Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Ricorda la storia  |      
Autore: PandoraSutcliff    17/06/2014    1 recensioni
Sono soldati, ma prima di esse tali, sono uomini e donne. Ognuno di loro ha perso qualcuno per mano dei Titani, persone a cui volevano bene, persone che amavano, persone che, purtroppo, non torneranno mai più. Ciò che non sanno, è che loro non se ne sono andati per sempre, sono lì, e continueranno a vegliare su di loro, come dei silenziosi angeli custodi.
E se in una notte come tutte le altre avessero la possibilità di riabbracciarli in un sogno? Se avessero la possibilità di potersi rivedere dopo anni ed anni di "lontananza"? Cosa potrebbero dirsi? E soprattutto... Chi andrà in sogno a chi?
In questa One Shot ho cercato di riportare le emozioni e le sensazioni che un incontro del genere potrebbe suscitare nei personaggi di uno dei miei manga/anime preferiti, dal quale ho appreso tanti, tantissimi insegnamenti di vita. Spero possiate apprezzarlo...
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
They are dead, but their souls live inside me
 
Avevano abbandonato il distretto di Karanes da almeno una settimana, eppure si contavano solo pochi feriti. Tra meno di una settimana avrebbero fatto ritorno a casa e le possibilità di poter concludere una spedizione senza morti erano decisamente elevate.
Jean sbadigliò assonnato, alzandosi dalla postazione dove era seduto per non addormentarsi.  Erano all’incirca le cinque del mattino, ed il vento gelido della notte non faceva che intorpidirlo ulteriormente. Ancora qualche ora e sarebbero state le sei, così avrebbe potuto smontare il turno di guardia. Si strinse addosso il mantello, camminando avanti e indietro per cercare di scaldarsi e soprattutto svegliarsi. I soldati di guardia ai lati del casolare vegliavano con scrupolosa attenzione il bosco circostante, con cannocchiali alla mano ed orecchie tese. Il silenzio era un qualcosa di surreale, interrotto esclusivamente dai versi dei rapaci notturni e qualche parola scambiata dagli uomini e donne di guardia. Era ormai entrato nell’Armata da oltre due anni, diventando un valoroso ed efficiente soldato. Era addirittura riuscito ad entrare nelle grazie del Caporal Maggiore Rivaille! Aveva imboccato quella continua strada in salita da oltre due anni… Due anni in cui aveva visto l’inferno senza mai tirarsi indietro. Aveva visto i suoi compagni morire sbranati dai titani, venire orribilmente mutilati, eppure questo non l’aveva fermato. Non poteva arrendersi, non poteva deludere sé stesso ne tantomeno i suoi compagni, in particolar modo uno. Infilò la mano in tasca per estrarne la toppa un tempo cucita alla giacca di Marco, sospirando malinconicamente. Chissà se fosse stato fiero di lui, chissà se avesse scelto di entrare a far parte dell’Armata ricognitiva oppure della Polizia Militare. Era stato il primo a credere in lui, forse l’unico. Si morse un labbro, sentendo la gola stretta dal cappio delle lacrime. Erano passati così tanti anni, eppure ogni volta che pensava a lui finiva inevitabilmente per rischiare di piangere.
-Notte fraschetta eh?- chiese una voce alle sue spalle.
Quando Jean si voltò a guardarlo negli occhi, per poco non ebbe un mancamento. Dinnanzi a lui, con addosso la divisa da recluta, Marco lo fissava con il suo solito sorriso raggiante.
-Ma… Marco?!- esclamò shoccato il ragazzo, muovendo qualche passo indietro.
-Ciao Jean!- continuò a sorridere gioioso il moro.
Jean mosse pochi passi verso di lui, osservandolo sempre più sconvolto. Sentiva il cuore battergli all’impazzata e le gambe tremargli.
-Tu… Tu non.. Tu…- iniziò a farfugliare, con gli occhi pieni di lacrime.
Senza smettere di sorridergli, Marco afferrò la sua mano, portandosela al volto. La sua pelle era calda e liscia, ricoperta da una fitta spruzzata di lentiggini. Jean continuò a fissarlo esterrefatto per qualche minuto prima di avvicinarsi lentamente a lui, come se potesse svanire all’improvviso per poi abbracciarlo. Il calore del suo corpo lo inondò violentemente, facendolo scoppiare in lacrime.
-Dio mio Marco! Dove diamine sei stato per tutti questi anni?!- disse, scosso dai singhiozzi.
-Shhh… Calmati. Sono sempre stato qui, non ti ho abbandonato nemmeno per un istante.- rispose piano, accarezzandogli la schiena per tranquillizzarlo.
-Tu… Oddio mio!- continuò a singhiozzare, senza smettere di stringerlo a sé.
-Jean!- lo rimproverò, afferrandolo per le spalle con un gesto brusco. –Il vero Jean non scoppierebbe a piangere come un bambino, quindi smettila.-
-Mi sembra così bello riaverti…- mormorò, tentando di trattenersi.
Marco gli sorrise dolcemente, asciugando le lacrime che non smettevano di solcare il suo volto. Erano anni che vegliava su di lui, che lo proteggeva dall’alto, anni che lo strappava quasi dalle bocche dei titani. Non l’aveva perso di vista neanche per un momento, era sempre rimasto silenziosamente al suo fianco.
-È tutta colpa mia, non sono stato in grado di proteggerti, non ne sono stato all’altezza…-
-Non dire sciocchezze, se devi dare proprio la colpa a qualcuno dalla a me, che non sono stato in grado di sopravvivere, non a te stesso. Tu dovevi bloccare l’avanzata dei giganti e proteggere il distretto di Trost, centinaia di vite, non di certo un singolo soldato.-
-Ma tu non sei un soldato qualsiasi, tu sei Marco.-
Il cielo iniziò a tingersi lentamente di rosa, ed il vento continuava a far svolazzare il mantello verde di Jean al vento, il quale non aveva smesso nemmeno per un istante di fissare i suoi occhi allegri, così scuri che si faceva quasi fatica ad intravedere la pupilla.
-Oh, è quasi l’alba.- commentò Marco, guardando verso est. –Tra poco dovrò andare.-
-Portami con te, non andartene!-
-Jean, fammi una promessa.- disse il ragazzo, poggiandogli una mano sulla spalla. –Io ormai non ci sono più, ma tu devi continuare a vivere per tutti e due. Lotta e devolvi la tua vita alla vittoria dell’umanità. Promettimelo!-
-S… Sì! Io sopravvivrò.-
Il corpo di Marco iniziò a sfumare assieme alla notte, diventando sempre più sbiadito.
-No! Ti prego, non lasciarmi di nuovo! Io ti amo!- urlò Jean, correndo ad abbracciarlo.
Non poteva andarsene, non poteva abbandonarlo di nuovo, non lui, non Marco.
-Ti amo anch’io, e continuerò a vegliare su di te come ho fatto per tutti questi anni. - sorrise il ragazzo, prima di svanire completamente assieme alla notte.
 
 
La settimana del rientro a casa. Tutti i soldati rientravano nelle loro case a turni per un giorno, in modo da non lasciare mai il Quartier Generale a corto di uomini. Per tutta la giornata, Eren non aveva fatto altro che vedere i suoi compagni salutarsi e partire al galoppo verso le loro case, dove le loro famiglie li attendevano a braccia aperte. Tutti, tranne i ragazzi di Shiganshina.
Per lui, Mikasa, Armin, Berthold, Reiner ed Yimir non c’era nessuna casa calda ad attenderli: la loro famiglia era stata uccisa dai titani e le loro case spazzate via. Se buona parte di loro con il tempo aveva imparato a farsene una ragione, ogni qualvolta Eren ripensava a casa sua, inevitabilmente quella scena agghiacciante piombava nella sua mente, facendogli rivoltare lo stomaco. Un gemito di angoscia si liberò dalle labbra del ragazzo, facendolo rigirare nel suo letto per la millesima volta con gli occhi sbarrati e fissi. Non ce la faceva, non ce la faceva proprio. Il sonno non sembrava proprio volerlo accogliere tra le sue calde braccia. Si alzò stizzito dalla sua branda, afferrando il mantello piegato ai piedi per poi indossarlo rapidamente ed uscire silenziosamente dalla camerata. Non appena chiuse la porta, si ritrovò faccia a faccia con Mikasa.
-Mikasa?! Che diamine ci fai qui?!- bisbigliò concitatamente.
Indossava una camicia da notte, la mantella della divisa e le sue scarpe in pelle marrone. I capelli erano ancora arruffati ed al collo portava la sua preziosa sciarpa rossa.
-Non avevo sonno, mi rigiravo e rigiravo nel letto mille volte. Vedere le brande vuote di Christa, Sasha e le altre che sono partite mi ha fatto riflettere… Sai, loro sono a casa loro ed io ne ho perse due, così sono venuta qui per vedere se eri sveglio. Volevo chiederti se avevi voglia di fare due passi e tenermi compagnia, magari in cortile. Fa caldo qui dentro.-
-C’è il coprifuoco, come hai fatto a raggiungere il dormitorio maschile?-
-I corridoi sono deserti, non c’è nessuno.-
Eren le scoccò un’occhiata perplessa prima di accettare la sua proposta. I due fratelli percorsero in silenzio i corridoi del Quartier Generale, senza fiatare, affrettandosi a raggiungere il cortile interno. La quiete era impressionante. Non un uomo di guardia, non un rumore. Sembrava deserto. Quando finalmente i due ragazzi raggiunsero il cortile interno ebbero un sussulto: seduta su una panchina, una donna sulla trentina dai lunghi capelli castani li guardava sorridente, avvolta da una lieve aura luminosa.
-Mamma…-sbiascicò Eren, fissandola shoccato.
-Eren! Mikasa! I miei ragazzi!- esclamò la donna, sorridendogli.
I due rimasero perfettamente immobili, con gli occhi sbarrati e fissi. Carla li guardò a lungo prima di scoppiare a ridere e correre ad abbracciarli.
–Dio mio, siete diventati così grandi!- continuò, stringendoli a sé.
-Carla…- mormorò Mikasa, ricambiando il suo abbraccio con gli occhi pieni di lacrime.
-Sono passata a vedere come stavate. Ma guardatevi, siete irriconoscibili!- sorrise lei.
-Perché hai lasciato che Hannes ci portasse via? Perché non hai lottato?!- disse Eren liberandosi bruscamente dalla sua presa –Perché hai lasciato che quel bastardo ti ammazzasse?!-
-Eren…- mormorò perplessa la donna, notando che dagli occhi del ragazzo avevano iniziato a scorrere fiumi di lacrime.
-Non eravamo altro che bambini, avevamo bisogno di te!- continuò a sbraitare, piangendo a dirotto.
-Eren calmati!- disse infine Carla, alzando il tono della voce.
Solo quando il ragazzo smise di parlare, finalmente la donna prese la parola con calma. –È vero, eravate due bambini, ma vi ricordate quel titano? Quante possibilità poteva avere uno come Hannes, che si è unito alla Guarnigione per vivere al sicuro nelle mura ed è ubriaco un giorno sì e l’altro pure? Cosa avrei dovuto fare? Lasciare che quella cosa uccidesse tutti e tre?-
Eran abbassò lo sguardo, stringendo le mani a pugno: che diamine gli era preso?!
-Scusa mamma… Ho perso il controllo.- mormorò, abbandonandosi sulla panchina.
-Sei sempre stato una testa calda, e soprattutto un gran testardo. Alla fine sei entrato nell’Armata…-
-Ho cercato di proibirglielo.- disse con il suo solito tono monocorde Mikasa.
-Non dire stupidaggini! Mi hai solamente seguito quando annunciai di volermi unire alla Legione Esplorativa!- riprese a sbraitare Eren.
-Ah ma insomma, volete finirla voi due?- rise Carla, scompigliando i capelli di entrambi.
I ragazzi si guardarono ancora un po’ sottecchi prima di assecondare la risata della donna, riappacificandosi da quel “litigio” insignificante come pochi.
-Siete stati coraggiosissimi a crescere da soli, senza né me né vostro padre. Sono orgogliosa di voi, ragazzi miei. Chissà a quali orrori avrete assistito… Eppure non vi siete arresi. Guardatevi, adesso siete diventati dei soldati, siete diventati le Ali della Libertà! - sorrise.
-Non è stato facile, ci siamo dovuti guardare le spalle a vicenda.- affermò Eren.
-Qualsiasi cosa accada, ragazzi miei, non dimenticatevi che io sarò sempre con voi. Sarò la folata di vento che vi scompiglia i capelli quando sarete tristi, il segnale di ritirata quando tutto andrà male, il coraggio che vi spingerà ad andare avanti. Sarò la Luna che illuminerà le vostre notti buie.-
Il rosa pallido dell’alba iniziò a fare capolino ad est, facendo incupire il volto di Carla.
-Adesso devo andare, ma promettetemi una cosa: non abbandonatevi mai ed abbiate sempre cura l’uno dell’altra, perché ad ognuno di voi non è rimasto che l’altro.-
L’immagine di Carla si faceva sempre più sbiadita, sempre più lontana, come la luna che scompariva al di là delle mura.
-No, aspetta!- urlò Eren, cercando di afferrarla –Non andare via di nuovo!-
-Io non me ne sono mai andata.- fu l’ultima frase che pronunciò la donna prima di dissolversi nell’alba, con il suo dolce sorriso dipinto sul volto.
Quando il ragazzo si voltò verso Mikasa, la ragazza corse ad abbracciarlo in preda ai singhiozzi, mentre le parole di sua madre continuavano a rimbombare nella sua mente “Adesso devo andare, ma promettetemi una cosa: non abbandonatevi mai ed abbiate sempre cura l’uno dell’altra, perché ad ognuno di voi non è rimasto che l’altro”.
 
Si tolse il mantello per poi riporlo ordinatamente su una gruccia, liberandosi poco dopo delle imbragature. Aveva riconsegnato con estrema gioia l’attrezzatura da manovra poco dopo il rientro al Quartier Generale, e poter finalmente dormire con addosso un pigiama e non una divisa sporca era una sensazione fantastica. Dopo anni ed anni passati nell’Armata, per Levi era sempre un supplizio dover tenere gli stessi panni addosso per giorni. La tremolante luce della lampada ad olio illuminava la sua modesta stanza singola, uno dei pochi vantaggi di essere un Caporal Maggiore: niente più camerate in comune. Si liberò anche della giacca per poi afferrare dei vestiti puliti ed uscire dalla sua stanza, direzione bagno. Era abbastanza tardi, lo poteva intuire dall’assenza di soldati per i corridoi, se non quelli incaricati alla sorveglianza. Era rimasto sveglio fino a quell’orario per iniziare i rapporti di spedizione in modo da trovarsi avvantaggiato, mettendo in secondo piano addirittura qualcosa di così fondamentale come l’igiene. Salutò i vari uomini con un cenno del capo, desideroso di raggiungere rapidamente i bagni e darsi una lavata. Non appena tentò di accelerare il passo, una dolorosa fitta alla caviglia sinistra gli fece digrignare i denti infastidito.
-Dannata caviglia…- ringhiò, continuando la sua avanzata.
Nonostante fosse guarita perfettamente, riprendeva a fargli male sempre nei momenti più inappropriati, come nel bel mezzo di un combattimento o nel tentativo di raggiungere il bagno per potersi lavare. Scese la prima rampa di scale con relativa rapidità, permettendosi addirittura di saltare l’ultimo scalino. Il dramma di quel castello erano sicuramente la miriade di scale e corridoi, che per un novellino potevano trasformarsi in un vero e proprio labirinto. Non appena giunse al pian terreno, delle risate familiari provenienti dalla sala da pranzo attirarono la sua attenzione. Davvero qualcuno poteva essere sveglio a quell’ora? Riusciva a distinguere delle voci per lo più maschili, dalle quali spiccava anche una voce appartenente ad una donna. Quando aprì la porta per verificare di chi si trattasse, rimase letteralmente pietrificato. Petra, Oruo, Eld e Gunther stavano allegramente dialogando, seduti tranquillamente a tavolino.
-Oh, Caporal Maggiore! Ci scusi se abbiamo fatto rumore, ma è da tanto che non veniamo più qui...- si giustificò Eld, non appena lo vide entrare.
-Sì, ci scusi se siamo stati rumorosi.- fece eco Gunther, accennando un sorriso.
Levi rimase immobile sulla porta, gli occhi fissi e sbarrati.
-Caporal Maggiore si sente bene?- chiese apprensiva Petra, alzandosi dalla sua sedia.
-Davvero, cosa le è successo? Si sieda, abbiamo fatto del the.- disse Oruo, facendo cenno di raggiungerli.
L’uomo deglutì impercettibilmente, chiudendosi la porta alle spalle per poi raggiungere la sua squadra. Si sedette a capotavola come sempre, facendo vagare il suo sguardo su ognuno di loro: non erano cambiati di una virgola. Erano sempre loro, gli stessi di sempre.
-Ci scusi se siamo stati assenti per tutto questo tempo, ma sapevamo che le sarebbe servito del tempo per potersi abituare all’idea che noi non ci fossimo più.- aggiunse Petra, versandogli del the.
Del tempo? Non si sarebbe mai abituato all’idea di averli persi per sempre! E poi, che diavolo stava succedendo?! Loro erano lì, e… Petra. Petra era solare come sempre. Quel sorriso così dolce, quello sguardo così gioioso…
-Com’è possibile?- chiese, con un lieve tremore nella voce.
-Come sarebbe a dire com’è possibile?- chiese a sua volta Oruo.
-Voi… Perché siete qui?-
I quattro si guardarono tra di loro, sorridendo enigmaticamente. 
-Siamo qui per lei. E soprattutto, perché Petra voleva parlarle.- disse Gunther, prima di alzarsi dalla sedia seguito da Eld ed Oruo, lasciando soli Levi e la ragazza.
Il Caporal Maggiore fece un lungo tremante sospiro prima di afferrare la sua tazza di the e darle un lungo sorso, senza togliere lo sguardo dalla donna dinnanzi a lui. Dio quanto gli mancavano, soprattutto la dolce Petra. Il suo sorriso spensierato, la sua devozione nei suoi confronti… Ogni qualvolta riusciva a captare una velatura di malinconia nel suo sguardo inespressivo, si trasformava nella sua ombra: bastava un suo solo sorriso ad eliminare la malinconia dallo sguardo del glaciale ed impenetrabile Rivaille.
-In tutti questi anni ho visto morire centinaia di uomini e donne, compagni, amici, quasi fratelli. Voi eravate i migliori, selezionati personalmente da me per diventare la mia squadra.- fece una pausa, spostando lo sguardo in un punto fisso nel vuoto –Non passa giorno nel quale io non pensi a voi.-
Le parole sembravano morirgli in gola. Non si era mai sentito così vulnerabile in vita sua. La ragazza gli sorrise dolcemente prima di sedersi accanto a lui, poggiandogli una mano candida sul volto. A quel contatto, Levi ebbe un sussulto: le sue mani erano ruvide, callose, rovinate dalle battaglie, non di certo le mani che ci si aspetterebbe da una ragazza tanto delicata. Sentire quella mano a contatto con la sua guancia era una sensazione strana, quasi aliena. Da quanto qualcuno non gli carezzava il volto?
-Lei è uno degli uomini più forti che io abbia mai visto, so che troverà la forza di voltare pagina. Deve trovarla, l’Armata ha bisogno di lei e delle sue incredibili risorse.-
-Petra, io trovo le forze per rialzarmi da anni, ormai. Stavolta è diverso. Da quanto ci conoscevamo? Da quanto lavoravamo assieme ogni giorno? Voi non eravate solamente la mia squadra.-
Petra gli afferrò improvvisamente una mano, facendogli alzare lo sguardo su di lei.
-Levi, voglio essere sincera con te. Dal primo istante in cui ti vidi, prima ancora di diventare una recluta, capii che il mio posto era nell’Armata al tuo fianco. Ho lottato, ho subito gli allenamenti più duri per poter entrare nella tua squadra, per poter lavorare fianco a fianco con il leggendario Caporal Maggiore Rivaille. Sei sempre stato il mio modello, il mio eroe… Il mio faro, malgrado il tuo caratteraccio che ho imparato a conoscere negli anni. So che puoi rialzarti, fallo per la Legione Esplorativa, per noi. Fa’ che le nostre morti non siano state inutili.-
In quel momento, lo sguardo di Levi perse immediatamente la sua inespressività. Il suo spirito combattivo riemerse violentemente, travolgendolo come un fiume in piena. Un lieve sorriso andò ad inarcare le sue labbra, scatenando una risatina nella ragazza.
-Miracolo, il Caporal Maggiore ha sorriso!- esclamò, continuando a ridere.
-Sì, hai ragione. Solo tu eri in grado di farmi sorridere, le rare volte in cui accadeva.- disse Levi, afferrandole le mani –E io non ti ho mai ringraziato.-
Petra gli sorrise dolcemente, arrossendo appena.
-Mi ringraziavi ogni volta con quegli impercettibili sorrisetti.-
Senza dargli il tempo di ribattere, Petra gli si tuffò addosso, abbracciandolo quasi a tradimento. Mai si sarebbe aspettata di sentire le braccia dell’uomo ricambiare l’abbraccio, stringendola a sé con tutta la forza che aveva. Il profumo di lei lo avvolse con la stessa intensità del suo abbraccio, facendolo quasi commuovere. Non era stato in grado di proteggerla, e lei se n’era andata via per sempre. Morta per eseguire un suo ordine, morta per la gloria dell’Umanità. In tutti quegli anni non era mai stato in grado di dirle cose realmente provava per lei, era morta senza sapere che i suoi sentimenti erano ricambiati. Senza che Levi se ne accorgesse, il buio fuori dalla finestra iniziò a svanire, lasciando il cielo all’alba.
-Oh no… È giorno…- mormorò Petra, sottraendosi delicatamente al suo abbraccio.
La sua figura iniziò lentamente a sfumare, andando via via schiarendosi. No… Non poteva andarsene, non poteva perderla di nuovo!
-Ci rivedremo Levi, lo giuro.-
-Petra, aspetta!-
Tentò di afferrare la sua mano, ma ormai l’alba l’aveva portata via assieme all’oscurità.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
 
Salve a tutti! Questa è la mia prima fan fiction su Shingeki no Kyojin, mia grande passione da mesi, ormai. Ho tratto l’ispirazione per questo capitolo decisamente deprimente dalle parole di un mio caro amico, come lo definisco io un senpai/sensei: “Loro non sono morti, loro sono e rimarranno per sempre al nostro fianco.”
Ecco il perché di questa One Shot. Non ha un finale vero e proprio, ho preferito lasciarla così. Cosa penseranno, proveranno o faranno al loro risveglio lo lascio alla vostra immaginazione, che immagino sia più fervida della mia, impigrita da questo clima uggioso.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto <3
 
Pandora Sutcliff
 
GRAZIE PER AVER LETTO!
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: PandoraSutcliff