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Autore: dree    17/06/2014    0 recensioni
Odiavo i cimiteri, dal primo all'ultimo, ecco perché rabbrividivo ogni volta che ci entravo. Mi incutevano timore e odiavo il fatto che tutte le persone debbano giacere in delle bare incastonate nel muro, la trovavo una cosa disgustosa. La bara di papà, infatti, era stata seppellita perché affermava che: “i vivi devono stare in superficie e i morti devono giacere sotto terra” e io ero pienamente d'accordo con lui.
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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11.30 del mattino, “ancora un'ora e sarai fuori di qui”, mi incoraggiai mentre scrutavo l'orologio appeso al muro. Tornai a fissare il mio compito di italiano, ancora bianco, cercavo di farmi venire qualcosa in mente e sbuffai, dopo aver letto e riletto la traccia, non riuscendo a scrivere nulla. Sapevo che, qualsiasi cosa avessi scritto, anche se fosse stato un tema da dieci, lei non si sarebbe spinta oltre ad un misero sette e questo, e il suo odio insensato nei miei confronti, era assolutamente inammissibile oltre che irritante. Solo perché una volta non avevo studiato e mi ero giustificata dicendo che ero in lutto per la morte di mio padre ed ero già stata inserita nella sua lista nera, il che mi aveva portato ad odiare lei e le sue materie, tranne italiano naturalmente.

La professoressa Giovincoli girava tra i banchi soffermandosi ad uno ad uno, leggendo qualche riga qua e la, ma arrivata al mio banco non si fermò e m proseguì ignorandomi completamente, cosa che mi infastidì a dir poco e mi indusse a stringere così forte i pugni da lacerarmi la carne con le unghie.

Jake, il mio compagno di banco, nonché mio migliore amico, mi lanciò un'occhiata la quale mi riportò con la mente al tema.

Alla fine dell'ora, quando la campanella suono e un'ondata di sollievo mi travolse, consegnai il tema di lunghezza abbastanza discreta, ma non abbastanza da evitare un'occhiata fulminea da parte della Giovincoli.

Quando tornai al mio posto trovai Jake appoggiato al suo banco, che mi aspettava a braccia incrociate e lo guardai con aria interrogativa.

-Che c'è?

-Non puoi odiarla a vita- disse guardandosi davanti.

-E lei non può trattarmi così!- stetti sulla difensiva sapendo che il discorso non sarebbe andato a buon fine.

-Smettila di fare la bambina!- mi si parò davanti -Piuttosto, che fai oggi?

-Vado a trovare mio padre al cimitero.- Lo liquidai e dopo aver posto l'ultimo libro nella cartella presi e me ne andai senza dire un'altra parola.

Quando arrivai a casa l'aria era molto tesa, come ogni anno durante il giorno dell'anniversario della morte di mio padre, ucciso in guerra, così lasciai lo zaino all'ingresso e dopo essermi lavata le mani mi sedetti a tavola senza dire una parola. In realtà nessuno disse niente per tutto il pranzo. Mia sorella minore giocava con il purè nel piatto mentre mia nonna finiva l'ultima cucchiaiata di zuppa.

Mi alzai da tavola lasciando il piatto pieno a causa del modo allo stomaco che mi si era formato molto probabilmente non solo a causa di ciò che era successo a scuola, ma dall'aria fin troppo tesa che c'era in casa,

Andai in camera mia e mi sdraiai sul letto in preda ai mille pensieri ed ero talmente stanca che caddi in un sonno profondo senza neanche accorgermene,

Fui svegliata dalla vibrazione del mio cellulare ancora nella tasca dei jeans. Quando lessi l'ora sul display del cellulare scattai in piedi provocandomi un leggero capogiro. Scesi in sala, presi alla svelta la giacca e uscii di casa limitandomi ad urlare a mia madre, che era in cucina, un semplice “esco” prima di iniziare a correre perso la fermata per paura di perdere l'autobus per il cimitero, perché, sinceramente, non mi andava di aspettare altre due ore per rischiare di tornare a casa con il buio e far preoccupare mia madre.

Al cimitero mi fermai dalla fioraia e comprai un tulipano giallo, il fiore che mi aveva regalato mio padre prima di partire per l'Afghanistan, e ci legai un nastrino rosso, come quelli con cui mia madre mi legava i capelli mia madre ogni domenica per andare in chiesa.

Papà diceva sempre che il biondo dei miei capelli gli ricordava i tulipani gialli, per quello me ne regalava uno ogni vola e ci attaccava sempre un nastrino rosso. Detta così può sembrare una cosa stupida, ma io la trovavo estremamente dolce.

Odiavo i cimiteri, dal primo all'ultimo, ecco perché rabbrividivo ogni volta che ci entravo. Mi incutevano timore e odiavo il fatto che tutte le persone debbano giacere in delle bare incastonate nel muro, la trovavo una cosa disgustosa. La bara di papà, infatti, era stata seppellita perché affermava che: “i vivi devono stare in superficie e i morti devono giacere sotto terra” e io ero pienamente d'accordo con lui.

Quando arrivai davanti alla sua lapide e lessi la data: 2 Aprile 2003 mi si spezzò il cuore e una lacrima rigò il mio viso.

Cambiai il tulipano appassito dell'anno prima e sciacquai il vaso mettendoci acqua fresca, poi rimasi qualche minuto a fissare la foto di mio padre in divisa da militare ormai ingiallita.

Era davvero un bel uomo e gli somigliavo tantissimo, non meritava di morire così ingiustamente a soli 35 anni,

alzai gli occhi al cielo per riprendermi e quando tornai a guardare la lapide mi asciugai le lacrime.

Non c'era nessuno, o almeno così credevo. A pochi metri da me una una donna sulla cinquantina, capelli grigi, minuta con indosso un cappotto di pelo d'animale, osservava singhiozzando una lapide. L'avrei riconosciuta ovunque, era la mia professoressa di italiano. Mi stupii vedendola piangere, pensavo non avesse un cuore.

Mi avvicinai a lei e mi fermai guardando la lapide su cui c'era inciso: “Alberto Giovincoli, 2 Aprile 2003” la stessa data della morte di mio padre e solo allora mi ricordai dove avevo già sentito in precedenza quel nome. Mio padre mi parlava spesso di lui, era il suo compagno e amico di battaglia.

-Dev'essere stato un marito fantastico- le dissi poggiandole una mano sulla spalla.



Scrissi questa storia due anni fa, perdonate gli erorri di scrittura.
Dree original

   
 
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