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Autore: Some kind of sociopath    18/06/2014    3 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
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Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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Datemi sei righe scritte dal più onesto degli uomini, e vi troverò una qualche cosa sufficiente a farlo impiccare. 
(Attribuita a Armand-Jean du Plessis de Richelieu) 

– Cazzo!
Una precisazione. Ho detto di avere fiducia in Thomas Hickey, ma avrei fatto meglio a cucirmi la bocca. Lo dico col senno di poi, dato che mi svegliai sbattendo il torace contro una grondaia, un colpo che mi fece schizzare tutto il fiato fuori dai polmoni.
Improvvisamente sotto i miei piedi non c'era più il tetto della dismessa fattoria e le costole sembravano non avere la forza di sollevarsi e riempire il petto d'aria.
Avevo gli occhi aperti, ma non vedevo altro che un'enorme, luminosissima macchia bianca. Forse ero solo morto e quella era la famosa luce alla fine del tunnel.
No, un momento. Non credo che in quel tipo di tunnel ci sia un tale fracasso. Udii una donna gridare "A morte il traditore!" e in cuor mio maledissi Thomas Hickey, sbattendo le palpere per scacciare la macchia bianca. Mi sentii artigliare per un piede e Thomas apparve nel mio sfuocato campo visivo. – Ti tengo, capo – grugnì, cercando di tirarmi verso di sé. Mi resi conto di essere aggrappato alla grondaia con entrambe le mani, un piede scalciante nel vuoto e l'altro incastrato nel semicilindro di rame, il polpaccio stretto tra le mani di Thomas. – Ti avevo detto di svegliarmi – sibilai a denti stretti, puntellandomi sui gomiti per risalire sul tetto. Il caos attorno a noi era inimmaginabile, urla, lanci di oggetti, insulti che volavano e gridi patriottici in favore di Washington. L'attenzione doveva essere tutta sul condannato. Chi mai avrebbe fatto caso a un uomo sul punto di precipitare giù da un tetto, in quella confusione?
– Dammi la mano – bofonchiò Hickey con scarsa convinzione.
– Faccio da solo – ringhiai, scrollando la gamba per liberarmi di lui. – Pezzo d'imbecille che non sei altro.
Thomas sollevò le mani in un gesto stizzito. Lui! Gli avevo chiesto una cosa, sant'Iddio, una cosa. E faceva pure l'offeso se rifiutavo il suo aiuto? – D'accordo, capo, mi dispiace, forse mi sono fatto un po' più di una birra e sono crollato, ma siamo qui, no? – sfoderò il pugnale e si mordicchiò l'interno della guancia, forse per concentrarsi, mentre finalmente recuperavo stabilità issandomi sul tetto. – Andiamo, non gli hanno nemmeno ancora infilato il cappio! Direi che siamo in orario.
Sollevai gli occhi al cielo con esasperazione. Non avesse avuto un compito tanto importante gli avrei mollato uno scappellotto. Scrollai il capo e lanciai un’occhiata sotto di noi, sulla Delancey’s New Square.
Il patibolo era stato montato in maniera eccelsa, come un forte britannico: costruito per durare, compatto, forse se avessi passato la mano sulla struttura verticale della forca le mie dita non sarebbero nemmeno state intaccate da qualche scheggia. Pura ostentazione. Pareva una sfida tra ragazzine invitate alla festa di un giovanotto affascinante: entrambe le fazioni erano prese da loro stesse, disposte a tutto per far colpo su quel pubblico schizzinoso ma al tempo stesso tanto facile da plasmare, la folla. "Guardate, noi patrioti abbiamo le forche più resistenti!", "L'Esercito Britannico ha le divise più belle!", e così via. Non era solo uno scontro per dimostrare quale controparte sapesse usare il moschetto nel miglior modo, no. L’attenzione era rivolta a tutte quelle scaramucce su chi se la cavasse meglio nell'artigianato, la tessitura, la costruzione di forche. Insomma, le stelle più luminose nel firmamento della vita quotidiana.
Un mare di persone – letteralmente, pareva una distesa infinita – occupava lo spazio della Delancey's New Square tra la fattoria in disuso su cui eravamo appostati, la strada e il patibolo. Tutti gridavano, prede della furia, dell'eccitazione e in minima parte dello spirito politico. Mezza dozzina di soldati circondava il ragazzo che identificai come mio figlio, già sui gradini del patibolo. Una donna – lasciatemelo dire, certamente aveva del fegato, oppure era scappata da un manicomio – lo aveva afferrato per i capelli e gli stava sputando addosso mentre i soldati trattenevano le risate. Li vidi spingerla via con delicatezza e buttare Connor lungo disteso sul patibolo con un calcio nel didietro tutt’altro che delicato.
Da buon padre quale sono, ammetto che se non fossi stato in quella situazione sarebbe venuto da ridere anche a me. Era... divertente, sì, in un certo qual modo. Vedere quel ragazzino, che da anni pensava di avere tutto sotto controllo, certo che tutti fossero dalla sua parte, innocente, per di più, in punto di morte e detestato dalla folla... aveva il suo lato ironico. Se posso dire qualcosa a mio favore è che mi sono sempre sforzato di salvare il lato frivolo, per non dire stupido, delle situazioni difficili. In qualsiasi caso. Tranne, be', quando si trattava di gatte troppo difficili da pelare.
A essere sincero una parte di me – la solita, stupida ed ingenua parte da Assassino – voleva pensare che questo non fosse uno di quei casi. Che per una volta, solo una, sarebbe andato tutto secondo i piani.
– ...in nome del nostro beneamato comandante in capo, George Washington, la cui vita, già devastata quanto e in maniera notevolmente maggiore rispetto a quella di tutti noi dalle prepotenze della guerra contro la Corona, è stata messa ulteriormente a rischio da questo criminale! Questo selvaggio privo di senno, un uomo miserabile a cui non interessa nemmeno della terra su cui vive! – Un soldato stava strillando come un ossesso, leggendo il discorso – a dir poco di parte, ma ritengo sia scontato – che avrebbe preceduto la morte di mio figlio. Grandioso. Mi sono sempre chiesto perché non impicchino i condannati senza tante cerimonie. Poi, solitamente una parte di me tende a ricordare che quelle litanie mi hanno salvato la vita per due volte, quindi ben vengano. – Pertanto, l'Esercito Continentale e il suo comandante in capo George Washington, supervisori delle Colonie in nome di Dio e di Suo figlio Gesù Cristo, hanno l'onere, il peso, la difficoltà  e il dispiacere di annunciare, col cuore pesante...
– Cristo, ma quanto dura? – Thomas passò le dita sulla lama, tamburellando sul metallo lucido con lo sguardo esasperato al cielo.
– Zitto. Ci sono quasi, credo.
– ...a morte.
– Alleluia. – Thomas tirò indietro il braccio per prepararsi a lanciare. – Nel vero senso della parola. Guarda, s'avvicina il sacerdote.
Fu il mio turno di roteare gli occhi. – Thomas – lo richiamai, lamentoso. – Concentrati, piuttosto. E sta' zitto.
Un uomo avvolto nella toga, piuttosto sdegnato e al tempo stesso stupito – suvvia, stava facendo il segno della croce e chissà quale inutile benedizione a un indiano con gli occhi colmi di disprezzo e terrore, non esattamente la quotidianeità – si era avvicinato a Connor, salmodiando e agitando la mano a destra e a manca. – Ci siamo quasi – mormorai torcendomi le mani. – Quando abbasseranno la leva aspetta qualche secondo. – Un soldato in uniforme blu scacciò violentemente il sacerdote, aizzato dalla folla urlante ed eccitata. Il mio cuore saltò un battito mentre il patriota si calava un cappuccio scuro sulla testa e faceva scrocchiare le nocche. – Qualche secondo, capito? Non mezzo minuto. Devi essere preciso e veloce.
– Sì, sì, ho capito. Dio santo! Credi che sia un idiota, per caso? Un fottuto senzapalle? E porco…
Clang. Trasalii. – Thomas – dissi in un sibilo, e nello stesso istante lui si voltó verso il patibolo circondato da una marea di esseri umani urlanti. – Ah! – Non riuscii a trattenere un gemito sorpreso. Connor era precipitato nel vuoto sotto il patibolo, scalciando, acclamato dalla folla come un eroe, il cane favorito della corsa. Santo cielo. Lancia. Non riuscivo a fare altro che pensarlo. Lancia. Almeno all'inizio. – Thomas!
Il braccio di Hickey disegnó un arco perfetto e il coltello partì sfavillando nel cielo sopra la Delancey's. Fu come se il tempo fosse rallentato e la lama dovesse attraversare la melassa per passare sopra le teste di quel mucchio di imbecilli e mozzare la corda. Vidi il dardo volare in uno scintillio argenteo, attraversando la piazza con una traiettoria perfettamente diritta, passando proprio dove la corda tesa stava fermando il respiro di mio figlio, ostruendo le sue vie respiratorie e stringendogli il collo in una morsa letale.
La lama stava volando su quell’angolo di New York, dove pareva si stesse svolgendo un’antica cerimonia trionfale. Di quelle in cui lo sconfitto è trascinato per la città in catene.
Il coltello roteò un paio di volte nel vuoto, silenzioso, ammaliante e letale, un dardo divino che aizzò le urla vendicative della folla.
Il tutto pochi secondi prima di mancare il bersaglio.
Il pugnale andò a conficcarsi nel legno della forca. La corda intatta stava trascinando Connor all’altro mondo.
Sentii i tendini della mandibola mollare come cime abbandonate al vento. Mi voltai verso Thomas e riconobbi sul suo viso la mia stessa espressione terrificata, colma di consapevolezza e rammarico. – Ah, merda! – sbottai. Non sapevo se definirmi esasperato o disperato.
– Mi dispiace – lo sentii sussurrare. Il tempo sembrava scorrere ancora piú lentamente, sempre più, fin quasi a sembrare fermo. – Mi...
Eccolo davanti a me, le mani tremanti nell'aria solida, le labbra che si muovevano tanto lentamente da non permettermi di capirlo. Il mio cervello, invece, si sforzava di lavorare in fretta, per quanto possibile. Da un lato stavo per scoppiare in una risata isterica, perché tutti quei guai erano decisamente troppi per la vita di una sola persona, dall'altro sentivo gli occhi bruciare per la medesima causa. Come mai non me ne andava mai bene una? Perché c'era sempre qualche maledetto imprevisto, cazzo? E, soprattutto, ora? Che fare? Non avevamo altri pugnali e lanciare una spada sarebbe stato pericoloso e controproducente. Quindi? Mio figlio stava morendo, il suo peso spingeva sul cappio trascinandolo giù, giù, giù, metaforicamente e non. Sarebbe morto. I miei sforzi? Buttati al vento. I miei sacrifici erano stati inutili. Tutta la fatica che avevo fatto, l’immane quantità di merda tiratami addosso da Assassini, Templari e vari terzi...
– Haytham! – strillò Thomas Hickey, la voce acuta come quella di una ragazzina. La guancia bruciante mi riscosse dal torpore, per non dire che mi sconvolse un po': Thomas mi aveva dato un ceffone. Mi aveva davvero mollato un ceffone. Mi massaggiai la guancia con la mano, osservandolo. Potevo leggere l'ansia e la paura nei suoi occhi. – Sta morendo, cazzo! – Non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere, lanciando un'occhiata verso il patibolo. Scalciava ancora, la corda tesa come quella di un violino.
Feci schioccare la lingua mentre Thomas mi guardava sconvolto. La mia risatina si spense. – Ho un'idea – sussurrai annuendo tra me. Non riuscivo a credere che Thomas Hickey avesse assunto quel tono spaventato parlando della morte di mio figlio quando solo il giorno prima lo aveva sfottuto e aveva quasi dato fuoco alla sua cella. Aveva forse capito quanto, nostro malgrado, quel dannato ragazzino fosse importante? E chi lo sa. – Ho un'idea, Thomas – ripetei a voce piú alta.
Ancora una volta, fui spinto ad agire solo dalla rabbia. Ero furioso. Lo ammetto. Furioso per quella dannata concatenazione di eventi, per tutti i guai in cui finivo per cacciarmi anche quando provavo ad essere buono, seppur con qualche secondo fine.
Presi Thomas sottobraccio e saltai giú dal tetto, tirandomelo dietro. Atterrammo aggraziati ai margini della folla esultante: certi emettevano acute urla sgraziate, altri inveivano contro la Corona, qualcuno omaggiava Washington e un crocchio un po' isolato lanciava insulti alla comunità Mohawk, una scenetta che altrimenti mi avrebbe fatto sorridere. Quello semplicemente non era il momento di preoccuparsene. – Fa' il giro e va' sotto il patibolo – sibilai guardandolo negli occhi. Sfoderai la spada e la tenni stretta, la mano abbandonata lungo il fianco. – Quando cadrà, allontanalo un po' e dagli un'arma.
– Allontanarlo? E come...
Lo zittii con un cenno. Le chiacchiere da sala da tè sarebbero venute dopo. – Vai, Thomas. E muoviti.
Sparì, risucchiato dalla folla, e lo stesso feci io, infilandomi nei varchi per avvicinarmi più velocemente al patibolo, strusciando contro ventri, schiene, gambe, corpi di sudici contadini che aspettavano solo lo spettacolo gratuito del mattino, donne singhiozzanti – e allora perché diavolo stavano a guardare? Bah, chi le ha mai capite – e uomini fieri e composti come colossi di bronzo, tutti d'un pezzo, che cercavano di assumere un'aria saggia. Qualcun altro raccoglieva scommesse su quando avesse smesso di scalciare – mi diede una certa speranza – e pensai che se non fossimo stati coinvolti a tal punto Thomas sarebbe sicuramente stato parte di quel gruppetto. – Permesso – ringhiavo a destra e a manca, rifilando gomitate e spintoni. Avevo una possibilità, se fossi stato abbastanza veloce. E, per spirito, sapevo di doverlo essere. Non tanto per il ragazzo o per la Mela, quanto per far capire a Reginald che non avrei mai smesso di combatterlo. Se, come credeva Thomas, era in città, avrebbe saputo.
Giunto davanti al patibolo di legno, quando un soldato in blu mi parò la visuale, affondai la spada nel suo ventre senza nemmeno pensarci. Cadde mentre saltavo sul palco.
Le grida si fecero piú intense, qualcuno allungó la mano per afferrarmi e portarmi giú. Stavo rovinando lo spettacolo – o rendendolo decisamente piú interessante, la versione che preferisco. Mollai un calcio sui denti di un contadino dalle mani veloci mentre i soldati cercavano di farsi strada attraverso la folla, come me, ma ora nessuno si sarebbe smosso tanto facilmente. La gente voleva guardare, doveva stare a guardare.
Tutta questa pappardella fu il pensiero di un istante, nella mia testa. Allungai velocemente il braccio della spada e mozzai la corda. Quella si agitó come una frusta, un serpente in agonia, e Connor sparí tra le braccia di Thomas Hickey, sotto le struttura di legno. Le grida crebbero d'intensità e per qualche secondo non ebbi la minima idea di cos'avrei dovuto fare.
Poi si udí un urlo piú forte degli altri, dal fondo della piazza. Un grido furioso che nessuno poté ignorare. – Kenway! – Tutti si voltarono in quella direzione, compreso il sottoscritto. Essendo piú in alto avevo una visione agevolata, ma il sangue mi si geló nelle vene quando vidi l'uomo che aveva strillato salire su una cassa e abbassarsi il cappuccio, mostrando il volto spossato dalle fatiche di guerra e quei ciuffi ritti di capelli bianchi che uscivano dal tricorno, l'indice accusatorio puntato verso di me.
Che idiota. Mi ero consumato il cervello chiedendomi se Reginald, Charles o entrambi si sarebbero fatti vedere, ma non avevo pensato alla presenza piú ovvia, quella del diretto interessato.
Il comandante in capo dell'Esercito Continentale, accerchiato da soldati patrioti, mi stava indicando dal fondo della piazza con una voce straordinariamente potente e tonante per quell'età. – É lui! – gridó ai suoi soldati e al popolo. – Lui ha cercato di uccidermi!  
I visi del popolo parvero disorientati, mentre cercavano di riportare alla mente la faccia stampata sui manifesti di qualche tempo prima. I soldati in giubba blu continuarono a farsi strada per raggiungermi. Che lo facciano, pensai scaldando le spalle. Mi voltai a guardare George Washington, solo lui, occhi negli occhi, abbozzai un sorriso e portai la mano alla fronte nel saluto militare.
Allora saltai nell'apertura della botola con fare teatrale.
– Complimenti! – fece Thomas, poggiando l’orecchio sul petto di mio figlio e mollandogli uno schiaffo in pieno viso. – E tu, vedi di svegliarti! – tuonò a pochi centimetri dalla sua faccia. Infilò a forza le sue dita nel cesto di una spada. Una gran bella spada, lunga, lucida e affilata. Chissà a chi l’aveva fregata. – Alzati e combatti, altrimenti qui siamo tutti morti!
Mi spolverai la redingote mentre i soldati si spintonavano per passare sotto il giogo di legno. – Calmati, Thomas – dissi con noncuranza. – Basta che resti vivo.
– Calmarmi? – La rabbia di Hickey virò pericolosamente verso di me. – Dovrei calmarmi, Kenway? Siamo circondati da soldati, cazzo! Tu e le tue idee geniali. Guardati intorno. Non c’è uno di quegli uomini che non voglia ucciderci. E, a proposito, capo, grazie!
Tesi l’orecchio. Che stesse zitto, per una volta. – Di cosa? – I patrioti si stavano avvicinando, sicuro. Non mi sarei fatto cogliere di sorpresa. Sentivo lo scalpiccio dei loro piedi mentre cercavano di contenere la folla e, al tempo stesso, avvicinarsi a noi.
Thomas rise. – Per avermi ispirato! Gesù, se ci penso è tutta colpa tua. Se non avessi provato ad uccidere Washington…
Reclinai il capo, scoccandogli un’occhiata carica di sarcasmo. – Stai dicendo che sarebbe colpa mia? – Giuro su Dio che stavo per tirargli un pugno. – Certo. Mi ero dimenticato che avessi sei anni e necessitassi costantemente dell’esempio di un adulto. Vedi di crescere, ragazzo! – Non potevo davvero credere che mi desse la colpa per un’azione di cui era il solo responsabile.
Si girò verso di me con i denti scoperti. – Fottiti!
– Sto tremando di paura! – ruggii di rimando, afferrandolo per la giacca e spingendolo via. – Cazzo! Sveglia quest’idiota e andiamocene.
– E come pensi di…
Un soldato calò dal cielo, esattamente come avevo fatto io. Lo afferrai per la caviglia mentre era ancora a mezz’aria, lo mandai a sbattere sulla nuda terra e affondai la spada nel suo petto. Thomas Hickey non riusciva a staccare gli occhi da me, disgustato. – Muoviti – ringhiai nuovamente. – Per adesso ci penso io.
Storse la bocca e mi voltò le spalle. Mi sistemai in posizione di difesa. – Cristo, se non si sveglia sarò costretto a pisciargli addosso.
Scrollai le spalle. – Tutto quello che vuoi.
Allora i soldati dell’Esercito Continentale cominciarono ad attaccare, come se il mio ordine valesse anche per loro. Sentii Thomas imprecare e tirare fuori l’uccello – non sto scherzando, giuro, vorrei avesse usato un altro metodo, ma era pur sempre Thomas Hickey – mentre due soldati correvano verso di me con le spade sguainate. Indietreggiai mentre quei due sembravano giocare a morra per decidere chi avesse dovuto vedersela con me. Non concessi loro una scelta e morirono quasi nello stesso istante, uno con lo sterno spezzato dalla lama celata, l’altro per un fendente che gli recise la gola.
Altro sangue. Avrei voluto pensare qualcosa come Gesù Cristo, quanto ancora potrò sopportarne prima che la mia coscienza si sporchi?, ma la verità è che non provavo niente del genere. Non mi sentivo in colpa per tutti quegli innocenti. Il sangue rappresentava la quitidianità, più o meno. Ci ero abituato. D’altro canto non ho fatto altro che uccidere per tutta la mia vita. O fingere di farlo, quando mio padre mi addestrava.
Spinsi via entrambi i corpi e scrollai le spalle, aspettando altri passi. Vidi mio figlio rizzarsi a sedere sputacchiando mentre Thomas smetteva di pisciare, ridendo come un matto. – Puttana Eva! – bestemmiò Hickey tra le risate. Sorrisi anch’io guardando Connor piegarsi in due per vomitare senza nemmeno riuscirci. Probabilmente si era perso il lauto banchetto che si offre per tradizione ai condannati a morte.
Sto scherzando. Per l’amor del cielo, state diventando peggio degli Assassini.
– Gesù – sussurrò Connor, fulminandomi con lo sguardo e raccogliendo la spada che aveva fatto cadere a terra durante il suo attacco di conati sforzati. – Ti sembrava il caso? – tossì, e ancora una volta scrollai le spalle con un gran sorriso.
Durò poco, ormai dovevo aspettarmelo. Ne arrivarono cinque o sei, dopo aver spedito a gambe all’aria una donna che si era sistemata in prima fila – e di certo non aveva intenzione di fermarli. Assistere a uno spettacolo del genere da vicino non era una cosa da poco, anzi. Doveva essere eccitante, visto dall’esterno. Pensandoci, sarei dovuto essere terrorizzato.
Spaccai il cranio di un uomo come fosse un melone maturo, il sangue e le cervella si riversarono sulla terra sotto il patibolo. Un altro mi finì addosso, e impalarlo fu terribilmente facile. Ricordo che un soldato provò a mozzarmi il braccio e risposi facendo scorrere il filo della sua arma sulla lama celata per avvicinarlo a me, poi gli tranciai la gola. Altri uomini, vite che diventavano corpi. Nessun viso nella mia mente. Connor si difendeva alla bell’e meglio – lo vedevo flettere il polso nudo d’istinto, probabilmente maledicendosi tra sé e sé per riporre fiducia in una lama che non sarebbe mai scattata – e Thomas sembrava divertirsi un mondo. Sanguinava da una coscia, ma era in piedi e saltellava come un artista teatrale, mulinando la spada e dando stoccate a chiunque osasse avvicinarglisi.
Abbattemo altri soldati, chissà quanti, prima che si formasse un varco e riuscissi a infilarmi. – Andiamocene – sibilai, cominciando a correre giù per la strada. Eravamo nella zona più nuova di New York, in un certo senso, l’ultima in cui fossero stati costruiti edifici. – Venitemi dietro! – ringhiai, continuando a scendere verso la Broadway. La scelta più stupida che potessi fare, lo so, ma dissi a me stesso che avrei svoltato al più presto, prima di Bridewell, prendendo la parallela che seguiva i moli. Saremmo scappati.
Thomas s’affiancò a me, lo sguardo determinato nonostante il continuo flusso di sangue che gli bagnava i pantaloni. Non mi lanciò nemmeno un’occhiata, anzi. Irrigidì la mascella e continuò lungo la sua strada senza zoppicare. Mi superò. E, a bocca aperta, seguii il suo sguardo.
Lungo la Broadway – ormai era in procinto di sbucare nella Common, la piazza di fronte a Bridewell – un uomo correva per allontanarsi da noi. Lo stesso uomo che mi aveva cacciato in quel guaio, la redingote blu svolazzante e una mano in testa per impedire al tricorno di cadere nella corsa. Thomas mise via la spada e tirò fuori la pistola, controllando la polvere e caricandola mentre correva, rallentando appena l’andatura. Merda, pensai. Aveva un piano, lui. Istintivo, abbozzato e stupido.
Di quelli che in genere funzionano.
– Thomas! – gridai, vedendolo correre ancora più in fretta. Era vicinissimo. Lo vidi chiaramente digrignare i denti e mirare. Aveva dalla propria l’età, l’esperienza e la posizione. Stava serrando gli artigli sulla gola della preda.
Ero lì quando Thomas Hickey affondò il dito sul grilletto, sparando un colpo tra le scapole di George Washington, comandante in capo dell’Esercito Continentale, che cadde a terra come un albero malato, faccia nella sabbia. – Oh, Cristo – sussurrai stupito, fermandomi. – Thomas…
Hickey non si voltò verso di me. Non mi aveva sentito. Prese a camminare, ricaricando la pistola. Si stava avvicinando a George per infliggergli il colpo finale. L’avrebbe ucciso, se Connor non fosse accorso in aiuto del suo eroe strattonando Hickey per la giubba. Il colpo andò a vuoto e Thomas si ritrovò stretto nella morsa delle poderose braccia di Connor, ruggendo come un cinghiale ferito. – Lasciami! – Connor m’indirizzò con gli occhi una muta richiesta d’aiuto, trascinandolo verso di me. – T’ho detto di lasciarmi, lurido bastardo!
Mi avvicinai e lo afferrai per un braccio, cercando di calmarlo. – Thomas, adesso basta. Non è il momento giusto per…
– Adesso lo difendi? – Gli occhi di Thomas lanciavano fiamme. Quello era lo sguardo di un uomo sul punto di crollare. – È colpa sua, Haytham! – Stava forse per scoppiare in lacrime? – È tutta colpa sua! Se fosse morto insieme a Braddock sarebbe tutto diverso! Perché non lasci che lo uccida? Perché? Sei dalla sua parte? Mollami!
Riuscii a resistere. Fortunatamente era ferito e debole, altrimenti non so quanto sarei riuscito a trattenerlo. Le sue parole erano sensate, le mie azioni… nemmeno più di tanto. Non volevo salvare Washington, facevo il minimo per impedire che la situazione ci crollasse ulteriormente addosso. – Thomas, lo faremo, quant’è vero Iddio che lo ammazzerai, te lo giuro, ma…
– Codardo! – Thomas mi sputò in faccia. – Sei un maledettissimo codardo! Tu e tutta quanta la tua stirpe! Sei solo un fottuto codardo che non vuole affrontare la realtà! Soltanto… – Gesù, ora sembrerò ridicolo, ma vidi sul serio una lacrima di rabbia scorrere lungo la guancia di Hickey. Non sto scherzando. – Codardo – disse di nuovo. Non era senza dubbio il miglior insulto che potesse scegliere, ma vederlo tanto adirato mi impressionò. Soprattutto perché aveva ragione e lo stavo negando con il mio comportamento. La mia coscienza riconosceva la verità nel suo delirio iracondo, ma la ragione si sforzava di non dargli retta.
Connor lasciò che me ne occupassi io, scappando per leccare le ferite di Washington, quel maledetto imbecille. E io? Cos’avrei dovuto fare? Se George mi avesse visto lì con il suo attentatore avrei passato dei guai. Ne avevo abbastanza, sinceramente.
Sospirai, chiamando a gran voce Connor un’ultima volta. – Ci vediamo alla tenuta – dissi mentre teneva gli occhi inespressivi fissi su di me. Annuì, poi gli voltai le spalle. Thomas singhiozzava con la testa poggiata nell’incavo del mio collo. Probabilmente nemmeno lui sapeva più cosa fare. Era un criminale disperato, costantemente braccato dalla giustizia e da me, dal suo passato. Voleva solo porre fine alla vita dell’uomo che aveva fatto cominciare quella stupida reazione a catena. Non c’era motivo per disprezzarlo, anzi. Aveva forse il modo di agire più coerente, tra tutti noi.
Mi costrinsi a smettere di pensarci e lo strinsi a me, un braccio attorno al suo fianco, incamminandomi lungo la banchina. Qualcuno avrebbe pur dato un passaggio a due disperati, no? Date una sterlina in più ai capitani e le rotte sulle cartine si plasmeranno secondo i vostri desideri.
 
– Sant’Iddio! – ‘Giorno anche a te, Bob. – Che diavolo è successo?
Sospirai, sollevando le mani come a dire che nonostante tutto eravamo ancora in piedi. Dovevo avere un aspetto terribile. Avevamo affrontato il viaggio di ritorno da New York rinchiusi nella stiva di una nave, senza cibo e senza grog. Il capitano – un avvoltoio della peggior specie – mi aveva a malapena concesso delle bende pulite per fasciare la coscia di Thomas, che mi seguì giù per la passerella reggendosi a un bastone.
Non avevo fatto parola di quanto accaduto a New York, non ero dell’umore adatto. E non avevo certo intenzione di riferirlo a Robert Faulkner. – Posso evitare di parlarne? – dissi invece, mollandogli una pacca sulla spalla. – E, vecchio, se hai del grog lo accettiamo volentieri.
Roteò gli occhi al cielo. – Maledetto figlio di puttana, mi finirai le scorte, di questo passo! – S’allontanò verso la casa e guardai Thomas. Non sembrava più il ragazzo superficiale che conoscevo, tutto birra e sesso. Appoggiato a quel bastone come un vecchio, sembrava anche infinitamente più saggio, distrutto dall’interno, disperato. Poveraccio. Ripensando a tutto ciò che avevamo passato, capii che doveva essere stato un brutto colpo. Nessuno lo aveva mai perseguitato, aveva ucciso molti uomini ma senza un vero scopo, semplicemente perché erano d’intralcio, e l’unico cristiano che voleva tra le proprie mani era semplicemente intoccabile per miei ordini. Una brutta situazione, già.
– Andrà tutto bene – mormorai, affondando le dita nella spalla di Thomas. – Beviamo un po’ e ce ne andiamo.
Hickey annuì debolmente mentre Bob tornava con tre bicchieri e una bottiglia impolverata. Aveva evitato di portare il nipotino ficcanaso, questa volta. – Ecco qua – disse abbandonandosi sulla sabbia. – Ma sappi che non si beve senza una spiegazione, Kenway. – Lo ignorai, avvicinando una sedia per Tom. Credetemi, non l’avevo mai visto con una cera così brutta. Scavato, pallido, pareva essersi consumato. I suoi occhi si erano spenti, non aveva nemmeno più la forza di essere sarcastico. Forse aveva bisogno di una dormita, mi piaceva pensarlo. – Ecco qua.
Sospirai, accettando il bicchiere. – Lui è Thomas. Un amico – bofonchiai, indicandolo prima di tracannare il liquore con un brivido lungo la schiena, la naturale risposta del mio corpo. Sollevai una mano verso Bob prima che potesse cominciare a farmi il terzo grado. – Per piacere. – L’ultima cosa che volevo sentire era l’ennesima paternale su cosa avrei dovuto fare, chi sarebbe stato meglio fosse morto e stronzate del genere.
Bevemmo in silenzio. Sentivo lo sguardo di Faulkner scavare nel mio alla ricerca di risposte, e feci di tutto per tenerlo fuori. Thomas mandava giù il grog come fosse nettare, assaporandone ogni goccia e sospirando dalla soddisfazione. – Dov’è Connor? – chiese finalmente Robert. Aveva capito che dal mio silenzio non avrebbe ricavato nulla ed era passato all’attacco.
– È rimasto a New York con Washington. Doveva risolvere una certa faccenda.
– Che tipo di faccenda?
Thomas Hickey si alzò, poggiandosi al suo bastone provvisorio. Avevo sempre pensato a lui come il mio bastone della vecchiaia. Ironico. – Andiamocene, Haytham – sibilò con astio. Si tenne il boccale stretto al petto, notai con un sorriso. – Sei un Assassino, vero?
Bob si limitò a guardarlo attraverso gli occhi stretti, spostando rapidamente le iridi azzurre su di me. Come attirare l’attenzione: corso accelerato dell’illustre professor Thomas Hickey. Mi passai le mani sulla faccia, braccato. – Siediti, Tom – dissi spostando la sedia per lui. – E Bob non è un Assassino. Non ufficialmente.
Sputò a terra e portò il boccale alle labbra. – Lavori con loro, vivi con loro e adesso bevi pure la loro merda. – Mi lanciò contro quelle parole con tutto l’odio possibile, ma mi parve di scorgere una scintilla nei suoi occhi. Si stava ubriacando. Quello era il normale atteggiamento di Thomas, niente di cui preoccuparsi. – Magari ci scopi pure e non me lo vuoi dire – disse con più leggerezza, abbandonandosi sbracato sulla sedia e facendomi trasalire.
Se gli fosse scappato qualcosa su me e Reginald davanti a Bob, la vergogna sarebbe stata inimmaginabile. Io tenni la bocca chiusa, ingoiando un altro sorso di grog per non mostrare il pallore delle mie guance. Il liquore sembrava gelare le viscere, invece di riscaldarle. Robert Faulkner intervenne in mio aiuto con una risata per nulla naturale. – A proposito, Haytham, io non posso offrirvi nulla di più del grog. Se vuoi un altro tipo di intrattenimento ti toccherà andare a Boston. – Lo guardai con tutta la mia gratitudine e sorrisi, sollevando il boccale nella sua direzione.
– Veramente – dissi, serio e ansioso di andarmene da lì, – avremo bisogno di un passaggio per la tenuta. Thomas non può cavalcare, non ridotto così. E sinceramente sono troppo stanco per farlo. Un carro, un calesse, va bene qualsiasi cosa. Vorrei… dare la notizia ad Achille prima che arrivi Connor. – Gesù, sembrava fossi una donna sul punto di annunciare alla suocera di essere incinta. Santo cielo.
Robert scrollò le spalle. – Mi pare che King stia andando laggiù per vendere ad Achille un paio di libri. Gli dirò di aspettarvi. – Calò di nuovo il silenzio. Thomas non faceva altro che lanciare occhiate sospettose e sprezzanti a tutto ciò che lo circondava, io sentivo la testa girare al ricordo dell’Old Avery, la taverna in cui avevo bevuto rum con mio padre in un sogno. Sorrisi, pensando che prima di morire avrei dovuto portare Connor a bere.
Quello beveva? Non mi ero mai preoccupato di chiederglielo. – Allora, Thomas – eruppe Bob in un altro stupido tentativo di conversazione – di cosa ti occupi esattamente?
– Sono un amico di vecchia data di Haytham – rispose, restando sul vago. – Avevo un piccolo giro d’affari a New York. Sai, mi occupavo di prestiti e… ahi! – Gli mollai uno scappellotto sul collo prima che potesse offrire a un alleato degli Assassini il suo stupido denaro falso. – Vedi di calmarti, capo! – esclamò massaggiandosi  la pelle arrossata. – Stavamo solo chiacchierando.
Lanciai un’occhiata comprensiva al capitano, che scoppiò a ridere. – Bene. Mi pare di capire che Kenway debba sembre rompere i coglioni in qualche modo a noi gentiluomini – disse Faulkner facendomi l’occhiolino. Un occhiolino amichevole, fortunatamente. Quel gesto, da parte di chiunque, faceva correre i brividi lungo la mia spina dorsale. – Dico bene?
– Altroché! – Thomas rise fragorosamente, rischiando di rovesciarmi il grog addosso. Non era ubriaco, probabilmente voleva solo dimenticare per un attimo, un misero attimo, tutto il resto. Si trovava davanti ad un uomo che non voleva intromettersi nei problemi delle fazioni e non si sarebbe messo a parlare di politica, meglio approfittarne. – Questo maledetto demonio arriva sempre al momento meno opportuno.
– Be’ – m’intromisi trattenendo un singhiozzo. Io sì che mi stavo ubriacando. – Non è vero per niente. Ti ho salvato la vita.
Thomas roteò gli occhi. Roba di poco conto, pareva dire. – Allora, Bob – intraprese un nuovo argomento con tono confidenziale – tu di che ti occupi, invece? Vendi questa roba alle giubbe rosse?
Robert rise. Per grazia divina, sembravano due cani in calore. – Nah, non hanno il fegato di farsi vedere da queste parti. Io navigo, ragazzo! – esclamò, indicando con enfasi l’Aquila ancorata nella baia. Il mercantile che ci aveva portati fin là aveva dovuto calare una lancia per non speronarla, col rischio di far affondare entrambe le navi. Poveraccia, probabilmente quel giorno si era presa più insulti che in gran parte della propria esistenza. – Ora non è al massimo della sua forma, ma ai bei tempi… filava come una freccia, credimi.
– O un pugnale. – Hickey mi guardò di sottecchi e scoppiò a ridere rauco, battendo il palmo sul tavolo. Quello sì che era un buon metodo per dimenticare i problemi.
Mi alzai in piedi mentre Bob si univa alla sua risata. – Cristo, se volete organizzo la festa di fidanzamento – brontolai reggendomi alla sedia. Non dico che ci vedevo doppio, ma quasi. – Allora, quando parte questo King? Stasera? O… – barcollai e per poco non precipitai faccia nella sabbia. E da quando in qua non reggevo l’alcool? Boh, forse era stata colpa di quel viaggio sfiancante.
– Suvvia, Haytham, non ti reggi in piedi! – Altre grasse risate da parte dei due piccioncini. – Forza, va’ a dormire. Domani partirete per Davenport, lavati, puliti e rasati come due onesti gentiluomini inglesi. – Mi tirò su, afferrandomi da sotto l’ascella, e mi diede uno schiaffetto sui favoriti. –  Probi. E… gentili. – Neppure lui sembrava in ottima forma, a dire il vero. Biascicava, gli occhi vitrei come biglie. – Soprattutto… tu! – Indicò Hickey con l’indice e una risata roca.
– Bob, forse… – Mi appoggiai a lui con un gemito. – Forse dovremmo andare tutti a fare un sonnellino. Dico bene, Tom?
Il mio socio scrollò le spalle, tracannando altro grog. Ci stava prendendo gusto, il giovanotto. – Penso proprio di sì, capo. Vieni, Bob – sibilò alzandosi con l’aiuto del bastone. – Andiamo a dormire. Ninna nanna, ninna… burp. – Rise.
– Che classe. – Sollevai gli occhi al cielo, ma in fondo mi era mancato. – Ah, Bob, non farci dormire fino a mezzogiorno. Il tuo grog è probabilmente il migliore che abbia mai assaggiato, ma sei troppo vicino agli Assassini perché possa fidarmi dei tuoi gusti in fatto di cucina. 
  
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