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Autore: Brokenhearted Bitch    18/06/2014    0 recensioni
''Secondo la legge di gravitazione universale tutti i corpi celesti hanno una forza con la quale si attraggono reciprocamente, e questo non avviene solo tra corpi della stessa grandezza. Anche un corpo più piccolo e uno più grande possono attrarsi a vicenda.''
E' questo quello che dice la materia preferita di Annika Brant, semplice studentessa di 17 anni. Ma Annie, la scuola, non la sopporta, non ne può più. Vorrebbe scappare, vorrebbe viaggiare e inseguire i suoi sogni. Nemmeno la passione per la fisica basta per avere una sufficienza, il problema sta nei calcoli matematici. Ma quando un professore della sua scuola, Anthony Rope, si offre di darle ripetizioni, qualcosa nella vita di Annie comincia a prendere forma. Un sentimento forte, un'attrazione magnetica che finisce per coinvolgere entrambi, uomo e adolescente.
E la legge di gravitazione assume un significato più profondo, dietro al quale si cela una metafora capace di descrivere alla perfezione quello che per molti è un amore impossibile e proibito.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sono completamente sudata quando entro in classe. Per la corsa con la paura di arrivare in ritardo, il cappotto pesante, lo spavento, tutto. Non guardo in faccia nessuno, vado dritta al mio banco e butto lo zaino per terra. Molti dei miei compagni di classe smettono di parlare tra di loro e si girano verso di me, stupiti. Che la discretezza vada a farsi fottere, Annika. Dire che “Oggi non è giornata” è un eufemismo. Alzo lo sguardo solo per accorgermi che la Mayserly, professoressa di Lettere, non è ancora presente. Sarà in ritardo come al solito. Grazie a Dio. Le tapparelle dell’aula sono ancora abbassate a metà, le luci accese.
- Annika, sei di cattivo umore stamattina? – sento schernirmi da una voce femminile.
- Brant, datti una calmata, tra un po’ tiri giù il pavimento – questo è Harry, il figo della classe. Tanto figo quanto arrogante.
- Sì, scusate.. – dico guardandoli con la testa bassa e cercando di liberarmi dalla sciarpa e dal cappotto. Ora sì che sono decisamente di cattivo umore. Quei coglioni stanno lì a ridacchiare e a fare i loro immancabili commenti. Così faccio come sempre: cerco di ignorarli e mi fiondo in bagno per sciacquarmi le mani prima che arrivi la Mayserly, una donnina sui quarant’anni, che in questo momento è proprio in fondo al corridoio, con una risma di libri e fotocopie sotto braccio, dirigendosi verso la nostra aula. Proprio mentre attraverso la porta del bagno incrocio Natasha, la mia migliore amica. Nonostante abbia un anno in più, frequenta la mia classe. Non è mai stata molto brillante negli studi, ma ammiro il modo in cui si impegna.. considerando che ha scoperto da poco di essere discalcula (ecco spiegate le frequenti insufficienze nelle materie scientifiche).
A dire il vero, ho altre amiche in mezzo a quei selvaggi dei miei compagni di classe, ma nessuna di loro è in grado di ascoltarmi e consigliarmi come sa fare lei.
- Oh Annika! – dice tirandomi per un braccio – gira voce che ci siano state un sacco di insufficienze nell’ultima verifica di fisica. Io l’ho presa sotto sicuro.. – credo che ormai non gliene importi nemmeno più tanto, perché lo dice con voce mista tra la seccatura e la rassegnazione. Ormai sarà abituata a tutte queste delusioni continue. Mi sciacquo veloce le mani, mente lei si spazzola allo specchio i capelli lisci e neri. Per essere bassa e rotondetta, Natasha è senza dubbio una bella ragazza, ed è anche sicura di sé. Ha la fissazione di pettinarsi troppo frequentemente, a volte perfino in classe, appena un professore si assenta per pochi minuti. Si pettina appena arriva a scuola, si pettina ai cambi d’ora, si pettina di continuo. E’ davvero buffa! Ma almeno si vede che ci tiene molto alla cura personale, ed è l’unica ad avere l’astuccio equipaggiato di spazzola, specchietto, mascara e lucidalabbra, anziché cancelleria. - Finché quegli infami del preside e della Finne non acconsentiranno a darmi il programma facilitato, non credo proprio che le cose cambieranno. – conclude mentre si concentra a ripassare l’ennesimo strato di mascara intorno ai grandi occhi azzurri. - Proprio in quel momento, Jenn Lodfield, una nostra compagna di classe, fa capolino – Ragazze, la Mayserly è già in classe, sbrigatevi. – Ok veniamo – rispondo, ma Natasha mi ferma ancora – Tu come credi di essere andata in fisica? – La guardo, pensandoci. La sua pelle chiarissima sembra ancora più pallida, quasi malata sotto la luce atona del bagno. – Mmh.. non ne ho idea.. non è stato facile studiare. Fino adesso ho sperato in una sufficienza, ma se è vera questa voce che gira, nella strage di insufficienze è molto probabile che ci sia dentro anch’io. Ad ogni modo tra qualche ora lo sapremo.

Passiamo le prime due ore ad ascoltare distrattamente l’importanza del liberalismo di John Locke e l’influsso della borghesia nella letteratura seicentesca, mentre dalle vetrate della classe un fitto muro di nebbia mattutina contribuisce a rendere claustrofobici i pochi metri quadrati di una quarta della George Orwell High School. Benchè mi trovi nella prima fila di banchi, così vicina alla cattedra da riconoscere la tonalità del rossetto della Mayserly, faccio un tour tra le pagine della mia agenda senza farmi notare, per appuntarmi anche mentalmente i prossimi compiti in classe e facendo un conto veloce delle medie nelle varie materie. Se prendo sotto questa verifica di fisica, va sotto anche la media intera. Grandioso.

Abbiamo iniziato fisica l’anno scorso, così prevede il nostro indirizzo, e ho sempre avuto un voto abbastanza alto e la professoressa precedente era un tipo davvero in gamba. Lei sì che insegnava davvero bene. Prima di imbattermi in questa nuova materia ero convinta che sarebbe stato un dramma. Chiunque ne parlasse diceva che la fisica era una delle materie più difficili e seccanti, e per andarci d’accordo bisognava essere bravi a prescindere. Paradossalmente è stato il contrario. Mi sono appassionata sin da subito e ho preso un’insufficienza solo una volta. Molti la paragonano a matematica ma è tutta un’altra storia. A mio parere la matematica è utile solo fino a un certo punto, dopodiché è solo una scusa per impegnare il povero cervello già abbastanza fuso degli studenti, senza un vero scopo né utilità. Ma la fisica, per quanto a volte sembri ardua da comprendere, ci spiega davvero tutto ciò che accade intorno a noi. – Annika! Hai delle forbici? – chiede a voce bassa Jenn da due file dietro. – Sì…passagliele  – rispondo allungando il braccio a Harry, che si trova tra il mio banco e quello di Jenn. La cartoleria Brant apre le saracinesche, penso ironica. Sono una dei pochi ad avere sempre l’astuccio completo di tutto. Infine mi rigiro verso la Mayserly, che pacifica scruta la classe con gli occhietti piccoli piccoli, poco proporzionati al resto del corpo, che fa fatica a contenere dentro la sedia. Con le mani paffute sotto il mento, la Mayserly spiega la sua lezione, facendo di tanto in tanto qualche domanda qua e là ai migliori studenti della classe, quando vuole assicurarsi che ci sia qualcuno a seguire con costanza la sua lezione, o a qualche altro che non si prende nemmeno il fastidio di sbrigare altre faccende con discretezza, ad esempio Harry che dorme sulle espressioni di matematica, o Travis, il suo migliore amico, altrettanto idiota quanto lui, che chiacchera con la sua compagna di banco.
- Natasha, fai pure un riassunto di quanto ho detto finora – cinguetta la professoressa. Ma la mia amica alza per la prima volta il naso dal banco, con un’espressione imbarazzata. Quando tutta la classe si gira a guardarla, la sua seduta di manicure non è più un segreto. Anziché l’ingombrante tomo di letteratura, trousse, fazzolettini e smalto blu sono tutto ciò che Natasha ha davanti. – Non so risponderle – ammette, mentre la Mayserly sorride prendendone atto in silenzio e concludendo con un ironico “Il centro estetico lo improvvisi a casa, non a scuola, Natasha”.

Al suono del cambio d’ora tutta la classe entra in agitazione, facendo pronostici sull’esito della verifica all’ultimo minuto. Il caos non si placa nemmeno quando la Finne, professoressa di Matematica e Fisica, entra in classe a testa alta e il pacco di fogli ordinatamente impilato tra le mani. Se la Mayserly è una professoressa alquanto buffa e curiosa a vedersi, la Finne lo è altrettanto. Solo che è l’esatto contrario di lei: alta, magrissima e con poco senso dell’umorismo. Sebbene abbia già una cinquantina d’anni, è una donna raffinata che si intende di stile, e ciò la rende piuttosto bella, anche se non ha tratti fisici particolari. Venti persone piombano nel silenzio, quando la voce circa le numerose insufficienze  si rivela vera. Man mano che la pila di fogli si accorcia, cresce la tensione, e io comincio davvero ad avere un po’ d’ansia. – Reboski – annuncia la Finne allungando la verifica mezza bianca e mezza rossa a Natasha, che a sua volta l’allunga a me senza guardarla. – Guardala prima tu, e dimmi se ci prendo. – Natasha comincia a elencare i voti dalla A alla F, e come previsto annuisco solo all’ultima lettera. – Non avevo dubbi. – sbotta, riprendendo con forzata indifferenza a smaltarsi le unghie da dove la Mayserly l’aveva interrotta. – Brant.  – sono la penultima. Mi si gela il sangue quando una E barra F molesta il mio campo visivo. No… non poteva essere andata così male.. – L’unica domanda di teoria la sapevi, ma gli esercizi, i calcoli… un vero disastro.

Passano dieci minuti di lamenti, pianti e proteste. Risultato: dodici insufficienze su venti, più di metà classe. Perfino quella stronzetta della Roden ha preso una C barra E, lei che brilla in qualunque materia e lo sbatte allegramente in faccia agli altri. Quanto godo. Adesso non fa più la spaccona, guardala come sta seduta buona e zitta al suo posto, fissando la verifica come se fosse una multa piovuta dal cielo. Appena suona la pausa vado in bagno a bere un sorso d’acqua. Mi sento stanca, spossata e demotivata. E’ come se le vacanze non ci fossero state affatto e non mi fossi riposata per niente. Azzardo a guardarmi allo specchio e tutto ciò che vedo è una ragazza con capelli color rame odiosamente e costantemente spettinati, senza una forma vera e propria, né lisci né ricci, così ribelli che sembrano avere vita propria. Perfino gli occhi non si capisce che colore abbiano: tutti dicono che li ho tendenti al marrone, nessuno ha mai fatto caso, invece, che alla luce del sole sono verdi scuro. Per questo, preferisco dire che ho gli occhi verdi.. Il marrone sembra un colore così triste e insignificante attribuito agli occhi. Le occhiaie, per fortuna, non sono così evidenti, a differenza di una pelle chiara ma piena di imperfezioni, che nemmeno con cipria e correttore riesco a nascondere. Per lo meno ho un naso dritto e sono magra, e la matita agli occhi è un grande ausilio. Provo una fitta allo stomaco e so che è ora di andare a prendere qualcosa da mangiare, ma è solo quando ho già il cibo sotto i denti che mi rendo conto che quella sensazione non era dovuta più per la fame, ma piuttosto al pensiero del rombo di quell’auto. Dovrei dirlo ai miei? E come? “Mamma, papà, ho preso un’insufficienza a scuola, ma spero siate abbastanza clementi da non scaldarvi troppo…vostra figlia oggi ha rischiato di essere investita!”. Alla fine, decido di non dire proprio niente.

Nonostante le lezioni siano finite, approfitto della palestra vuota e incustodita per stare un po’ da sola e sfogarmi, prendendo a pugni un pallone da box, e sono così concentrata sui miei problemi che solo quando sento il pallone fermarsi, trattenuto da qualcosa, mi accorgo che il mio momento di pacifica solitudine non può durare ancora a lungo, e mi ritrovo davanti qualcuno che non dovrebbe esserci. L’ultimo dei miei problemi.
  
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