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Autore: Claudine Delacroix    18/06/2014    5 recensioni
«Professore, mi darebbe una mano a fare i compiti?»
È così che prende coraggio Ania, un mercoledì in cui proprio non ce la fa più. Perché è stufa marcia di osservare Giovanni – sì, per nome – leggere ad alta voce le poesie e non poter allungare la mano, intrecciarla nella sua e... e fissarlo negli occhi, a lungo, in modo tale che lui sappia, che lui comprenda tutto quello studiare e ostentare e sciorinare, perché è tutto per lui, razza di stolido.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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WHEN A TEACHER MEETS A NYMPHET

 

 

«Professore, mi darebbe una mano a fare i compiti?»

È così che prende coraggio Ania, un mercoledì in cui proprio non ce la fa più. Perché è stufa marcia di osservare Giovanni – sì, per nome – leggere ad alta voce le poesie e non poter allungare la mano, intrecciarla nella sua e... e fissarlo negli occhi, a lungo, in modo tale che lui sappia, che lui comprenda tutto quello studiare e ostentare e sciorinare, perché è tutto per lui, razza di stolido.

Perché è stufa marcia di scorgere sua moglie fare avanti e indietro dalle classi in cui insegna alla sua, è stufa marcia di vedere la sua figura snella, nonostante l'età, protendersi verso il marito – il suo professore, come osa?

E ne ha davvero abbastanza di conficcarsi le unghie nei palmi, quando lui le passa vicino, per impedirsi di saltargli addosso.

«Allora?» sorriso. Pausa. «So che potrà sembrarle strano» pausa. Risatina. «Ma ho intenzione di studiare a fondo quest'argomento. Davvero a fondo. È molto interessante. E con le sue competenze in aggiunta, be'...»

Spalanca gli occhi, Ania, e si morde un labbro. La campanella è suonata e in classe non sono rimasti altri che loro due.

Giovanni – il professore – si gira. Si gira e non crede di aver sentito bene – Ania, la ragazza bambina della terza C? Ania, tutta pizzo e libri? – e un po' gli viene da fuggire, un po' vorrebbe sorridere.

«Ma certamente» e vorrebbe staccarsi la lingua a morsi quando dalla sua bocca escono quelle due parole, ma è più forte di lui – scappano, un desiderio che si divincola dal raziocinio per manifestarsi all'esterno.

«Perfetto» risponde Ania contenuta, quando in realtà vorrebbe saltare per due minuti buoni e strapparsi i capelli dalla gioia. «Mi dica lei appena ha un'ora libera – o due, mh, non si sa mai.»

Giovanni deglutisce, stavolta, e osserva Ania attorcigliarsi una ciocca di capelli biondi – biondissimi – attorno al dito, e mordersi le labbra in un gesto fugace.

«Be'» si schiarisce la gola «io, questo pomeriggio, ho un'ora e mezza buca – diciamo, verso le tre – a lei andrebbe bene?»

Quel 'lei' è come rumore di unghie che grattano sulla lavagna, uno stridio fastidioso che si insinua nelle orecchie della ragazza. Ma non è che un attimo – «sì, sì; oggi mi sta bene! Grazie!» e vorrebbe buttargli le braccia al collo, non può proprio ma vorrebbe farlo, lì, con la porta semi aperta e la gente che passa e una cattedra a separarli. «Allora... a oggi! Arrivederci» cinguetta, ed esce dalla classe un po' saltellando, e la maglietta rosa, larga, si alza, e le sue cosce fini appaiono, sembra che si stiano per spezzare. Pesta il pavimento con le sue creepers nere, mentre con la mano torce un lembo della maglia.

Il professore la osserva uscire incantato, ammaliato da quella creatura che più che una ragazzina sembra una fata. Una ninfa.

Più piccola.

Una ninfetta.

 

«...e dunque, l'influenza dei poeti- che sta facendo, signorina Ania?»

Giovanni, alla fine, si è davvero presentato davanti all'aula insegnanti alle tre, puntuale, dopo essersi rassettato nel bagno dei docenti. Voleva darle buca? Probabilmente sì, ma ha deciso che, poverina, avrebbe fatto un favore a quella studentessa sempre così dedita allo studio.

...un favore a lei, o a se stesso?

Tali pensieri li scaccia Ania quando arriva trafelata, chiedendo scusa in modo chiassoso, tipico di lei – ah, ora sa cos'è tipico di lei? – perché lei è tutta chiassosa.

«Che sta facendo, signorina Ania?» quasi schizza via Giovanni, quando la sua piccola discente vellica il suo polso con la penna, facendolo rabbrividire.

Ride. E la sua risata sembra il rumore che fanno le perline quando cadono dal sacchetto tutte insieme, per terra, una mitragliata di buon umore, ecco cosa sembra. Giovanni vorrebbe mantenere un'espressione severa e truce ma non ce la fa, gli scappa un sorriso. Solo un attimo.

«Scus- ah ah – scusi. È che mi sto annoiando. Anzi no, lei non mi annoia per niente; al contrario. Diciamo che ci siamo soffermati troppo su questo punto. Prooof. Qual è il suo libro preferito?» si raddrizza e lo guarda con occhi curiosi, ma soprattutto seri. Vuole saperlo veramente.

E allora lui ci pensa, scava nella sua memoria, anni e anni di pagine, ma dopo un po' che ci riflette su sbuffa, non lo sa. Nei suoi quarant'anni di lettore ci sono stati fin troppi libri, ed esita; si è trovato poche volte in una situazione del genere, ha sempre avuto la risposta pronta. Con voce incerta riesce a dire solo: «che domanda complessa, Ania.»

«È vero? È come quando ti chiedono 'ehi, a chi vuoi più bene, a tua madre o a tuo padre?' Anche se no, mi correggo, magari una persona ha il padre cattivo o la madre cattiva, ed è ovvio che scelga a colpo sicuro uno dei due. La mia domanda è più sul genere 'quale pensi sia il dito più importante della tua mano?'»

Annuisce e scuote la testa divertito, Giovanni, ma non può che concordare con lei.

«Be', posso dirti che... 'Il giardino del profeta' mi piace moltissimo.»

«Di Gibran?»

«Proprio lui.»

«Lo leggerò.»

«Brava.»

Il professore vorrebbe abbracciare quella ragazzina, perché lo dice con una tale sicurezza – suona come una promessa infrangibile, lo farà davvero.

«Ma mi dica; il suo, invece, qual è? Uno dei tanti, intendo dire.»

Lei risponde con voce ferma, senza esitare. Non presenta la stessa insicurezza di Giovanni, è totalmente certa della sua scelta.

«Lolita. Di Nabokov.»

L'uomo deglutisce impercettibilmente, perché quando Ania pronuncia quella frase lo fissa negli occhi come se volesse trasmettergli altro, molto di più. In quelle tre parole sussistono un universo, pensieri nascosti, desideri che vogliono emergere con prepotenza.

Come non conoscere quel libro? Gliel'ha consigliato proprio lui, nella lista che lei richiese qualche mese fa, per avere qualcosa da leggere durante le vacanze di Natale.

L'ha sempre disgustato, ovviamente. Ma ora che Ania lo cita, ora che sente il nome dello scandaloso volume uscire dalle sue labbra... comincia a rivedere la sua opinione.

«E perché mai questa scelta, signorina Ania?» chiede, e appoggia i gomiti sul tavolo, sui fogli sparsi, il tentativo di completare i compiti soverchiato da una conversazione molto più interessante.

La ragazza si inumidisce le labbra, soppesa le parole, riflette. Giovanni riesce quasi a vedere quella battaglia interiore tra vocaboli, e il tentativo di Ania di organizzarli al meglio.

«Che dire. Innanzitutto esercita in me ciò che chiamo, e credo sia la definizione più adatta in assoluto, fascino morboso. Capisce? Quando leggi o vedi una cosa talmente... malata... da non riuscire a staccarne gli occhi. Per... curiosità. Scoprire fino a dove si spingerà quella mente insana. Perché noi – noi inteso come, mmm, persone comuni – abbiamo una mentalità troppo chiusa, ristretta per immaginare certe cose, e d'innanzi a tanto... osare?, be', una persona banale rimane comunque a guardare. Se non altro per il gusto, o disgusto, di farlo.»

Giovanni è ammaliato da quei – forse nemmeno – quaranticinque chili di esserino dalla lingua sciolta e fine. Annuisce. Ma lei non ha finito.

«E poi, ma questo se lo deve tenere per sé, l'uomo adulto ha sempre esercitato un fascino incredibile su di me. Odio i ragazzi della mia età.»

«Ma signorina Ania, non sia così-»

«No, mi lasci parlare, per favore. La loro stupidità è direttamente proporzionale alla loro supponenza, e mi pare ovvio che io cerchi una figura che mi guidi e che mi insegni qualcosa di bello, utile, che acuisca la mia cultura. Non le pare? Ripeto; trovo molto più attraente un cervello maturo, che due braccia muscolose.»

Giovanni sorride e guarda i fogli, un po' sghignazza pure, alza le sopracciglia e vorrebbe portarsela con sé per allietargli i pomeriggi. Perché è davvero un paradosso, quella ragazza. Sembra così saggia ma allo stesso tempo così ingenua.

«Cioè, per dire» Ania non riesce più a fermarsi, ormai i suoi pensieri sono un fiume in piena che esonda e non c'è modo di contenerli – nemmeno quello che sta per pronunciare – «trovo molto più affascinante lei di Gianfranco, il fighetto della classe al quale vanno dietro tutte.»

Ania vorrebbe sbattere la testa contro il muro o fuggire, o entrambe le cose, ma rimane in silenzio e fissa i fogli.

Giovanni, nel frattempo, alza la testa di scatto e raddrizza il petto, inorgoglito.

«Ciò, ehm, ciò... mi lusinga davvero, Ania. Molto. Ma...»

La ragazza scoppia a ridere, perché la situazione è talmente imbarazzante che non può fare altro che lasciare cadere le perline dal suo sacco della felicità, anche se vorrebbe sotterrarsi dalla vergogna. «Non dica nulla» mormora, a testa bassa. Le scappa un'altra risata, e il professore ne viene contagiato – ridono insieme a bassa voce, per non farsi sentire dagli altri. Non capirebbero.

«Quindi» comincia Giovanni, e non sa perché mai si senta improvvisamente così spavaldo «quindi, subisci il fascino del vintage?» Ammicca e le lancia un sorriso sghembo. Ania ride, sempre più imbarazzata e felice, e le sue guance si tingono di rosa.

«Oh, assolutamente. Certo, non dico che mi getterei tra le braccia del primo quarantenne che incontro. Ce ne sono pochi per i quali valga la pena di rimanere a chiacchierare. Ad esempio – sì, la sto usando un po' troppo come esempio – lei sarebbe perfetto.»

Il professore non sa bene cosa gli passi per il cervello – probabilmente, nulla e mille cose – quando le cinge la vita e la porta sopra le sue ginocchia. È più leggera di quanto credesse, e le sue gambe non toccano terra. Delicatamente prende tra le mani le guance della ragazza, purpuree per l'imbarazzo, e avvicina il viso al suo. Lei scorre una mano tremante sulla barba accennata dell'uomo, pizzicandosi le dita, ed infine gli sfiora le labbra con l'indice.

Quando Giovanni posa le labbra su quelle di Ania si rende conto che questo potrebbe essere il primo bacio della ragazza. È incerta, le tiene chiuse e sembra quasi paralizzata dalla paura. Ciò lo eletrizza ancora di più, anziché bloccarlo – è così pura.

Dopo un momento di insicurezza Ania schiude le labbra, e la lingua di Giovanni scivola nella sua bocca. Quando si staccano per guardarsi negli occhi – un attimo lunghissimo – il professore le chiede, con dolcezza, «Era il tuo primo bacio, Ania?»

La ragazza si guarda le unghie imbarazzata, annuendo. È bellissima con le labbra gonfie e il broncio e i capelli arruffati; sembra una bambina appena scesa dall'altalena.

Giovanni la abbraccia e rimangono stretti così per qualche minuto, mentre l'uomo le accarezza la schiena e lei si rannicchia sul suo petto. Ogni arto combacia, sembrano fatti fisicamente l'uno per l'altra e persino il posto in cui si trovano, che dovrebbe essere sbagliato, diventa giusto; loro sono giusti. Nonostante tutto. E tutti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia." 
(Leggete. Quel. Dannato. Libro.)

Cosa dire di ciò? Mi sono fumata il cervello? Mi devono rinchiudere?
Probabile! Non me ne può fregar di meno!

In ogni caso, vediamo di chiarire qualche cosa. Come dice Ania, figura nella quale non mi riconosco per niente, no no noo, ma per favore, che porcheria, insomma, non penserei mai a quelle cose... come dice Ania, adoro i rapporti caratterizzati da un profondo divario d'età; ci tengo a specificare che riconosco l'insanità di quelle relazioni, è che... non ci posso fare niente - mi piacciono e basta.
Se avessi dovuto urtare la sensibilità di qualcuno mi scuso tantissimo, ma non ritiro nulla.
Ogni tanto sognare fa bene.

  
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