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Autore: Milady    18/06/2014    1 recensioni
Severus Piton ed i suoi tormenti interiori.
La sua innata abilità nel doppio gioco; la sua incrollabile fedeltà verso un solo mago.
Il coraggio delle sue scelte, uniche e mai banali.
Il suo rimpianto più grande, nel nome dell’amore.
La complessità della sua anima, dannata e poi redenta, lo ha reso un personaggio unico ed eroico… che avrebbe meritato, davvero, maggior fortuna.
Approfondimenti e rivisitazioni di pezzi tratti dal VI* libro, attraverso gli occhi di Piton.
Ovviamente i personaggi sono di proprietà di JK Rowling, io li prendo solo in prestito per divertirmi e mi auguro, far divertire i lettori.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Severus Piton
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo
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Da tempo avevo in mente questa storia,  anche perché il personaggio di Piton mi ha sempre enormemente affascinato, così ambiguo e perennemente sul filo del rasoio. Così cupo e misterioso, in apparenza senza sentimenti o passioni, se non per le arti oscure. 
Fidarsi o non fidarsi di lui ?  Del resto se lo faceva  Silente...
Con questo racconto vorrei entrare un po’ più nei pensieri e nei tormenti di Piton, magari riuscendo a mostrarvi  (almeno è questa la mia intenzione) altri  aspetti del suo notevole, inconfondibile, inimitabile oscuro carattere.
I fatti si svolgono sullo sfondo degli eventi del VI° libro. 
Buona lettura a tutti!
Mil@dy

PER IL BENE SUPERIORE
Racconto a puntate



1.
Decisioni  estreme.

C’era buio in quel luogo,  un buio profondo, pesto, intriso di paura, tangibile come l’aria intorno.   
All’improvviso,  però,  la scena  si definì  ed apparve la cima di una collina spoglia e brulla come arsa da fuoco magico, spazzata da un vento gelido e teso senza alcuna tregua apparente.  
Ed in mezzo a quella tormenta che avrebbe spezzato l’animo di chiunque,  c’era un uomo. 
Curvo e chino come se pregasse,  o stesse per soccombere sotto i colpi invisibili di un dolore insopportabile. 
Assieme ad un rumore improvviso e sordo, irruppe una luce  forte,  chiara,  luminosa e dolce come una fiammella, eppure intensa e distruttiva come un fulmine.
Feroce spezzò l’oscurità ed illuminò la scena e quell’uomo distrutto e piegato.
- Allora,  cosa vuole da me un Mangiamorte?  Perché mi hai chiamato?  E’ forse per darmi qualche  messaggio da parte del tuo signore e padrone?
La  voce del mago,  appena materializzatosi,  era potente,  fragorosa e pareva scuotere le fondamenta stesse della collina battuta dal vento e intenzionalmente percuotere l’uomo che infine alzò il volto. 
Era un viso cereo, incorniciato da lisci e unti capelli scuri,  emaciato e distorto dalle lacrime e dal dolore;   la  sua voce, al contrario di quella dell’altro, era un fievole sussurro rotto dal pianto che usciva a stento dalle labbra esangui e contorte in un ghigno sofferente. 
- Silente non… non mi uccida, per favore. Sono venuto di mia iniziativa, non mi manda nessuno.  Io… non so,  non…  Deve  salvarla, deve salvarla! 
- Dovrei salvare  chi  e perché,  Severus? 
- Lei,  lei! Oh…  Per favore,  per favore! -  Il dolore insito in quella supplica pareva incolmabile e spezzava il cuore.
- Hai raccontato tutto, vero?  Hai spifferato tutto a Voldemort,  tutto sulla profezia che hai origliato, giusto. Non  è così?
-Sì,  sì... l’ho fatto ma io, io non sapevo… Io mai,  mai  avrei pensato ai Potter. Non immaginavo...              
- Cosa non immaginavi, Severus? Che il tuo signore avrebbe archiviato tutto senza neppure darsi pena di cercare? Che non avrebbe dato la caccia a chiunque corrispondesse seppur lontanamente a quella profezia?  Eppure in essa non si  parla di una donna,  ma di  un bambino!  Tu,  chi  vuoi salvare? 
La voce dell’altro mago era sempre più straziata dalla sofferenza.  
- Io… io  v-voglio salvare lei,  Lily non può essere in pericolo a causa mia.  No, no…  La supplico,  Silente. 
- Ho pena di te. Voi salvare solo la donna per coronare finalmente un tuo capriccio personale e morboso,  lasciando morire degli innocenti. E così? 
- No, no, non ragiono più,  io… li salvi tutti… tutti e tre, per favore.  Farò qualsiasi cosa, qualunque cosa,  tutto ciò che vuole! 
- Ma davvero?  Chi l’avrebbe mai detto, Severus... -  C' era una sottile vena ironica ora nella potente voce del vecchio mago.  - A volte temo che il Cappello Parlante sia una prova affrontata troppo presto dagli studenti.
L’ombra dell’uomo che era stato Severus Piton si accasciò di nuovo, come se volesse scomparire dentro se stesso, come se volesse essere cancellato dal vento e portato via insieme alle foglie che vorticavano incessantemente su di loro.
Si coprì il viso con le mani e … 
E l’immagine scomparve,  scomparve come per incanto ma non c’era tregua in quel gioco. Subito riapparve un’altra visione, per un certo senso più sconvolgente di quella precedente, perché malgrado si fosse dissolta la collina,  le foglie vorticanti,  il gelo implacabile del vento freddo,   l’aria che aleggiava in quel luogo era intrisa di dolore e di un suono simile al lamento di un animale ferito.
I protagonisti  erano in una stanza,  spaziosa,  calda, piena zeppa di libri ed oggetti magici. 
Le pareti erano tappezzate di quadri raffiguranti anziani personaggi  che dormicchiavano all’interno di sontuose cornici. 
Dentro teche di cristallo addossate all’unica parete libera, erano esposti fragili e complessi meccanismi d'argento perfettamente curati e brillanti; oggetti magici di cui pochi conoscevano la provenienza e meno ancora l’utilizzo…

Ancora una volta Silente era dinanzi ad un uomo, o forse ciò che ne rimaneva,  giacché le sue spalle erano piegate come sotto un peso immenso,  un peso di cui non si sarebbe mai liberato e che pareva schiacciarlo senza scampo,  per sempre, per l’eternità...

- Già,  hai sbagliato Severus,  hai riposto la tua fiducia in una persona che non la meritava  di certo.  Come del resto hanno fatto,  ahimé,  i Potter…

Nella voce del mago si percepiva appena un accenno di rammarico, poiché essa era rigonfia di astio indirizzato all’ammasso informe di vesti che aveva davanti. 

L’interlocutore, rannicchiato sulla sedia,  cupo e con i capelli scomposti e trasandati come mai prima,  parve sul punto di replicare  ma forse biascicava soltanto. 
Con le mani si  copriva il volto,  quasi fosse costata troppa fatica per lui rivelarlo e fissare il vecchio mago negli occhi.
- Morta,  morta… tutti morti.  Perduta… perduta per sempre.

- Non sono morti tutti. Suo figlio, Harry, il figlio di Lily,  è sopravvissuto e adesso devi fare qualcosa per me,  Severus,   lo esigo!  Tu promettesti quel giorno di fare qualunque cosa io ti avessi chiesto, ricordi?

- No! No! Voglio solo morire, voglio una morte rapida e la voglio per mano sua,   Silente.   

Silente fece una smorfia,  gesticolando come se volesse scacciare una mosca fastidiosa.  
-  Non serviresti a nessuno da morto e tu lo sai, come sai che ora la tua strada è segnata, se vuoi dare giusta memoria alla donna che hai amato.

- No, morta,  perduta, no,  Lily no, no…

- Ascoltami Severus e ascoltami ora! – All’improvviso la mano forte e nodosa di Silente si   abbatté sul tavolo ligneo ed i vecchi presidi confinati nelle loro cornici sobbalzarono all’unisono, svegliandosi. 

- Hai già accettato il mio incarico,  ma adesso te ne do un altro. Uno più importante, che non dovrai mai dimenticare,  mai!  Harry Potter,  lo proteggerai come avresti voluto fare con sua madre;   seguirai tutte le mie istruzioni  e mi aiuterai in questo delicato compito.

A quelle parole Piton sollevò il viso di scatto e fissò gli occhi stralunati, iniettati di sangue e stanchezza,  in quelli sereni e cerulei dell’anziano mago. 

- Io? Cosa, come…. Ma non ne avrà bisogno, Silente!  Voldemort è scomparso, andato, finito!

- Lo credi davvero Severus? Proprio tu, asserisci queste cose?  No, guarda dentro te stesso e vedrai la verità!  Voldemort è solamente confinato lontano, per ora, ma tornerà più malvagio di prima,  ed Harry sarà in pericolo mortale.

Piton serrò gli occhi,  scuri e profondi come pozzi senza fondo;  quindi  parve accettare ed  ingoiare un boccone più grande di quanto la sua bocca potesse contenere.  
Quando li riaprì,  c’era una nuova luce in essi,   una lucida incrollabile  follia...

- Sì, si va bene,  farò tutto, tutto ciò che mi chiede Silente,  ma nessuno,   nessuno dovrà sapere di  tutto questo  e dei nostri patti,  nessuno!  Neppure il ragazzo…

Ora la voce di Piton era una vibrazione potente, quasi volesse ribadire tutta la sua ferrea volontà.  
Quasi ricordasse che la rabbia ed il dolore lo avevano piegato,  ma non spezzato.

Silente lo fissò a lungo,  leggendo nella sua anima come in un libro aperto.
– Vuoi… che nasconda a tutti che sei un eroe? Un animo nobile e coraggioso come poche volte nella vita mi è capitato di incontrare? Lo farò,  se è ciò che desideri.

Un silenzio gonfio di complicità e rispetto cadde fra loro.  
Piton lasciò vagare lo sguardo ancora un poco negli occhi del preside,  poi s’accasciò,  piegato sotto un tormento inimmaginabile; singhiozzando come un bambino con le  mani contratte e rattrappite prese a battere pugni sulla liscia scrivania di Silente, che non intervenne e lo lasciò sfogare.

Batteva e batteva…e la rabbia in lui pareva ora scemare ora riprendere, come colpi di marosi  sugli scogli di una spiaggia deserta ed  assolata. 

I suoni,  cupi e ritmati,   si susseguivano con cadenza regolare e rombando sul legno liscio  echeggiavano dolorosamente nelle sue orecchie.

Erano paragonabili ai colpi di un martello, immane e crudele,  così vivido nei suoi ricordi da percuotergli  ancora i timpani.
Come se  vivesse quel momento ora… ed ancora…
La consapevolezza di tutto ciò lo fece vacillare,  da qualche parte nella sua mente si formò il pensiero che quella era la realtà  perché...
Perché qualcuno batteva colpi  per davvero,  sulla porta, però!

Dannazione, si era appisolato solo  un attimo, ed i suoi demoni personali  avevano  subito preso il sopravvento.

Si alzò di scatto,  e con un gesto secco e preciso gettò il libro, che ancora reggeva inutilmente fra le mani,   sulla scrivania.
 
Di sicuro era  tardissimo,  perché quella sera di metà agosto aveva deciso di fermarsi nel suo sotterraneo e studiare i  nuovi programmi  didattici visto l’imminente riapertura della scuola.

Non immaginava certo di essere disturbato nel cuore della notte, men che meno dalla bizzarra creatura che si ritrovò inaspettatamente davanti, una volta spalancato il pesante battente dello studio.

- Professore Piton.  Professore… - Pigolò una vocina flebile.

- Chi diavolo… -  Sbottò irato Piton,  inquadrando l’Elfo domestico solo in un secondo tempo,  dato che  aveva inizialmente indirizzato lo sguardo ad altezza d’uomo.

L’esserino piccolo e raggrinzito,  nell’effettuare quello che doveva essere un inchino, aveva piegato così tanto il suo testone da sfiorare con il naso a patata e le orecchie smisurate,  il freddo pavimento del sotterraneo.

- Che cosa vuoi,  e che cosa fai fuori  dalle cucine a quest’ora di notte?  Su,  rispondi!

- Mi perdoni, professore,  sono  Dobby e sono libero di andare e venire quando voglio… Io non ho padrone! - Replicò impettito,  ma con quella vocina lieve che ne faceva quasi una caricatura.

Il mago si  sforzò di mantenere un distaccato contegno.
- Molto bene, Dobby,  ma per la barba di Merlino,  potrei conoscere il motivo della tua presenza proprio qui? Stavo lavorando, lo sai?

- Silente,  il professor Silente mi ha detto di mandarla a chiamare.  Ha bisogno di lei.  E’… è urgente. -  Cinguettò l’Elfo,  e come sempre a quel  nome il  volto di  Piton parve irrigidirsi in un’espressione indecifrabile.

- E’ nel  suo studio? -  Chiese,  mentre senza perdere tempo afferrava  la bacchetta sulla scrivania e  spingeva con malagrazia l’Elfo oltre la soglia del suo studio.

- Sì, sì è  là che l’aspetta.  Ma ora io vado,  lei non è educato con Dobby,  lo dirò ad Harry Potter! -   Un sonoro CRACk    e   l’Elfo si smaterializzò, lasciandolo solo.   

Con una smorfia di disappunto  Piton iniziò a percorrere a grosse falcate il lungo corridoio del sotterraneo.
Il suo  sotterraneo dall’ufficio del Preside era piuttosto lontano. 
Per tenere a bada la preoccupazione che minacciava di sopraffarlo,  prese a meditare  infastidito su come potevano quegli insulsi esserini  prevaricare ogni Legge Magica,  perfino  il noto divieto di materializzarsi entro le mura della scuola.

Pensare e cercare di  ragionare  analiticamente anche sui più inutili  dettagli,  era ormai diventato il suo modo di affrontare ogni cosa. 

Gli  regalava una strana calma,   lo aiutava a ricercare in ogni azione anche la più piccola falla,  lo faceva calare più facilmente nella parte di freddo esecutore  delle più subdole azioni. 

Lo rendeva quello che era diventato oramai da così tanti anni,  che ricordarsi di com’era stato un tempo era come pensare con dolore ad un’altra persona. 

Eppure… era proprio quel dolore,  quel  ricordarsi di com’era stato prima,  ciò che lo aveva fatto andare avanti e perseguire il suo  scopo con tanta  lucida perseveranza e devozione.

Il passaggio segreto custodito dalla  cupa statua di  un gargoyle  si materializzò finalmente alla sua vista.

- Bignè ripieno alla crema. -  Biascicò la parola d’ordine  talmente piano ed in fretta che si meravigliò sinceramente nel vedere scivolare di lato la burbera statua e nel contempo aprirsi il passaggio segreto con le scale che ascendevano verso lo studio del preside.

Si catapultò nella grande stanza circolare, addobbata e circondata da così tanti libri ed oggetti magici  da sembrare immersa in un'altra dimensione. 

Silente era  adagiato in maniera scomposta sulla grande poltrona oltre la sua scrivania.  
Fanny,  la magica Fenice non era al solito posto,  appollaiata sul trespolo alle spalle del  mago e la stanza pareva un po’ più buia e vuota  senza la  sua presenza rassicurante.

I vari presidi che si erano avvicendati sulla cattedra più importante di Hogwarts dormivano dentro le magiche cornici dorate e qualcuno russava pure sonoramente,  creando un curioso contrasto di pace e dolore.
Osservò con apprensione     Silente;  aveva gli occhi chiusi ed un’espressione così stravolta e  sfinita sul viso,  che gli apparve per la prima volta sotto il suo reale aspetto:  un vecchio.

-  Silente,  dannazione,  che diavolo è successo?  In   che pasticcio vi siete cacciato questa volta,  posso almeno sapere dove siete stato? 

Al tono allarmato e alla nota di biasimo nella voce di Piton,  il mago  aprì  faticosamente gli occhi,  investendolo con il suo sguardo azzurro,   puro e adamantino.

- Severus,  ofh…  non  ti avevo forse detto che in questi incontri potevamo darci del tu?

- Sì, sì va bene,  facciamo pure conversazione,  ma adesso dimmi che cosa diavolo è successo! 

Severus puntò lo sguardo con rabbia su di lui e poi velocemente sulla scrivania, notando i resti di qualcosa di anomalo ed inusuale. 

- Che cos’è questa…roba? - Domandò forse con più irruenza di quanto in realtà volesse far trasparire.

I resti di quel che doveva essere stato un grosso anello molto antico, sebbene di non pregevole fattura anzi  piuttosto rozzo e grossolano,   erano sparsi sul lucido tavolo di legno.

La  pietra,  che era incastonata nella rudimentale montatura, era stata sbalzata fuori dalla stessa eppure non pareva aver subito danni;  giaceva immota sul velluto scuro che Silente aveva preventivamente steso sulla scrivania.

Qualcosa di oscuro sembrava brillare nelle profondità delle sue sfaccettature,  quella gemma dai cupi bagliori vermigli imprigionava un essenza malvagia o  un potere nefasto;  lo sentiva.
Lo percepiva nell’aria stessa che li circondava.

Continuò ad osservare quanto restava di quel monile, ma non si poteva dire molto del resto:   il cerchio probabilmente d’oro massiccio che un tempo formava l’anello pareva spezzato ed annerito in più punti,  ormai inutilizzabile.

Poco più in là,  oltre la scrivania,  un luccichio rossastro richiamò ancor di più la sua attenzione:  a terra vi era la Spada di Grifondoro, splendida,  magnifica,  quasi fosse stata forgiata in quello stesso momento;  con l’impugnatura brillante di rubini e diamanti.

Una terribile rabbia mista a paura colse Piton d’improvviso.

- Ma… ma che diavolo hai fatto? Come ti è venuto in mente di fare una cosa tanto pericolosa?

- Sì, sono stato uno sciocco Severus, lo so. E' che sono stato preso da curiosità incredibile e non ho   resistito. Potrai mai  perdonare un povero vecchio? 

- NO!  Perché non mi ha mandato a chiamare prima, e perché diavolo hai pensato di fare tutto da solo, accidenti!

Redarguendolo come  uno scolaretto disubbidiente, Piton spostò in fretta lo  sguardo sulle mani di Silente, e trovò conferma alle sue sinistre supposizioni:  la destra appariva  rattrappita e contusa,  con tre dita annerite e bruciacchiate quasi fossero state un corpo estraneo a tutto il resto.

- Fammi vedere la mano,  Albus… -  Biascicò  sconfortato.

Il vecchio mago sorrise sornione, come se tutto si riducesse ad un amabile gioco,  in cui il divertimento era determinato da ciò che uno poteva scoprire dell’altro.  -  Ma certo,  Severus…

Gli porse l’arto senza dire altro,  e Piton  l’osservò  con attenzione,  posandolo poi con cura sulla scrivania.

Il silenzio sceso fra i due era più eloquente e profondo di mille parole;  fu infine Silente a spezzarlo e  la calma piatta della sua voce colpì Piton  come uno schiaffo in pieno viso.

- Beh, che ne dici Severus,  è  grave?  Solo tu puoi confermare i miei sospetti,  e per favore risparmiati  penose bugie...

- Mentire con te?  Sei  l’unica persona con cui  non riesco a farlo. 
 
Il vecchio mago ostentò un ghigno divertito e il cuore di Piton un po’ si  sollevò al pensiero che   avesse,  malgrado tutto,   voglia di scherzare.

Puntò la bacchetta contro la mano ferita mormorando sottovoce incantesimi di medicazione e di rivelazione,  cercando di  capire che cosa avesse potuto scatenare una tale virulenta reazione.
Ma la magia che aveva attaccato il corpo del suo amato/odiato maestro era molto oscura,  misteriosa e negativa… 
Al di là di qualsiasi altra malvagia magia avesse  mai  osservato. 

- E’ difficile a dirsi, Albus,  ma sembra una maledizione assai invasiva e molto distruttiva. Oserei dire una nuova e più subdola  variante di una Maledizione senza Perdono…

- Puoi fermarla?

Piton cercò con cura le parole, ma Silente voleva la verità,  e la voleva senza troppi fronzoli;  nuda, cruda,  brutale. 

- No, non credo di riuscirci.  E’ troppo aggressiva ed oscura. Temo inoltre che si espanderà senza possibilità di essere bloccarla definitivamente.

- Mmm… molto bene.  Quanto tempo mi rimane,  allora, secondo te?

Lo chiese con quello stesso tono soave e pacato che usava tenere quando giocavano le loro interminabili partite a scacchi  su nella Torre panoramica del Castello. 

Con la stessa medesima scanzonata leggerezza. “ Allora,  Severus… quanto tempo ancora devo attendere  prima che tu dichiari  lo scacco al Re,  schiantandomi definitivamente.”

Piton lo fissò dritto negli occhi,  e nelle profondità  celesti non scorse ombre,  solo la ferrea volontà di un uomo che doveva  dosare ogni attimo di ciò che restava del suo tempo...

- Non  molto temo. Un anno, forse. Forse meno.

Parlò con foga,  accorgendosi  solo dopo,  che quelle parole lo avevano ferito molto più di quanto avesse potuto immaginare. 
Che cosa avrebbe fatto da solo,  dopo aver perso l’unico uomo che per lui era stato più di un…

Spezzò il corso doloroso dei suoi pensieri,  buttandosi a capofitto nel problema, cercando,   pensando e analizzando ogni maledetto aspetto.

Mentre pensava furiosamente, e continuava a mormorare incantesimi curativi con la bacchetta,  nell'altra sua mano aveva fatto apparire una coppa ricolma di una bevanda dal caldo colore dorato,  che fece trangugiare tutta d’un fiato a Silente.

Il mago parve trarre beneficio dalla pozione e s’assestò più comodamente sulla sedia. Un poco di colore era tornato ad irrorare le  sue guance esangui.

E vi era anche più forza nella sua voce quanto iniziò un discorso che Piton non avrebbe mai più dimenticato.

- A questo punto, Severus,   c’è solo una cosa da fare,  e  scommetto che sai già di cosa si tratta...

- Ti  sbagli.  Non potremmo rimandare a domani quest’arguta discussione,  per favore?

- No, mi ascolterai, ora!  - Tuonò il mago e nella sua voce c’era un’urgenza che Piton non poté  ignorare. 
-  L’anno scolastico che sta per iniziare  sarà terribile. Ho già posto su Hogwarts dei sistemi di protezione supplementari e più potenti. Chiamerò anche gli Auror… Voldemort è tornato, Severus,  ed è già molto forte,  l’ho sperimentato al Ministero  sfidandolo a duello.  Sta preparando il suo attacco più pericoloso,   lo so...

- Bene,  ascoltami tu,  ora!  Ti parlo come tuo medico personale e ti impongo di andare subito a dormire!

- Bubbole,  lui incaricherà qualcuno di colpire Hogwarts al cuore,  e tu sai cosa intendo.

Piton sollevò il sopracciglio studiandolo per un lungo momento. -  Intendi dire... Te?  Colpirà te?

- Ne ho la presunzione.

- Ebbene?  Vorrà dire che non ti permetterò più di girovagare con quell’inetto di Potter a combinar chissà che cosa!  Hogwarts è il luogo più sicuro del mondo magico e,  se sarà necessario,  lo farò diventare la tua prigione!

Silente rise,  ma il suo era un riso amaro, pieno di rimpianti per ciò che non era stato e non poteva mai più essere.  -  Parli con l’autorità di un preside,  e per inciso,  saresti perfetto, Severus, ed il tuo attaccamento a me,  credimi  mi riempie d’orgoglio.  Lo dico come potrei dirlo ad un figl....

– Per favore,  Albus!   -  Piton intervenne,  voltandosi  poi velocemente verso la finestra che dava sulla Foresta Proibita,  prese a fissare un punto imprecisato del cielo, buio e senza stelle.  - Non vorrei continuare questa conversazione,  non stasera,  almeno. - 
Non gli piaceva per niente la piega che aveva preso quel discorso, men che meno parlare così dopo aver appena scoperto cosa ne sarebbe stato di quell’insostituibile mago.  
 
Silente lo osservava,  e dietro ai suoi occhiali a mezzaluna lo sguardo era animato da una strana luce. 
- Devi uccidermi,  Severus,  e devo avere la certezza che sarai proprio tu a farlo! Voglio la tua parola di mago d’onore quale sei...

Il silenzio parve divenire solido nella stanza.  Un gelo cadde quasi fosse entrato l’inverno in quel piccolo spazio. Quando Piton si voltò verso il vecchio mago aveva stampata sul viso un’espressione indecifrabile,  a metà fra l’incredulità e  l’ira.

- E di grazia,  vuoi  che lo faccia adesso, qui... signor preside,   o devo darti qualche minuto per preparare, che so, le tue ultime volontà?

- Non sto scherzando,  Severus!

- Neppure io, dannazione! Non puoi disporre di me a tuo piacimento, questa volta non sono d’accordo Albus,  non difronte a questo!

- Severus, la mia condanna è già stata pronunciata.  Nulla fermerà la maledizione che era nascosta in quella pietra,  lo hai visto anche tu!  Ma se per te è troppo,  vedrò di arrangiarmi in altro modo...

Piton si era avvicinato alla porta con grandi falcate ed ora si era voltato, le braccia incrociate all’altezza del petto, una luce furiosa e maligna negli occhi scuri. 
- Non darmi del codardo, sai bene che non lo sono!  Solo che... Non posso!  Ci sarà un altro modo,  potremo fermare quella degenerazione, Io farò ricerche ovunque,  andrò all’estero  se me lo permetterai.

Silente scosse debolmente la testa canuta. -  Non è questo il punto,  e poi è qui che ti voglio,  Severus, al mio fianco;  e farai esattamente ciò che  ti ho chiesto!

-  Non esserne così certo,  Silente!

Aprì la porta e scomparve sulle scale magiche che discendevano dalla torre.  Il suo mantello nero sventolò dietro di lui come un drappo di guerra;  Silente gli gridò dietro e la tromba delle scale amplificò le sue parole. 

- Dove diavolo vai?  Torna qui. Devo dirti altre cose.

- Sarò di ritorno per l’inizio della scuola, attenderai sino ad allora!  Arrivederci signor Preside! 

Silente rimase quieto ed immobile alla sua scrivania,  pensando e ripensando al piano che aveva ormai congegnato sotto ogni aspetto.  Che Severus Piton fosse d’accordo,  oppure no!


Fine capitolo

 
   
 
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