherzai, sorridendole. “Sei bellissima.”
“Anche tu. Stai risplendendo, stasera” rispose, facendomi arrossire leggermente.
Aprii la portiera per lei, quando arrivammo, chiedendole, per l'ultima volta, se ne fosse assolutamente sicura e dicendole che potevo aspettare per la nostra uscita in pubblico, se non era pronta.
Ma lei mi sorrise, dicendomi che era pronta da tempo.
Aprii la porta, entrando dopo di lei nella palestra decorata principalmente in bianco e argento. Qualche sguardo si voltò nella nostra direzione, in particolare quelli di un piccolo gruppo di persone tra cui Derek, Addison, Teddy e i rispettivi fidanzati.
Alzai una mano, il palmo rivolto verso l'alto.
Avevo parlato con Derek a lungo quel pomeriggio, le cose tra me e lui erano sistemate. E avevo detto quello che dovevo ad Addison e Teddy quella mattina a scuola.
Voltai la testa di lato, incontrando i suoi occhi e sorridendole, cercando di rassicurarla.
Sentii la sua mano posarsi sulla mia, intrecciò le nostre dita e ricambiò il sorriso.
“Ti va di ballare?” mormorai.
“Certo” rispose immediatamente.
Ci spostammo verso la pista, rimanendo abbastanza in disparte. Ignorammo gli sguardi che si posarono su di noi.
“Grazie per avermi dato un'altra occasione” le dissi, appoggiando la mano destra sulla sua spalla e la sinistra sul suo fianco.
Lei fece la stessa cosa, avvicinandomi e sorridendo ancora di più.
“Grazie a te, per aver combattuto perché te ne dessi una.”
Rimanemmo abbracciate, muovendoci a tempo di musica, seguendo le note della canzone d'amore che stava riecheggiando nella sala.
Chiusi gli occhi e mi resi conto che per la prima volta non mi importava affatto quello che avrebbero pensato gli altri o cosa sarebbe successo il giorno dopo a scuola. Per la prima volta, volevo solo essere me stessa.
Eravamo disposte finalmente a rischiare, per poter essere felici.
Avevamo superato le nostre paure e sconfitto le uniche persone che si erano messe tra noi e quella felicità che pensavamo di non poter mai riuscire a raggiungere.
Avevamo sconfitto le nostre nemesi. Avevamo sconfitto noi stesse.




Qualsiasi sia il vostro sogno, non permettetegli mai di tenervi ancorate a terra. Lasciate invece che vi aiuti a volare.
Un abbraccio,
Francesca.



  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Grey's Anatomy / Vai alla pagina dell'autore: Herm735