Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: Sherlocked_96    17/06/2014    0 recensioni
[Commedia Scolastica]
Jérome, insegnante dal passato travagliato da poco trasferito in un college a Parigi, si aspetta di voltare pagina e cominciare una nuova vita nella capitale francese, ma dovrà fare i conti con le voci di corridoio sul suo conto. E tra un'eccentrica sorella, un preside arcigno, gli invadenti professore di lettere e bibliotecaria scolastica, incontrerà uno studente diverso da tutti gli altri, che sarà in grado di cambiarlo completamente.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2


«Professor Jérome, a cosa si deve quest’improvvisa richiesta di colloquio? Sarebbe il momento del pranzo…»
«Sì signor preside, mi dispiace davvero ostacolare la sua sopravvivenza, ma c’è una questione che desideravo ardentemente venisse sottoposta alla sua attenzione…»
«Troppi paroloni, può rivolgersi alla mia segretaria per faccende burocratiche!»
«Ma questa è una faccenda di ordine personale!»
Il preside Jean Canfin prese un profondo respiro per mantenere il controllo con quel dannato insegnante che, nonostante fosse appena arrivato, aveva già iniziato a dare problemi.
«Cosa c’è di così grave, insomma?»
Jérome fissò sbalordito il grasso omone in giacca e cravatta seduto dietro la cattedra verso la quale stava gesticolando da minuti. Quasi si era scordato cosa doveva dire.
«Sì, ecco. Vede, credo che lei sia a conoscenza di, insomma… della mia vita passata prima di venire ad insegnare qui, giusto?»
«Uh uh. Abbastanza deprimente, se lo lasci dire. Perfetta storia per un romanzetto d’appendice»
«…In ogni caso, sebbene io ignori come sia potuto succedere, alcuni studenti ne sono venuti a conoscenza. C’è qualcun altro che lei sappia che avrebbe potuto divulgare l’informazione?»
«Come siamo formali. Be’, sa, questa è una scuola. Le voci girano come niente. Qualcuno l’avrà scoperto in qualche modo e, insomma, immagino sia ovvio, lo sono venuti a sapere tutti. Davvero credeva che non sarebbe stato sgamato? Mi faccia il piacere e impari a conviverci, oppure vada da un bravo psicologo che la convinca ad ignorare i ragazzini coglioni che le fanno domande»
«Ma cos… Aspetti, preside, lei…»
«Io cosa? Cosa vuole che faccia? Che espella tutti quelli che nominano la cosa? Ci ritroveremmo con il college vuoto in un paio di giorni. Lasci in pace questo Henri qualcosa»
«Ma come, i…»
«Arrivederci, professore Jérome!»
E con queste parole il preside congedò definitivamente l’insegnante, che si ritrovò in corridoio prima che potesse accorgersene, travolto dalla fiumana di studenti impazienti di terminare la giornata scolastica al suono della campanella.
Tra quel fiumare di gente, Henri Léman attendeva paziente seduto fuori dall’ufficio del preside.
«È riuscito a farmi sospendere?»
«Purtroppo no. Su, alzati e segui quest’orda di adolescenti fuori dalla scuola»
Ubbidiente, lo studente si alzò e si unì alla folla verso l’uscita, ma qualcosa lo fece tornare indietro. Camminò controcorrente fino all’insegnante dallo sguardo spento che si stava allontanando dal lato opposto.  
«Professore!» chiamò, mentre alcuni ragazzoni dell’ultimo anno creavano una muraglia insuperabile per lo stretto corridoio.
Jérome, dopo un primo sussulto di stupore, girò la testa e, assottigliando gli occhi in mancanza di occhiali, notò con un certa fatica il profilo alto e magro di Henri sgusciare scompigliato tra due giganti dell’ottavo anno.
Guardò perplesso lo studente rialzarsi e passarsi una mano tra i capelli per riordinarli.
«Professore, volevo chiederle scusa. Non avrei dovuto farle una domanda del genere. Ma è importante che lei non si faccia impressionare da noi studenti»
«Importante?»
Dove voleva andare a parare Henri?
«A domani, professore»
Rapidamente lo studente si lasciò trascinare dalla folla fino all’uscita, lasciando Jérome solo con i suoi pensieri.

«Giornata di…»
«Dannazione, Cendrine, non sono giornate di merda!»
«Va bene, va bene, rilassati però, eh» esclamò la sorella alzando le braccia in segno di resa mentre il fratello si sedeva con rassegnazione.
«Però oggi sento che ti è successo qualcosa»
«Cendrine…» intimò Jérome sbuffando
«Sei di cattivo umore, hai quelle buffa piega in mezzo alla fronte solo quando sei confuso. E non si deve ignorare l’intuito. Ti è capitato qualcosa di sicuro»
L’insegnante restò in silenzio per alcuni istanti.
«Vedi… si è diffusa la voce su Anne e François» spiegò piano.
«Uhm. In effetti capisco che tu sia turbato…»
«Ma la cosa strana» la interruppe Jérome con un sorriso privo d’allegria «è che non mi dà affatto fastidio. Non ricordo neanche più le loro voci, non ci riesco. Ma non voglio che le loro vite vengano sintetizzate in un tentativo di nascondere le loro morti»
«Jérome, devi…»
«Tentare di andare avanti, sì. Ma non posso. Ci penso ogni giorno. Ogni mattina, ogni sera. L’altro ieri ho visto un negozio di modellini d’aeroplani e ho pensato di doverlo dire a François. Io non…» si fermò. Non aveva voglia di andare oltre.
I silenzio era pesante in quella piccola cucina.
«Quindi, sicuro di essere preoccupato per questo?» Cendrine non era convinta.
L’insegnante esitò.
«Be’, ho… quasi fatto sospendere un mio alunno per questa storia»
«Non sentirti in colpa, questi stronzetti devono imparare un po’ di rispetto»
«Mi ha chiesto scusa»
«E ci mancherebbe pure! Già maleducati sono questi caproni, se poi…»
«Henri va molto bene a matematica, è il primo della sua classe, forse dell’intero settimo anno, e non dubito che riuscirebbe a dare ripetizioni a quelli dell’ottavo»
«Uh, ma allora è di questo che si tratta»
Jérome si ricompose perplesso sulla sedia «Di cosa?»
«Che il tuo cocchetto ti ha in qualche modo tradito»
«Ma co… no, assolutamente, non faccio preferenze tra studenti»
«Invece sì, e lo sai benissimo»
«Ma ho fatto solo un paio di lezioni nella classe di Henri!»
«Ti ha colpito subito, infatti. E sei turbato perché ha tentato di stabilire un rapporto più profondo con te chiedendoti del tuo passato»
«Non è vero…»
«Si che lo è!»
«Per l’amor del cielo, sembriamo rimasti a trent’anni fa quando litigavamo per avere ragione!»
«E se ricordi bene, avevo sempre ragione io, alla fine»
«Perché eri prepotente»
Cendrine lo guardò incrociare le braccia divertita.
«Comunque, ho studiato psicologia, fidati, funziona così»
«Non ho molta fiducia negli psicologi. Sono ridicoli quanto i preti, se non di più»
«Certo, a te piacciono solo le cose concrete, somme, divisioni! Anche studiare la mente può portare a risultati precisi»
Jérome non sembrava convinto, pareva molto interessato al pavimento, che continuava a fissare, ma il suo sguardo era lontanissimo.
«In ogni caso, dai a questo ragazzo la possibilità di avvicinarsi a te, magari ti farà bene»
L’insegnante alzò gli occhi, ancora spaesato «Dici, eh?».

I corridoi erano pieni di gente durante l’intervallo. Jérome doveva entrare all’ora successiva, quindi non aveva classi da sorvegliare. Ma per qualche sfortunato motivo era arrivato in anticipo e doveva subirne le conseguenze: schiamazzi e grida adolescenziali ovunque andasse.
Trovò rifugio e silenzio solo nella biblioteca, ma ciò presentava un altro inconveniente.
«Jèrome!» lo raggiunse la voce allegra della bibliotecaria appena entrò.
«Amélie, buongiorno, scusa se non ti ho risposto ieri, dovevo risolvere una faccenda di carattere personale in quel momento e poi mi è passato di mente»
«Nessun problema, figurati» e un sorriso candido illuminò il volto della giovane donna.
Era carina, con lunghi capelli rossi e grandi occhi verdi. Doveva avere sui trent’anni, e quello della bibliotecaria era un lavoro provvisorio nell’attesa di trovarne uno più consono alla laurea in medicina che aveva preso, sapeva Jérome.
«E… la tua risposta?» chiese timidamente Amélie
«Risposta? Oh, all’invito a pranzo, certo» non riusciva a trovare le parole per rifiutare, davvero non gli andava di cominciare una relazione in quel periodo della sua vita; eppure, con un sorriso tirato, rispose solo: «Sì, credo si potrebbe fare»
«Oggi?»
«Mhm, no, avevo promesso a Cendrine che l’avrei accompagnata a fare la spesa prima di pranzo»
«Cendrine?»
«Sì, ehm, è mia sorella. Mi ospita finché non avrò trovato un appartamento. Ne ho visti alcuni da queste parti a basso costo, ma non mi convincono»
«Oh, capisco. Comunque potresti venire a dormire qui. A insegnanti e studenti è concesso, non dovresti neanche pagare»
«Ah davvero?» Quella in effetti non era una cattiva idea, si sarebbe dovuto informare meglio «Non sarebbe male»
Sperava di essere riuscito a sviare l’argomento “pranzo”. Ma aveva sperato troppo presto.
«Allora, magari… domani?»
«…Sì, domani si può fare, sono libero»
Avrebbe dovuto trovare una qualche scusa, dannazione. A salvarlo dagli imbarazzanti attimi di momentaneo silenzio, la porta si aprì di scatto lasciando entrare, o meglio “precipitare”, quello che doveva essere un insegnante, più meno.
«Alain, che ti è successo?» chiese preoccupata Amélie mentre il nuovo arrivato prendeva fiato appoggiandosi ad una parete.
Era un uomo sui trentacinque anni, abbronzato e muscoloso, forse italiano, o comunque marsigliese. Aveva i capelli corti e castani e gli occhi neri.
Ancora col fiatone, scoppiò in una fragorosa risata apparentemente immotivata. Jérome lo studiava con un sopracciglio sollevato.
«La portinaia, Amélie, la portinaia!» biascicò soltanto tra le risate.
«Ma è ubriaco?» sussurrò Jérome alla bibliotecaria
«No, be’, è soltanto un tipo un po’… particolare»
Ripreso il controllo, spiegò: «Sono arrivato in bici, ma ho salutato due studenti che stavano facendo sega e ho perso il controllo dei pedali. Sono precipitato dritto nella portineria della scuola, temo di aver rotto qualcosa, e la portinaia mi ha urlato e inseguito fino ad adesso»
«Non rischia una nota disciplinare?» chiese perplesso Jérome. L’altro sembrò notarlo solo in quel momento e rispose con entusiasmo: «Buongiorno! Io sono Alain Luchini, insegno letteratura francese, sono in questa scuola da un paio d’anni e se non ho avuto richiami fino ad ora non credo ne avrò più.  Invece, non mi sembra di averti visto prima da queste parti, chi sei?» 
«Sono il professor Jérome Mereu, piacere. Ma non ha partecipato ai consigli d’istituto? Penso che mi sarei ricordato di lei, se l’avesse fatto»
«Devo averli persi»
Jérome si sentiva fastidiosamente osservato da quegli occhi scuri, come se l’altro stesse tentando di studiarlo.
«Notevole che insegni letteratura, essendo italiano»
«Curioso che insegni matematica, essendo ingegnere»
«Come fa a saperlo?»
«Hai l’aria dell’ingegnere che insegna per ripiego. E, per favore, diamoci del tu, tra colleghi»
«Come preferisci» Jérome pensava quasi che lo stesse prendendo in giro, ma cominciava ad essere vagamente interessato. Sicuramente quello che si trovava davanti era un soggetto curioso.
Amélie sembrava intenzionata a dire qualcosa, ma venne preceduta dal suono acuto della campanella.
«Pare sia ora» disse risoluto Alain uscendo
«A domani, Amélie» salutò Jérome seguendolo.
«In che classe hai lezione?»
«II B, tu?»
«VI B, sembra che dovremo fare la stessa strada»
Così i due insegnanti si avviarono per le scale. Alain sembrava farsi molto più serio quando si avvicinava il lavoro.
«Esci con Amélie?» chiese poi, curioso.
«Mi ha chiesto di pranzare insieme, sì, ma non ci ho parlato quasi mai. Ti piace? Starebbe sicuramente meglio con te che con me, mi sento un po’ fuori età per lei»
«Oh, no no. Amélie è solo un’amica. E ho comunque 37 anni, forse dovrebbe uscire con il bidello Michel»
«Abbiamo un bidello giovane?»
«Incredibile, eh? Non sono solo donne vecchie e aspre» rise Alain «Fra l’altro, dovrò tentare di non farmi vedere dalla portinaia per un po’, è la peggiore di tutte, sarebbe capace di prendermi a randellate»
Jérome sorrise.
«Toh, eccoci arrivati» le otto classi della sezione B sfilavano eleganti nel lungo corridoio.
«Be’, io mi fermo in quarta, a presto Jérome, magari, quando finirai con Amélie, possiamo pranzare insieme anche noi»
«Con piacere» salutò Jérome entrando in seconda.
Fortunatamente erano ancora piccoli lì, i dodicenni erano molto più accondiscendenti a imparare, sicuramente più predisposti alla “purezza” in quei corpi ancora non nel pieno dell’adolescenza.
Forse fu proprio per questo che, quando l’insegnante entrò tranquillamente, i profili di quattro diciassettenni spiccarono sopra tutti gli altri. Erano di VII D. Tra loro c’era anche Henri Léman.
«Il professor Mathieu è assente, il nostro gruppo è stato diviso qui» spiegò serenamente.
Eppure, qualcosa a quella vista aveva paralizzato Jérome, con la mano ancora ferma sulla maniglia della porta aperta e lo sguardo azzurro indecifrabile. 

NOTE DELL’AUTRICE
Salve a tutti! Grazie per chi è riuscito a leggere fin qui. So che avevo promesso un aggiornamento poco regolare, ma tra un ripasso pre-esame e l’altro non ho resistito e ho scritto il secondo capitolo. Be’, se vi piace, fatemelo sapere, sono ben accetti critiche e commenti (anche negativi, mi interessano i punti che magari non vi piacciono) e comunque sono curiosa di sentire i vostri pareri; quindi, se vi va, se proprio non avete niente di meglio da fare, lasciatemi una recensione anche piccola piccola =)
Be’, non so più che dire per tediarvi, quindi al prossimo capitolo!

 

 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: Sherlocked_96