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Autore: dilpa93    17/06/2014    3 recensioni
"La speranza è un essere piumato che si posa sull'anima e canta melodie senza parole e non si ferma mai"
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexis Castle, Kate Beckett, Martha Rodgers, Quasi tutti, Rick Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Gli amanti
-Parte prima-


 


5 settimane prima
 
 
Il suono dei tacchi risuona particolarmente vivace sul parquet del distretto. Cammina veloce con Castle al suo fianco fermandosi davanti alla lavagna dove risaltano ancora la timeline e gli indizi raccolti dal ritrovamento del cadavere di Stanley Cooper.
Appena dietro di loro Ryan ed Esposito scortano l’indiziato nella sala interrogatori. Le loro mani si stringono con forza ai suoi avambracci riempiendo di grinze la giacca del completo scuro. Un occhio ben allenato avrebbe di certo dedotto che doveva trattarsi di un abito cucito su misura.
“Non capisco come abbiamo potuto non accorgercene prima.” Sospira Kate poggiandosi con la schiena al bordo della scrivania. Si sostiene con le mani al legno freddo puntando lo sguardo sulla foto di Elijah Gordon illuminata dalle luci al neon. I suoi piccoli occhi scuri sembrano indagarla a fondo e si sente percuotere da un brivido, una sensazione di disagio che aveva provato sin dalla prima volta che l’aveva vista e a cui avrebbe dovuto dare retta.
“Non incolparti. Nessuno avrebbe potuto sospettare di lui.” La bacia sul capo mettendosi poi al suo fianco, coprendole la mano con la sua.
“Beckett, Gordon è pronto per l’interrogatorio. Vuoi che ce ne occupiamo noi?”
“Grazie ragazzi, ma entro io. La Gates vuole che terminiate i vecchi rapporti.” Afferra la cartellina color senape vicino alla cornice che protegge la foto di lei e suo padre. Cercando la penna si trova costretta a sollevare i fogli che ancora le ricoprono la scrivania, non avendo trovato un attimo, dall’inizio del caso, per riordinarli.
“È incredibile che stiamo ancora pagando per quello stupido scherzo.” Si lamenta l’ispanico andandosi a sedere svogliato alla sua postazione. La pila di fascicoli di cui è costretto ad occuparsi sembra non essere diminuita rispetto alla scorsa settimana.
“Mi chiedo per quale motivo non ti sia beccato anche tu la punizione?” Sbraita Ryan incrociando le braccia al petto e guardando con disappunto lo scrittore.
“Beh, primo, io tecnicamente non lavoro qui e, secondo, ero io la vittima dello scherzo.”
 
Il tonfo aveva probabilmente richiamato l’attenzione anche dei tecnici rintanati come di consuetudine ai piani inferiori. Si era ritrovato praticamente a gambe all’aria e con uno strappo nei pantaloni che lasciava intravedere molto di quello che Kate considerava suo territorio privato.
“Ah-ah, divertente ragazzi”, aveva mormorato rialzandosi e controllando i danni. La sedia era distrutta e le viti mancanti erano ora in bellavista nella  mano del detective irlandese. “Scherzo vecchio, già visto.” Si era massaggiato la coscia, aggiustandosi poi il colletto della camicia.
“Sarà anche già visto, ma fa ridere ogni volta.” Aveva bofonchiato Esposito non trattenendo una risata.
“Detective”, apparsa come dal nulla, sulla soglia del suo ufficio, il capitano li aveva guardati con sguardo truce e severo tenendo gli occhiali sospesi a mezz’aria avendo tra l’indice e il pollice la sottile asta in metallo. “Nel mio ufficio, ora!”
“Questa si che è una cosa mai vista”, aveva replicato, in un certo qual modo rincuorato, Castle.
Erano stati dentro una decina di minuti. Attraverso le veneziane era riuscito a scorgere i due colleghi con il capo chino, inermi e silenziosi davanti alla sfuriata del capitano. Altre volte li aveva richiamati all’ordine, evidentemente i precedenti avvisi non avevano dato i loro frutti. L’unica cosa che le dispiacque fu di non poter punire anche lo scrittore, ma, conoscendoli ormai da anni, era certa che una situazione a lei favorevole si sarebbe presentata presto.
Poche ore e le scrivanie dei due detective si erano ritrovate ad ospitare fascicoli di casi irrisolti e rapporti mai scritti o incompleti. Non potevano credere di doversene occupare dopo tutto l’impegno assunto per poter risolvere quegli stessi casi, ma la Gates era stata irremovibile, quel compito spettava a loro.
 
“Ragazzi smettetela, ma quanti anni avete, dodici? Mettetevi al lavoro prima che la Iron esca dal suo ufficio e prolunghi la punizione di qualche settimana.”
L’irlandese sbuffa sedendosi, lasciandosi poi andare sullo schienale. Lancia uno sguardo alla foto sulla sua scrivania spostandolo poi sull’orologio da polso. Aveva tutt’altri piani per la serata, non può non pensare a sua moglie ad aspettarlo a casa, sul divano, in quel vestito nuovo che gli ha detto di aver comprato apposta per l’occasione. I capelli sciolti in cui poter passare le sue dita mentre la bacia, il profumo inebriante che avrebbe reso ancor più difficile stare lontano dalle sue labbra e dal suo corpo, piacere che lei gli negherà dal momento che sarà costretto a darle buca.
“Ehi, se non cominci domani mattina sarai ancora qui!” Lo schernisce il compare scuotendolo dal torpore e dal film mentale in cui si era rinchiuso.
“Qualcosa non va Ryan?” Domanda premurosa Kate passandogli accanto e posandogli una mano sulla spalla. A seguito della maternità è diventata molto più sensibile e, pur essendosi sempre preoccupata per la sua squadra, la dose di apprensione sembra essere decisamente aumentata.
“Dovevo uscire a cena con Jenny stasera. Mi ucciderà quando la chiamerò per disdire, le avevo promesso che non avrei mai mancato un anniversario.”
“Cosa fai ancora qui allora?”
“Beckett, lo hai detto tu, abbiamo i rapporti da compilare.”
“Coraggio, vai. Ci penserò io ai tuoi rapporti appena ottenuta la confessione.”
“Non direi proprio.” La voce profonda di Rick attira l’attenzione del terzetto. Beckett incrocia il suo sguardo in una di quelle loro conversazioni silenziose che hanno avuto modo di perfezionare negli anni. Sembra arrabbiata, con il viso imbronciato, incapace di credere che proprio lui si sia opposto al suo tentativo di aiutare un collega, di aiutare un amico che per lei avrebbe fatto lo stesso.
Dal canto suo Castle non riesce a capire come mai quegli sguardi perplessi ed irritati, almeno fino a  quando non intuisce che, per l’ennesima volta, i suoi pensieri siano andati più veloce di quanto abbiano fatto le sue parole. Si mette immediatamente sulla difensiva, alzando le mani come se bastassero a proteggerlo dallo sguardo inceneritore della moglie a qualche passo da lui e si affretta a spiegare. “È vero, odio occuparmi delle scartoffie, ma per una volta posso fare un’eccezione. Kate, finito l’interrogatorio vai a casa, è tutto il giorno che non vedi Madison, ha bisogno di stare con sua madre. Io ti raggiungo appena avrò finito.”
Cala improvviso il silenzio, fatta eccezione per il ronzio del fax e i telefoni che non danno mai un attimo di tregua agli agenti del 12th.
La detective si morde l’interno della guancia, maledicendosi per aver pensato, anche solo per un istante, che Rick potesse davvero essere così egoista. Rattrappisce le dita dei piedi cercando di trattenersi dall’andarlo a baciare lì, proprio di fronte all’ufficio del capitano.
“Siete sicuri?” La voce titubante di Ryan, nonostante nella mano sinistra, nascosta sotto la scrivania, stringa già la sciarpa pronta per essere indossata, permette a Kate di ritrovare un minimo di controllo, cosa che l’inspirare a fondo non era riuscita a fare.
“Vai prima che cambi idea.” Borbotta Rick. Sul volto gli spunta un sorriso quando guarda il detective precipitarsi, ringraziando, verso l’ascensore, mentre con movimenti rozzi e meccanici cerca di infilarsi il cappotto il più velocemente possibile. Le porte si chiudono e, andando a sedersi alla scrivania del compagno di giochi, fa appena in tempo a vedere il corpo della moglie sparire oltre la porta della sala interrogatori.
“È incredibile che siano già passati cinque anni dal matrimonio”, commenta Javier.
“È incredibile che lui si sia sposato prima di me.” Sembra quasi irritato mentre giocherella con la fede in oro bianco che gli adorna l’anulare sinistro da ben due anni.
“Se guardiamo l’aspetto tecnico tu ti eri già sposato due volte.”
“Ah, non me lo ricordare. Due sbagli, uno peggio dell’altro.”
“Per lo meno ti sarai divertito in... determinate occasioni”, ammicca, arricciando poi le labbra e muovendo davanti a sé le mani delineando fluide curve. Castle lo guarda scocciato, sorprendendo persino se stesso dall’essere indispettito da un commento che fino a qualche anno fa avrebbe apprezzato e per cui non si sarebbe trattenuto dal vantarsi e, con inaspettata rapidità, colpisce l’amico in pieno viso con una pallina di carta. “Pur non capendone la logica, se Kate ti sentisse mi spetterebbe almeno una settimana di divano, mentre tu te la caveresti con uno scappellotto.”
Kate è particolarmente sensibile all’argomento “ex mogli” e ai commenti che i suoi colleghi non si astengono dal fare, nonostante non abbia nulla da invidiare loro e sappia bene che Rick non la guarderà mai come se fosse la terza moglie, non la considererà mai un ripiego, ma la tratterà sempre come la donna giusta, l’unica, colei che non viene dopo nessuno e che non deve temere i fantasmi del passato. Ma in questo momento la detective ha qualcosa di più importante di cui occuparsi che pensare a sorprendere con un agguato Esposito sperando che, all’ennesimo scapaccione, ingoi la lingua insieme alle numerose sciocchezze cui continua a dar vita grazie a questa.
Nella stanza degli interrogatori, Elijah Gordon sembra quasi divertito dalla situazione. Da quando lo hanno lasciato solo non si è tolto, neanche per un istante, quel sorrisetto ipocrita dal viso.
Kate rimane a fissarlo al di là dello specchio, chiedendosi se lui sappia della sua presenza, se quel suo atteggiamento spavaldo mentre si rilassa contro lo schienale freddo e scomodo della sedia dipenda dal suo essere a conoscenza del fatto che, oltre quella vetrata apparentemente vuota, ci sia qualcuno ad osservarlo.
Il linguaggio del corpo sembra indicare che probabilmente si aspettava di essere preso, forse consapevole, sin dall’inizio, che non sarebbe riuscito a farla franca. Addirittura dal suo sguardo, che era riuscito a metterla a disagio dalla prima volta in cui aveva visto la sua fotografia, le pare quasi sollevato. Possibile che non aspettasse altro che trovarsi lì, in quella stanza, insieme a lei?
Scacciando quelle domande, a cui non riuscirà a dare risposta restando immobile a fissarlo, abbassa la maniglia entrando con la sua solita aria impassibile, sedendogli poi di fronte ed accavallando con estrema eleganza le gambe. Apre il fascicolo girandolo e sospingendolo verso di lui. Un foglio bianco, una penna e i referti che, senza alcuna ombra di dubbio, avvalorano la sua colpevolezza. L’uomo si sporge in avanti, inarca le sopracciglia e si accomoda nuovamente.
“Cosa dovrei fare detective?”
“Per cominciare potrebbe scrivere la sua versione dei fatti e firmarla, dopo di che, una volta che l’avrò letta, la lascerò nelle mani dei miei colleghi che si occuperanno di lei fino al suo trasferimento. Sempre che questo, ovviamente, non le dispiaccia.” Aggiunge con ironia e sguardo pungente.
“Oppure?”
“L’alternativa è semplice, anche se non molto diversa. Potrei raccontarle come si sono svolte le cose secondo me e secondo quanto ci dicono le prove raccolte, il che richiederebbe più tempo, ma di certo nulla di tutto questo le potrà impedire di finire in galera.”
“E se invece decidessi di chiamare il mio avvocato? Mi era apparso di sentire, tra i miei diritti, questa possibilità.”
“È un uomo attento signor Gordon. Può chiamare il suo avvocato se vuole e potremmo ascoltarlo entrambi mentre cercherà di portarci ad un patteggiamento. Tuttavia, se desse un’occhiata a questi”, l’attenzione di Gordon si sposta su tabelle, numeri, fotogrammi, nomi improbabili di agenti chimici e chissà cos’altro, stampati nero su bianco sui fogli che ora Kate sta indicando con l’indice dopo averci picchiettato sopra, con l’unghia, un paio di volte. “Capirebbe che un patteggiamento sarebbe pressoché impossibile da ottenere.”
“Sa una cosa? Mi ha convinto.” Lascia scattare la molla della biro avvicinando la punta al foglio ancora immacolato, ma, prima che una sola lettera possa imprimersi sulla carta, ritira la mano cominciando a giocare distrattamente con la penna.
“Qualcosa non va?”
“Oh no, nulla, solo...”
“Solo?”
“La sto innervosendo detective?” Domanda compiaciuto, sentendo il costante tamburellare delle dita di Kate sul tavolo e la vena del suo collo pulsare ritmicamente. La detective non risponde alla gratuita provocazione, ma il tic con cui tormenta la fede con il pollice della stessa mano vale quanto una risposta agli occhi attenti del chiromante. “In ogni caso”, riprende divertito facendo precedere al continuo della frase una lieve risata, come un accompagnamento accennato alla chitarra appena prima di una nota. “Avrei una richiesta, scriverò la confessione se mi permetterà, al termine, di farle una breve lettura delle carte. Non chiedo altro. In fondo non si nega mai l’ultima sigaretta ad un condannato a morte.”
Non sa per quale motivo abbia accettato e si sia lasciata convincere. La sola cosa che vuole è chiudere il caso, uscire da quella sala dove, per un inspiegabile motivo, le luci al neon le stanno irritando gli occhi, afferrare sciarpa e cappotto, lasciare un bacio sulla guancia di suo marito e tornare a casa dove lo aspetterà in completo relax sul divano in compagnia della loro bambina. Stesso divano sopra il quale, una volta messa a dormire la piccola, saprà ringraziarlo a dovere per averle risparmiato le scartoffie permettendole così di tornare a casa ad un orario decente per la prima volta durante l’intera settimana.
Gordon continua a scrivere, portando Kate a chiedersi se stia scrivendo la sua autobiografia o se sia solo la sua immaginazione a giocarle brutti scherzi. Con disinvoltura lascia cadere lo sguardo sull’orologio di suo padre, parzialmente nascosto dalla manica del maglione. Non era solo una finzione elaborata dalla sua mente stanca, è passato ormai quasi un quarto d’ora da quando Elijah ha preso in mano la penna.
“Bene, ho finito”, come fatto da lei in precedenza all’inizio di quella conversazione, anche lui poggia la mano sulla cartellina. Il cartoncino sottile, sfiorando la superficie del tavolo, produce un gracchiante fruscio, come quello del vento che, d’inverno, attraversa le onde delle acque negli Hampton.
Legge rapidamente, alza solo ogni tanto lo sguardo come per assicurarsi che Gordon sia ancora lì. Gli occhi saltano da una riga all’altra arrivando velocemente all’ammissione di colpa. Chiude il fascicolo soddisfatta, sospingendosi all’indietro così da potersi alzare. “Due agenti la scorteranno in cella, tra qualche ora verrà trasferito al penitenziario.”
“Aspetti”, la sua voce greve la blocca a pochi passi dall’uscita, “io ho mantenuto i patti detective, ora tocca a lei.” Voltandosi il suo sguardo si incatena come ipnotizzato alle carte che Gordon sta mischiando. Le porta sempre con sé, chiuse nella tasca interna della giacca. Come portafortuna, come ricordo degli anni passati e dei suoi inizi. Della sua scalata verso il successo che è finita con un tuffo nel precipizio.
Le fa scorrere tra le dita con agilità, come se avessero vita propria. Arresta di colpo quei fluidi movimenti, facendo così fermare, per qualche secondo, il respiro di Kate. Ripone il mazzo sul tavolo alzando le carte una ad una. Nonostante il bianco del bordo abbia ormai lasciato il posto ad un giallo slavato, i colori delle figure ancora risaltano sotto la bianca luce artificiale.
Guarda riluttante quelle carte, il suo scetticismo è più che evidente. Che fra esse ci sia la morte non la preoccupa minimamente. Delle altre, ad esclusione degli amanti, non ne conosce il significato e, del resto, non è interessata a scoprirlo.
Incrocia le braccia al petto sfidandolo con lo sguardo. “Bene. Abbiamo finito”, non gli permette di spiegarle il senso di quelle figure a lei sconosciute e, non appena apre la porta, due agenti in divisa entrano avvicinandosi immediatamente a lui. Kate prova piacere nel sentir scattare le manette attorno ai polsi di Elijah. “È il suo futuro detective, buon divertimento”, sghignazza mentre di peso viene portato fuori.
“Alquanto inquietante”, mormora Rick cogliendola di sorpresa. “Mai quanto te quando mi compari così alle spalle. Non dovresti essere alla scrivania o ci hai già ripensato?”
“Ho promesso di aiutarti e non mi tiro indietro, ero solo curioso, mi piace guardarti durante gli interrogatori è... eccitante”, bisbiglia al suo orecchio prima di lasciarle un casto, forse fin troppo, bacio sulla guancia. “e poi quella cosa dei tarocchi, non sei curiosa?”
“Neanche un po’ Castle”, lo lascia indietro incamminandosi verso la sedia dove il suo cappotto è appoggiato, “sono più curiosa di andare a casa e assicurarmi che tua figlia non abbia combinato qualche guaio con il suo gattonare.”
“Quando combina qualche guaio è mia figlia, eh?”
“Si”, borbotta sorridente sulle sue labbra. “Vado, cerca di non fare tardi.”
“Sarò a casa prima che tu possa sentire la mia mancanza.”





Diletta's coroner:

Buonasera!
Si torna indietro di qualche settimana per capire cosa abbia scatenato di preciso il sonno agitato di Kate...

Non so mai cosa scrivere, quindi mi eclisso, ma prima un ringraziamento speciale a Monica che ha betato tutto! *-*
Baci
  
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