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Autore: SunriseNina    17/06/2014    2 recensioni
Tra lui e Riou scorreva una terribile mescolanza di complicità, casualità, finzione e incomprensibili –o solamente inesprimibili?- emozioni.
La necessità di ucciderlo si faceva sempre più pressante.

Anno 1788, Parigi. Monarchia di Luigi XVI.
Il destino di Light Dieunuit subisce una svolta improvvisa, quando entra in possesso del terribile dono di un misterioso discepolo del dio azteco Xolotl. Borghese rivoluzionario, capisce immediatamente come sfruttare il potere di decretar la morte per le persone a suo piacimento.
La città di Parigi è scossa dalle morti di numerosi funzionari regi e nobili altolocati: il Re scatena contro questo assassino amico della rivoluzione un investigatore dalle capacità straordinarie perché indaghi sulla serie di morti.
Tumulti, ribellioni, proteste: in questo scenario pittoresco e settecentesco un amore tormentato unirà un'improbabile coppia di giovani uomini, sconvolgendo e intersecando le loro vite per sempre.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: L, Light/Raito, Misa Amane, Soichiro Yagami | Coppie: L/Light
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Demoni e meraviglie
Venti e maree
Lontano di già si è ritirato il mare
E tu
Come alga dolcemente accarezzata dal vento
Nella sabbia del tuo letto ti agiti sognando
Demoni e meraviglie
Venti e maree
Lontano di già si è ritirato il mare
Ma nei tuoi occhi socchiusi
Due piccole onde son rimaste
Demoni e meraviglie
Venti e maree
Due piccole onde per annegarmi.
  
 Jacques Prevert





Light misurava a lunghi passi il perimetro della stanza, evitando alcuni mobili addossati alla parete: una piccola libreria più larga che alta, due stretti letti divisi da un comodino, un minuscolo tavolino rotondo su cui era poggiato un vaso vuoto e scheggiato. A grandi linee questo era ciò di cui la stanza era composta: l’unico mobile che osava staccarsi dalle pareti era una mastodontica scrivania che troneggiava al centro della stanza. Per le dimensioni e lo stile più raffinato del resto dell’arredamento attirava tutta l’attenzione a sé, quasi annullando il resto del monolocale.
«Come vi dicevo, il braciere e la cucina sono al piano inferiore, nel retro del mio negozio.» spiegò con solerzia il proprietario di casa «Capisco che potrebbe risultare più scomodo, ma si evitano molti problemi legati alla fuliggine e all'odore.»
Light pensò che quella stanza, affacciata su una via dove i pescivendoli strillavano tutto il giorno, non avrebbe potuto avere un odore peggiore, ma si guardò bene dal dirlo.
«Potrebbe risultarvi addirittura più comodo, se ad esempio vi preparassi io i pasti e ve li portassi. Ovviamente costerebbe di più.»
Light scosse la testa: «Non si preoccupi, ci penseremo noi. Vedremo di non darle fastidio e di non invadere eccessivamente il suo spazio.»
L'idea di avere nuovamente qualcuno che si curasse dei suoi pasti lo allettava come un piacere soave, ma non potevano permettersi di pagarsi una sorta di cameriere in quel momento: anche solo pagare l'affitto per quella misera camera era per loro un problema da affrontare presto.
«Che ne dici?» disse Light, voltandosi verso Eler. Il ragazzo osservava dalla grande finestra il mare limpido di Toulon, sorvolato da stormi di gabbiani e cosparso di barche. Impiegò qualche secondo per rispondere, ma lo fece con un cenno di capo convinto: era perfetto.
 
 
Monsieur Bourgeois aveva un animo amorevolmente rude e ricolmo di brusca tenerezza: morta da poco la moglie con cui aveva condiviso la casa sovrastante il suo piccolo negozio, aveva deciso di trasferirsi nel retrobottega e di affittare la stanza. Come aveva spiegato ai due giovani con cordiale sincerità, non riusciva a stare in quella stanza senza riempirsi di malinconia: preferiva il suo minuscolo lettuccio in fondo al negozio, vicino alle stufe e ai trucioli di legno. Aveva bisogno di guadagnare quanto più possibile per potersene andare dalla vivace città costiera e ritirarsi in un luogo più tranquillo per attendere la fine dei propri giorni.
I due ragazzi vendettero tutto quel che era loro rimasto, carretto compreso, e aiutarono l'anziano con il frenetico lavoro in bottega: non erano garzoni eccellenti, soprattutto Light era carente di una qualsiasi abilità in materia, ma il padrone di casa aveva preso in simpatia la coppia di fratelli Dieunuit -così si erano presentati, per quanto agli occhi di chiunque sarebbe sembrato assurdo; ma loro non cambiarono mai versione, e il vecchio non la contestò mai apertamente-.
La loro fuga era giunta in un punto cruciale e al contempo statico; da come si comportavano sembrava che il loro intento fosse di stabilirsi lì per molto tempo: la ricerca di una dimora stabile, di un lavoro fisso. Ogni tanto la fantasia di rimanere attraversava le loro menti stanche di scappare, ma non lo confessavano e continuavano nel loro frettoloso e produttivo modo di vivere. Era solo questione di tempo: mettevano da parte i mezzi per spiccare l'ultimo volo e andarsene per sempre dalla Francia. Lo avevano deciso insieme, scrutando quel mare argenteo che profumava di una riscoperta libertà, di speranze lontane e invitanti.
Toulon era un porto multiculturale. Vi approdavano navi da ogni dove, diretti in qualsiasi luogo del mondo: inglesi, portoghesi, spagnoli, genovesi, siciliani, fiamminghi. Fiumi di prodotti di lusso dall'India, ingenti quantità di materie prime dalle colonie francesi in Canada. Per quanto il mar Mediterraneo avesse perso la sua preminenza commerciale rispetto agli oceani, non si poteva certamente definire ristagnante l'economia del porto francese, anzi: per cittadini come Light ed Eler, che poche volte in vita loro avevano visto il mare o si erano immersi nella vita dei mercanti, era tutta una cacofonia di lingue incomprensibili, un'accozzaglia di prodotti dai colori sgargianti e volti stranieri. Un carnevale infinito e vociferante che si intensificava verso il centro portuale della città, situato più ad ovest rispetto alla zona costiera in cui loro abitavano.
Era una città che gridava alla vita, al movimento, al fiammeggiare dell'attività umana: quella stessa passione pervadeva gli animi dei due innamorati, pronti a sacrificarsi per quel sogno di andarsene insieme.
Così trascorsero parecchie settimane, le ultime fresche di giugno e le prime roventi di luglio. Ripulirono la stanza, tolsero la polvere dai volumi impilati sulla libreria, dopo qualche esitazione unirono i due letti. Lavorarono nella bottega, ottennero brevi incarichi nei negozi adiacenti, iniziarono a lavorare a domicilio come molti operai dell'epoca; si inserirono con difficoltà ma anche con determinazione nella vita dei ceti bassi, si adattarono, si nascosero tra i pescivendoli illetterati e amanti delle frottole. Trovarono qualche impiego più dignitoso tra i commercianti, grazie ai loro studi e all'innata logica matematica di Eler: era facile trovare braccianti tra la povera gente, ma dei contabili efficienti erano molto più rari. Si facevano assumere da mercanti in erba, giovani con un patrimonio da investire e una sete d'avventura divorante. Si proponevano spesso come dipendenti fissi, nella speranza di riuscire a salpare per altre terre; ma i tumulti e le rivolte, la cui influenza iniziava a farsi sentire anche nelle zone lontane dalla capitale, rendevano tutto più instabile e ogni uomo più diffidente, specie nei confronti di chi mostrava un'evidente cultura: nessuno aveva intenzione di rischiare d'imbarcare dei fuggiaschi ricercati o persone che in qualche modo avrebbero potuto creare problemi con la loro presenza.
Il paese era in fermento perenne.
Il 4 giugno giunse la notizia della morte dell’erede al trono, un infante a cui succedeva il fratello ancor più piccolo. Titoli e avvenimenti nominali, data la situazione di crisi evidente della monarchia stessa, ma che in qualche modo sollevarono l’interesse del popolo.
Più inosservati alla maggior parte delle persone con cui ormai vivevano, ma di focale importanza e gravità per i due borghesi coscienziosi, furono i fatti politici: il 20 giugno, nonostante la chiusura dell’hotel des Menus-Plaisirs, nacque l’Assemblea Nazionale in una misera sala da pallacorda.
Nel pomeriggio del 10 luglio arrivò la grande notizia a Toulon come una ventata di Maestrale, attraversando il paese da Parigi all’estremità sudorientale della Francia: il giorno prima era stata ufficialmente creata l’Assemblea Costituente.
Gli effetti e le conseguenze di tutto quel che accadeva in quei mesi estivi non erano ancora chiari, i più nemmeno li presagivano; ma l’animo di Eler, una perfetta miscellanea di istinto animale e logica, fiutò nell’aria il cambiamento e il disastro molto prima di molti altri, compresi quelli che poi lo misero in atto.
Avevano programmato di restare in bottega tutta la giornata, ma Riou decise improvvisamente di uscire senza dare molte spiegazioni. Ogni tanto capitava: grazie alla sua proverbiale astuzia e capacità di tessere fili tra le persone, aveva creato un primordiale nucleo di amici –nel senso più losco del termine- e informatori. Non riferì esattamente a Light cosa avesse fatto ma, quando tornò a sera tarda, sul suo viso vi era un’espressione seria e risoluta: avevano un incontro fissato per il giorno seguente con un commerciante di lane, per farsi assumere come ragionieri revisori.
Light cercò di mostrarsi contento di quella trovata improvvisa e, ne era certo, in qualche modo disonesta: «Direi che è fantastico. Dove dobbiamo andare ad incontrarlo?»
«Nel ghetto.»
 
 
I muri delle case crescevano in altezze spropositate verso il cielo, rendendo le anguste strade ancor più scure e vagamente inquietanti. I due attraversarono le prime fila di edifici, insinuandosi in viuzze che parevano un labirinto. Le persone li guardavano con uno stupore vago e timoroso di chi preferisce non immischiarsi.
Il popolo eletto, costretto a vivere in ristretti quartieri, era costretto ad innalzare le proprie case a dismisura. Si protendevano come preghiere verso il cielo, alla ricerca di Dio.
La casa in cui entrarono spiccava in grandezza e in bellezza rispetto alle altre: subito si resero conto che essa all'interno, più che abitazioni, conteneva uffici e luoghi di lavoro. Decine di cappelli azzurrini, il segno distintivo che era loro richiesto di utilizzare, si muovevano per i corridoi a ranghi serrati.
L'idea di quel luogo così atipico ed alieno nel bel mezzo del mercato turbava Light: era una dimensione di vita che conosceva per sentito dire, in quel modo blando e indifferente con cui si apprende delle epidemie e della morte di persone che non si conoscono.
Si percepiva unità, una segretezza sottintesa in ogni frase che si scambiavano, un tacito accordo in quei loro particolari tratti facciali.
L’uomo a cui si trovarono davanti aveva un aspetto decisamente eccentrico: di mezza età, terribilmente scarno, un naso prominente sovrastato da una fronte bombata; questi tratti rudi e brutti erano in netto contrasto con i suoi abiti scuri e composti, ancor di più con il suo linguaggio estremamente forbito. Eler lo aveva ben avvisato di quanta professionalità assumessero i commercianti di tale rango e importanza, come se i traffici di merluzzi o tessuti nobilitassero più di intere generazioni di sangue aristocratico -punto su cui, in realtà, Light riusciva a trovarsi particolarmente d'accordo-.
Il giovane Dieunuit cercava di trattenere i propri accenni di nervosismo, invidiando la naturalezza di Eler in quella situazione.
Il capo dell'omino davanti a loro si mosse leggermente: «No, mi dispiace. Mi hanno parlato bene di voi, ma non ho bisogno di altri contabili nelle mie navi, non in quelle in partenza nel prossimo mese. Vi dirò anzi che la maggior parte dei genovesi e dei veneziani sono partiti già a maggio, presentendo il disastro: noi ci stiamo muovendo con più lentezza solo per la nostra sicurezza. Difficilmente troverete corporazioni che cerchino membri d'equipaggio... forse qualche mercante che lavora in proprio, ma nulla di sicuro, e probabilmente niente di adatto a voi due. Preferiscono i mozzi, o coloro che riescono a governare un timone.»
I due giovani annuirono, sospirando silenziosamente. Non era la prima delusione, ma era stata fino ad allora anche l’aspettativa più grande. La simpatia reciproca ed evidente tra loro e l’uomo seduto dietro alla scrivania ricolma di carte andava così dissolvendosi, annullando qualsiasi speranza di contatto.
Aveva un’aria terribilmente cordiale ed era evidentemente dispiaciuto di lasciarli andare così delusi. Li guardò con un sorriso sconsolato e chiese: «Da dove venite? Avete accenti molto diversi dal mio, ma anche tra voi.»
«Sono parigino, di origini materne inglese.» spiegò Light.
«Solo materne? Non lo avrei detto. Lei è la prima persona dell'Ile-de-France che sento parlare in modo comprensibile!» ridacchiò sotto gli ispidi baffi neri «Ovviamente scherzo. Lei invece?»
Riou sembrò tentennare: «Sono cresciuto in territorio austriaco, per lo più a Vienna.»
«Come il mio rabbino!» esclamò, folgorato dalla coincidenza «Ha per caso parenti ebrei? Alcune personalità di spicco della nostra comunità hanno avi suoi connazionali, e i suoi tratti potrebbero suggerire...»
«Non le so dire. Sono cresciuto in un orfanotrofio e poi nella Kaiserlich Internatsschule.»
«Dice sul serio?»
Riou annuì, gli occhi fissi sul volto dell'altro ne studiavano lo stupore con estrema cautela: «La conoscete? Ne avete fatto parte?»
«No no, non io. Ho vissuto tutta la mia esistenza qui, nel meridione francese. Come però vi ho riferito prima, non sono rare le provenienze orientali o nordiche nel nostro nucleo. Il mio rabbino vi insegnò per anni, ne parla molto spesso. Ho il sospetto che vi possa anche esser stato studente, ma non saprei dirlo con certezza: ha ormai una certa età e non parla volentieri dei primi vent’anni della sua vita.»
Quel nuovo punto di contatto aveva creato tra i due una sottile chimica a cui Light si sentiva estraneo: al contempo, però, ne avvertì tutte le potenzialità.
«State cercando di andarvene?» chiese a voce più bassa l’uomo, scrutandoli con gli occhi scuri e acquosi. «Ci stiamo provando.» rispose Eler con inaspettata e totale sincerità.
L'altro li osservò per alcuni intensi istanti, sfiorandosi la barba con la punta delle dita, in profonda riflessione. Sul viso grinzoso si era disegnata un'espressione interessata e incredula davanti al gesto che lui stesso stava per compiere.
Allontanò la sedia dalla scrivania e li guardò con aria tronfia: «Se mi si concede un'espressione fatta, questo probabilmente è il vostro giorno fortunato.»
 
Non molti paesi potevano all'epoca vantare dei capi di governo che non fossero matti, pochissimi avevano l'onore di essere guidati da un sovrano illuminato: Pietro Leopoldo, sia per i contemporanei che per i posteri, meritò questo titolo.
Light non aveva mai sentito parlare del Granducato di Toscana in vita sua: le parole di Zekharia, il commerciante che aveva provvidenzialmente deciso di essere il loro mecenate, gli figurarono immediatamente una terra promessa.
Livorno, uno dei porti più floridi e ricchi del Mediterraneo, vivace culturalmente, privo di un ghetto: la comunità ebraica viveva nella società, libera da restrizioni di ogni sorta. Gli ebrei potevano entrare nelle Corporazioni, anche nelle più prestigiose: lo stesso Zekharia spiegò di essere membro dell'Arte dei Mercanti della Lana. Numerosi gruppi di giovani intraprendenti della sua stirpe si imbarcavano verso questi più fortunati luoghi, intenzionati a far fortuna.
Non era teoricamente previsto che in queste spedizioni, a metà tra viaggi commerciali ed esodi verso una seconda Gerusalemme, prendessero parte persone esterne al ghetto; ma nessuna regola scritta lo impediva, era un veto muto e sottinteso a cui però una personalità di spicco avrebbe potuto opporsi.
Light ed Eler erano giovani zelanti, laboriosi, evidentemente più intelligenti della media e disposti a tutto per andarsene; una nave che partiva di lì a pochi giorni aveva bisogno di equipaggio per mansioni di scarsa importanza. Con la disponibilità a fare lavori manuali di Light e la conoscenza di cartografia di Eler -una tra le tante nozioni che il giovane serbava nel suo immenso patrimonio culturale- si sarebbero resi utili e avrebbero realizzato il loro intento.
Light girava per la stanza irrequieto, ripensando alle parole dell'uomo riguardo alla città dove si sarebbero diretti: aveva accennato, tra le varie arti, anche quella di Giudici e Notai. Forse, deviando i suoi studi umanistici sul ramo accademico della giurisprudenza, avrebbe potuto entrare a farne parte. L'idea lo confortava non solo perché gli figurava un ritorno a qualcosa di più aulico del mercato del pesce e del rattoppare le suole, ma era soprattutto una prospettiva di un futuro stabile. Un progetto duraturo, delle basi su cui costruire la propria esistenza.
Si voltò verso Eler: si era velocemente procurato carte e strumenti topografici in vista della partenza e riscopriva gli insegnamenti assopiti nella sua testa ormai da anni. Era solerte, preciso, ricolmo di senso del dovere, chino sulla scrivania e silenzioso da più di un’ora.
Light ricordò la frase che gli aveva detto settimane addietro:” Il mio rigore è pragmatico e relativo alle circostanze. Mi prefisso degli scopi e li seguo.” In quell’istante riusciva a leggere nella sua fronte corrucciata quella stessa inclinazione d’animo.
Sospirò. Erano le otto di sera, avevano cenato da due ore, come previsto dagli orari del loro padrone di casa: il vecchio in quel momento già dormiva, pronto a levarsi all’alba per accogliere i pescherecci.
«Stai ancora lavorando?»
Lui annuì lentamente, come se qualsiasi movimento potesse infrangere il delicato equilibrio della sua opera.
Light si slacciò la camicia, scoprendo il petto nudo; Eler teneva gli occhi fissi sulle carte mentre l'altro si avvicinava alla scrivania coperta di fogli. Dalla finestra aperta una brezza calda portava nella stanza un intenso profumo di gelsomino. Il sole languiva sull'orizzonte del mare.
Light si mise dietro lo schienale della sedia, massaggiando le tese spalle dell'altro; gli carezzò il petto, i fianchi, cercando di insinuarsi tra la camicia ruvida e la tiepida pelle.
«Light, dovrei finire prima di domani.»
"Dovrei". Aveva già iniziato a vacillare.
Light gli baciò il collo più volte: l'afa di luglio e il lavoro ininterrotto gli avevano velato la pelle di sudore, i muscoli tesi dalla concentrazione si lasciavano ammaliare da quelle tenerezze.
«Proprio non mi ascolti.» La mano di Light scivolò tra le sue gambe divaricate, dentro i pantaloni di grezzo lino.
Eler poteva fingersi incrollabile quanto voleva, Light conosceva i suoi punti deboli e aveva forgiato le chiavi per ogni suo piacere prediletto. Gli baciò l'orecchio, osservando compiaciuto come l'altro iniziava a distendersi sulla sedia, le mani appoggiate ai braccioli. Light si sporse ancor di più sopra di lui, così che la mano protesa tra le gambe dell'altro potesse muoversi. La bocca di Eler si schiuse estasiata, un brivido vago nel corpo gli scioglieva lentamente la tensione nei muscoli.
«Facciamolo qui, Light.»
Quell'improvvisa risolutezza inizialmente lo spiazzò, ma pensò bene di non lasciarsi scappare l'occasione inattesa.
«E come dovrei mettermi, in mezzo ai documenti e ai tagliacarte? No, non si riesce.»
Eler si alzò improvvisamente dalla sedia, rischiando quasi di rovesciarla in terra; voltato verso Light iniziò a spogliarsi, frenetico ma preciso, senza mancare un bottone nonostante gli occhi fossero fissi in quelli dell'altro. "Metodico e infallibile anche nella passione", pensò Light con un sorriso. Quanto, quanto lo amava.
«Che ne dici del balcone? Ti piacerebbe, Riou?» lo canzonò.
«La balaustra è scomoda.»
L'altro lo strinse a sé, continuando a prenderlo in giro: «E il fatto che ci vedrebbero dalla strada ovviamente non ha importanza, no?»
«A dire la verità a questa ora, statisticamente parlando, il numero di passanti in questo quartiere...» Light soffocò i calcoli statistici in un bacio impaziente e violento.
 
Due notti ancora e avrebbero salutato per sempre quel minuscolo monolocale affacciato sul rumoroso mercato del pesce, avrebbero abbandonato la Francia traditrice di sogni e sarebbero approdati in una florida nuova vita. Insieme.
Insieme come avevano voluto essere fin dall'inizio, insieme come era destino che fosse. Insieme come in quel momento, su quel letto scomodo, avvinghiati e innamorati in quel modo folle e senza remore che appartiene solo ai giovani.
Era da parecchio che Riou non accettava di esser succube del corpo dell’altro: la terza volta che era successo, una mattina domenicale di poche settimane prima, era stata per lui dolorosissimo; scosso e in silenzio era rimasto tra le braccia di Light molto a lungo. Inaspettatamente quella sera afosa di luglio, con le dita intrecciate a quelle dell’amato perché lo seguisse nelle sue intenzioni, si era di sua sponte chinato riverso sul letto: invitava il corpo dell'altro a stringersi al proprio.
Light allungò la mano sulla nuca di Riou, accompagnandogli il fianco con l'altra; strinse i capelli tra le dita e l'altro per un istante reclinò la testa indietro con un gemito di dolore. Quel singhiozzo strozzato piacque a Light più di quanto avrebbe potuto confessare: continuò con una smania ancor maggiore, respirando ansimante contro la schiena del ragazzo. Amava quella sensazione, quella pelle nuda contro la bocca, le magre cosce di Eler, la sua chioma scarmigliata come quella di un ragazzino dispettoso.
Cercò di spezzare il proprio respiro pesante per confessare il proprio amore, mostrarglielo come una superba opera d'arte, fiero e in lacrime come un orgoglioso artista.
Tutto questo per te, Riou. Correre, gettarsi nelle acque salmastre della fuga, amarsi tra le lenzuola, litigare come vecchi pacifici amici, imparare una professione, una lingua e ogni giorno dimenticare un volto della vita passata, una viuzza di Parigi.
Dimenticarsi ogni giorno le pallide e insoddisfacenti curve delle donne per imparare a memoria il corpo dell'uomo amato, l'apice unisono del piacere, la sottile perversione della segretezza e della forza e della dolcezza.  Oh, com'era bello sotto occhi ignari guardarsi, sfiorarsi di nascosto,  sapere all’insaputa degli altri!
A quei pensieri sprofondò nell'orgasmo.
Un sussurro ingoiato per metà: «Ti amo, Light. Ti amo.»
 
 
 
 
 
 
L'aria satura di fumo sembrava puro veleno ma lui la respirava a pieni polmoni, tossendo ogni tanto grumi di sangue. Dall'alto del muro diroccato osservava le fiamme che divoravano la Bastiglia, si inebriava delle urla straziate e feroci che tutta Parigi esalava.
«Xolòtl è grande...» sussurrò, mentre il calore delle fiamme iniziava a lambirgli la pelle marcia: si stava riempiendo di bolle che non percepiva, tanto corrotta e putrefatta era la carne che il suo scheletro si trascinava dietro, incapace di morire. Aveva sperato che quel giovane, quel giovane Dieunuit avrebbe potuto gloriosamente essergli successore...
Contemplava i soldati morituri che combattevano tra i corpi squartati. Aveva fallito, ma con quella carneficina Xolòtl lo avrebbe perdonato... sì, lo avrebbe perdonato e posto in gloria negli Inferi accanto a suo padre e al predecessore e a tutti gli avi uniti dal sangue che al loro Dio avevano donato!
«Guarda questo altare pieno di fiamme! Solo per te mio Dio, immenso e potente concedimi oh ti prego ascoltami! Io tuo discepolo, io tuo ultimo sacerdote!»
Una mano gli afferrò la spalla, e lui seppe.
«Sei tu?» mormorò, colmo di reverenziale timore. I rossi e purulenti occhi si bagnarono di lacrime.
«Sono io, padre.»
«Lasciami vedere il tuo volto... mio padre mi vide, quando divenni suo successore...»
«Non posso.»
«Il mio Dio non è stato soddisfatto da me? L'ho deluso?»
L'altro non rispose. Prese saldamente anche l'altra spalla e con una spunta poderosa lo gettò dal muro, nelle fauci delle fiamme.
E mentre la sua carne si purificava con il fuoco e diventava sacra cenere, alzò gli occhi alla ricerca di un’ombra, una sagoma, un indizio di esistenza: e vide.
 
E mentre il mistico incontro tra Dio e uomo avveniva, suggellato dalla morte ardente, si udì nell'universo un tintinnio.
Un infrangersi di cristalli, un sortilegio spezzato.
 
Il quaderno aveva cambiato definitivamente possessore.
 
Ogni ricordo ritornò.
 
 
 
 
Una lama gli trapassò il cranio da parte a parte, sprigionando un mostruoso fiume di ricordi: il volto scarno e putrefatto di un sacerdote, l’onere di essere giustiziere, la gloria di seguire il più puro degli ideali… l’esultanza delle masse, la paura della polizia, l’accorrere dei rinforzi dall’Austria, il dolce desiderio di rivolta e di morte…. la melodia di un organo, l’odore del fango e il freddo di quella sera di febbraio, un canneto di un placido laghetto, l’amore e la rugiada sulla pelle, e il segreto dell’anima umana e l’acqua della Senna nei polmoni e i violacei segni sui polsi per le manette…
Light fissò febbricitante i propri avambracci: pallide braccia quasi femminee, un reticolo bluastro e pulsante in cui intravedeva vaghe macchie scure, ricordo indelebile della loro unione.
La sua mente gridava al tradimento, lo stomaco si contorceva in spasmi acidi e insopportabili; conati amari gli risalivano per la gola, come se il corpo stesse cercando di rigettare la velenosa verità.
Eler dormiva inconsapevole, beato, pronto all’avventura del giorno dopo. Non poteva scappare, non da Eler; e dove poi, e con che mezzi? Dopo quanti giorni l’altro lo avrebbe braccato come una preda impaurita e spacciata?
Corse alla scrivania cercando tremante e in preda al panico tra le carte lì ammassate fino a quando non impugnò saldamente il tagliacarte.
Non aveva alternative.
Si avvicinò  al capezzale di Eler. Una melodia lontana si avvicinava, il tuono grave del destino; seppe, seppe in quell’istante, che dalla prima volta che aveva letto quell’atipica calligrafia su una lettera indirizzata a suo padre, il fato aveva per loro allestito un patibolo.
Osservò il pulito e candido collo di Eler e non poté non pensare a tutti i baci con cui lo aveva coperto.
Si erano avvicinati, odiati, cercati, amati alla follia, rincorsi: chi sarebbe stata la luce e chi l’ombra?
Chi il boia e chi il giustiziato?
Il sorriso diabolico di un Dio osservava la scena: l’ultima incognita era stata svelata.
Riou borbottò qualcosa nel sonno e si strinse ancor di più al lenzuolo, masticando a vuoto un paio di volte. I capelli gli coprivano in ciocche disordinate la fronte, un ciuffetto sollevato scopriva la tempia destra.
Light lo guardo per alcuni lunghi secondi: lo voleva ricordare così.
Il sangue gli ribolliva nelle vene, tutto il suo corpo era teso e scosso da spasmi adrenalinici; si accucciò accanto alla sponda del letto, continuando ad osservare l’amato assopito. Allungò il braccio sinistro, il pugno serrato e l’inevitabilità di quel che stava accadendo che gli riempiva gli occhi insieme alle lacrime.
Incise con forza la carne del proprio polso e il dolore iniziò a sgorgare insieme al sangue. Come in preda a una stravolta ipnosi continuò a tracciare una linea con la lama, fino a raggiungere la metà dell’avambraccio: a quel punto il terrore e la sofferenza divennero insopportabili, pazzia e razionalità collassarono insieme nella sua mente, emise un gemito roco e angosciato.
Non poteva fermarsi, non poteva!
«Light? Light, cosa succede?»
Una voce, l’unica voce, un segnale d’aiuto.
La debole mano sinistra cercò di reggere a sua volta l'impugnatura, mille invisibili aghi la perforarono.
«Stai male? Light!»
Le forze gli mancavano, la volontà andava mescolandosi al delirio: si lacerò il polso destro con un taglio obliquo e poco profondo.
Sentì le mani dell'altro che lo toccavano, cercavano di fermarlo. No, non doveva andare così! Non era quella la fine giusta!
«Lasciami!» rantolò Light, ferendosi le braccia come in preda a delle convulsioni «Lasciami! Lasciami! Lasciami!»
Sentì la voce di Riou, più volte, piena di una paura che non aveva mai conosciuto. Un vago senso di freddo alle braccia, le giallastre pareti del loro bagno, il dolore e la vista disgustosa del sangue.
E infine, quando la sua mente distrutta precipitò nel buio, un'ultima voce.
 
Un ricordo. Un monito che non aveva ascoltato in tempo.
 
«Questo quaderno ti consuma. Ti maledice.»












Note Autrice.

Sono contenta di aver finalmente scritto questo capitolo. Le realtà etniche/geografiche/culturali che ho inserito nel racconto sono tutte vere e ben documentate, dalla descrizione del Granducato di Toscana al ghetto di Tolone, situato al centro della città. Spero vi sia piaciuto.
Nina.
   
 
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